Viva
la Vida
Nei capitoli precedenti
"Oggi ti avevo
convocato qui per fare quattro chiacchiere sui nostri traffici; i miei
vanno davvero a gonfie vele, ho stretto amicizia con qualche
società e famiglia influente e ho iniziato a fare
investimenti vari... sai ho qualche contatto anche in Cina e in
Giappone”
“È per questo che hai suggerito a Loz di
rifugiarsi lì, vero?”
“Esatto... è stato davvero doloroso venire a
sapere che nonostante i nostri sforzi lo abbiano trovato”
Xemnas strinse i pugni e aggrottò le sopracciglia, si morse
la lingua per non elargire ad alta voce il suo sospetto che in
realtà era stato proprio Yazoo a tradirlo per estendere i
propri domini.
"Ho avuto il cancro, Moore. Non lo sapevi?"
"No che non lo sapevo... non me l'hai mai detto!" fece alzandosi e
andando verso di Larxene "Stai bene?"
"A parte la sterilità sto benissimo adesso... ma non
è di me che devi preoccuparti" si voltò verso
Roxas.
Xemnas si portò un braccio alla fronte e si
asciugò un rivoletto di sudore che gli stava rigando la
tempia. Non poteva, non voleva continuare tutto quello. Forse avrebbe
dovuto arrendersi e costituirsi.
“Saix, non mi sembra una scelta saggia”
Il ragazzo dai capelli blu, si avvicinò cautamente e lo
prese per le spalle, i suoi occhi si specchiarono nelle pozze dorate
dell’altro “Xemnas” lo scosse per farlo
ritornare in sé “Mostrati il degno successore di
Sephiroth. Ricorda che se non fosse per gli Strife, tu adesso avresti
una famiglia, saresti felice, e invece che ti sei ritrovato? Niente,
sei solo. Questa è solo colpa loro. Quel Roxas è
un tipo pericoloso, così ribelle e diabolico, si
è sempre frapposto tra noi e per questo dev'essere tolto di
mezzo alla svelta”
“Da quando tua madre è morta sono entrato
nell’FBI per occuparmi del caso Sephiroth e metter fine a
questa storia”
“La verità è che io ho cercato di
salvarti, Roxas. Il tuo carattere mi ha sempre fatto andare fuori di
testa e ho commesso tanti errori… sono umano
dopotutto… non volevo arrivare a questo, però ho
tentato in tutti i modi di salvarti" |
#22.
The Torment Of Existence Weighed Against The Horror Of Nonbeing
Non
è vero che ci si rende conto del colpo, non è
vero che si piange.
Io non mi accorsi di niente.
Non
versai una lacrima eppure il
dolore era lancinante, sembrava non voler cessare.
Fu
improvviso
come un fulmine in una giornata di sole,
ma
poi la sensazione di
benessere che seguì lavò via tutta la sofferenza.
Accolsi
a
braccia aperte quella beatitudine che mi avvolse e dimenticai tutti i
miei rimpianti.
Mai,
neanche per un secondo rimasi stupito
dal tradimento di Saix.
Ero
consapevole che prima o poi mi
avrebbe trafitto con la sua lancia di Longino.
Secondo
le comuni definizioni, il silenzio è «l'assenza di
rumori, di suoni
e di voci, come condizione che si verifica in un ambiente o
caratterizza una determinata situazione». Niente di
più falso,
perché, come paradossale possa sembrare, il silenzio non
è
silenzio. Il silenzio è il regno del frastuono e del caos.
È il
regno in cui la coscienza non è mai sola, ci lascia in
compagnia di
noi stessi e di tutto quello che odiamo di più. Si dice che
il
silenzio uccide, perché è il compagno di Satana,
perché non
possiamo chiudere le orecchie con la stessa facilità con cui
chiudiamo i nostri occhi.
“All'uomo
disse: poiché hai
ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero di cui ti
avevo comandato "Non devi mangiarne", maledetto il
suolo per causa tua!”
Tutte
le luci nel corridoio erano state
spente e il cigolio delle scarpe della ronda che battevano
ritmicamente contro il pavimento veniva pian piano divorato dal
silenzio, assieme a tutte le voci sommesse degli altri presenti sul
piano.
La
notte era la parte della giornata che più odiava
perché
era solo assieme al silenzio che sembrava non volerlo mai
più
abbandonare, per questo si rannicchiava vicino la finestra, dove la
luce della luna filtrava di più e cominciava a leggere per
non udire
le voci della sua coscienza.
“Con
dolore ne trarrai il cibo per
tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te
e
mangerai l'erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il
pane, finché non ritornerai alla terra”
Le
sue colpe maggiori
erano state la lealtà, la fiducia. Tutti i valori che nella
sua
famiglia erano rispettati come una religione. La famiglia per loro
era religione, ma ora che non c'era più la famiglia non
c'era
neanche più la religione.
Loro
erano nel torto, lo sapeva, ma si
stavano solo vendicando nello stesso modo citato nelle scritture
«Se
uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a
lui come egli ha
fatto all'altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per
dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatta
all'altro¹».
Cosa mai avrebbe potuto fare un figlio a cui hanno portato via la
madre? I veri colpevoli non erano loro ma gli altri, quelli che li
avevano raggirati e li avevano presi in giro, erano quelli che invece
di essere stati puniti ora li stavano punendo.
Aveva
peccato di
ingenuità, non avrebbe dovuto recarsi in Cina sotto
consiglio di
Yazoo per nascondersi, avrebbe dovuto rimanere e proteggerli tutti.
Ma ora che Yazoo e Xemnas non c'erano più quale
utilità poteva
avere ancora su questo mondo? Tutto quello che avevano fatto era per
la loro famiglia, ma ora che non c'era più una famiglia a
che scopo
combattere ancora?
I
veri colpevoli non pagheranno mai: questo è
il mondo.
Suo
fratello se la sarebbe cavata senza di lui.
Con
la Bibbia ancora tra le mani si eresse in tutta la sua altezza e si
avvicinò silenziosamente alla sua brandina, che
scrutò con i suoi
occhi felini.
“Perché
da essa sei stato tratto”
Kadaj
lo
avrebbe odiato, ma si era stancato. Non era quella la vita che
voleva, il suo desiderio era ricongiungersi con la sua famiglia. E
poi era sicuro che non avrebbe retto ancora a lungo con gli
interrogatori, prima o poi si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa sui
piani di Kadaj. Quel tipo, Tseng, era troppo scaltro.
Prese
un
profondo respiro e alzò gli occhi al soffitto.
“Polvere
tu sei
e polvere ritornerai²" concluse la sua recita chiudendo il
libro.
Chi
era lui?
Il
detenuto numero 24601.
***
“Nell'ultimo
anno di università presi l'abitudine di andare a studiare
nella
biblioteca di Radcliffe³.
Il
campus all'epoca era diviso e
Radcliffe era l'universo del gentil sesso."Scelta astuta",
mi dicevano i compagni del dormitorio perché a volte sparivo
per
giornate intere e mi ritiravo dopo il coprifuoco. La verità
era che
mio padre aveva scoperto la mia carriera tutt'altro che rosea e
quindi dovevo rimettermi al passo. A tal proposito, la biblioteca di
Radcliffe era un posto tranquillo e i testi di consultazione erano
poco richiesti, ma, lo ammetto, lustrarmi gli occhi mi piaceva.
Era
il giorno prima di un esame e io non ero ancora riuscito ad aprire
libro, niente di inconsueto per uno studente di Harvard. Ad ogni modo
al bancone c'erano due ragazze: una alta, con la corporatura di una
che gioca a lacrosse e con i capelli legati in una coda alta. L'altra
era bassina e aveva i codini, sembrava fresca fresca di scuola.
Mi
rivolsi alla matricola inesperta.
“Avete
Storia della politica europea?”
Lei
mi lanciò un'occhiata disinteressata e chiuse il libro che
stava
leggendo “Non hai la tua biblioteca?”
“Quelli
di Harvard
hanno il diritto di consultare la biblioteca di Radcliffe”
"Non
è un discorso legale ma etico, mio caro. La vostra
è molto più
grande, perché venire a importunare noi donne?”
Rimasi
basito
da quella sua uscita e mi appoggiai al bancone “Stai a
sentire, ho
davvero bisogno di quel libro e se non mi permetterai di consultarlo
domani potresti avere qualcuno sulla coscienza”
“Ne
sei
sicuro?” lei si sporse verso di me e mi studiò con
rinnovato
interesse, sorrise divertita “Sono indecisa tra basket e
hockey.
Quale delle due famiglie frequenti?”
"Basket...
ehi no
aspetta, come fai ad essere sicura che pratico sport?”
"Perché
hai l'aria stupida e ricca. Al college gli stupidi che trascurano lo
studio sono gli sportivi... solo che quelli che sono qui con una
borsa di studio devono impegnarsi anche con gli esami, tu invece
avrai chi provvede per il tuo soggiorno dal momento che sei qui,
ora”
Mi
guardava negli occhi. I suoi erano castani,
leggermente celati dalla frangia bionda. Okay, forse avevo l'aria del
ricco – dandy suonava meglio –
ma non avrei permesso ad
una matricola qualsiasi di darmi del cretino, neanche se aveva un bel
paio di occhi.
“A
giudicare dal modo in cui parli vorresti farmi
sottintendere che tu sei quella povera e intelligente?”
"No,
assolutamente. Io sono il binomio ricca e intelligente”
Stavo
iniziando a spazientirmi, era evidente che quella ragazzina si stava
prendendo gioco di me.
“Cosa
ti fa pensare di essere più in
gamba di me?”
"Il
fatto che tengo alla mia reputazione e
quindi non mi lascerei abbindolare da un ragazzo come te”
"Guarda
che io non ti sto mica chiedendo di uscire”
"Ecco
perché
ho detto che sei stupido”
Alla
fine la invitai sul serio a
prendere un caffè, solo per avere il mio libro,
e siccome lei
non poteva uscire fino alla fine del suo turno, rimasi col capo chino
nel manuale polveroso con la speranza di assimilare qualche
informazione pregnante per l'esame, e anche per cercare di
monopolizzare qualche conversazione futura con lei e non fare ancora
la figura del cretino.
“Mi
chiamo Elena Moore” disse con la
massima semplicità e compostezza davanti alla sua fetta di
red velvet
“Studio scienze politiche”
"Io
invece sono Reno
Turks”
"Ah”
soggiunse e inclinò la testa di lato “Come
il politico canadese”
Esultai
dentro di me perché lei fu una
dei pochi a non fare un'uscita del tipo “Turks come
quello della
biblioteca?”, la verità dietro questa
triste faccenda è che
mio padre era stato così generoso da offrire un edificio
più grande
e nuovo per la biblioteca del college, non so ancora bene se l'abbia
fatto per assicurarsi che non mi cacciassero di lì o per
ingigantire
ancora di più la sua gloriosa reputazione. Esami e
biblioteche a
parte, fatto sta che sapevo che quella sarebbe stata una gran serata.
Alla fine presi 28 all'esame, lo stesso voto che diedi alle gambe di
Elena la prima volta che era uscita dal bancone per andare a prendere
il mio libro.
