Far
Away
Perché
ti voglio
bene veramente
e non esiste un luogo dove non mi torni in mente
Avrei voluto averti veramente
e non sentirmi dire che non posso farci niente
Avrei trovato molte più risposte
se avessi chiesto a te ma non fa niente
E non posso farlo ora che sei così lontana
Il fumo si
alzava in lenti spiragli dalla tazza di caffè bollente, sospinto a
disperdersi
dal vento pungente. Aveva lo stesso colore plumbeo del cielo, carico di
nuvole
che si stagliavano all’orizzonte sopra al mare appena increspato.
Quasi poteva
sentire il sapore di tutto quel grigiore, mischiato all’odore della
salsedine.
Eppure, aveva quasi un effetto calmante su di lui.
Si strinse di
più nel pesante cappotto di lana, si appoggiò meglio alla ringhiera che
separava quel largo marciapiede dalla spiaggia sottostante, inspirò
forte.
Avrebbe voluto
che nemmeno quel posto, così lontano, gli ricordasse così tanto. Ma era
l’effetto del mare, si disse, che aveva lo stesso profumo ovunque si
potesse
andare, e l’olfatto era il senso che più scatenava ricordi… soprattutto
se un
DNA modificato ne ricaricava le potenzialità.
Abbozzò un
sorriso triste, abbassò la testa sul liquido nero che fece roteare
nella tazza
di carta.
Continuava a
scappare dall’altra parte del mondo, eppure non riusciva mai a scappare
veramente.
Il peso della
busta nella tasca continuava a farlo ricordare, a tenerlo con i piedi
per
terra, ancorato a quella realtà che non gli era mai stata facile da
accettare.
«Mi
sta entrando tutta la sabbia nelle scarpe.»
«Spiegami
di nuovo perché hai scelto di indossare
delle sneakers al mare.»
«Perché
stavano bene con i miei pantaloncini nuovi.»
«Dovresti
passare meno tempo con Minto, ragazzina.»
Un gruppetto di
gabbiani si levò in volo gracchiando, disturbati da un cane che correva
libero
sul bagnasciuga.
Si mise ad
osservarlo, tutto pur di avere una minima distrazione.
Una coppia, imbacuccata quanto lui per
proteggersi dal gelo, stava seguendo con calma l’animale, ridendo e
stringendosi l’uno all’altra.
Lui sbuffò, si
aggrappò soltanto al calore contro il palmo della mano. Pensava che un
giorno o
l’altro ci avrebbe fatto l’abitudine, invece non era mai successo. Si
era
semplicemente lasciato cullare da una vana ed ignobile speranza, che
non aveva
mai fatto chiudere del tutto la ferita.
O forse,
l’abitudine era proprio quel pungere fastidioso all’altezza del petto,
quel
sapore amaro sulla punta della lingua tutte le volte che gli si
ripresentavano
scene quotidiane davanti agli occhi.
Evidentemente,
nemmeno allontanarsi così tanto era la soluzione giusta.
Prese un sorso,
lanciò un’occhiata all’orologio che portava al polso. Ormai erano
giorni che
non dava notizie di sé.
Non aveva voglia
di parlare con nessuno – l’unica persona con cui avrebbe voluto davvero
parlare
era sicuramente impegnata, troppo presa per potergli davvero dedicare
del tempo
prezioso. E lui sarebbe stato troppo egoista a chiederglielo.
Come se non fosse
stato già abbastanza egoista nel voler essere lui al posto di qualcun
altro, in
quel momento, in tutti quei momenti passati.
Si passò una
mano sul viso, pungente contro la pelle per la barba di cui non si
stava
prendendo cura.
Non aveva
nemmeno risposto. Né a lei, quando
gli era arrivata quella busta, mesi prima, né a tutti i messaggi che
gli erano
arrivati da quando era partito. Avrebbe fatto molto meglio a spegnere
il
cellulare, ma gli sembrava esagerato. Gli sembrava come mostrare di
essersi
arreso davvero.
