Maschere
Poche
ore prima del tramonto, quando le immagini, attraverso una finestra
stretta, sembrano solamente cumuli scuri di cenere, raggruppati in
masse informi ai lati della strada. Il cielo pregno di stirate
nuvole, frastagliate sui lembi, tanto da apparire come sottili fogli
ruvidi, sì, proprio quelli sui quali si disegna. Le tonalità
si addensano l'una sull'altra come veli di pasta di sale lucidi :
dall'ocra al rosso scuro, e piano piano, mentre raggiungono l'apice
dell'intensità, vicino al sole, muoiono inghiottiti dalle
bocche molteplici dei raggi.
Piegato
sugli avambracci, con la schiena supina; lui, capace di cogliere
l'immensità lontana del cielo che s'appresta a dormire. Gli
occhiali tondi, precisi sul naso, che servono solamente a conferirgli
quell'aspetto bonario e semplice da dottorino di provincia. Niente di
più, niente di meno.
Lui,
che contrae i muscoli in quell'allenamento giornaliero che serve
soltanto a farlo apparire ulteriormente degno di quel mestiere. Il
mondo in cui vive è semplicemente questo, lo specchio
dell'apparire.
Si
ferma per contemplare di tanto in tanto quei colori che lentamente
s'immergono in tonalità sempre più spente e crucce,
proprio come i suoi occhiali, che col passare del tempo si rigano e
s'appannano nella loro vecchiezza.
Accorgersi
del passare del tempo non gli fa male, anzi, gli disegna uno dei suoi
abituali sorrisi allegri sulle labbra, tanto che, più si
sforza di stirarle, più quelle fastidiose rughette che lo
rendono assai più maturo di un tempo, tendono ad affacciarsi
libere ai lati della bocca .
Il
vento prende a snodarsi leggero, passeggiandogli tra i capelli.
Chissà
cosa starà facendo la mite cuoca dei suoi sogni in questo
momento, sicuramente affaccendata nel preparare un modesto pranzetto
a quella famiglia così allargata di colpo. Il corpo s'alza e
s'abbassa ancora e così fanno le gambe, seguendo quella
sincronia numerica imposta dalla mente.
Si
regge sulla mano, poi su due dita ed infine sull'indice. Si sente
ancora in forma come un tempo, anche se il suo corpo non gli permette
sforzi maggiori di questo.
Non
essere ancora sposato alla mia età. L'affezione continua e
persistente a questo mio lavoro,
spesso
e volentieri, me lo fa proprio dimenticare. Oh, sono proprio
invecchiato, per queste dimenticanze!
Socchiude
le palpebre, facendole aderire l'una all'altra, strette. Il suo volto
sembra disegnato con una matita, forte e bonario dottore. Le sue
labbra abbandonano, però, il sorriso nello stesso istante nel
quale il sole, salutando il mondo, si rintana tremante dietro quel
grattacielo lontano. Nel preciso istante in cui la volta prende ad
annerirsi, anche il volto di lui si rabbuia. Un sospiro profondo, il
congiungersi di mani e la preghiera a qualche avo in ascolto.
Vorrei
trovare il coraggio per dirti quello che provo, ma la tua presenza
basta a farmi dimenticare anche come si parla, cara Kasumi. Odio non
poter essere me stesso al tuo fianco.
Non
l'avrebbe immaginato neppure per un istante, di poter anche solo
immaginare quella parola accostata alla sua figura. Odio e Kasumi
nella stessa frase gli suonano così terribilmente stonati.
Con
l'indice sistema la montatura dei goffi occhiali che gli sono appena
scivolati sul naso. Avrebbe avuto così tante occasioni per
farlo, per avvicinarsi al suo desiderio più nascosto ma allo
stesso tempo così evidente.
L'ingenuità
negli occhi di lei è un richiamo così forte ...