Bei
tempi gli anni '80, tutto quello che invece ora
è rimasto sono ricordi. Oggi non c'è
più Radcliffe e neanche
Elena”
Il
cielo era scuro, tetro, sembrava che la sera fosse
arrivata, eppure erano appena le nove del mattino e la colazione era
stata servita più di un'ora prima. La giornata cominciava
presto al
Memorial Hospital ma la consueta relazione padre-figlio sembrava
essersi già conclusa.
Axel
odiava la pioggia, per lui era come
portatrice di sventura e per quanto ne sapeva, era da tre lunghi
giorni che pioveva ininterrottamente.
Quel
giorno invece
era uscito il sole. Che cosa bizzarra.
Dopo
la sparatoria tutti
erano stati trasferiti d'urgenza in ospedale, anche gli illesi. Axel
aveva appreso che anche altri erano rimasti feriti a causa di
incidenti sopraggiunti durante la fuga dalla scuola, Kairi era tra
questi, le si erano conficcate delle schegge di vetro nella gamba ma
non era particolarmente grave, il suo pegno era consistito in una
quindicina di punti e una notte in osservazione. Axel non era stato
così fortunato: intervento d'urgenza, qualche trasfusione e
un paio
di giorni in terapia intensiva; anche se ammaccato, tutto sommato se
l'era cavata ma per qualche tempo avrebbe dovuto dimenticarsi del
basket. Di Roxas invece non aveva notizie. Grazie a un'infermiera
pettegola sapeva solo che quando erano in terapia intensiva Cloud
aveva fatto in modo che lui e il biondo potessero stare in stanze
vicine perché “era quello che avrebbe voluto
Roxas”, ma erano
tre giorni che ormai si era svegliato e non era riuscito ancora ad
avere informazioni sul suo ragazzo. Quel mistero, quei silenzi, tutto
quello non gli piaceva, sperava solo che Roxas se la fosse
cavata.
"Perché
mi hai raccontato tutto questo?" chiese
di punto in bianco Axel mantenendo lo sguardo basso sulle sue
ginocchia. Ripensandoci quello dei suoi genitori assomigliava tanto
al rapporto tra lui e Roxas.
"Perché
mi andava"
Reno
non staccò gli occhi dal parco che si vedeva dalla finestra
della
stanza di Axel. Da quando era entrato li, quello era l'unica cosa che
guardava, non vedeva nient'altro, neanche suo figlio. Gli ospedali
erano legati a delle ferite ancora non del tutto rimarginate, e Axel
non gliene faceva una colpa, conosceva suo padre e gli bastava sapere
che c'era sempre. Quest'ultimo infatti si limitava a sedersi sulla
poltrona tra il letto e la finestra, lo sguardo era perso fuori ma
una mano era appoggiata sempre su una gamba dell'altro per mantenere
un contatto, seppur minimo.
“Papà?”
tentò il più giovane
con casualità, celando il suo disagio mentre si torturava
una ciocca
di capelli tra le dita “Partirai presto?”
"Non
lo so”
E
scese il silenzio.
Ormai
era chiaro, quello era il giorno 'no' di
Reno Turks. Già il fatto che avesse interrotto il loro
confortevole
silenzio con un racconto su sua madre avrebbe dovuto essere un chiaro
segnale. Ora tanto valeva farlo parlare.
“Papà?”
"Mh?”
"Tutto
quello che è successo ha a che fare con il caso
Sephiroth?”
altrimenti non poteva spiegarsi il perché di quell'interesse
quasi
morboso verso quello che era successo. Negli ultimi giorni la polizia
aveva interrogato tutti i ragazzi della scuola in cerca di
informazioni su Xemnas e sulla dinamica, pure Axel non era stato
risparmiato, e suo padre aveva passato quasi la totalità del
loro
tempo insieme a leggere montagne di carte e sfoggiare un'espressione
afflitta.
L'uomo
finalmente si voltò verso il ragazzo e lo studiò
per qualche istante “A volte sei così sveglio che
mi chiedo se tu
possa davvero leggermi nel pensiero" mormorò abbozzando un
lieve sorriso di scherno "Ancora non riesco ad abituarmi
all'idea di vederti crescere, ma eccoti qui: Axel Moore, 17 anni e
capitano della squadra di basket, salva un amico durante una
sparatoria. La stampa ti adora”
“Smettila
di dire queste cose”
biascicò Axel lanciando una veloce occhiata alle riviste che
aveva
accantonato sul comodino, gentile pensiero di Demyx
quando era
andato a trovarlo il pomeriggio prima. In realtà non li
aveva
neanche letti.
“Mi
dirai la verità e solo la verità?”
riprese Reno guardandolo intensamente, finalmente sembrava essersi
deciso ad uscire dal suo stato di torpore.
"Ti
dirò solo
quello che so ma non ti assicuro niente. La dinamica ormai la
sapete”
"Tu
conoscevi Xemnas, no? Dimmi quello che
sai”
Axel
boccheggiò “La verità è che
non so nulla. Tutto
quello che credevo è andato a puttane. Xemnas era un tipo
refrattario, stava sempre per gli affari suoi, ci lasciava divertire
a scuola. Quando è arrivato si è preso Saix tutto
per sé e per
questo non l'ho mai visto di buon occhio ma la realtà
è che non mi
è mai importato nulla di lui, finché non mi dava
fastidio stava
bene dove stava. Però non lo so... quel giorno a scuola...
sembrava
così vulnerabile... così umano... Non sembrava
sul punto di poter
uccidere qualcuno, eppure l'ha fatto”
“Cosa
diceva?”
"Delirava
per lo più, ma non so altro”
Era
la verità. Axel aveva
riferito tutta la verità come aveva promesso, ma non aveva
rivelato
il dettaglio che era a conoscenza del fatto che Xemnas era legato ai
Silver Haired Man, così come non aveva rivelato che Roxas
sembrasse
conoscerli. Ora che aveva scoperto il passato suo e di Xion, sapeva
che il biondo non avrebbe mai più riaperto quel libro ma
aveva
ancora alcuni dubbi al riguardo come ad esempio il mistero dietro la
morte della ragazza.
Reno,
dal canto suo, era rimasto ad
ascoltarlo per tutto il tempo senza batter ciglio ma c'era del
disinteresse nei suoi modi di fare. Avevano ascoltato le
testimonianze di tutti con la speranza di trovare qualche parola
differente da quelle che sapessero già ma nessuno era stato
di loro
aiuto, Axel compreso... l'unica persona rimasta che poteva aiutarli
soffriva di amnesia selettiva.
Mugugnò
un assenso e si alzò
dalla poltrona, pronto per fuggire da quella realtà e
immergersi
totalmente nel suo lavoro, ma Axel lo afferrò prontamente
per un
braccio.
"Aspetta”
esclamò di scatto e contrasse
l'espressione a causa di una fitta all'addome che lo costrinse ad
appoggiarsi al cuscino “Aspetta”
sussurrò ancora, questa volta a
voce più bassa mentre con una mano si reggeva la parte
dolente
“Adesso vorrei chiederti io una cosa, ne parlammo
già un paio di
settimane fa e ti ho sentito che ne hai parlato con il signor Strife,
però per piacere, rispondimi almeno adesso...
cos'è davvero il
geostigma?"
Axel
non aveva guardato suo padre mentre poneva
la domanda, il suo sguardo era fisso sulla mano che gli aveva
afferrato e che ora stringeva, ma era sicuro che aveva sgranato i
suoi occhi blu e che magari ora erano intrisi di orrore. Sapeva che
era una domanda che non avrebbe dovuto fare, ma doveva sapere, doveva
essere preparato. Si era stancato di essere sempre lasciato
all'oscuro di tutto.
Ci
fu un pesante silenzio tra i due,
interminabili istanti in cui Axel si stava arrendendo all'idea che
non sarebbe mai arrivata una risposta, che suo padre l'avrebbe
piantato su due piedi in una stanza d'ospedale, ma poi alla fine
udì
la sua voce. Fu un flebile sussurro ma arrivò alle orecchie
del
destinatario.
"Non
vorresti saperlo, fidati"
"Non
è vero, papà! Ti prego, dimmelo, io voglio
aiutare Roxas ma non so
come fare... ogni giorno che passa lo vedo sempre più
spento, sempre
più vuoto, non ce la faccio a sapere che soffre. Il signor
Strife ha
detto che io posso riuscirci, e lo dicono anche Sora e Riku... tutti
la pensano così, ma io davvero mi sento impotente accanto a
lui"
il rosso trasse un profondo respiro nel tentativo di regolarizzare il
battito del cuore che sembrava essere impazzato nel suo petto.
Quell'ansia lo stava uccidendo, se lo sentiva. Suo padre
però non
sembrò tanto misericordioso, c'era un tremore nella sua voce
e
quando Axel alzò lo sguardo intravide anche delle lacrime
agli
angoli degli occhi. Non avrebbe dovuto parlare, si
rimproverò
mentalmente per aver dato aria a certi pensieri e ripensò
alle
parole che gli disse il biondo vari mesi prima.
“Come
mi
accorgo che il turbamento è contagioso. Perché i
miei occhi, al
vedere le perle di dolore che brillano nei tuoi, prendono ad
inumidirsi”
Che
strana cosa l'empatia, un sentimento che non
aveva mai compreso fino all'arrivo di Roxas nella sua vita.
Reno
strinse un ultima volta la mano del figlio prima di liberarsi dalla
sua presa e gli rivolse una fugace occhiata "L'unica cosa che
puoi fare è stargli vicino e sperare nel meglio"
Questa
volta Axel non protestò quando suo padre andò
via, ma rimase a
fissare la porta a lungo, con quella sgradevole sensazione di
pesantezza che gli gravava sullo stomaco. Dal momento in cui aveva
aperto gli occhi, qualche giorno fa, il suo pensiero era stato solo
Roxas. Come stava? Era tutto okay? Come aveva preso la notizia del
suicidio di Xemnas?
Da
quando si era svegliato c'era una parte
della sua coscienza che gli ripeteva costantemente che le cose erano
cambiate per tutti, non erano più gli stessi di quando
avevano
iniziato l'anno con quella festa clandestina nella palestra della
scuola; in cui lui aveva ballato ubriaco attorno al fuoco e si era
guadagnato il soprannome di flurry of the dancing flames;
di
cui Roxas aveva poi fatto la spia e aveva fatto sospendere tutti
dalle attività. Non erano più gli stessi di
quando andava a letto
con Larxene e Saix, o di quando Marluxia aveva preso a pugni Roxas
perché a causa sua era stato sospeso dalla squadra di
pallanuoto e
non poteva più ammirare i fisici dei compagni; non erano
più gli
stessi neanche di quando Roxas aveva fatto incazzare Xemnas e avevano
dato il via a una vera e propria guerra nella mensa della scuola, o
di quando passava le giornate a spiare Roxas che chiacchierava con
Zexion e Vaan.
Vaan
e Xemnas. Xemnas e Vaan.
Nessuno
era più
lo stesso, c'erano delle verità nascoste che avrebbero
potuto
rimanere latenti ma che alla fine avevano lasciato dietro di
sé solo
macerie.
