L'uomo in riva al mare

di DirceMichelaRivetti
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Sedeva su uno scoglio, l'ultimo. Lontano dalla spiaggia dalle sabbie bianche troppo spesso macchiate di sangue, lontano dai falò accesi e dalle gioiose voci dei suoi amici. I piedi scalzi immersi nell'acqua, le onde salivano e scendevano e il loro dolce e costante suono placava l'animo dell'uomo.

Un uomo non più giovane da molto tempo, i selvaggi capelli neri cadevano sulle sue spalle, i tizzoni ardenti nelle sue orbite erano fissati sull'orizzonte, al sole che tramontava per l'ennesima volta. Non si annoiava il sole? Non era monotona la sua vita? Sorgere e tramontare ogni giorno, senza mai fare altro... Forse l'astro era lieto perché conosceva il suo scopo. Egli invece no; la sua vita era stato certo più entusiasmante di quella del sole, più varia e più breve, eppure non poteva dirsi contento.

Fissò le proprie mani: secche, ruvide, piene di calli e di solchi. Quante armi aveva stretto con esse? Quante vite aveva tolto? Troppe per essere ricordate, Inglesi, Olandesi, Europei vari, ma anche Indiani, Thug, Dayaki e molti altri... Pochi erano i popoli che potevano vantare di non esser stati in lutto a causa sua.

Ma non era un assassino: era un eroe.

Quale invaso non si oppone all''invasore?

Chi, avendo la forza di reagire, resta subire le ingiustizie?

Nessuno.

Nessuno tranne i santi, ma lui non era un santo. La pazienza non era la sua virtù, lasciava ad altri l'onore della santità, lui si accontentava dell'eroismo. Era stato costretto ad impugnare le armi fin da ragazzo e non se ne separò mai; ben presto dovette imparare cosa voleva dire difendersi, proteggere e vedere i propri amici, i propri cari morire.

Inglesi.... Chi vi ha chiamati? Solo spinti dalla vostra avidità siete giunti qui e avete distrutto ogni cosa, tutto ciò che ci apparteneva ve lo siete presi, anche la nostra libertà, anche la nostra dignità.

Non la sua però, egli si era ribellato, egli aveva detto NO e, seppure invano, aveva lottato.

Anni e anni di dura lotta, scorrerie, abbordaggi, guerre, ma questo non aveva arrestato gli Inglesi che pure lo temevano.

Guardò la propria figura riflessa nell'acqua salata all'imbrunire. Si scrutò e non vide l'eroe quale a tutti appariva. Niente zanne, niente artigli, niente tigre, solo un uomo solo.

I suoi pirati lo adoravano, lo acclamavano, il popolo aveva speranza in lui; i nemici ne avevano paura; era il vessillo dell'anima indomita della Malesia, ma per lui tutto ciò non era più nulla, non era altro che un rumore lontano, indistinto. Gli insulti non si distinguevano dagli elogi. Aveva compiuto tante e straordinarie gesta che tuttavia ora non avevano più alcun senso per lui, erano solo un ricordo; un insieme di ricordi dolorosi e lieti; forse, se avesse potuto cambiare qualcosa, avrebbe lasciato tutto immutato: poteva togliere valore ad un'esperienza?

Solo la sua donna amata avrebbe fatto tornare, solo di lei aveva bisogno, ma era solo un fantasma. Il destino gliela aveva tolta così precocemente, forse perché esso non voleva ch'egli abbandonasse le sue navi, perché lo aveva destinato a ben altre imprese, non quelle di una dolce famiglia, ma di un belligerante pirata.

 

"Fratellino, non vieni?"

 

L'uomo si voltò e vide il suo inseparabile compagno di avventure, ormai diventato un raja. Lo guardò e si commosse, il Portoghese era là con la dolce Surama ed il figlioletto. Il suo amico aveva potuto trovare il calore del focolare domestico, così come aveva fatto anni prima il loro compare cacciatore di serpenti. L'uomo raggiunse gli amici, accarezzò il piccolo Soarez, salutò Dharma, il figlio di Suyodhana, Sambiglion, Kammamurri e tutti gli altri. Tutti gli si strinsero attorno, ma non era felice. Non riusciva più a trarre soddisfazione dalle proprie imprese e tutta quella gente non riusciva più a riempire il vuoto che lo colmava.

Nonostante tutto era freddo, distaccato. Si domandò ancora perché non avesse potuto godere delle gioie coniugali. Sì grandi cose gli aveva riservato la vita, ma non quella che poteva renderlo davvero felice. Ma forse non era destino.

Infondo lui non era un uomo. Era un simbolo.

Egli era Sandokan, la tigre della Malesia, il terrore degli Inglesi, lo sterminatore degli Thug.

Questa benedizione, maledizione di essere un eroe.

Yanez... Yanez, amico mio, dove sei? Che mi prende? Perché mi tormento? Perché non son felice? Sono un uomo! Diamine sono un uomo perché m'è stato proibita una famiglia? Perché la morte mi ha tolto prima quella del padre e poi la mia?

Ai grandi non è concesso di essere uomini.

Egli era Sandokan, la tigre della Malesia, il terrore degli Inglesi, lo sterminatore degli Thug.

Ma io non voglio vivere come un personaggio; non voglio fare ciò che gli altri si aspettano... ma come sottrarmi a chi mi guarda e cerca aiuto, od una conferma?

Egli era Sandokan, la tigre della Malesia, il terrore degli Inglesi, lo sterminatore degli Thug.

Io penso a tutti, ma chi pensa a me?

Egli era Sandokan, la tigre della Malesia, il terrore degli Inglesi, lo sterminatore degli Thug.

 

Quella notte si abbandonò alle onde del mare.

Pochi giorni dopo su una riva venne rinvenuto un cadavere.

Era Sandokan, la tigre della Malesia, il terrore degli Inglesi, lo sterminatore degli Thug.

Era un uomo così importante per chiunque che non sapeva più per chi vivere.

Era un uomo così importante per chiunque che si sentiva abbandonato.

Era un uomo.

Era.

 





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