Era sbagliato. Era bellissimo.
Sin da quando erano bambini Lancillotto si era sempre curato che Ginevra avesse
quanto più desiderasse, ma non se n’era mai preso i meriti: se lei era triste,
in un certo qual modo quella tristezza si impadroniva di lui e sentiva di dover
fare qualcosa al riguardo, un fiore così bello non meritava di vedere tanta ombra.
Allo stesso modo, quando il suo caro amico Artù aveva avvertito l’audacia e la
forza dello sbocciare del primo amore, si era rivolto proprio a lui per
meditare sul da farsi e Lancillotto, pur facendo a pugni coi suoi stessi
sentimenti, gli aveva rivelato un gran segreto: «Le piacciono le camelie».
Aveva finto indifferenza, aveva fatto spallucce, poiché Ginevra lo aveva
degnato solo di qualche misero sguardo, la sua attenzione era tutta rivolta al
futuro condottiero del regno… Quindi, perché sfinirsi per un amore che non
sarebbe mai potuto sbocciare?
Lancillotto aveva convissuto con quel pensiero nei giorni bui e nei giorni
felici, da una parte per ricordarsi di aver conosciuto il vero volto dell’amore
e dall’altra perché era stato abbastanza fortunato da giurare fedeltà a quel
sentimento ogni singolo giorno.
Quando Ginevra e Artù avevano annunciato il loro fidanzamento – senza stupore
alcuno da parte del villaggio –, Lancillotto aveva levato la coppa in alto e
aveva augurato loro una serena felicità coniugale, pur sentendo una dolorosa stretta
al cuore.
In certe notti insonni Lancillotto non poteva fare a meno di chiedersi quando
fosse iniziato tutto, in quale momento avesse deciso di dedicarsi
all’infelicità di un amore senza scampo: talvolta, in procinto di
addormentarsi, ripeteva a se stesso che si trattava solo di una mera illusione
e il giorno successivo sarebbe stato un nuovo, grande preludio.
Ma i giorni passavano e quel che precedeva diveniva subito il successivo,
finché all’indomani non vi era davvero scampo e quel momento tanto auspicato era
solamente la causa del suo peggior tedio.
Anche gli anni erano passati, sebbene in maniera differente rispetto a quanto
si fosse atteso: col passare del tempo Ginevra stava appassendo, la vivacità
nei suoi occhi aveva lasciato posto alla tristezza di un volto corrucciato – e,
no, Lancillotto non aveva lasciato che il suo cuore soccombesse al dolore per
vederne un altro ferito in egual maniera.
Finché Ginevra, l’impavida ragazzina che aveva conosciuto anni prima, una sera non
aveva ritrovato se stessa e Lancillotto, suo silenzioso custode, aveva
accettato di buon grado di accompagnarla e, in una certa misura, quella era
l’unica cosa che poteva concedersi per sentirla più vicina.
Era così sbagliato, così poco onorevole, tanto in nome dell’amicizia quanto del
suo stesso regno.
Era così…
«Scusami. Non succederà mai più».
Era bellissimo, per quanto sbagliato. Era stato bellissimo, si corresse
mentalmente Lancillotto, poiché – come appena sottolineato da Ginevra – non sarebbe
accaduto mai più.
Tuttavia, nulla avrebbe impedito a Lancillotto di conservare quell’attimo come
il ricordo più prezioso della sua intera esistenza, alla pari della prima
camelia tenuta in mano da Ginevra.
Ecco, aveva realizzato infine, forse era stato proprio quello il momento
in cui se n’era innamorato, quando ai tempi le labbra di Ginevra si erano
distese in un celestiale sorriso e Lancillotto non aveva visto nulla del genere
prima d’allora, non in un regno setacciato e smembrato dalla cupidigia degli
uomini.
Così Lancillotto aveva imparato a sorridere grazie a lei, così aveva
affrontato ogni cosa nella vita e, poco prima di lasciare Camelot, non lo
avrebbe abbandonato.
Per Ginevra, certo, ma anche in nome dell’amore che provava nei suoi riguardi:
lo avrebbe ricordato così, perlomeno, col sorriso sulle labbra e qualche battito
in meno in sua presenza.
«Alla mia regina…», disse Lancillotto, porgendole una camelia in dono.
«Ma non è il mio compleanno».
«Ma è come se lo fosse ogni giorno per un cuore innamorato, Ginevra».
Lancillotto si inchinò per un’ultima, reverenziale
volta e, con molto più stupore di quanto il suo volto potesse esprimere, sentì
un profondo calore all’altezza del torace, due braccia legate attorno al collo
e un disperato singhiozzo, vergognosamente affondato nella cotta di maglia.
Era così sbagliato – si ripeteva Lancillotto, a un sospiro di distanza dalla
sua regina –, ma era al contempo bellissimo – ammetteva a se stesso,
stringendola per l’ultima volta tra le sue braccia.
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Torno in questo fandom dopo molto tempo, vi devo confessare che la quinta
stagione non mi sta piacendo molto (e vedermi così smembrate le leggende
arturiane mi fa soffrire), ma ho apprezzato Lancillotto e Ginevra, che ben
prima di OUAT sono sempre stati una delle mie ships (d’altronde, dove c’è
tragedia ci sono anche io). In questa storia ho cercato di render la relazione
ancor più tragica, perché in realtà – nelle leggende arturiane, intendo –
questo amore è uno dei più drammatici mai esistiti (non per niente servirà come
termine di paragone ne “La Divina Commedia”, con Paolo e Francesca, ma
questa sarebbe un’altra storia).
La fan fiction è ovviamente SPOILER, sebbene abbia aggiunto del mio: nel mio
headcanon è stato Lancillotto a scoprire quanto Ginevra amasse le camelie, Artù
si è limitato a sfruttare questa informazione.
In attesa di vedere l’epilogo (o la fine? Speriamo di no!) di questa storia in
OUAT, vi ringrazio per aver letto. Se ci saranno altri accenni mi rivedrete
qui, ecco. XD
Kì.