Ci
sono delle storie, degli eventi che non hanno
spiegazione. Tu puoi trovare tutte le colpe del mondo, puoi affermare
che il peccato sia di talune persone mentre altre sono innocenti,
eppure questo non è altro che un punto di vista... Ci sono
quelle
storie in cui gli intrecci sono solo colpa di un gioco fatale del
destino, nessuno è nel giusto o nello sbagliato e spesso si
commettono passi falsi per errore, cerchi di fare una cosa per bene e
invece fallisci miseramente e magari vieni accusato per questo.
Roxas
aveva già previsto tutto, aveva sempre fatto il possibile
pur di
tenerlo lontano e aveva cercato di dirglielo in un modo ma Axel non
era riuscito a comprendere. Chissà se le cose ora sarebbero
state
diverse se l'avesse capito in tempo, ma questo non avrebbe comunque
impedito alla realtà di cambiare radicalmente ogni cosa.
E
all'improvviso si rese conto di essere ancora vivo.
Vivo.
Lui
era vivo.
Aveva
riso e scherzato con Demyx e Zexion quando
erano andati a trovarlo ma non si era reso conto di quanto fosse
stato fortunato in realtà. Era una sensazione strana,
credeva che
sarebbe morto in quel corridoio, proprio come era successo con Vaan,
eppure ora era lì: vivo e vegeto in un letto d'ospedale e
quella
ferita sull'addome che ancora non gli permetteva di camminare bene
divenne un regalo. Ora comprese quello che doveva provare ogni volta
Roxas quando riprendeva conoscenza dopo qualcuno dei suoi attacchi,
Axel non era così forte come lui ma fu grato alla vita di
avergli
dato un'altra possibilità.
Sentì
un pizzicore ai lati degli
occhi e si portò le gambe al petto per nascondere il viso e
dare
aria al suo sfogo.
Era
ancora vivo.
Axel
aveva fatto un
sogno qualche giorno addietro, c'era sua madre con lui, gli era stata
vicino e gli aveva ripetuto infinite volte di quanto fosse fiera del
suo bambino. Per tutto il tempo aveva l'impressione di essere morto
ma non era così perché era consapevole del suo
cuore che batteva,
dei medici che si affrettavano a stabilizzarlo e della ferita che
pulsava dolorosamente. La presenza di sua madre però era
stata così
vicina che gli era sembrata quasi reale... così reale che
quando si
era svegliato non sapeva a cosa credere, non distingueva più
la
realtà dalla finzione. Era tutto indefinito.
Da
quando aveva
ripreso coscienza aveva in mente una frase che gli aveva detto Roxas
in uno di quei suoi momenti di stranezze.
Ti
è mai capitato di
pensare che tutto quello che credi sia reale non è altro che
una
menzogna... di svegliarti un giorno e scoprire cose di te che non
sapevi, o meglio, di scoprire che non sei la persona che hai sempre
creduto di essere?
A
volte la vita può essere strana,
serafica come un sogno o pericolosa come un incubo, e l'unico modo
per svegliarsi è quello di affrontare tutte le bugie che ti
si sono
edificate attorno, anche se a fin di bene.
Due
piani più
sopra, Roxas fissava il soffitto in stato ancora leggermente
confusionale. I rumori delle varie attrezzature arrivavano alle sue
orecchie come suoni smorzati e le luci sembravano accecanti. Il suo
corpo era paralizzato nel letto, come sempre, ma nella sua mente
c'erano immagini che si alternavano in maniera sconnessa. Aveva
l'impressione di aver sognato qualcosa di bello, non ricordava cosa
ma aveva questo un vago retrogusto di serenità di quando si
è in
pace con il mondo. Di una cosa però era certo, doveva avere
tanta di
quella morfina in corpo che si sentiva leggero come lo zucchero
filato e la cosa stranamente lo metteva di buon umore.
Chissà
come se la passava Axel.
“Buongiorno
Rox”
La
sua attenzione
fu catturata da una voce alla sua destra che riconobbe appartenere ad
Aqua, l'infermiera che si occupava sempre di lui quando era
ricoverato. La donna era in piedi vicino al suo letto, intenta a
cambiare una flebo e indossava quell'espressione di dolcezza che
riusciva sempre a rincuorarlo.
“Sono
felice di vederti di
nuovo qui tra noi”
Il
biondo ci mise qualche istante più del
necessario a registrare quello che gli aveva appena
detto. Riconobbe
la stanza della terapia intensiva perché lì i
genitori non erano
ammessi e si chiese perché fosse di nuovo lì
“Ti offendi se dico
che io non lo sono?” mormorò con voce bassa e
roca, complice anche
la gola secca per il non aver bevuto per chissà quanto tempo.
“Data
la situazione no, non mi offendo” Aqua gli rivolse un ampio
sorriso
ma notando l'espressione disorientata del biondo, gli passò
una mano
tra i capelli e gli sistemò i ciuffi ribelli
“Tranquillo, non hai
avuto un infarto mentre eri in bagno” scherzò
gentile per
alleggerire l'atmosfera e l'altro ridacchiò.
"Menomale”
"Sono
stati giorni intensi ma adesso va tutto bene. Pensa a riposare, tra
non molto ti porteremo in una vera stanza”
Roxas
non ebbe
bisogno di farselo ripetere, socchiuse gli occhi ancora con un
leggero sorriso a increspargli labbra, non ne capiva molto ma era
sollevato di lasciare già la terapia intensiva,
chissà dov'era Axel
“Per quanto sono stato qui?”
Aqua
si girò verso di lui per
rispondere ma non fece in tempo che si era già
riaddormentato.
***
“Marluxia
Torn. Il ragazzo che ha dato l'allarme e, per una fortuita
coincidenza, anche il figlio dello sceriffo. Tuo padre ti ha
insegnato proprio bene”
“Più
che altro direi che la mia è
stata solo astuzia e molta fortuna”
“E
anche modesto direi”
Il
ticchettio dell'orologio da parete e la fitta pioggia che batteva
incessante contro le finestre erano gli unici suoni percepiti nei
momenti in cui la conversazione veniva sospesa. Rude Garcia
accavallò
le gambe, comodo sul divano sul quale era seduto, e si sfilò
per un
momento i suoi onnipresenti occhiali da sole per studiare
più
approfonditamente il ragazzo accomodato sul divano di fronte. Tra di
loro vi era un piccolo tavolino sul quale erano poggiate due tazze di
caffè.
Marluxia
sedeva compostamente: le mani intrecciate in
grembo, schiena dritta, espressione rilassata e sguardo privo di
qualsiasi emozione. Contrariamente a tutti gli altri ragazzi che
avevano interrogato fino a quel momento, lui non dava alcun cenno di
ansia o preoccupazione. Anche se Rude cercava di rendere tutto il
più
informale possibile, nella stanza con loro c'era anche un ufficiale
di polizia a fare da guardia e testimone, il suo compito era starsene
fermo vicino alla porta con le mani dietro la schiena ma la maggior
parte degli altri adolescenti davano di matto alla sola vista; e il
fatto che il ragazzo dai capelli rosa fosse così pacato lo
colpì
non poco.
"Allora”
riprese “Che ne dici di ripercorrere
insieme gli avvenimenti in modo da ricostruire per bene la
dinamica?”
“Come
ho già detto, io ero tenuto in ostaggio
assieme agli altri nella classe di scienze quindi non so proprio
tutto” rispose con praticità Marluxia, chinandosi
in avanti per
prendere la sua tazza.
“Certo,
ma sappi che ogni dettaglio per
noi è fondamentale” Rude aprì un
quadernetto sul quale aveva
scribacchiato delle note e ricapitolò la situazione
“Allora, nella
dinamica Xemnas era agli armadietti quando ha sparato accidentalmente
a un ragazzo, turbato da tale gesto si è dato alla fuga ed
è finito
nella classe un cui vi eravate rifugiati tu, Riku, Kairi, Zexion e
Xaldin, prendendovi così in ostaggio. Il tutto non
è durato molto
perché poi si è accorto dell'arrivo della
polizia, e, preso
dall'ansia, è uscito in cerca di un'altra via di fuga"
alzò lo
guado dal suo taccuino e chiese conferma a Marluxia, che
annuì mesto
"Bene, a questo punto so che tu conoscevi Xemnas quindi potresti
aiutarci a fare chiarezza su questa storia. Era tuo amico?”
“Non
direi "amico". Eravamo conoscenti più che altro, facevamo
parte dello stesso gruppo di amici ma il nostro rapporto era ridotto
al semplice saluto e nulla di più”
“E
cosa facevate in questo
gruppo?”
Il
ragazzo scrollò le spalle e si specchiò nel
liquido nero nella sua tazza “Mantenevamo l'ordine nella
scuola.
Quando nessuno si fa rispettare ognuno fa quello che vuole... Xemnas
invece era considerato una sottospecie di re, tutti lo temevano,
probabilmente a causa del suo sguardo glaciale, fatto sta che nessuno
osava contraddirlo, e per estensione rispettavano anche noi”
“Quindi
per questo era tenuto di mira dai professori e dal
preside?”
"Esatto”
Rude
rimase un momento in silenzio
e poi si piegò, poggiò gli avambracci sulle
ginocchia, e scrutò
Marluxia mentre si mordicchiava il labbro inferiore “Ed era
violento?” chiese alla fine.
“Di
certo non era pacifico ma non
l'ho mai visto 'entrare in azione', solitamente stava per gli affari
suoi ad assicurarsi che fosse tutto ok”
“E
se non era tutto
ok?”
“Diceva
a noi di sistemare tutto a modo nostro”
“A
modo vostro?” l'uomo inarcò un sopracciglio ma
Marluxia sottolineò
quanto appena detto.
“A
modo nostro”
“Quindi
non gli hai
mai visto fare qualcosa di strano?”
“Non
mi pare”
Dopo
quella risposta Rude si ammutolì per qualche altro minuto
con
espressione meditativa, ogni tanto lanciava qualche occhiata al suo
quadernetto e annotava o cancellava qualcosa. Marluxia lo guardava
con disinvoltura, accortosi che era cambiato qualcosa nel
comportamento dell'uomo.
“E
dimmi un po'” riprese
l'adulto fissando di nuovo il suo sguardo sull'altro “Lui
aveva
nemici oppure qualcuno che non sopportava?”
“Non
saprei”
“E
riguardo i tre ragazzi - Axel Moore, Roxas Strife e Vaan Ratsbane - sai
dirmi qualcosa?”
Marluxia
poggiò un braccio sul bracciolo del
divano e affondò la guancia sinistro nel palmo della mano,
si
concesse giusto un momento per rimuginare “Axel faceva parte
del
gruppo ma è un tipo che preferisce farsi gli affari suoi,
Vaan non
so chi sia e Roxas... lui ha cominciato a frequentare Axel da qualche
mese. Poco dopo che i due hanno cominciato a studiare insieme Xemnas
è scomparso dalla circolazione... per poi apparire l'altro
giorno”
aggiunse quest'ultima parte con tono grave.
