Il
velario blu cobalto del cielo si stendeva sul piccolo cimitero di
Arras e la luce della luna piena si posava sulla vegetazione e sulle
lapidi, che sembravano cosparse d'argento.
Di
tanto in tanto, un leggero vento si insinuava tra le chiome degli
alberi, facendole stormire cupamente e i canti degli uccelli notturni
si levavano alti, simili a lugubri richiami infernali.
Victor
Clement de Girodel era chino davanti ad una di queste, lo sguardo
cupo e meditabondo. Centotrenta lunghi anni avevano mutato il volto
della Francia, ma quel piccolo angolo di pace era sopravvissuto.
La
tomba di Oscar Francois de Jarjayes, accanto a quella del suo
compagno, era ancora presente.
Poteva,
seppur per poco, guardare quella lapide, estrema testimonianza
dell'esistenza di una donna tanto eccentrica quanto meravigliosa.
– Siete
stata fortunata, mia amata Oscar. – mormorò, la voce
vibrante di amara ironia. Quando aveva ricevuto la notizia della
morte della sua amata, il cuore gli si era infranto nel petto...
Perché
la sorte nefasta aveva troncato così precocemente l'esistenza
di una donna onesta e leale come lei?
Oscar
meritava di conoscere, per lunghissimi anni, l'amore e la felicità.
Victor,
con un gesto lento del collo, sollevò il capo e rise, lo
sguardo d'acquamarina lucido di lacrime. In quei momenti di
disperazione, il suo intelletto era ben lontano dalla consapevolezza
che avrebbe acquisito nel corso di lunghi decenni di vita
immortale...
Aveva
maledetto la stella sfortunata di Oscar, che l'aveva strappata alla
vita nel pieno della sua giovinezza…
Impaurito
dalla morte, non aveva compreso quanto lei fosse stata fortunata.
Erano
trascorsi circa tre mesi da quando aveva ricevuto la notizia della
morte di Oscar.
In
quei dolorosi momenti, gli era parso di vivere in una dimensione
d'irrealtà.
Era
sicuro che presto il dolore lo avrebbe annientato, colpendolo col
vigore di un fendente ben assestato, eppure quel momento non
giungeva.
Perché?
Cosa
gli impediva di emergere da quella sensazione di soffocamento?
Il
cammino della sua esistenza proseguiva, ma, in quel momento, tutto
gli pareva surreale.
Perfino
le persone dei sovrani, alle quali lui era stato addestrato ad
obbedire, gli apparivano degli spettri privi di consistenza reale.
La
morte di Oscar aveva illuminato d'una luce sinistra il mondo pieno di
lustrini e ipocrisia nel quale, per troppo tempo, aveva creduto
ciecamente.
Eppure,
non aveva il coraggio di compiere un atto di onestà e di
distacco da quel mondo, che presto sarebbe crollato, come una
costruzione troppo fragile travolta dalle onde di un fiume gonfio
d'acqua.
Pur
disprezzando i sovrani e il loro mondo, ancora difendeva, come un
antico cavaliere armato di lancia e spada, un ordine sociale
ingiusto, che aveva annientato qualsiasi fondamento di giustizia.
Ma
presto quello stato di irrealtà sarebbe finito.
Era
una fredda sera di novembre del 1789 e una calma surreale opprimeva
Parigi, accentuata dal firmamento, d'un intenso blu cobalto,
illuminato dal freddo bagliore delle stelle, che sembravano flebili
fuochi fatui in un mare quasi nero.
Si
era fermato, per alcuni istanti, a guardare la nera acqua della Senna
che, pigra, scorreva attraverso la città, capitale di un paese
prossimo al disfacimento.
Ad
un tratto il rimbombo di uno sparo era esploso e un dolore atroce
l'aveva trafitto al petto.
– Finalmente…
– aveva pensato, gli occhi velati da una morte che aveva
creduto imminente. In quegli istanti, mentre il calore del sangue
fluiva dal suo corpo, aveva recuperato coscienza della realtà
che lo circondava.
