"Dorayaki - Dalla Terra, con amore", di Overlook è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Dorayaki
– Dalla Terra,
con amore
di
Overlook, 2015©
_____________
I
cinque sensi s'affievoliscono, sino a
costituirne uno soltanto, in cui gli occhi vogliono restar serrati,
le orecchie non desiderano altro che il silenzio, la bocca avverte
che è meglio non provocarla; il naso non fa altro che
lamentarsi di
odori troppo preponderanti, nell'ambiente circostante e le mani
s'illudono d'essere composte di ghiaccio. I riflessi si fanno
rallentati ed il passo malfermo, l'umore si ingrigisce e tutto il
circostante sembra non volersi fermare mai, mai, mai, in un infinito
girotondo dai contorni sfocati e tremebondi, bramoso d'inghiottire la
vittima del momento in quell'incessante vorticare, ebbro di suppliche
e di lamenti strazianti, ma muti, che corpo e mente della preda
uggiolano al vuoto oppressivo di quella morsa invisibile che
è la
nausea.
Il
fatto che in tutto ciò sia molto
più facile incappare a bordo di una imbarcazione o comunque
sospesi
sulle acque, che siano oceaniche o fluviali, non a caso porta alla
generica definizione di mal di mare.
Vegeta,
che di mali di tipo fisico o
psicosomatico ne aveva provati pochi o nessuno, nella vita, se
rapportati a quelli più profondi, esistenziali, che l'avevano plasmato ex novo, di certo
poteva ben
credersi immune, a quel genere di disagio; se qualcuno si fosse
azzardato a dire che non si può esser certi di
ciò che non si è
sperimentato personalmente, questa volta il principe avrebbe avuto
ragione da vendere, nel ringhiargli contro che sì, ebbene
sì,
il principe dei Saiyan s'era non soltanto presentato su una
imbarcazione -e che imbarcazione, la faraonica Princess
noleggiata da Bulma per il proprio compleanno-, ma che pure sul ponte
principale di questa aveva trascorso interminabili minuti, a scrutare
il manto celeste; senza obiettivo alcuno, avrebbe detto un Terrestre qualunque.
Non soltanto: al termine, del tutto sorprendente, dello scontro
divino consumatosi, anziché dileguarsi celere alla volta
della
terraferma, aveva concesso, più a sé stesso che
alla moglie, di
rimanere, di trascorrere la notte su quella nave tanto enorme quanto
lenta, per uno come lui che con un briciolo di concentrazione sarebbe
stato in grado di sfrecciare alla velocità del suono,
lasciando che
le acque s'inchinassero al suo cospetto.
E
quel mal di mare, mica lo aveva
avvertito. Anzi.
Non
lo aveva attanagliato durante la
cena ricca di manicaretti e incorniciata da una deliziosa torta ai
frutti rossi, non ne era caduto preda mentre lento si disfaceva della
battle-suite e s'andava a coricare supino; ne era stato immune pure
alle ore quattro della notte, quando, solitario e seminudo,
cogitabondo sul terrazzino della suite matrimoniale, era stato
raggiunto da una Bulma assonnata ed infreddolita...
Si
tormentava allora sul perché,
perché proprio in quel momento, immerso in una atmosfera dal
peso
gravitazionale differente, dalle coordinate cosmiche praticamente
opposte, ma soprattutto priva di superfici navigabili, avvertiva
quella spossatezza e quella condizione quasi febbrile che tanto lo
stavano abbattendo ed infastidendo. Di influenza, di malanni ed altri
acciacchi squallidamente Terrestri, era scontato non dover tenere
alcun conto. Non era nel genoma Saiyan, la predisposizione a
contrarre virus. Solo i più infidi e potenti, avevano una
possibilità contro l'acciaio del loro organismo e senz'altro
questi
non bazzicavano per le vie della Città dell'Ovest, forse
nemmeno sul
pianeta Terra. Il bacillo che aveva attaccato il pericardio di Son
Goku, anni prima, era stato incubato sin dalla tragica esperienza sul
pianeta Namecc, quando tra sudore, saliva e sangue, il Super Saiyan
ed il malvagio Freezer erano entrati fisicamente in contatto ben
più
di una volta. Questa, almeno, la conclusione alla quale erano giunti
Bulma e suo padre, analizzando i componenti dei residui della
medicina provvidenzialmente offerta dal Trunks del futuro.
Quel
ragazzo...