"Mh”
Rude annuì
e si grattò la nuca mentre leggeva qualche altro appunto
“In
precedenza hai detto che quella mattina non avevi attività
extracurricolari”
“Proprio
così. Ero andato a scuola di prima
mattina perché volevo iniziare a fare i preparativi per la
lezione
di botanica” Marluxia accennò un leggero sorriso
ma l'uomo non
sembrava sulla stessa linea d'onda.
“Come
mai allora quando è
scattato l'allarme non eri nella serra ma nella classe di scienze,
ben lontana dal luogo di svolgimento della lezione?”
“Ero
entrato per prendere i libri dall'armadietto e perché volevo
salutare un'amica”
Rude
annuì ancora alle sue parole, non
sembrava particolarmente convinto ma decise di sorvolare per il
momento “Ti faccio un'ultima domanda e poi ti lascio libero.
Sapevi
che Xemnas sarebbe tornato a scuola?”
Questa
volta fu Marluxia a
lasciar cadere il silenzio tra loro, fu breve ma intenso, durante il
quale mantenne il contatto visivo a lungo prima di rispondere con un
secco e velatamente istigante “No”
A
quel punto, con un
leggero sospiro, Rude fece cenno all'agente di poter andare e si
alzò
anch'egli per congedarsi ma Marluxia lo fermò repentinamente
mentre
era intento a raccogliere la sua giacca.
“Posso
farle io una
domanda?”
Rude
si girò verso il ragazzo ancora seduto e
rispose con accondiscendenza. Marluxia lo guardò negli occhi
ed
esitò appena prima di parlare ma poi indossò un
sorrisetto di
circostanza.
"Quello
che è successo nella nostra scuola è
stata una cosa gravissima, ma non crede che il fatto che sia
addirittura coinvolta l'FBI in un semplice caso di omicidio-suicidio
potrebbe dare da pensare? Ovviamente, signor Rude Garcia, attualmente
proprietario della NY Real Estate, con la precedente domanda non sto
facendo insinuazioni su un suo possibile coinvolgimento con il
settore di controspionaggio della polizia federale, ma solo che la
situazione potrebbe destare dei sospetti come il
poter
supporre che Xemnas avrebbe potuto essere collegato con altri
ricercati come, che ne so... i Silver Haired Man?”
Rude
sentì
il sangue raggelarsi nelle vene e si bloccò dalla sua
attività.
Quel ragazzo... come faceva quel ragazzo ad essere in possesso di
tutte quelle informazioni? Stava per caso facendo il doppio gioco
oppure lo stava solo prendendo in giro?
“Signor
Marluxia Torn”
disse cauto, sfilandosi gli occhiali e infilandoli nel taschino della
giacca “Lei chi è veramente?”
Ma
il ragazzo dai capelli rosa
sorrise gentilmente e fece una scrollata di spalle “Oh, io
sono un
semplice studente dell'ultimo anno di liceo affascinato dalla
botanica”
Rude
però non si lasciò convincere e lo
osservò
attentamente. Il ragazzo era scaltro al punto da mandargli un segnale
che diceva chiaramente “Io so tutto di quello che state
facendo”...
oppure, ipotesi forse più probabile, Axel doveva avergli
spifferato
tutto dopo che quell'idiota di Reno gli aveva detto la
verità su di
loro. Comunque non poteva abbassare le difese “Non so cosa sa
e a
che gioco sta giocando ma mi auguro per lei che mi abbia fornito
tutte le notizie a sua disposizione affinché possano
favorire il
corretto svolgimento delle indagini”
Marluxia
si alzò a sua
volta dal divano e si sistemò il pantalone e la camicia con
una
disinvoltura tale che qualcuno non avrebbe mai immaginato la
serietà
dell'argomento in atto “Se la verità è
davvero quella, mi auguro
che abbiate sotto controllo questo Loz...in tv non si parla altro che
di Xemnas” e detto questo afferrò la sua borsa e
fece un cenno di
saluto mentre guardava Rude uscire dalla stanza visibilmente
pensieroso. Si appoggiò allo stipite della porta e sorrise
malizioso.
“Lei
ha il cuore troppo tenero, signor Garcia. Non
dovrebbe essere così indulgente, neanche con i
ragazzi” mormorò
tra sé e sé. Era da tempo che non si divertiva
così tanto e ora
che si era trovato coinvolto personalmente in questo caso aveva
deciso di giocare. Chissà chi avrebbe scoperto prima la
verità, lui
o l'FBI?
A
tal riguardo si appuntò mentalmente che non aveva
ancora avuto modo di ingraziarsi per bene Roxas.
“Ehi
Marly!”
Il
ragazzo, ancora appoggiato al muro, notò con sommo stupore
un Demyx
oltremodo raggiante accompagnato dalla sua imperturbabile dolce
metà:
Zexion, il topo di biblioteca probabilmente emo. Rivolse loro un
cenno col capo e andò loro incontro.
“Che
ci fai qui?”
continuò il biondo con la sua solita esuberanza.
“Ero
passato a
salutare Larxene, voi?” rispose invitandoli a seguirlo
finché non
arrivarono agli ascensori e pigiò i bottoni di prenotazione.
Demyx
sorrise smagliante.
“Axel”
Giusto,
lui aveva paura di
Larxene. Era troppo rigida per i suoi gusti.
“Salutatemelo,
e
ditegli che appena si riprenderà andremo a farci una birra
da soli”
disse entrando di fretta nell'ascensore una volta arrivato.
“Non
ti unisci a noi?”
“Purtroppo
oggi vado di fretta. Alla
prossima!”
Demix
e Zexion si scambiarono un'occhiata
spaesata appena il loro amico sparì dietro le porte
dell'ascensore.
Marluxia era un tipo fin troppo strano ma oggi lo era stato ancora di
più e Zexion si chiese a cosa fosse dovuta tutta
quell'impellenza,
ma il biondo non mostrò un particoolare interesse o stupore
a
riguardo, e lo afferrò per un braccio per trascinarlo nella
stanza
di Axel. Aprì la porta di malagrazia e si fece largo
all'interno
come se quella fosse casa sua.
“Axeeeeeeel!
Indovina chi ti è
venuto a trovare? Ma sì, il tuo grandissimo migliore amico
Demyx, e
il suo bellissimo e supersexy principe azzurro Zexion!”
esclamò
con il suo tono caotico facendo una gran corsa fino al letto, dove si
buttò sopra come un sacco di patate. Axel da parte sua non
aveva
registrato in tempo l'arrivo del suo amico pazzo e si lasciò
scappare un grido di terrore tutt'altro che mascolino.
“Cazzo
Dem per poco non mi hai fatto venire un infarto. Siamo in un
ospedale, porca miseria, vuoi stare zitto?”
sbraitò una volta
riacquistato fiato, portandosi una mano al petto mentre col piede
cercava di farlo cadere giù. A Zexion invece
riservò un saluto più
sobrio.
“Tanto
meglio" rispose il biondo con una fragorosa
risata e si girò sulla schiena. Demyx si era steso sulla
parte
terminale del letto, in modo che i piedi penzolassero fuori, e
allargò comodamente le braccia "Se l'avessi avuto non
avresti
dovuto scomodarti di venire fin qui”
Axel
sospirò, non valeva
la pena avere applicarsi con quel caso perso “Se continui
così
molto presto avrai un'ordinanza di restrizione da appendere in camera
come mio ultimo ricordo”
“Sei
sempre così dispotico con me”
mormorò lamentoso Demyx girandosi di nuovo sullo stomaco per
guardare il rosso con faccia afflitta.
“Secondo
me invece ti ha
trattato con i guanti...” intervenne per la prima volta
Zexion,
rivolgeva al suo ragazzo lo stesso sguardo di afflizione che si usa
con i bambini quando fanno i capricci.
“Non
importa” borbottò
Demyx e afferrò il telecomando per spegnere la tv
che Axel
probabilmente stava vedendo prima del loro arrivo “Basta
guardare
sempre il telegiornale, non voglio sentire altro su quello che
è
successo!”
Axel
roteò gli occhi e lanciò uno sguardo di
compassione al povero Zexion che nel frattempo si era andato a sedere
sulla poltrona occupata prima da suo padre “Dem, cosa sei
venuto a
fare anche oggi? Non ti è bastato il casino che hai fatto
ieri?”
Mullet-man
si mise a sedere, faccia a faccia con il rosso
e incrociò le gambe come lui “Sono venuto
a reclamare le cure
che ultimamente non mi hai rivolto”
“Ancora
a elemosinare
attenzioni?" Axel rimase interdetto e spostò lo
sguardo da
Demyx a Zexion e poi di nuovo a Demyx "Qui il malato sarei io,
non tu... e comunque hai Zexion”
“Zexion
provvede già
ampiamente”
Axel
fece una faccia schifata e preferì non
indagare ulteriormente sul come Zexion provvedesse
e cercò di
cambiare argomento rivolgendosi proprio a quest'ultimo, dato che Dem
era così ottuso che non riusciva a reggere una conversazione
seria
per più di 10 secondi “Avete notizie di
Roxas?” chiese
speranzoso ma l'altro chinò il capo e fece un cenno di
diniego.
“Ancora
prognosi riservata, mi dispiace”
Il
rosso
sbuffò e incrociò le braccia al petto
“Che cavolo, lo stronzetto
ha pure il cellulare spento”
“Dai
Ax non ti agitare altrimenti
ti verranno le rughe in fronte" intervenne di nuovo Demyx. Ormai
lo aveva cronometrato, 10 secondi di silenzio e doveva ripartire con
la sua raffica di stronzate "Comunque ti saluta Marly e ti
invita per una birretta tête-à-tête... e
se ve ne andate in qualche
locale a Chelsea⁴ voglio venire anche io!"
Ad
Axel per poco
non venne un altro colpo.
***
Rude
camminava a passo spedito tra i corridoi dell'ospedale, le sue scarpe
lucide cozzavano pesantemente sul pavimento azzurro e il suo sguardo
era fisso davanti a sé per non percepire la tristezza e il
dolore
dei bambini e i ragazzi in pigiama e vestaglia che camminavano nel
reparto. Aveva sempre avuto un debole per queste cose e sapeva che
quello non era un momento per mettersi a fare i sentimentali. Quando
arrivò davanti alla sala delle conferenze si
fermò e rimase a
fissare la superficie della porta in legno, aveva uno strano
presentimento e aveva a che fare con quello che aveva detto quel
ragazzo che aveva appena interrogato.
"Mi
auguro che
abbiate sotto controllo questo Loz"
Ovvio
che ce
l'avevano sotto controllo. Il giorno prima si era recato persino in
prima persona assieme al suo capo, Tseng, per presiedere ad un altro
interrogatorio, un buco nell'acqua come sempre perché non
parlava
mai, era sicuro che godeva di buona salute anche se a volte faceva
degli strani scatti.
Con
estrema riluttanza poggiò la mano sul
pomello e lo abbassò.
"In
tv non si parla altro che di
Xemnas"
Andava
tutto bene.