E,
implacabile, l'oscurità era calata sul suo sguardo.
Aveva
aperto gli occhi, sgomento.
– Co...
Cosa? – aveva pensato, il petto martellato dai battiti furiosi
del cuore. Avrebbe voluto credere di essersi risvegliato nell'Aldilà,
ma il suo istinto aveva compreso quale fosse la verità…
Per
alcuni istanti, aveva fissato lo sguardo verso l'alto, assente. Cosa
era accaduto?
Perché
quel colpo, che gli aveva trapassato il cuore, lo aveva risparmiato?
Ne
era sicuro, era ancora vivo.
Lentamente,
si era sollevato e aveva abbassato la testa. Avvertiva la stretta
morsa dell'ansietà stringergli dolorosamente il cuore, eppure
la sua mente necessitava di conferme.
La
consapevolezza, per quanto dolorosa e lacerante, era meglio del
dubbio divorante.
– Non
è possibile… – aveva sussurrato, sgomento. La sua
camicia era stata aperta e nessuna ferita deturpava la sua pelle
liscia e rosea, come se non fosse stata colpita da una pallottola.
Era
rimasto immobile, lo sguardo assente fisso in un punto indefinito.
Aveva veduto ferite simili, nel corso della sua lunga carriera nelle
Guardie Reali, e si erano rivelate spesso mortali.
Nessun
medico, per quanto competente, avrebbe potuto curarle in quel modo
perfetto
Eppure,
lui era rimasto illeso.
– E'
assurdo… – aveva mormorato e si era preso la testa tra
le mani, il corpo scosso da brividi. Una qualche terrifica forza
demoniaca lo aveva maledetto con una condanna senza appello...
Ma
perché? Di quale colpa si era macchiato?
Perché
Dio lo aveva abbandonato?
Ad
un tratto, la porta della stanza si era aperta e Victor si era
girato, scuotendosi dai suoi pensieri.
– Sono
felice che vi siate ripreso. – aveva detto la persona che era
entrata, la voce calma e cortese.
Era
un uomo dall'apparente età di trent'anni, di statura piuttosto
alta e di corporatura snella, malgrado i muscoli che si indovinavano
scattanti.
Corti
capelli, d'un intenso color castano scuro, dai riflessi color mogano,
ornavano, come un'aureola, un volto dai lineamenti regolari, su cui
spiccavano gli occhi dal taglio sottile, d'un intenso color grigio,
che li rendeva simili a nubi prossime all'esplosione di una tempesta.
Indossava
una giacca bianca a righe azzurre con bottoni di madreperla e
risvolti di pizzo alle maniche, pantaloni neri, che arrivavano fino
al ginocchio, e stivali del medesimo colore.
Victor,
per alcuni istanti, lo aveva fissato. L'uomo che era dinanzi a lui
pareva della sua stessa classe sociale.
Eppure,
perché non lo aveva mai visto?
– Permettete
che mi presenti. Il mio nome è Connor MacLaod e sono
originario di quella terra che, fino al 1707, si è chiamata
Regno di Scozia. – si era presentato il giovane uomo con un
perfetto accento francese.
– Immagino
che voi siate un nobile francese. – aveva mormorato poi e un
leggero sorriso aveva piegato le sue labbra sottili.
– Sì.
E mi chiamo Victor Clement de Girodel. – si era presentato a
sua volta il francese, quasi stesse parlando tra sé.
Dinanzi
al suo sguardo confuso, lo scozzese aveva annuito e un sospiro era
risuonato sulle sue labbra.
– Immagino
che voi vogliate sapere cosa sia successo e perché siete
salvo, nonostante la vostra grave ferita. Sbaglio? – aveva
domandato Connor e il francese, meccanicamente, aveva annuito.
Tuttavia una domanda arroventava la sua mente...
Come
poteva quell'uomo di origine scozzese conoscere la realtà di
quanto accaduto?