Non
era disprezzo, ma terrore, quel che
Vegeta, nei suoi confronti, aveva ostentato arrogantemente: le
viscere gli si erano liquefatte, al mostrarsi di quel figlio, non
piagnucolante, non neonato, ma coraggioso ed eroico guerriero
arrischiatosi in un'altra dimensione temporale, addirittura, pur di
salvare i propri cari. S'era sentito talmente piccolo, da doversi
ridimensionare, secondo il proprio sadico gusto, col solo mezzo a lui
ben noto: una smisurata dose di orgoglio insensibile, caparbio e
presupponente. Sino al momento della dipartita del devoto giovanotto che tanto aveva denigrato. Da lì, da quel
fulmineo
istante, qualcosa s'era infranto come un vetro colpito da un
proiettile. E, in quello stesso fulmineo istante, l'ira e il cieco
desiderio di vendetta propri di un padre erano esplosi proprio come
un proiettile, proprio contro quel vetro.
Nell'imperdonabile
indecisione tra il
proferir parola e il voltarsi dall'altra parte, ricaricato di un
orgoglio più moderato e consapevole, s'era limitato a
ricambiare il
rispettoso gesto del figlio, quando dai giardini della Capsule
Corporation egli aveva preso il volo a bordo di Hope...
“È
permesso?”.
Il
groviglio inestricabile di abissali pensieri sull'orlo del baratro
tra il passato, il presente ed il futuro s'interruppe bruscamente
all'udire il suono flautato di quella voce mansueta eppure
autorevole, alla quale il Saiyan volle rispondere con il consueto
tocco personale: “Si trova già a metà
della stanza, avrebbe
dovuto chiederlo prima, se le fosse davvero premuto non disturbare,
non crede?”.
“È
sempre così teso, principe Vegeta... Si rilassi!”.
Il
longilineo alieno, dall'aria assai più divina di quella del
primo
discepolo, soave nel pronunciarsi ed elegante nell'esprimere
qualunque gestualità, si portò in avanti, alla
destra della
finestrella scavata nella pietra di cui erano composte le pareti di
quella singolare camera da letto circolare, dove giaceva, scomposto e
profondamente addormentato, supino e russante, Son Goku; dalla parte
opposta, il letto sfatto, ma vuoto, di Vegeta, che per l'appunto si
trovava in piedi ben diritto, proprio di fronte a quella piccola
finestra, spoglio dei consueti guanti e della corazza al petto. La
porta, rimasta socchiusa, si trovava esattamente alle sue spalle, ma
il duro e alquanto particolare allenamento a cui già da mesi
s'era
volontariamente sottoposto, stava dando i suoi frutti: la percezione
del Ki ultraterreno,
risultava ormai un giochetto da ragazzi.
“Come
mai ancora in piedi a quest'ora, se posso permettermi di
chiederglielo? Credevo fosse esausto, dopo l'allenamento di
oggi!”.
Lo sguardo dolce, ma astuto e sibillino di Lord Whis, si fece bonario
e stretto in un sorriso spensierato e scherzoso, mentre una nivea
mano si portava davanti alle labbra carnose per trattenere
educatamente un abbozzo di risolino.
Le
pupille del suo interlocutore, fuse in un tutt'uno con la notte
profonda, divennero invisibili nello scatto del mento dal lato
opposto al suo. Per l'ennesima volta, quel particolarissimo maestro
l'aveva punzecchiato sul vivo nell'ammissione di una debolezza,
qualche ora prima: Nel bel mezzo del banchetto servito ai due
neo-discepoli per cena, Son Goku, a bocca piena, s'era prodigato in
una sorta di gorgoglìo, che aveva voluto significare, su per
giù,
“Grazie e mille, Lord Whis, siamo così stanchi ed
affamati che
potremmo anche metterci a dormire mentre gustiamo questi deliziosi
runbing!”, sventolandogliene uno
licenziosamente proprio
poco sotto il naso sottile. Il principe dei Saiyan, continuando
imperterrito a trangugiare il galeotto ramen
offertogli, non
aveva obiettato in alcun modo, anzi, abbozzando un cenno di assenso
sospirato.
L'alba,
su quel pianeta pressoché piramidale, era d'assai rara
bellezza.