«Lo
sai che non ci puoi fare niente. Smettila di
tormentarti.»
La
voce calma alle sue spalle non fu imprevista. «La fai facile, tu. Never had this problem, I
guess.»
La
sentì sospirare. «Devi lasciarla andare. Lei ha
scelto.»
«Con
tutto il tempo che ci ha messo, perché dovrei
esserne sicuro?»
«Perché
continuerai a farti solo del male.»
Diede le spalle
alla spiaggia, infilò le mani in tasca. Le dita sfiorarono il bordo
ormai
consunto da quel movimento che aveva ripetuto meccanicamente. Ormai la
conosceva a memoria – color crema, di elegante e raffinata carta
riciclata,
stampata con una fine scritta nera in corsivo che, sapeva, era stata
ricalcata
dalla grafia di Minto.
Avevano aiutato
tutte con l’organizzazione, ovviamente. Lui, ovviamente, no.
Non aveva fatto
altro che fare quello che gli riusciva meglio, a detta sua.
Aveva preso le sue cose, ed era scappato; era andato via, per
allontanarsi il più possibile, e fare finta di niente, anche se non ci
riusciva
davvero.
Probabilmente
non l’avrebbe perdonato, questa volta. Meglio così – forse, sarebbe
servito
meglio a darci un taglio netto, a lasciarsi tutto alle spalle, e cadere
solo
nei ricordi.
Tutte le
spiegazioni che avrebbe voluto avere avrebbero dovuto attendere un
altro
momento, forse un altro mondo. Ma gli andava bene così, in fondo. Era
sempre
stato bravo a prendersi le responsabilità delle sue azioni, e
sopportarle.
Avrebbe sempre
voluto lei, lo sapeva. Forse l’aveva avuta, per qualche misero,
effimero
istante. Era giusto così. Nella sua ingiustizia, lo accettava. E
avrebbe
continuato ad essere rincorso dalla sua memoria, forse avrebbe
continuato a
correre.
Guardò di nuovo
l’orologio, e fece un rapido calcolo.
Ormai mancava
davvero molto poco, non le aveva mandato nemmeno un augurio. Non
poteva, era
più forte di lui.
L’avrebbe
capito. L’avrebbero capito tutti.
Alzò lo sguardo
verso il cielo cinereo e prese una grande boccata d’aria, riempendosi i
polmoni
del freddo acuto. Sembrò che gli schiarisse un po’ la mente, mentre un
brivido
lo percorse.
Non poteva farci
niente. Erano lontani, e non c’erano altre soluzioni. Andava bene così.
Il suo viaggio
doveva continuare.
Raggiunse il
cestino più vicino, infilandoci la tazza di carta. Tentennò un momento,
rigirandosi la busta tra le dita, poi la ripose ancora in tasca.
Sfiorò lo
schermo liscio del cellulare, lo prese in mano. L’ultimo messaggio
recitava
solamente “Dovresti esserci anche tu
qui.”
Scosse la testa,
ridendo amaramente, e riprese a camminare.
Okay,
questa è una classica Hypnotic: non ha senso, e finisce
male. ahahah Vi erano mancate, eeeeeeeeh? ahahah
Scherzo,
in realtà non so se piaccia neppure a me,
nemmeno io capisco cosa volessi scrivere...
semplicemente, ho
quella diavolo di canzone in testa da due giorni, io e la mia
coinquilina la
stiamo ascoltando a ripetizione da quando è uscita - molto stile
pazzoidi, lo
sappiamo - ma tocca molte corde (decisamente MOLTE) e dovevo scriverci
qualcosa. Ovviamente, io non sono brava quanto il caro Marco Mengoni
& co,
quindi non sono riuscita a usarla come volevo... ma se conoscete la
canzone, e
io vi consiglio di ascoltarla, capirete di più la fic :3 Ne ho scelto
solo un
pezzetto emblematico all'inizio, ma davvero, è tutta.
Abbiate
pietà, dai, sono esaurita parecchio.
Un
bacione, e buona settimana <3
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