"Reno"
sussurrò
con voce incrinata mentre entrava e il fiato gli si bloccò
in gola
non appena percepì la tensione opprimente che regnava in
quella
stanza che avevano occupato momentaneamente per poter svolgere
ricerche. Reno era in piedi appoggiato con una spalla alla parete e
lo sguardo fisso su qualcosa di indefinito fuori la finestra accanto
a sé. Assieme a lui c'erano Cloud seduto sul divano
con la
testa tra le mani e accanto a lui Leon con entrambe le braccia
distese sullo schienale gambe accavallate.
"Reno-"
"Ho
sentito Tseng" tagliò a corto il rosso con un tono
più serio
del solito, senza muoversi di un millimetro dalla sua posizione
"Questa notte l'hanno convocato d'urgenza a Great Meadow⁵"
Rude
rimase in attesa, timoroso di sentire quello che l'altro immaginava
avrebbe detto.
"Anche
Loz l'ha fatta finita. Adesso non
abbiamo più nessuna pista, Rude. Siamo di nuovo al punto di
partenza”
***
Axel
non amava gli ospedali, essere ricoverato ancora meno, ma quella
routine che si stava creando non gli dispiaceva affatto: si
svegliava, mangiava, oziava, andava in esplorazione, faceva il
galletto con le infermiere e di nuovo oziava. E ora era uno di quei
non rari momenti in cui stava perdendo tempo senza sentirsi
minimamente in colpa ma un costante brusio di sottofondo distolse la
sua attenzione dalla preziosa lettura...di un tabloid.
"Che
cavolo è tutto sto casino?" borbottò con tono
scocciato a
nessuno in particolare.
"Penso
che stiano trasferendo
qualcuno nella stanza affianco" spiegò Zexion con tono
pratico,
lui però non alzò lo sguardo dal suo libro, non
lo faceva mai se
non ce n'era veramente bisogno "Prima mentre venivamo abbiamo
visto che stavano facendo i preparativi"
Axel
parve
rifletterci giusto un secondo ma poi fece spallucce, sicuramente non
era affar suo, e appoggiò la rivista che gli aveva lasciato
Kairi
sul materasso "Sai una cosa Dem? Per una volta Yuffie aveva
ragione dicendo che la casa di Ariana Grande non è
male"
"Davvero?"
"Purtroppo
devo darle
conto, adoro l'accostamento bianco e azzurro fiordaliso...e il
soffitto a cassettoni è davvero interessante"
"Fa
un
po' vedere" il biondo risalì sul letto e prese la rivista
che
cominciò a studiare con gran passione.
Se
solo studiasse così
anche per la scuola anche lui a quest'ora sarebbe in procinto di
diplomarsi, pensò un affranto Zexion senza però
pronunciare quelle
parole a voce alta. Non era quello il momento per esporre i loro
problemi di coppia, e per questo si rivolse al rosso "Axel non
ti offendere ma sembri una donna quando parli così"
Axel
di
tutta risposta si impettì e sorrise con fierezza "Scommetto
che
sei geloso della mia classe invece"
"Non
l'ho neanche
mai sentito questo azzurro fiordaliso!" protestò Zexion con
un
leggero rossore che gli imporporava le gote e il biondo
iniziò a
ridere di gusto alla scena.
"Axe
ha molto buon gusto invece,
mi ha promesso che sarà lui a progettare la nostra casa
quando ci
sposeremo!"
Zexion
sospirò sconsolato e ignorò i due
ragazzi per il suo benessere mentale.
"Già
vi ci vedo: in un
loft di Soho, perché Sitar-man ha bisogno della sua dose di
eccentricità assieme agli altri artisti del vicinato" Axel
fece
un occhiolino in direzione di Demyx "Il soggiorno dev'essere
ampio, con le pareti bianche e solo quella centrale celeste con un
camino di mattoni incassato, se c'è il bow window tanto
meglio..."
"OKAY,
basta così" tagliò a corto il
ragazzo dai capelli color acciaio chiudendo il suo tomo con un sonoro
tonfo. Quelle discussioni lo mettevano stranamente a disagio, come
tutta la pressione dei prossimi anni si riversasse in batter d'occhio
sulle sue spalle e lui si sentiva oppresso da tutto e tutti.
I
ragazzi non poterono protestare ulteriormente, sebbene stessero
ridacchiando sotto i baffi in maniera piuttosto malcelata,
perché
poco dopo qualcuno bussò alla porta e quando Axel diede il
permesso
di entrare rimase piacevolmente sorpreso di vedere niente di meno che
Aerith "Signora Strife!"
"Aerith"
"Giusto,
Aerith" si corresse imbarazzato.
La
donna dai capelli castani
entrò con estremo garbo nella stanza e salutò
cordialmente tutti i
presenti, poi si diresse verso il comodino dove poggiò un
piccolo
vaso trasbordante di fiorellini di campo.
"Speravo
di fare
due chiacchiere con te, Axel" cominciò a dire ma fu bloccata
quasi all'inizio dalla voce di Demyx che scattò
immediatamente in
piedi e assunse un'espressione solenne.
"Ma
certo, fate pure!
Noi stavamo giusto andando, vero Zex? Ci trovate in caffetteria"
esclamò così velocemente che nessuno
riuscì a capire veramente
cosa gli fosse preso. A quel punto afferrò Zexion per un
braccio e
lo trascinò fuori come una furia, senza dargli neanche
l'opportunità
di riprendere il suo libro che aveva lasciato sulla poltrona, e
chiuse con un tonfo sordo la porta alle loro spalle. Una volta nel
corridoio, Zexion gli lanciò un'occhiataccia e
iniziò ad
incamminarsi verso la caffetteria, perché era lì
che pensava
fossero diretti, ma vedendo che il suo ragazzo non lo seguiva
ritornò
sui suoi passi e lo vide incollato alla porta.
"Che
cavolo
stai facendo?"
"Mi
pare ovvio, sto cercando di
origliare. Ora fa silenzio"
"Dem"
"Zex"
"Signori?"
li interruppe un infermiere che passava di lì "Avete bisogno
di
qualcosa? Sulla destra c'è una sala comune con tv e divani"
"Stiamo
bene così, grazie mille!" fu la risposta solare di
Demyx.
Zexion
in quel momento si sentì così in imbarazzo che
avrebbe voluto annegare nella cascata di pioggia che c'era
fuori.
Aerith
rimase quasi tramortita dal comportamento del
ragazzo biondo che non seppe cosa dire per una buona manciata di
secondi, fu Axel a rassicurarla che era una cosa del tutto normale e
che Demyx a volte poteva comportarsi come un pazzo.
"Oh...
okay" mugugnò la donna, sedendosi sulla poltrona
precedentemente occupata da Zexion "Volevo sapere come ti
sentissi oggi, però mi dispiace aver interrotto qualcosa, se
vuoi
posso andare a chiamarli"
"Tranquilla
non hai interrotto
niente!" la fermò subito il rosso, gli faceva sempre piacere
vederla perché riusciva sempre a metterlo di buon umore con
i suoi
modi di fare "Quanto a me... sto meglio, credo. La ferita fa un
po' male ma non è nulla che mi impedisca di vivere, giusto?"
fece retoricamente "Piuttosto...uhm... mi hanno detto che prima
io e Roxas stavamo in stanze vicine..."
Aerith
sorrise e
annuì "Sì, è così, sono
stata io a richiederlo... anche se
ammetto di essere stata un pochino insistente con Cloud"
ridacchiò bonariamente "Il fatto è che
tuo padre era così
preoccupato, non voleva mai allontanarsi da te anche se non gli era
permesso entrare nella stanza, sarebbe stato lì
anche se il
lavoro lo chiamava, così ho detto che mi sarei pesa cura io
di te"
Axel arrossì visibilmente e spostò lo sguardo di
lato ma lei non ci
prestò attenzione "E poi l'ho fatto perché
immaginavo che
potesse farvi piacere stare l'uno vicino all'altro, anche se non ne
eravate consapevoli"
"I...in
che senso?"
"Axel...
capisco più cose di quante tu possa immaginare, sono pur
sempre una
mamma" replicò con naturalezza, come se fosse la cosa
più
ovvia del mondo. Quelle parole però non fecero altro che
aggravare
la situazione e Axel arrivò ad assumere una
tonalità di rosso
ancora più scura dei suoi stessi capelli, sapeva che sarebbe
morto
di crepacuore se la donna avesse continuato. Stava per caso
sottintendendo che aveva capito tutto di lui e Roxas? Certo, non era
scema e loro erano piuttosto morbosi a volte ma avevano fatto
attenzione a non divulgare la cosa troppo platealmente.
"Se...
se volevi farci stare vicini perché allora non ci hai fatto
mettere
nella stessa stanza?"
Aerith
sospirò "Avete bisogno di
riposo, entrambi. Poi tu hai perso molto sangue"
"E
allora?"
"Se
ti avesse visto in quello stato sarebbe
andato fuori di testa... e noi non vogliamo che succeda. Allo stesso
tempo non penso che tu te ne saresti stato buono"
"Ma
ora sto bene! A maggior ragione posso vedere Roxas e assicurargli che
va tutto bene"
"Dovresti
continuare a riposare"
"Io
non ho bisogno proprio di niente! È di lui che sono
preoccupato.
Nessuno mi ha detto nulla sulle sue condizioni, ora come ora potrebbe
essere anche morto per quello che ne so... prima di perdere i sensi a
scuola, Roxas era vicino a me ma glielo leggevo in faccia che non
stava bene... si era disfatto della sua dose di ossigeno per portarmi
in salvo. Penso che sia un mio diritto sapere come sta, Aerith. Tu
hai detto che capisci
e allora perché mi avete tenuto lontano
da lui per tutto questo tempo?" spiegò Axel con rinnovato
vigore, tutti erano stati preoccupati per le sue condizioni ma
nessuno poteva immaginare davvero cosa fosse successo davvero in
quella scuola. Il sangue, i corpi a terra, l'ansia, la paura di non
uscirne vivi. La sua non era preoccupazione solo per la salute fisica
di Roxas, lui aveva bisogno di Roxas. Aveva bisogno
della sua
vicinanza, del suo calore, della sua voce. Aveva bisogno solo di
Roxas perché erano stati loro a trovarsi da soli in
quell'inferno e
solo loro potevano capirsi. Solo così poteva
guarire.
Aerith
lo scrutò a fondo, come se stesse sondando la sua anima, e
alla fine
lasciò cadere lo sguardo sulle sue mani strette in grembo
"Roxas...
non è grave come immaginavamo anche se non nego che
all'inizio
abbiamo temuto il peggio"
Axel
le prese una mano tra le sue e
la esortò a continuare.
"Aveva
del liquido nel polmone
sinistro che gli impediva di respirare, ecco perché negli
ultimi
tempi era così affaticato, e poi hanno proceduto con tutti
gli esami
e controlli. Il cuore lo sta indebolendo ma lui è
sempre forte
e combattivo"
"Aerith
posso chiederti una cosa?"
"Dimmi
pure"
"Sei
sicura che Roxas soffra del qt
lungo?"