– Aspettatemi
qui. – aveva detto Connor ed era uscito, lasciandolo solo, la
mente gravata da confusione e ansia. Cosa aveva intenzione di fare il
suo interlocutore?
Qualche
istante dopo era ritornato e, nella mano destra, stringeva un pugnale
dall'elsa finemente decorata.
– Guardatemi.
– aveva ordinato, la voce decisa, Connor e, dopo essersi aperti
aperto la giacca e la camicia, aveva immerso l'arma nel suo petto.
– Non
è possibile… – aveva mormorato il francese.
Certo, l'ombra del dolore oscurava lo sguardo del suo interlocutore,
ma dalla ferita non sgorgava sangue...
Come
era possibile?
Con
un gesto deciso, Connor aveva estratto l'arma e la ferita si era
richiusa, senza lasciare traccia sul suo petto.
– A
me... E' successa una cosa simile… – aveva balbettato il
francese, sorpreso. Dio aveva maledetto altre persone?
Ma
perché?
Di
che colpa si erano macchiati lui e quello strano individuo di origine
scozzese?
– Anche
in voi si è attivato il potere della reviviscenza. Ora siete
un immortale, come me. – aveva risposto Connor, la voce velata
da un’ombra malinconica.
– In
questa lunga vita ho compreso molte cose. – mormorò il
francese. Tra di lui e l'Immortale di origine inglese si era creato
un legame di rispetto e di amicizia, che gli aveva consentito di
andare avanti...
Senza
la paziente guida dello scozzese, la sua mente si sarebbe persa nel
vortice della follia…
– Quanto
sono debole… Avevate ragione, mia amata Oscar, a rifiutarmi.
– ridacchiò tristemente. Connor, nei lunghi anni da
immortale, aveva conosciuto la morte di diverse persone a lui care e
l'esclusione sociale dal suo gruppo familiare, eppure era stato
capace di proseguire nel lungo cammino della sua esistenza…
E
invece lui, che si era ritenuto forte, ancora si perdeva nei ricordi
di una donna che, pure, non lo aveva mai amato.
Eppure,
non poteva farne a meno.
Aveva
una necessità spasmodica di guardare quella semplice lapide,
su cui spiccava il nome di quella creatura che tanto aveva amato.
– Ora
posso dirlo, mia amata Oscar: voi siete stata fortunata. Almeno non
avete conosciuto il crollo delle vostre speranze. – mormorò
l'ex Comandante delle Guardie Reali francesi. In quei lunghissimi
anni di vita immortale, aveva osservato, anche dai posti più
lontani, le mutazioni che la Francia aveva conosciuto...
Un
gemito di dolore morì sulle sue labbra. Nei tre anni
successivi alla Rivoluzione che aveva scosso le fondamenta della
Francia, aveva visto cadere sotto la lama della ghigliottina diversi
suoi familiari...
Quel
ricordo era una ferita che, ancora, non cessava di sanguinare
copiosamente.
La
lama della ghigliottina aveva troncato le teste dei suoi familiari e
di tanti altri, nobili e non.
Quanto
sangue inzuppava le fondamenta di quella nuova Francia?
Era
consapevole dei rischi, ma, nel corso dell'anno 1792, era voluto
ritornare in Francia.
Aveva
una necessità struggente di rivedere i suoi familiari con cui,
suo malgrado, aveva troncato ogni contatto.
Connor,
nonostante tutto, lo aveva sostenuto e accompagnato. Aveva compreso i
suoi desideri e di questo lo avrebbe ringraziato sempre...
I
due avevano attraversato Place de la Revolution e, dinanzi alla
sinistra figura della ghigliottina, un brivido aveva trafitto la sua
schiena. Le notizie sulla Francia lo avevano raggiunto nei lunghi
viaggi che lui e Connor avevano fatto, ma la visione sinistra di
quella macchina di morte era raggelante...