Quegli
stessi occhi dei quali s'era innamorato tempo prima, pieni di
compassione, mitezza, sensibilità. Quale uomo, sulla terra,
oserebbe guardarla dritto in quelle pozze limpide senza sentirsi
perdere nel vuoto? Lui stesso arriva al punto di perdere il senno in
sua presenza. Il motivo? Ne potrebbe elencare mille e non sarebbero
sufficienti per spiegare quella reazione così distante dal suo
mondo. Lui, abituato al rigore scientifico e marziale. Lui, così
dedito a quella piccola clinica di periferia. Lui, che entra in
confusione senza poter capire il come ed il perché. Oh!
Kasumi, fragile e piccola che se potesse, rinchiuderebbe in una
campana di vetro sottile, per paura di infrangerla.
Sensazioni
che non possono essere spiegate dalla scienza questa volta. Un uomo
capace di trovare cure impossibili, schiavizzato da sentimenti che
non riesce a confessare.
Si
risolleva, ora, ripulendo i pantaloni dalle secche foglie autunnali.
L'ultimo raggio di sole si staglia attraverso una nube, posandosi
sull'imposta di una delle finestre ancora aperte dello studio.
Solleva dunque l'avambraccio, asciugandosi la fronte dal sudore e
sorride ancora, riallaccia la sua maschera di contentezza al volto,
perché quella per ora è la sua vita.
Una
maschera di cera non è adatta per celare i sentimenti dottore,
presto o tardi arriverà anche per lei il momento di dover dire
addio alla timidezza.
Un
tavolo. Una busta. Un pennello ancora intriso d'inchiostro poggiato
sulla carta. C'è qualcun'altro, preda dell'insicurezza, in
quella baracca abbandonata da Dio. La luce tremolante di una lampada
ad olio non troppo distante, che illumina parte di quel volto che si
volge a destra e a sinistra intermittente. Indeciso, qual è la
tua maschera? Una maledizione forse?
Giocherella
con la carta tra le dita. Quella busta, che ancora non ha il coraggio
di chiudere. La riapre, srotola il contenuto rileggendo la sua
lettera che contiene sempre le stesse parole, sa che non avrà
il coraggio di spedirla nemmeno questa volta.
Delle
sue lunghe liste di viaggio, questa è la più corta che
contiene solamente due parole. Quelle che rimarranno su quel pezzo di
carta ed infondo al suo cuore in eterno, che resteranno scolpite nel
marmo duro della sua paura.
Le
iridi profonde, di quel verde bottiglia acerbo che paiono quasi finte
per la loro consistenza, vibrano e si accendono di desiderio. Una
fiamma che ti arde spesso negli occhi, piccolo porcellino nero.
Forte
e determinato Ryoga, che dietro quella facciata schiva che mostra
talvolta, cela solamente troppa timidezza. Si alza, compie mezzo giro
all'interno di queste quattro mura senza perdere d'occhio quel
foglietto che racchiude tutto se stesso. Vorrebbe dirglielo,
gridarlo al mondo quanto ama la sua Akane. Non lo farà,
semplicemente non prima d'aver abbandonato quella sua maschera che lo
avvicina e lo allontana così tanto da lei.
“Akane-san,
sarò pronto un giorno e non serviranno lettere per dirtelo”
solleva le braccia e il collo, ma per quanta convinzione possa
esserci nel tuo sguardo, dovrai imparare che oltre alla maschera,
dovrai scansare molto di più per riuscire nel tuo intento. Lui
e le sue fantasie da quattro soldi. Già s'immagina, sistemato
in qualche casetta a badare alla prole numerosa col suo angelo ad
accoglierlo sulla soglia di casa, la sera tardi. Ed il sole scompare
definitivamente, lasciando di sé solo una piccola ombra
lontana.
Un
paletto conficcato sul terreno. Il rumore dell'aria che sferza. Una
falena che muore bruciata all'interno d'un lampione.
La
gamba che si alza veloce, trafiggendo una piccola porzione di spazio.
Un salto e una piroetta ed eccolo che ricade diritto di fronte al
feticcio di legno.
Lui,
che di maschere ne ha più di tutti. Apre gli occhi,
concentrando lo sguardo su quell'avversario immaginario che gli si
para dinanzi. Colpi mirati, mosse fluide e giochi veloci per
catturare un pugno d'aria tra le mani. Le sopracciglia sono inarcate
e la fronte spaziosa, corrugata in un'espressione cruccia. Cosa passa
per la tua testa milite mai stanco dell'arte marziale? Trafitto da
mille dubbi e allo stesso tempo lucido ed attendo sul bersaglio.