"Certo,
non potrei essere più sicura"
affermò con un cenno del capo "Il padre di mio marito
è morto
proprio a causa di questo... Cloud era ancora troppo giovane per
capire di cosa si trattasse però pare che i problemi di
cuore girano
nella sua famiglia e, dato che lui è sano e Roxas
è colpito, siamo
preoccupati per Sora... sai, potrebbe essere anche un gene recessivo
ma sono pur sempre gemelli, con queste cose bisogna prendere la
massima precauzione"
Axel
aggrottò la fronte. Era scontato,
come poteva averne dubitato? Se ne parlava sempre del qt ma allora
che c'entrava quel fantomatico geostigma? Era davvero il caso dirle
la verità in quel momento? Lei non sapeva niente e una
notizia del
genere così su due piedi l'avrebbe distrutta, senza contare
che lui
così si sarebbe cacciato seriamente nei guai. Roxas in quel
momento
aveva bisogno del sostegno di tutti loro e non di altri problemi.
"Come
sta ora? Si è svegliato?" chiese alla fine, ignorando il suo
desiderio di vederci chiaro.
"Si
è svegliato due o tre volte
ma la maggior parte del tempo era sotto sedativi quindi non era
proprio partecipe... con i trattamenti vari non era l'ideale tenerlo
sveglio"
"E
quando potrò vederlo?"
"Appena
starete meglio" sorrise dandogli una pacca sulla spalla "Anzi,
adesso ti lascio riposare. Prima ti riprendi, prima potrai vedere
Roxas"
Una
volta solo, Axel rimase con lo sguardo fisso sulle
sue gambe incrociate, domandandosi per quanto tempo ancora gli adulti
avrebbero continuato a mentire spudoratamente. Nel suo animo
dominavano sentimenti contrastanti, da una parte era sollevato
perché
non sarebbe mai riuscito a vivere serenamente con la consapevolezza
di quello che aveva realmente Roxas senza che quest'ultimo potesse
saperlo davvero, d'altra parte si sentiva così inutile non
poterlo
aiutare. L'unica cosa di cui era felice era che il biondo stesse bene
e, chissà, forse presto sarebbero tornati a casa insieme
proprio
come i vecchi tempi. Per il momento tutto quello che poteva fare era
rimanere di buon umore e raggiungere Demyx e Zexion in caffetteria,
magari avrebbe trovato persino il dessert.
Si
infilò velocemente
una felpa e le sue converse e si avventurò per i corridoi.
Ormai
quell'ospedale lo conosceva abbastanza bene perché era
andato spesso
a trovare Roxas in passato ma mai avrebbe immaginato che sarebbe
rimasto lui stesso lì.
Prima
di raggiungere l'ascensore decise di
fare un salto da Larxene per chiederle se le andava di unirsi a loro
o se voleva semplicemente qualcosa. Sapeva che anche lei era
ricoverata, però solo per degli accertamenti dal momento che
non era
rimasta ferita nella sparatoria. A quanto aveva capito i medici
avevano preferito fare qualche controllo perché era da tempo
che li
saltava (sicuramente volontariamente).
Quando
arrivò in
prossimità della sua stanza notò la porta
socchiusa e si affacciò
cautamente, non voleva disturbarla se aveva da fare o magari stava
dormendo, ma ben presto si ravvide. Larxene gli dava le
spalle.
Era a torso nudo davanti allo specchio e una lacrima solitaria le
rigava silenziosamente il volto.
Axel
però non seppe dire se
lo turbò di più il fatto che stesse piangendo o
quello che vide su
di lei: il suo corpo era ricoperto da ampie porzioni di pelle
annerita, molto simili a quella che aveva Roxas sul petto e che non
guariva mai.
Il
ragazzo si sentì le gambe quasi tremare sotto il
suo peso e si poggiò con la schiena al muro per sorreggersi,
non
riusciva a credere a quello che aveva appena visto. Il cuore
iniziò
a ad accelerare sempre di più nel suo petto e il respiro si
faceva
sempre più rarefatto. Si portò una mano alla
ferita fasciata che
aveva deciso di dolergli proprio in quel momento e poggiò la
nuca
alla parete. Gli occhi erano serrati mentre si ripeteva mentalmente
che non era possibile. Non era possibile che quella fosse la
realtà.
"Dolore
immenso, allucinazioni, macchie su
tutto il corpo. Cosa dirai quando inizieranno ad apparire tutti quei
segnali?"
"Mamma
quando tornerai a
casa?"
Cloud
non aveva risposto alla domanda
posta con tono grave, suo padre non era mai stato così serio
come in
quel momento. Anche sua madre non aveva risposto alla sua domanda,
Elena preferiva tacere piuttosto che mentire al suo unico figlio.
In
un primo momento Axel decise di andare via ma qualcosa lo trattenne.
Inviò un veloce messaggio a Dem e attese qualche
minuto fuori
la stanza, incollato alla parete, prima di entrare. Non poteva
scappare. Se voleva di essere di qualche aiuto doveva smettere di
scappare.
Prese
un profondo respiro e bussò lievemente.
"Posso?"
mormorò a voce bassa ma non seguì alcuna
risposta, così si
affacciò nella stanza e vide che Larxene si era rivestita e
aveva
poggiato delle borse sul letto "Te ne vai di già?"
"Sì
mia madre sta venendo a prendermi, non ce la facevo più a
stare qui
dentro" rispose lei senza guardarlo, troppo indaffarata a
preparare le valigie.
"Ci
sei stata davvero poco"
osservò il rosso sedendosi sul letto.
"Mi
hanno trattenuta
per dei controlli, tre giorni vanno più che bene per me"
"Ed
è andato tutto bene?"
"Va
tutto bene, mi hanno fatto
solo qualche esame di routine" rispose alla svelta ma ad Axel
non bastava, la guardò con apprensione e Larxene, sentendo
il peso
del suo sguardo perforante, ridacchiò e si voltò
completamente
verso di lui, interrompendo la sua attività "Non fare quella
faccia, mi è bastata una firmetta e ora sono fuori... se
stavo così
male non credo che mi avrebbero permesso di uscire tanto facilmente
no?"
Il
rosso sospirò e scrollò le spalle "Sì
lo so,
è che-"
Larxene
gli posò un dito sulle labbra e gli impedì
di continuare oltre, si sedette sul letto e si specchiò nei
suoi
occhi verdi "Ormai ho 18 anni, sono maggiorenne e posso fare
quello che voglio. Non devi stare in pensiero per me"
affermò
con tono stranamente morbido, poi le sue labbra si piegarono in un
mezzo sorriso "E poi hai già un cagnolino che
reclama le
tue attenzioni"
A
quel pensiero, Axel lasciò cadere il
discorso così. Gli passò invece una mano tra i
capelli, aveva
cambiato pettinatura tutto d'un tratto, ora i fili dorati le cadevano
sul viso e le conferivano un aspetto decisamente più maturo
assieme
alla matita nera sugli occhi e il rossetto rosso. Era strano vedere
Larxene così e il ricordo di quello che aveva visto solo
pochi
minuti prima lo gettò in uno stato di profonda angoscia e
nostalgia.
"Sei
bella, lo sai?" sussurrò giocando con
una ciocca dei suoi capelli, non riusciva a staccare gli occhi da
quei fili illuminati dalla luce del sole che filtrava dalla finestra.
Erano più chiari di quelli di Roxas e profumavano di
vaniglia, ma
erano ugualmente morbidi. Lei certamente doveva averne più
cura
anche se non dava l'impressione di essere una tipa del genere.
"A
cosa devo questo complimento da uno come te?" disse con una
punta di ironia nella voce "Se non ti conoscessi potrei
fraintendere"
"Scema,
non è la prima volta che te lo
dico!"
Sul
volto della bionda apparve il fantasma di un
sorriso e portò il dorso della sua mano sul volto dell'altro
per
carezzarlo. Larxene aveva capito che il rosso era così
riguardoso
perché c'era qualcosa che lo turbava, la cosa la
allietava e
allo stesso tempo gli era grata che non avesse approfondito con altre
domande troppo personali. Ormai si conoscevano da anni, erano intimi
e per questo Axel riusciva a comprendere le sfumature dei suoi
sguardi e dei suoi silenzi, ma lei lo aveva sempre tenuto fuori dalle
questioni del suo passato. Erano cose che non gli appartenevano e non
voleva condividere il suo dolore con altri.
"Tra
qualche mese
ci sarà il ballo di fine anno" Axel spezzò di
nuovo il
silenzio parecchi minuti dopo, quei momenti di quiete tra di loro
erano sempre confortevoli anche in momenti del genere. Si distese con
la schiena sul materasso e portò l'amica giù con
se, con lo sguardo
rivolto verso il soffitto "Voglio vederti in gran forma per quel
giorno"
"Non
ho interesse per queste cose, l'anno
scorso ho passato la serata nel retro della palestra a vomitare tutto
l'alcol che avevo buttato giù" Larxene ricordò
quella giornata
con una celata malinconia e una punta di divertimento. Non era stata
esattamente la serata che tutte le ragazze del liceo sognano e magari
pianificano da anni. In realtà invece di un vestito da sera
aveva
indossato un lungo soprabito di pelle nera e un costumino a due pezzi
e aveva scorrazzato sul pick-up di Xigbar.
"Quest'anno
invece
sarà speciale" annuì Axel con convinzione, era
come se con
tutti quei piani volesse auto convincersi che sarebbe andato tutto
bene nei prossimi mesi, che Larxene si fosse tenuta fuori da tutti i
guai "Tu sei all'ultimo anno, devi portare con te dei bei
ricordi per la fine della scuola"
"Certo..
come se ce ne
fossero"
"Permettimi
di regalarti il vestito"
"Che
diavolo ti salta in mente?" la bionda rise di cuore alla battuta
fatta dall'altro ma quando si specchiò nello sguardo
dell'altro vide
una faccia seria e determinata.
"Voglio
che tu sia la più
bella lì" dichiarò "Io non so neanche se ci
sarò, sai
dipende tutto da Rox... però voglio che almeno tu passi una
bella
serata prima della fine dell'anno!"
Larxene
studiò a fondo
l'espressione dell'altro e si impresse nella mente quegli zaffiri che
sembravano risplendere di luce propria. Alla fine sbuffò e
con un
certo divertimento tornò a fissare il soffitto.
"Moore,
a
volte ti preoccupi troppo per gli altri piuttosto che di te stesso"
"A
me basta vedere tutti felici" fu la nota di chiusura
del rosso.
Quella
volta ci teneva ad essere lui a mettere il
punto fine alla loro conversazione.
***
"Io
ho cercato di salvarti, Roxas... non volevo arrivare a questo
però
ho tentato in tutti i modi di salvarti"
Xemnas
si girò
un'ultima volta verso la finestra che dava sul giardino,
all'orizzonte si intravedevano le volanti della polizia appostate sul
ciglio della strada e gli elicotteri che volavano sulla scuola.
Sorrise impercettibilmente e poi ci fu uno sparo improvviso.
Roxas
spalancò gli occhi e scattò a sedere in preda a
un irrefrenabile
desiderio di scappare il più lontano possibile, come se non
riuscisse a distinguere il confine tra la realtà e il sogno.
Il
sudore scendeva lungo la sua tempia e gli aveva attaccato qualche
ciuffo alla fronte, e il respiro era irregolare da risultare
così
doloroso che provò persino a tapparsi naso e bocca. La gola,
i
polmoni e il torace gli andavano a fuoco, cercò di ignorare
il
dolore pulsante della ferita che gli avevano fatto poco dietro la
schiena ma questo non bastava a placare le fitte che gli scuotevano
il corpo.