Oscar
aveva tradito la sua famiglia per un ordine nuovo bagnato di sangue?
– Che
orrore… – aveva mormorato il francese. Aveva creduto
nell'utilità della pena di morte, ma, dinanzi a quella
macchina, che tante teste aveva staccato, le sue idee non erano più
così ferme...
O
forse era una conseguenza dello stato di incertezza nella quale tutti
i francesi vivevano?
Connor
aveva taciuto e gli aveva appoggiato una mano sulla spalla,
costringendolo a tacere.
Si
erano voltati e avevano scorto il carro dei condannati avanzare verso
il patibolo.
Un
gemito era risuonato sulle labbra del francese. Aveva riconosciuto,
ammassati in posizione precaria su quel carro, diversi suoi
familiari...
– Madre...
Padre... Louis... Charlotte… – aveva balbettato, gli
occhi lucidi di lacrime. Anche diversi suoi familiari erano lì.
Aveva
fatto un passo, ma la ferma mano di Connor sulla sua spalla lo aveva
trattenuto.
– Riflettete.
Anche i vostri familiari, se vi vedessero, vi considererebbero un
demone e non vi riconoscerebbero. Le persone non sono pronte ad
accettare qualcosa che non comprendono e, forse, non lo saranno mai.
– aveva mormorato lo scozzese, la voce ferma e decisa e lo
sguardo cupo fisso nel suo.
Il
francese, sconfitto, aveva reclinato la testa. Il suo compagno
immortale aveva ragione... Probabilmente, i suoi familiari non
avrebbero compreso la realtà e avrebbero respinto
sdegnosamente il suo tentativo di salvataggio...
Non
aveva più nessun legame con quel mondo che si stava
disfacendo, come un corpo putrescente...
– Volete
che ce ne andiamo? – aveva chiesto lo scozzese con premura.Il
suo tono di voce, prima secco e deciso, si era addolcito nella
preoccupazione...
Comprendeva
quanto a lui facesse male quella vista orrorifica e quanto lo
distruggesse la consapevolezza di non potere fare nulla.
Victor
si era irrigidito, poi aveva sospirato. Nonostante tutto, Connor
MacLaod ben capiva la sua sofferenza...
– No…
Però restatemi vicino. Non ce la farei a sopportare quella
visione da solo. – gli aveva chiesto e lo scozzese aveva
annuito, posandogli la mano sulla spalla.
E,
insieme al suo compagno, aveva osservato il crollo della sua
famiglia.
Erano
ritornati nella locanda che avevano affittato, seri, cupi, disperati.
Diversi
tremiti, in quei momenti, avevano scosso le spalle di Victor. Nel
corso di lunghi anni aveva ricevuto un addestramento che gli aveva
insegnato a controllare le sue emozioni, ma quelle visioni lo avevano
annientato.
Non
riusciva a comprendere le ragioni di un tale, feroce odio
autodistruttivo.
O
meglio, in parte afferrava quanto fosse accaduto, ma perché
accanirsi anche su due ragazzi come Louis e Charlotte?
Entrambi
erano poco più che bambini, che nulla comprendevano di quanto
stesse accadendo.
Eppure,
anche le loro teste erano cadute in quel catino e la lama spietata
della ghigliottina aveva assaggiato il loro sangue.
Nel
chiuso della stanza della locanda, lacrime silenziose avevano bagnato
le sue guance. Cosa gli era rimasto in quel momento?
E
una rabbia impotente mordeva il suo cuore. Connor aveva ragione, se
avesse tentato di salvarli, non lo avrebbero riconosciuto, eppure il
pensiero di avere osservato inerte quella mattanza non si placava...
Si
era rivelato un vile!
Pur
avendo simili poteri, non se ne era servito per salvare i suoi
familiari, a cui pure voleva bene!
– Non
siete un vile. Respingete questo pensiero dalla vostra mente. –
aveva detto lo scozzese sedendosi sul letto accanto a lui.