Quando i flebili raggi dell'astro nascente ad Est incrociavano lo
sguardo timido dei Soli dell'Ovest e del Sud, un cono di luce
abbagliante ed avvolgente annunciava il trionfale ingresso della
cronosfera del Nord, fiammeggiante ed opalescente. Si stagliava
così,
nell'unico varco incolore di quel cielo scarlatto, uno spettro
scintillante dalle sfaccettature infinitamente variegate; neppure il
più abile dei pittori avrebbe potuto utilizzarne
più di un paio in
un proprio dipinto, talmente quelle sfumature erano sconosciute nel
resto del sistema solare di quell'universo. E, sin da quel momento,
in cui, comodo su uno dei rami più alti dell'albero
troneggiante,
aveva centellinato una bevanda corroborante, Vegeta aveva compreso
che, per qualche motivo, quella giornata, già dì
per sé singolare,
non sarebbe stata come tutte le altre sino ad allora vissute su quel
pianeta.
Ora
che la notte aveva inghiottito i quattro Soli, le mappe stellari
naturali e il rossore pudico della volta celeste, egli riconosceva
che relativamente poco aveva influito l'arrivo dell'eterno rivale,
insieme al maestro. Era qualcosa di più profondo, di
più
sconcertante, di più intimamente imbarazzante, per una
tempra come
la sua. Ed era pure lo stesso qualcosa
che l'aveva reso insonne e che, per tutta la durata degli allenamenti
e delle faccende domestiche, sino al giungere di quel momento
solitario, gli aveva restituito solo un irritante... Mal di mare.
“Sa,
questa mattina, al mio arrivo alla Capsule Corporation, sua moglie mi
ha accolto con uno dei più deliziosi infusi aromatici avessi
mai
assaporato...”, proruppe Whis, azzardando un'espressione
sorniona
all'indirizzo del Saiyan, come si aspettasse una ben precisa
reazione.
Risuonando
nella stanza solo un ringhio sommesso, seccato e sprezzante, decise
di continuare: “... E me l'ha offerto ancor prima che potessi
farle i
miei più vivi complimenti...”. L'ennesima frase
soppesata
accuratamente irretì l'altro, che si lasciò
sfuggire uno sguardo
vagamente incuriosito.
“...
Per il nuovo aspetto! Un taglio di capelli davvero moderno, ma
signorile. Il foulard abbinato a pantaloni attillati, poi,
assolutamente graziosissima, Bulma-san!”.
Per
qualche motivo, quella giornata, già dì per
sé singolare, non
sarebbe stata come tutte le altre sino ad allora vissute su quel
pianeta? Sì, eccolo, il motivo. Bulma,
fondamentalmente.
Difficoltà
a distanziarsi fisicamente per qualche tempo non ve n'erano state,
abituati entrambi ad una simbiotica autonomia sin dai tempi in cui
soltanto il sesso fungeva da calamita tra i due. Certo, da donna
Terrestre qual era, in fin dei conti, lei una lacrima l'aveva
versata, sorridendogli già minuscola dal basso dei giardini
della
Capsule Corp., dai quali s'era librato insieme a Whis. Lui, invece,
che sarebbe mancato da casa solo per un po' e che il suo cuore sarebbe
rimasto sempre e solo accanto
a lei, era sicuro d'averglielo detto non a parole, non quella
mattina, non nei giardini, non alla luce del Sole. Ma glielo aveva
detto e lei lo aveva compreso. Nulla di più certo. Ormai,
tra loro,
niente era più un'incognita, nemmeno a distanza di anni
luce. Però
l'addestramento in sé, richiedendo una spiccata
concentrazione
spirituale, poco a poco lo aveva portato a dover relegare Bulma, la
sua casa, la sua famiglia nelle grinfie di un mero pensiero laterale,
preferendo sfogare gli istinti belligeranti e la smania di
miglioramento, prima di ogni altra cosa. E mano a mano, le capatine
alla C.C. di cui innocentemente Whis ammetteva l'esistenza, s'erano
fatte da vagamente irritanti a, semplicemente, irrilevanti.
Sentir
proferire ora, dalla bocca del proprio maestro, che l'innegabilmente
affascinante moglie s'era cimentata in un nuovo tipo di vestiario e
di taglio di capelli, gli faceva schiumare il sangue su poli opposti:
cosa mai avrebbe dovuto importare al principe dei Saiyan di
frivolezze simili, soprattutto a quell'ora, in cui avrebbe dovuto
riposare e basta?
Sull'altra
sponda del fiume in piena stava un torpore acuminato e velenoso, che
gli bruciava i contorni del fegato e gli erodeva l'arroganza del tono
di voce. Come osava, quel suo stesso maestro, guardare Bulma in quel
modo, la sua
Bulma,
di cui solo lui avrebbe avuto il diritto d'osservare silenziosamente
la differente piega della chioma o il più sensuale abito
indossato?