Si
portò le gambe strette al busto e si raggomitolò
su
sé stesso, e con una mano si strinse il petto che batteva
così
forte da fargli male.
"Calma" sussurrò
a sé
stesso con voce strozzata, sentendo le vertigini che lo stavano
assalendo "Hai... hai fatto solo... un brutto sogno... proprio
come oggi " continuò con il fiatone, alternando le parole a
qualche colpo di tosse secca. Appoggiò la fronte sudata
sulle
ginocchia e fece un enorme sforzo per rimanere concentrato su se
stesso. Doveva rimanere buono e tranquillo e non lasciarsi
trasportare dai ricordi, dopotutto proprio quel pomeriggio aveva
rischiato seriamente di avere qualche altra crisi.
Poche
ore prima
infatti si era svegliato con le sue grida irrefrenabili che lo
assordavano, cercavano un barlume di sollievo da tutte le scene che
si ripetevano all'infinito nella sua mente. Le immagini erano
così
vivide che sembrava di trovarsi ancora sul pavimento della scuola, il
sangue di Axel, lo sguardo vacuo di Vaan e l'espressione sconfitta di
Xemnas che lo perseguitava. Le lacrime scendevano incontrollate dai
suoi occhi, il respiro era corto e il cuore aveva perso il controllo.
Si prese la testa tra le mani e si raggomitolò in posizione
fetale,
sembrava quasi un attacco di panico ma sapeva che presto sarebbe
successo altro. Tutto faceva male, sia la testa che il fisico, ma
quello che faceva più male era sapere che non era riuscito a
fare
niente per evitare che tutto quello accadesse. La colpa era stata sua
perché aveva istigato Xemnas, l'aveva fatto arrabbiare di
proposito
perché voleva rovinargli la giornata come pensava che
gliel'avesse
rovinata la vista di Axel ridere e scherzare con un gruppetto di
cheerleader. Sua madre e un'altra infermiera erano subito accorse non
appena avevano sentito il monitor impazzire a causa sua, e presto si
sentì avvolto dal calore delle braccia di sua madre che
intanto gli
ripeteva che era tutto finito e che andava bene ora. Ma in
realtà
non andava niente bene perché due persone erano morte per
colpa sua
mentre lui era ancora lì.
"Axel?"
chiese senza
ascoltare nient'altro, Aerith gli assicurò che stava bene ma
al
ragazzo non bastava "Dov'è Axel?" ripeté di nuovo
con
voce leggermente più calma, iniziava a sentirsi intorpidito,
non
sentiva neanche più le braccia di sua madre che lo
stringevano al
suo petto.
"Stai
tranquillo, è nella stanza accanto alla
tua" sussurrò massaggiandogli gentilmente la schiena.
"Voglio
Axel"
"Appena
starai meglio potrai vederlo" Aerith
gli sorrise e lo fece stendere di nuovo adagio, e lo coprì
con le
coperte "Però devi riposare adesso"
"Non
volevo
che succedesse tutto quello..."
"Lo
so, tesoro. Non è
colpa tua"
Sì
che era colpa sua. E contro la sua volontà
si ritrovò di nuovo avvolto dall'oscurità,
spazzato via dalla
stanza in cui si trovava.
Roxas
era esausto, per lunghe ore aveva
oscillato avanti e indietro, attraverso la linea che separava il
sonno e la veglia, lo avevano riempito di tranquillanti
perché
qualsiasi dolore era scomparso, anche quello della sua anima, ma ora
l'effetto degli antidolorifici era scomparso.
Con
la testa ancora
appoggiata sulle ginocchia voltò il viso alla sua sinistra
dove
c'era un'ampia finestra. Era scesa la notte. Le luci della
città
apparivano come stelle luminose là fuori e la pioggia
continuava a
scendere.
Sua
madre era appollaiata su una poltrona lì vicino,
con una coperta addosso, e non si era svegliata neanche con il rumore
irregolare che emetteva il monitor multiparametrico a causa del suo
risveglio così brusco. Respirò profondamente
prima di sporgersi
verso quell'affare e lo spense per non disturbare ancora sua madre.
L'unica fortuna era che ormai dopo tutti questi anni riusciva ad
usare quei marchingegni anche ad occhi chiusi.
Doveva
vedere
Axel. Era vicino, appena oltre il muro che li separava, stando alle
parole che gli aveva detto sua madre. Non poteva aspettare ancora,
doveva assicurarsi che stesse davvero bene.
Senza
rifletterci oltre, si disfò di tutte quelle cose che gli
avevano
attaccato addosso per tenerlo monitorato e lentamente scese dal
letto. Appena toccarono il suolo le sue gambe vacillarono a causa del
lungo disuso e il biondo fu costretto a tenersi appoggiato a qualcosa
per reggersi. Roxas era stanco, le energie erano ancora poche ma era
riuscito a passare accanto a sua madre senza svegliarla e arrivare
alla porta con successo.
All'improvviso
la donna si mosse di
scatto e immediatamente Roxas si appiattì al muro, rimase
immobile
in quella posizione per un paio di minuti, con il cuore in gola. Sua
madre non si mosse più, dormiva ancora, e a quel punto il
ragazzo si
lasciò scappare un sospiro di sollievo prima di riprendere
il suo
tragitto. Appoggiò l'orecchio alla porta e francamente
pregò che
non soggiungesse nessun altro a rovinare tutto il suo duro lavoro.
A
parte il respiro regolare di sua madre non si udiva niente, i
corridoi erano silenziosi e non sembrava esserci nessuno nei paraggi.
Non poteva permettersi di indugiare ancora, così, senza fare
rumore,
aprì la porta alla cieca e sperò nel meglio.
Roxas
esitò per un istante, incerto sulla direzione che doveva
prendere,
perché sua madre non gli aveva specificato in quale "stanza
accanto" stava Axel. Rimase appoggiato al muro giusto per
qualche secondo in più e si concentrò a prendere
fiato, senza la
bombola aveva qualche difficoltà ma per il momento ce
l'avrebbe
fatta. Axel era vicino e solo questo contava.
Raggiunse
la prima
porta che vide e indugiò ancora, chiedendosi questa volta se
forse
fosse stato meglio rimanere a letto e attendere di sentirsi meglio
prima di vedere il rosso, dopotutto non gli avrebbero permesso di
rimanere lì a lungo, lo avrebbero riportato nella sua stanza
non
appena sua madre o qualche infermiera se ne fosse accorta.
Però
doveva vedere Axel, non riusciva a cancellarsi la
memoria il
corpo del suo ragazzo intriso di un rosso più scuro del
colore dei
suoi capelli e gli occhi velati dal dolore. Di quello che era
successo poi aveva così pochi ricordi che niente poteva
dirgli che
Axel stesse davvero bene.
Aprì
la porta ed entrò nella
penombra.
Era
la stanza giusta. Non c'era nessun altro con quella
capigliatura così selvaggia. I suoi capelli erano sparsi sul
cuscino
alla rinfusa perché gli dava fastidio tenerli legati quando
dormiva,
sul ripiano vicino al letto erano esposte una serie di cartacce di
tutte le barrette di cioccolata che doveva aver consumato la sera
prima e in volto aveva un'espressione rilassata, dormiva
profondamente, con le labbra appena dischiuse. Quello era il suo
Axel, stava bene proprio come gli aveva detto sua madre.
Mosse
qualche passo per avvicinarsi al letto e accennò un leggero
sorriso
mentre si sedeva accanto a lui, un sorriso malinconico. Come aveva
potuto lasciare che accadesse qualcosa del genere ad Axel?
Perché
Axel e non lui? Axel era una persona così buona e gentile.
Roxas
si sedette sul materasso e lo guardò a lungo.
Perché
non
potevano essere felici?
Perché
tutte le persone a lui care
soffrivano?
Perché
la vita faceva così male?
"Ax"
sussurrò impercettibilmente alzando la gamba sul materasso e
appoggiò il braccio destro sul ginocchio. Avrebbe voluto
avvicinarsi
di più a lui e abbracciarlo, raggomitolarsi tra le tue
braccia, ma
non lo fece. Axel aveva bisogno di riposare e non voleva disturbalo.
Al contrario, optò per parlargli, perché ogni
volta che lo faceva,
anche al telefono, si sentiva sempre meglio. Axel era sempre una
soluzione per lui, anche se il rosso non aveva soluzioni.
Parlò
piano, come faceva spesso quando stavano insieme e alla fine Axel si
addormentava durante il film che non aveva scelto. Roxas si
portò un
braccio al volto e si sfregò gli occhi "Ax, secondo te
perché
viviamo? A cosa serve affannarci ogni giorno nei doveri quotidiani?
Chi siamo noi per decidere cosa è giusto o sbagliato?... ma
soprattutto, siamo noi a decidere della nostra vita o è
già
scritta? Ogni mattina ci svegliamo senza sapere cosa potrebbe
accadere: un bel voto a scuola, essere ammessi al college che avevi
scelto, ottenere il lavoro dei propri sogni, incontrare l'anima
gemella, dover dire addio a una persona cara... oppure non
risvegliarsi più. Ti sei mai chiesto se siamo noi a creare
certi
momenti oppure se sono le opportunità, gli imprevisti a
creare noi e
le nostre scelte?" Roxas si stese a testa in giù sul letto,
vicino al suo ragazzo ma attento a non farlo svegliare e
fissò lo
sguardo sul soffitto "Axel, secondo te quanto ci vuole a
cambiarci davvero la vita? Gli anni della scuola?
L'università?
Il matrimonio? Io credo che la vita può cambiare da un
momento
all'altro... anche con un semplice sguardo"
“Il
mio nome è Axel. L'hai memorizzato?
Spero
di rivederti
presto...e se non è tanto presto ricordati del mio nome, un
giorno
potrai vedermi in tv all'NBA”
"Ho
bisogno di un tutor"
"Lo
so. Attendi, ti riempio il modulo"
"Non
dovrei
farlo io?"
Roxas
socchiuse gli occhi e si portò una mano sulla guancia per
lavare via
una lacrima solitaria che era scesa contro la sua volontà
"Un
semplice sguardo può cambiare una vita"
"Quello
è il mio fermaglio!
Sei
stato davvero gentile, per me è
molto importante.
Roxas...è
così che ti chiami vero?
"La
vita cambia. Noi cambiamo" riaprì gli
occhi e tornò a
fissare il soffitto, si sentiva sempre più debole, la
stanchezza si
stava pian piano impossessando di lui "Ax, credi che sia
possibile tornare a quando eravamo felici? Posso tornare indietro nel
tempo e mettere a posto tutti i miei errori?"
Roxas
non
ricevette alcuna risposta ai suoi dubbi.