– Ho
lasciato morire i miei familiari… – ripeteva
amaramente, lo sguardo fisso nel vuoto.
– Ve
lo ripeto, non avreste potuto fare nulla. Non vi avrebbero
riconosciuto. L'affetto scompare dinanzi a quello che non si conosce.
– aveva risposto grave Connor. Gli dispiaceva vedere riflessa
in quegli occhi chiari una tale angoscia, ma non voleva che Victor
conoscesse la stessa delusione da lui provata...
Anche
egli, quando era resuscitato dalla morte duecento anni prima, era
stato rinnegato da quella che considerava la sua stessa famiglia.
Non
erano stati capaci di andare oltre le apparenze e lo avevano bandito,
a parte suo cugino.
Per
alcuni istanti erano rimasti immobili, come se fossero stati
pietrificati da un incantesimo.
– Connor…
– aveva esordito ad un tratto il francese.
– Sì,
che c'è? – aveva domandato l'ex guerriero scozzese.
– Mi
avete detto che avete intenzione di andare in Portogallo. Ecco,
vorrei venire con voi… Almeno per ora, restare in Francia mi
fa troppo male. – aveva sussurrato, la voce colma di pudore.
– Certo.
– aveva risposto semplicemente l'altro e gli aveva appoggiato
una mano sulla spalla. Volentieri avrebbe accettato la compagnia del
suo amico francese...
Entrambi
avrebbero lenito la loro solitudine di immortali.
Il
rumore di alcuni passi interruppe il filo dei suoi pensieri e il
francese, dopo essersi rialzato, si girò.
– Ah,
siete voi. – mormorò riconoscendo lo scozzese, che
avanzava verso di lui.
Un
mezzo sorriso sollevò le labbra dell'altro. Victor ,
nonostante il lungo corso dei decenni, non aveva perduto il
linguaggio formale e rispettoso del suo tempo e della sua casta...
Probabilmente,
tale ricordo gli serviva per non impazzire e illudersi della
inesistenza del cambiamento avvenuto.
Ad
un tratto, lo sguardo dello scozzese fu attirato dalle lapide,
fronteggiata da un mazzo di rose dai petali vermigli, che parevano
intinte nel sangue vivo.
– Oh,
era un vostro amante alla corte di Versailles? – domandò
lo scozzese. Aveva scorto su quella tomba il nome Oscar…
Dunque, il suo compagno aveva quelle tendenze?
Alzò
le spalle. Anche se così fosse stato, nulla cambiava tra di
loro...
Victor
aveva sempre mostrato un comportamento cortese verso il prossimo e
questo non sarebbe cambiato.
Inoltre,
la sua immortalità gli aveva insegnato a guardare con distacco
le convenzioni e le ipocrisie della società...
Il
francese, dinanzi alla domande dell'amico, reclinò la testa e,
per alcuni istanti, tacque.
–
Veramente
no. Questa è la tomba di una donna meravigliosa e, accanto a
lei, è sepolto il suo amato. Era lei a comandare la Guardia
Reale a Versailles. – sospirò.
– Una
donna con un nome da uomo? – chiese sorpreso Connor. In quei
primi anni del ventesimo secolo entrambi avevano assistito alle prime
rivendicazioni di uguaglianza delle donne, ma ancora esse non avevano
avuto la possibilità di entrare nell'esercito…
Come
era stata possibile una simile eventualità negli anni che
avevano preceduto la Rivoluzione Francese?
In
quegli anni, la donna, anche nelle classi agiate, era ridotta al
ruolo di moglie e madre di figli che avrebbero prolungato il cognome
del marito.
Poche
donne, dotate di genio, coraggio e spirito, avevano avuto la
possibilità di strappare il loro nome all'impetuoso fiume
della storia...
L'ex
comandante delle Guardie Reali di Francia, dinanzi alla domanda del
membro del clan MacLeod, sorrise.