Lui
dei tre, è quello che non appartiene alla sponda dei
sentimenti. Così dice. L'ultimo giunto, la novità,
quello detestabile e sarcastico. Lui che le parole le usa solamente
per infangare e beffarsi.
Mira
un altro colpo, senza mancare il bersaglio, unico maestro di
quell'arte che molti chiamano violenta.
Qual
è la tua maschera Ranma? Domanda che rimane enigmatica.
L'ombra in quegli occhi, tanto rassomigliante a una scheggia
avvizzita dal tempo. Uno sguardo, nel quale trova spazio solamente la
luce penetrante della sua follia, quell'insana pazzia che chiami da
sempre desiderio di farcela. Lui, il numero uno. Lui che non perde
mai una sfida, che cade e che si rialza anche a un passo dalla morte.
Sei
tu, tutto questo? O solamente un'altro dei tuoi trucchi per ingannare
chi ti osserva? I movimenti circoscritti si bloccano a mezz'aria,
mentre un altro rivolo di sudore ti scende dalla fronte. Non ti fermi
nemmeno dinanzi alla fatica. Non tu, che della determinazione ne fai
un'arma.
Coriaceo,
intoccabile, con la scorza più dura dell'acciaio stesso.
Eppure di sera, favorito dalla solitudine, anche lui diviene umano.
E
forse, più di tutti, trascini e celi le tue ferite meglio di
chiunque altro. Si ferma finalmente, distinguendo ciò che
giace poco più in la del paletto di legno.
Rimane
qualche istante a fissare la consistenza dell'acqua come ad un
qualcosa di disgustoso. Quell'acqua che serena scivola sulla
superficie del laghetto di casa Tendo, la stessa nella quale la
carpa spicca due o tre salti prima di salutare un altro faticoso
giorno.
E
più rimane fisso lo sguardo nella pozza, più quel
pezzetto d'umanità nel petto ringhia e scalpita feroce,
cercando una via d'uscita. La sente sua, ogni giorno di più,
quella tremenda agonia che lo lega ad un corpo totalmente estraneo.
Quel
corpo che rinnega e getterebbe in pasto ai demoni pur di non tenerlo
per sé. Più s'avvicina lo sguardo a quell'acqua e più
s'abbassano le palpebre, disegnando, dietro le iridi impenetrabili,
un sottile strato di amarezza.
Stringe
il pugno, così forte da imbiancare le nocche, e dentro la
bocca, serra le mascelle, strette. Si avvicina dopo qualche passo,
immergendo gli occhi completamente nella sua stessa immagine.
Ti
vedi e ti senti bene per un momento soltanto, perché chi vedi
è la parte che di te ami. D'un tratto, però, a
quell'immagine se ne sovrappone un'altra, coi capelli rossi e il
sorriso di scherno che ti sputa in faccia che non sei completo. Ti
ricorda, beffandosi di te, che sei uomo solo per metà.
Tutto
questo brucia terribilmente e lo sente sulla pelle, mentre i muscoli
s'intirizziscono e le vene prendono a pulsare evidenti. Quella rabbia
che gli cresce dentro in un climax ascendente sempre nuovo, come un
fiume in piena. La stessa ira che riserva ai suoi rigidi allenamenti,
al suo parlare a sproposito.
Questa
è dunque la tua maschera Ranma?
Vorrebbe
urlare ma non ci riesce, vorrebbe spaccare il mondo ma non può.
Ed è come un cavallo selvatico prigioniero dalle briglie e
dalla sella.
Tornerò
come prima, lo giuro.
Mentre
silenziosamente sigilli quella promessa in fondo all'animo, dall'alto
qualcuno ti osserva.
Non
puoi saperlo, perché lei, silenziosa, lo fa ogni notte col
favore delle tenebre. Solamente nel suo sguardo, se tu lo volessi,
potresti scorgere che, in fondo, vai bene anche così, fatto
solo a metà.
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