Il
fatto è che le
storie non finiscono sempre come quelle favole che si raccontano ai
bambini, a volte rimane l'amaro in bocca. Alcuni si perdono sul
cammino e altri dimenticano il motivo per cui combattevano. Ma se
c'è
ancora qualcuno per cui vale la pena vivere, qualcuno per cui vale la
pena lottare e superare tutte le sfide che il destino che pone sulla
strada, allora bisogna stringere i denti e proseguire fino allo
stremo delle forze. Perché se c'è qualcuno che
tiene ancora a te
allora qualsiasi crepa può essere riparata.
Finché c'è qualcuno
che si ricorda di te non è ancora detta l'ultima parola.
Senza
accorgersene, Roxas si lasciò andare al conforto della sua
incoscienza, dove niente e nessuno avrebbe potuto disturbarlo,
cullato dai respiri di Axel come se fossero la sua ninnananna.
***
Marluxia
sedeva sulla punta del letto, con le gambe accavallate e lo sguardo
rivolto sulla figura di Larxene che gli dava le spalle. Da quando era
entrato in quella stanza la ragazza non gli aveva neanche rivolto la
parola, solo una fugace occhiata per indicare che sapeva della sua
presenza e poi si era rifugiata di nuovo nel suo mondo interiore.
Aveva lo sguardo basso Larxene, non c'era nessun desiderio, nessun
barlume di quella fierezza che contraddistingueva il suo sguardo,
neanche un briciolo di furore scuoteva le sue carni. Aveva le braccia
conserte e guardava la finestra, l'unica cosa che staccava dalla
monotonia delle pareti bianche. Era così fragile in quel
momento che
sembrava una fogliolina ingiallita in procinto di cadere dal suo
ramo.
"Larxene,
per piacere"
"Non
ho niente da dire"
"Eppure
il tuo silenzio è
così rumoroso..."
"Hai
scelto il giorno
sbagliato per venire, tra non molto mi dimettono"
"È
così allora? Hai deciso di fuggire?"
"Non
ho
deciso di fuggire" Larxene esitò prima di continuare "Questa
è la mia vita, questo è il mio corpo, se
è destino preferisco
pagare per i miei errori piuttosto che ridurmi a un cadavere che
cammina come Roxas"
"Sei
molto dura con te stessa
e con Roxas"
Dopo
quella constatazione scese tra di
loro un pesante silenzio, Marluxia rimase pazientemente in attesa
senza mai scollare lo sguardo dalla sua amica. Quella situazione
stava degenerando sempre di più e non c'era molto che si
potesse
fare a riguardo, Larxene si strinse nelle spalle e sembrò
ancora più
minuta di quanto non fosse già.
"Non
fraintendere, mi
ci sono affezionata" riprese dopo qualche lungo minuto di
tormento interiore, anche se le sentiva quelle parole erano difficili
da pronunciare "Ormai lui è tutto quello che mi resta del
passato, assieme a questo" si portò una mano all'altezza
dell'addome "Roxas mi ricorda le cose belle del passato mentre
il mio corpo tutte le stronzate che ho fatto"
"Che
piani hai adesso?" domandò Marluxia appoggiando le braccia
sul
materasso e reggendosi su di esse.
"Piani?"
Larxene si voltò all'improvviso verso il suo interlocutore,
con gli
occhi sgranati "Che piani posso mai avere secondo te? Ho il
geostigma, questa notizia mi è bastata...anche se
stranamente non mi
ha colpito quanto quella volta che mi hai trovato dopo l'overdose e
mi hai portato qui. La prima volta fa male ma la seconda no
perché
ti sei già preparato alla morte. Ho sempre nutrito forti
dubbi sulla
mia malattia ma ero troppo distrutta per interrogarmene. E quando
pochi giorni fa mi hanno rivelato che io non avevo il cancro allora
ho avuto la conferma che c'era davvero qualcosa sotto, proprio come
dicevi tu. Mi hanno spiegato che il governo ha impedito la
divulgazione di qualsiasi informazione riguardo il geostigma, mia
madre sapeva tutto ma ora che sono maggiorenne era mio diritto
sapere. Il geostigma è come un virus che si propaga in tutto
il
corpo, non puoi sconfiggerlo rimuovendo solo la parte marcia...
è
come il cancro, devi fare la chemio per sbarazzartene davvero"
Marluxia
però non rimase sconfitto dal tono
accusatorio dell'altra, rimase fermo nella sua sfacciata
testardaggine.
"Perché
non ti sottoponi alle
cure?"
"Te
l'ho detto, non voglio ridurmi come
Roxas"
"Ma
tu non sei messa come lui"
La
bionda ridacchiò amaramente e scosse la testa in senso di
diniego,
per quanto potesse essere inquietante la situazione la divertiva
quasi.
"Ti
sbagli, io sono messa peggio di lui"
ammise portandosi vicino allo specchio dentro l'armadietto dove aveva
riposto tutti i suoi beni e afferrò la pochette del trucco
"I
medici non facevano altro che dire che io sono a uno stadio molto
più
avanzato perché non seguo le cure, ormai ho il corpo
ricoperto di
macchie nere..." fece una lunga pausa durante la quale si
passò
con cura quasi maniacale del rossetto sulle sue labbra appena rosate.
Era rosso sangue, proprio come quello che scorreva nelle sue vene;
proprio come quello che macchiava i corpi esanimi di alcuni dei suoi
vecchi amici, che avevano scelto di porre fine alle loro squallide
vite con qualche dose vinta prendendosi a coltellate. Cremisi che
contrastava sulla neve ai bordi delle strade. La sua pelle era
bianchissima "Roxas invece ne ha solo una e anche piuttosto
piccola, me l'ha rivelato non molto tempo fa... ma sono sicura che
non sappia in realtà cosa sia. Ad ogni modo so che ha
già preso
parte a due o tre sedute di cura e, nonostante ciò, non lo
vedo
molto migliorato"
"Lo
stanno usando come cavia
da laboratorio perché lui è l'ultimo rimasto"
replicò
Marluxia scrutando dallo specchio Larxene intenta ad adornarsi il
volto e a quel punto si alzò e la raggiunse da dietro. Prese
una
spazzola dalla mensola dell'armadietto e cominciò a
pettinarle i
capelli, questa volta però non glieli lasciò
all'indietro come era
solita fare lei, li portò in avanti in modo che le
incorniciassero
il viso. Sembrava una donna. "Però credo che stia traendo
qualche vantaggio. Già il fatto che la malattia sia rimasta
confinata in un punto è una cosa buona. Lui soffriva di
cuore già
da prima di ammalarsi ed è questo che l'ha penalizzato"
"Io
rimango ferma nella mia idea" replicò lei alzando lo sguardo
sul ragazzo, un nuovo fuoco vibrò nei suoi occhi verdi
"Tutto
quello che farò sarà ricambiare il mio favore a
Roxas perché lui è
stato l'unico a prendersi cura di me, Xion e Vani senza mai chiedere
niente. Farò in modo che continui a vivere, fosse l'ultima
cosa che
faccio"
•·.·´¯`·.·•·.·´¯`·.·•·.·´¯`·.·•
¹ Levitico 24, 19-20
² Genesi 3: 17-19
³ Radcliffe era un college femminile privato a Cambridge, nel
Massachusetts (ogni volta sbaglio sempre a scriverlo quindi perdonate
eventuali errori), e si potrebbe definire come la controparte di
Harvard che invece era maschile. Nel 1999 le due università
si
sono fuse e nel campus di Harvard è nato il Radcliffe
Institute
for Advanced Study
⁴ Chelsea
a New York è un quartiere
culturale
multietnico molto frequentato dalle comunità gay
⁵ Great Meadow
Correctional Facility è un carcere di alta sicurezza nello
stato di New York
THE END.
Piaciuto il finale?
No, sto scherzando, la storia non è conclusa... ma ci
avevate sperato, ammettetelo!
Avevo detto che avrei aggiornato
ad Ottobre e ho mantenuto la mia parola \(çwç)/. Questo capitolo è
stato un vero pain in
the ass,
giusto per essere fini. Non voleva uscire, non voleva
svilupparsi, niente di niente. Il problema è che scrivo solo
quando devo studiare, e ora ho proprio tanto da studiare.
Mi ha fatto molto piacere sapere che il capitolo scorso vi sia
piaciuto, molti di voi mi hanno contattato in privato e se l'hanno
fatto rispetto la vostra scelta di privacy per non far sapere al mondo
intero dei vostri problemi e/o pensieri.
Dato che non posso parlare di voi, spenderò giusto due
parole su di me. Come ho detto
a qualcuno sono felicissima di sapere che la mia storia abbia aiutato
concretamente - a
pensarla in un modo, a vedere le cose in un altro,
mettetela come volete - qualcun altro mi ha anche detto che do degli
insegnamenti morali. La verità è che io scrivo
per non
essere sola con me stessa e non pensare. Ho avuto e ho tuttora
qualche... disagio
(?) - buttiamoci sul ridere anche se non lo è affatto - e
questa fic è il risultato della mia vita, del mio andare
avanti, del mio cercare di uscirne.
Questo è il mio modo di vedere il mondo e affrontarlo.
Questa storia quindi diciamo che è un "scrivi che la
scrittura
ti aiuta". E' un percorso di formazione e di
ripresa, e il sapere che aiuta anche altri non fa che rendermi
ancora
più motivata a continuare - e non parlo solo della storia.
Sappiate solo che non è oro quel che luccica, ognuno
può
avere i suoi problemi, nessuno è perfetto, ma non lasciatevi
scoraggiare perché qualsiasi cosa
si può risolvere. Prendetevi cura di voi stessi <3
Piccola nota riguardo il
capitolo:
nella frase iniziale in corsivo e nell'ultima in corsivo del
capitolo 20 è Xemnas a parlare. Non so se si capiva ahahah.
Nota n.2: mi rendo conto che non tutti sono ben addentrati in final
fantasy da cui traggo molti personaggi, quindi giusto per farvi un'idea
Elena in questo capitolo è più giovane e ha
questo
aspetto [x]
Nota n.3: vi è piaciuto tutto l'angst? Sì? No? Fa
niente,
dal prossimo alleggeriremo un poco il tono altrimenti qui davvero si
suicida qualcuno. Non so quando aggiornerò (sicuro non prima
di natale) quindi vi darò
qualche breve antipasto: si
festeggerà il compleanno di
qualcuno, ci sarà una coppia in crisi, il ballo di fine anno e arriverà
un nuovo
personaggio creare confusione e far nascere gelosie.
Appuntamento ai prossimi capitoli di Viva la Vida 2 - la sitcom.
Okay, vi sto trollando di nuovo ma ci saranno davvero quegli
sviluppi... e l'angst non mancherà, se ci sono io
c'è
pure l'angst.
Dato che qualcuno mi ha anche chiesto di fare una playlist con tutte le
canzoni che includo nella storia ecco anche questa {link}
Ringrazio a tutti quelli che
leggono, che mettono la storia tra le
preferite, chi suggerisce la fic e la scopre tramite passaparola, chi
mi ha messo tra gli autori preferiti, ma soprattutto tutti quelli che
donano l'1% del loro tempo per farmi felice con le loro recensioni e un
grazie particolare anche al mio beta Kronohunter25
Vi auguro uno splendido autunno con tante suggestive foglie gialle e
arancioni e buona fortuna con tutti i vostri impegni. See ya!
Faith
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