– Suo
padre non aveva avuto figli maschi e, così, per continuare il
suo nome ha deciso di allevare la sua ultimogenita come un ragazzo e
le affiancò come compagno di giochi un appartenente al popolo,
Andrè Grandier. – cominciò.
– Fu
lei a dovermi sfidare per il comando nella Guardia Reale e,
nonostante la mia abilità con la spada, mi sconfisse. Ma
quell'evento mi diede la possibilità di conoscere una persona
leale e onesta, che spiccava come una perla luminosa in quel mare di
fango che era la nobiltà francese, di cui pure io stesso
facevo parte. – continuò, lo sguardo perso in un punto
lontano.
– E
di questa donna vi siete innamorato. – dedusse Connor. Gli
sarebbe piaciuto conoscere una donna così eccentrica, capace
di attirare gli interessi e gli sguardi degli uomini a causa del suo
carattere fermo e risoluto...
– Sì.
Ma lei non ricambiò mai il mio amore… Anzi, quando le
confessai i miei sentimenti, mi disse che avrei dovuto dimenticarla.
E, nonostante lei avesse ragione, non ci sono riuscito. Non ho nessun
ricordo di lei e questo mi fa ancora male, dopo tanti anni. –
disse il francese.
Connor
tacque. Il sentimento del suo amico francese per quella donna doveva
essere stato profondo e sincero…
Gli
ricordava l'amore che, per poco tempo, aveva legato lui a Heather.
–
Scusatemi.
Dovrei ricordarmi che voi avete vissuto molto più tempo di me
e avete visto morire molte più persone a voi care. Sono un
vero idiota. – si scusò l'immortale francese. Anche il
suo amico scozzese aveva amato una donna, in un lontano passato...
Come
poteva essere così egoista?
Connor
gli appoggiò la mano sulla spalla e lo costrinse a voltarsi.
– Non
preoccupatevi. Io ho visto morire mia moglie più di tre secoli
fa, ma almeno ho avuto la possibilità di vivere con lei pochi,
bellissimi anni. E lei ha lasciato in me un ricordo che non sarebbe
mai invecchiato. A voi non è stato concesso nemmeno questo.
Siamo pari. – rispose l'antico guerriero scozzese calmo. Non
poteva certo condannare il suo amico francese se ancora, malgrado
tutto, non era riuscito a dimenticare Oscar...
I
suoi sentimenti per quella donna soldato erano simili a quelli che
lui stesso aveva nutrito per Heather!
Victor,
tuttavia, non aveva potuto essere felice, seppur per poco e questo
rimpianto gli faceva molto male...
La
loro malinconia era molto simile, malgrado le origini differenti.
Perché
l'immortalità era la radice di quella solitudine con cui
avrebbero dovuto convivere, nel lungo cammino della loro esistenza.
– Ma,
anche se per me è doloroso dirlo, lei è stata fortunata
a morire così presto. Almeno, non ha visto la caduta dei suoi
sogni di libertà e di uguaglianza ed è stata sepolta
accanto all'uomo che amava. – sospirò l'immortale
francese.
Connor
annuì e gli cinse con un braccio le spalle. La riservatezza
estrema di Victor gli aveva ispirato rispetto, ma in quel frangente
gli pareva un ragazzino travolto da un ricordo doloroso e, nel suo
cuore, si risvegliava un istinto quasi paterno di protezione...
In
alcuni momenti, Victor gli ricordava lui stesso nei primi momenti di
vita immortale, quando era stato addestrato da Ramirez.
Qualche
istante dopo, il francese, con garbo, si separò dal compagno.
–
Grazie,
Connor. – gli disse semplicemente.
– Di
nulla. E ora, per cortesia, usciamo da questo cimitero. Cerchiamo di
rendere piacevole questa immortalità. E non ci riusciremo
certo stando qui fino all'alba. – rispose lo scozzese e
sorrise.
L'ex
capitano delle Guardie Reali ricambiò il sorriso e, insieme,
uscirono dal cimitero.
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