Ben
conscio della totale assenza di motivi per cui preoccuparsi di Lord
Whis in quei termini, d'altronde, Vegeta si risolse a rispondergli
semplicemente “Tsk,
Bulma non sa pensare ad altro, non appena ha del tempo libero. Solo
stupidi vestiti e stupidissimi parrucchieri”.
“...
E stupidissimissime divise da combattimento nuove, sembrerebbe”. Il gomito
nodoso
del più alto, andandosi a scontrare appena, licenzioso,
sulla spalla
dell'altro, parve a Vegeta un pugnale, più che altro.
Facendo
scattante dietro-front, egli si avvicinò al proprio letto,
disfandosi della parte superiore della battle suite di color pervinca
scuro, continuando a fissare cupamente l'impiantito freddo e grezzo.
“Guardi
che so perfettamente, cosa
sta provando in questo momento, sa? Sono pur sempre il maestro di una
divinità, io! Lei non riesce ad
ammetterlo, non vuole forse
nemmeno accettarlo, ma la sua famiglia le manca molto di più
della
voglia di rimettersi in gioco come guerriero”.
Lo
sguardo del Saiyan, ora sgomento e
ben ancorato alla fiera schiena di Lord Whis, fu abbastanza eloquente
da permettere a quest'ultimo di proseguire senza neppur voltarsi:
“È
diventato molto, molto più forte, in questi mesi, se ne
rende conto?
Posso persino azzardarmi a supporre che lei abbia superato di gran
lunga il suo amico...”.
“Kaharot
non
è mio amico!”,
abbaiò Vegeta ignorando volutamente il resto della frase.
Doveva
ancora avere più prove, da parte di sé stesso,
per poter essere
certo di una cosa simile. Era meglio essere prudenti, nel cantar
vittoria.
“...Ad
ogni buon conto...” - aggiunse il maestro continuando a
dargli le
spalle, nella compostezza rispettosa a lui confacente - “...
Ancora
molti, sono gli errori che lei commette e che in quanto tali, la
ostacolano nel totale sviluppo delle sue potenzialità. Come
domattina vi spiegherò, lei spreca troppo tempo a pensare,
prima di
agire, caro mio. Il corpo deve riuscire a prendere decisioni
autonomamente, capisce? Beh, mi pare comunque questo il momento
più
appropriato per rivelarle, detto tra noi, che...”.
Il
principe, esterrefatto dalle capacità d'osservazione e
deduzione
dell'altro, che da assai poco lo conosceva, in verità, lo
pregò di
continuare, come intrappolato in una sorta di trance,
nella quale, seppur dolorosamente, era piacevole, annegare, una volta
tanto. Lord Whis si voltò allora a guardarlo, diritto negli
occhi,
sorridente, saggio ed astuto come non mai.
“...
Se vuole superare sé stesso, se desidera arrivare a ben
altri
livelli, dovrà far sì che anche il suo cuore,
sia in grado d'agire autonomamente, rispetto al suo pensiero”.
La
bocca di Vegeta, dischiusasi in un lampo, tremò appena, nel
cercare
di articolare una risposta, senza trovar parole e voce adatti a
tentare per l'ultima volta di difendere il proprio orgoglio dinanzi a
quella fonte troppo pura e vicina, di verità latenti.
Lord
Whis, a cui pochi minuti erano bastati, durante lo scontro tra Son
Goku e il dio della distruzione Bills, per inquadrare Vegeta e
comprenderne a fondo la natura e le particolarità
più celate,
scorse anche in questo caso l'ennesimo atto della sanguinosa guerra
muta e feroce che dentro al guerriero si stava svolgendo, mietendo
vittime e proclamando vincitori con pari frequenza. Decise, bonario,
d'intervenire, a placare anche solo momentaneamente quel duello
eterno ed infinito, che l'aveva visto marionetta impotente dal
momento in cui la stravagante scienziata gli aveva rivolto parola,
appena giunti sul pianeta Terra, entrambi ancora frastornati
dall'esperienza su Namecc.
“...
Oltre che, ovviamente, imparare a collaborare con Son Goku,
anziché
perseverare nel darvi addosso. Non si è ancora accorto che
contro di
me non potrete mai farcela, se non unite le vostre forze?”.
Sorridendo spocchioso, ma candido, al volto impallidito e costernato
dell'altro, si alzò definitivamente in piedi e si accinse ad
accomiatarsi, dirigendosi verso la porta.
