«
Genbu, secondo me stai sbagliando qualcosa. » il chiamato in
causa rotea gli occhi, sperando di non essere visto – Kiki
era fin troppo attento e permaloso –, e prosegue nel suo
lavoro. Maledice lo scarico del lavandino che si è rotto,
perché non si ripara, ed è sinceramente tentato
di prenderlo a colpi di chiave inglese sperando che funzioni solo
quello per sistemare le cose. Spera male, già lo sa.
« Grazie, Kiki, per aver ribadito la stessa cosa
per tre volte negli scorsi cinque minuti. » il giovane
tibetano, a quelle parole, sbuffa e si appoggia nuovamente al ripiano
della cucina con espressione scocciata. « Se sei
così bravo, perché non ci pensi tu? »
« Perché ti piace tanto giocare
l’idraulico, e io te lo lascio fare. » commenta
inacidito, arricciando le labbra.
« Sì, vabbé. Passami la
chiave a cuculo, piuttosto. »
« Prego? »
« La chiave a cuculo. O era civetta? Forse
fenicottero. » Kiki non vede il volto del suo ragazzo, ma lo
immagina con un’espressione dubbiosa e lievemente perplessa,
e questo lo diverte parecchio. Cerca di trattenere una risata,
allungandogli l’oggetto che aveva richiesto per distrarsi da
quella visione e dalla gaffe di Genbu.
« Genbu, intendi “a
pappagallo”, vero? » il silenzio da sotto
il ripiano gli fa capire che Genbu ha incassato male la sua figuraccia,
e ciò provoca sempre di più la sua
ilarità, sempre più difficile da mantenere
nonostante il suo autocontrollo.
« Tanto hai capito lo stesso. » lo sente
battere in ritirata, seguito dal rumore metallico di un qualcosa
– il tubo e l’attrezzo che gli ha appena passato,
magari. Lo scarico intasato era stato davvero un brutto problema, come
se non ne bastassero, e all’ennesimo forfait
dell’idraulico i due ragazzi avevano preferito pensarci da
soli. O, almeno, Genbu si era offerto come sacrificio volontario per
quella impresa, a suo dire, facilissima.
Kiki ride ancora, tornando alla sua postazione, incrociando
le braccia in attesa di un risultato concreto. Sente Genbu maneggiare
l’impianto idraulico, e se un lato si chiede preoccupato se
sia stata una buona idea lasciare tutto nelle sue mani,
l’altro si gode quel fisico che spunta dal ripiano della
cucina, un poco bagnato dai precedenti errori – uno
spettacolo che Kiki considerava particolarmente apprezzabile
–.
« Kiki? » la voce di Genbu gli pare
preoccupata, e non è mai un buon segno. «
E’ normale sentire dei “cric crac”
provenire dal tubo? »
« No. »
« Hai chiuso il rubinetto centrale, vero?
»
« …no. »
« Merda. » è
l’ultima cosa che Kiki sente, prima che un forte rumore
– sembrava lo stesso rumore di un geyser – invada
la cucina e Genbu fugga dalla sua nicchia, con i capelli bagnati e
incollati alla fronte. Kiki riderebbe volentieri per la sua espressione
stralunata, se non fosse per il pavimento della cucina che diventa
improvvisamente liquido e lo spinge a rifugiarsi sulla poltrona come se
fosse un’isola sicura nel mezzo della tempesta.
Genbu è presto accanto a lui, appollaiato, ad
osservare come le piastrelle diventino uno splendido lago sotto i suoi
occhi.
« Non credevo che l’avrei mai detto, ma
bisogna chiamare Mu. »
« Ci vai tu a prendere il mio cellulare, in
camera? »
« Shaka, dove hai messo la mia
cassetta degli attrezzi? »
« Vai da loro? Secondo me
è inutile. Il loro appartamento ormai sarà una
replica di Atlantide. E intendo la versione successiva al passaggio di
Poseidone. »
Avevo detto
che avrei lasciato in pace questa sezione?
Ha ha, mentivo.
Questa
cosuccia nasce dal fatto che io e mio padre abbiamo fatto gli
idraulici, oggi, (ma non essendo Genbu e Kiki, siamo stati
più fortunati) e perché mi sono presa una pausa
da un'altra one!shot.
Ed
è uscito... questo.
Un momento di
coppia (di cretini) a cui piace tanto allagare casa propria. Ma tanto
Mu salva la situazione, dai.
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