“Da
bravo, adesso, mi dia retta. So che sarà duro da digerire,
questo,
ma prenda esempio dal suo collega. Cerchi di dormire, domani non
rallenterò il tempo di scomparsa delle zolle di terreno
durante
l'allenamento con i pesi!”.
Inchinandosi
appena, muto e formale, come ormai da tempo aveva imparato a
rivolgerglisi, Vegeta si liberò anche del pantalone della
divisa da
combattimento, accomodandone i lembi ordinatamente sulla spalliera
dell'essenzialissimo giaciglio.
“Dimenticavo...”
- aggiunse, già quasi sulla soglia, ma rimanendo di spalle,
Lord
Whis - “La sua adorabile moglie mi ha minacciato di non farmi
più
entrare a casa vostra,
se non le avessi consegnato il pacchetto...”.
“C-che
pacchetto, signore?”. Il tono d'un tratto ossequioso, ma mai
viscido, del Saiyan, s'era caricato di sorpresa, curiosità
ed una
punta di imbarazzo. Bulma gli mancava da
morire.
Ormai che persino il suo maestro, gliel'aveva fatto presente, gli
pareva stupido tenerlo nascosto solo a sé stesso. Certo a
Kaharot
non avrebbe rivolto nemmeno mezza parola a tal proposito, su quello
non ci sarebbe piovuta mai nemmeno una microscopica goccia di
pioggia. L'aveva già punto sul vivo durante lo scontro con
Majin
Buu, sul pianeta dei Kahioshin, di certo qualcosa di simile non
sarebbe mai
più
ricapitato. Nemmeno per sbaglio. Nemmeno se si fosse trattato di
salvare qualcosa o qualcuno.
“Ma
come, ha avvertito la mia presenza ancor prima che proferissi parola,
poc'anzi, ma non si è accorto che le ho lasciato un pacchetto
proprio
lì, sul comodino? Vede, caro, quant'ancora ha da imparare?
… Si
goda il riposo”. Lo scatto della maniglia subito seguente,
diede
conferma a Vegeta d'essere solo, visto il pesante sonno dell'altro
Saiyan, in quella stanza. Lui, il vortice estenuante, piacevole,
lancinante, avvolgente dei propri pensieri verso la propria famiglia,
la propria dimora... Lui, quel vortice ed un pacchetto. Color verde
pastello, rettangolare, non più grande d'una comunissima
scatola da
scarpe per bambini terrestre, dotato di una maniglia in cartoncino,
dal quale un nauseante bigliettino a forma di muso di panda, forse,
faceva capolino, sporcato da qualche parola scritta a penna a cui non
prestò la minima attenzione, indaffarato ad aprire il
contenitore
senza destare Son Goku, con la cui petulante ed inopportuna
curiosità
avrebbe dovuto fare i conti, altrimenti. Ormai però era fin
troppo
bravo, Vegeta, a svolgere compiti di una certa difficoltà
manuale,
senza provocare l'altrui risveglio. Con la precisione di un laser ad
infrarossi e con la fermezza di un bisturi in mano ad un affermato
chirurgo, il dito indice sinistro del principe andò a
lacerare, con
l'aiuto di una microscopica sfera d'energia, i contorni della
scatola, della quale, a lavoro ultimato, sollevò la parte
superiore,
per scoprire che all'interno stava, mansueta e succulenta, una
composizione di sei dorayaki
al
riso disposti ordinatamente in due file da tre, tenuemente colorati
di rosa e di giallo, senza forme particolari, com'era abituato a
vedere schifato sul piatto del figlio, al momento del fine pasto. Un
sorriso, appena abbozzato, quasi increspato nell'espressione
granitica consueta, s'affacciò sul suo volto,
allorché gli occhi
ebbero concesso una possibilità anche a quello stupidissimo
bigliettino...
“Dalla
Terra, con amore.”.
-Fine-
N.D.A.:
Nel testo si trovano citazioni a:
Dragon Ball
Z,
episodi
189 - 193 - 278
Dragon Ball
Super,
episodi
9→14
“Calma
piatta e mari in tempesta”,
di esclusiva proprietà di Lilly81
“Vizi di
famiglia”,
di
mia
esclusiva
proprietà
***
Personalissimo
tentativo, costantemente ritoccato e modellato nelle ultime settimane, d'aggiustare il tiro della condotta a cavallo tra
l'episodio 16 e l'episodio 18. Giusto per
crogiolarmi e -spero- far crogiolare altri in una ritrovata pace con
sé stessi: gli amanti di Vegeta, di Bulma e della coppia da
loro
formata sono sicura capiranno eccome.
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