“Si sentii bussare alla porta.
nessuno ebbe il coraggio di aprire.
il rumore divenne più forte.
all’interno della dimora una donna iniziò ad
urlare.
la porta si aprii con forza.”
Era una giornata limpida e serena, le persone che incontravo per la
strada indossavano abiti leggeri, faceva un caldo insopportabile,
così entrai in un negozio per prendermi una bottiglia di
thé alla pesca:
- buon giorno – salutai
accorgendomi che non c’era nessuno, poi però
aspettando circa dieci secondi arrivò un uomo basso di
stazza, con un sorriso enorme ed una barba bianca e molto folta
- salve ragazzo – mi rispose
l’uomo dietro il banco del locale – cosa desideri
–
- potrei per favore una bottiglia di
thé alla pesca? – chiesi imbarazzato
- certamente, dietro di te vi sono tutte
le bibite che vuoi – mi rispose, indicandomi con il dito lo
scaffale delle bibite
- grazie – dissi io,
dirigendomi verso lo scaffale e prendendo una bottiglia di
thé alla pesca – quanto le devo? –
domandai all’uomo avvicinandomi appena al bancone.
- Sono… - mi disse, fermandosi
per un momento a fissarmi. D’improvviso il suo sorriso
scomparve, gli occhi gli divennero seri, e mentre mi guardava si
toccava la barba come se avesse voluto pettinarsela con le unghie della
mano – un euro grazie – mi rispose voltandosi, in
modo da darmi le spalle con molta maleducazione
- D’accordo – dissi
con tono tremante, nessuno mai aveva fatto così, comunque
sia me ne andai al più presto possibile, credevo che avessi
fatto qualcosa che non andava ma non vi era alcun motivo di darmi le
spalle.
Quando attraversai l’autostrada, il sole cominciò
ad emettere un colare insopportabile, ma non me ne accorsi, piuttosto
riflettei a lungo di quello che era successo al locale, per fortuna non
c’era nessun altra persona presente, avrei fatto
senz’altro una brutta figura, e io di solito non le faccio le
brutte figure, mia madre mi aveva insegnato come ci si deve comportare
nella vita di tutti i giorni ed io l’avevo ascoltata. Forse
mio padre aveva ragione a dire che era sola una misera donna in cerca
di guai, ma io non gli davo ascolto, specialmente dopo che le fece
passare l’inferno. Mio padre aveva denunciato mia madre
perché lui diceva che lei mi picchiava ma non era vero, un
giorno però mia madre iniziò a farlo
perché condizionata da mio padre, a causa di questo,
quell’uomo non trovò alcun ostacolo per
denunciarla, e così ogni tanto andavo a trasvolarla. Queste
visite erano disapprovate da mio padre, ma io ogni volta gli dicevo che
andavo a studiare nei giardini Crawt, in effetti era vero, dopo essere
andato a trovare mia madre andavo in quel posto, non potevo portarmi i
libri scolastici per niente, e quindi ne approfittavo, a casa vi era
sempre un baccano causato da mia sorella più piccola che
badavo solo io, e da mio padre che urlava in continuazione,
così era meglio per me rinchiudermi in un angolino tutto
mio, ai piedi di una albero vecchio ma sano, ascoltando qualche volta
il canto degli uccellini, e di una rondine che strano a dirsi, era
sempre nei ramoscelli di quell’albero, ad spettarmi. Io quel
giorno, ero già andato da mia madre, e quindi mi diressi
subito nei vasti e incantevoli giardini Crawt.
Laika Hallow era una ragazzina solitaria, ogni volta che finiva le ore
di scuola andava sempre a rinchiudersi nella sua camera molto
disordinata, ma accogliente abbastanza per entrarvi dentro. Lei non
amava tanto rimanere a giocare con i suoi compagni di classe, e loro
non amavano tanto giocare con lei, perché affermavano che
era matta. A Laika piacevano queste osservazioni che solo gli ignoranti
potevano fare, ma non ci badava molto. La ragazza viveva con i suoi
nonni, che le volevano bene, solo lei e i suoi due nonni sapevano un
segreto che non doveva essere svelato. Laika tra le tante cose portava
al collo un ciondolo molto strano, era rotondo, fatto in parte con il
ferro e all’interno del ciondolo una pietruzza color rossa
(simile al topazio) e al centro di questa minuscola pietra una lettera
alquanto strana “L”.
Ogni qual volta si presentava una giornata buia e triste, Laika usciva
di casa attraverso la finestra che dava su un’alta montagna
innevata, non appena uscita si dirigeva verso questa montagna sino ad
arrivare ad una grotta, buia e sinistra. E quando arrivava a
destinazione non aveva il fiatone, perché aveva una forza
simile a quella dell’uomo, anche se Laika non la pensava
così, diceva sempre che gli uomini non sono dotati come le
femmine, e che le femmine fanno più fatica dei maschi, e che
i maschi non servono a nulla, nonostante tutto a lei piaceva essere
paragonata ad un maschio, perché detestava le femminucce
indifese, come lo erano le sue compagne di classe:
- Pedasus! Pedasus! –
esclamò Laika movendo la testa in cerca di qualcuno
– dove sei? –
- Sono qui! – gli rispose una
voce squillante. Dalla caverna si stava avvicinando una figura
apparentemente deforme, che poi divenne chiara alla vista di Laika. Una
lince grande e grossa, dalle ali rosse come il fuoco, la coda lunga
come un leone e la criniera gialla come il sole, si potevano anche
notare due enormi canini al di fuori della bocca
- Eccoti Pedasus – la ragazza
corse verso “l’animale” con passo molto
veloce, e lo abbracciò senza mai staccarsi dal suo corpo
peloso e massiccio – è da molto che no ci vediamo
eh? –
- Soltanto da ieri – rispose
l’animale sorridendo – anche se sembra che siano
passati vari giorni –
- Quanto è distante il giorno
in cui potrò gridare al mondo il mio segreto? –
chiese Laika guardando la lince senza mai smettere di abbracciarlo
- Stai scherzando! – le rispose
Pedasus aggrottando la fronte – quel giorno non ci
sarà mai, almeno non qui, ma se vuoi che ti dica
una buona notizia avvertimi – disse Pedasus guardando con
occhi socchiusi la ragazza
- Certamente caro amico, spara
– disse Laika curiosa, mentre Pedasus con sguardo confuso,
causato dall’ultima parola detta dalla ragazza, le rispose:
- Domani arriverà tuo
fratello, sai… quel tipo con il nome strano –
- Domani? – replicò
Laika – stai scherzando vero? –
- No – rispose Pedasus
– domani –
- Così presto? –
continuò a fare domande la ragazza
- Si – rispose nuovamente la
lince, anche se solo le sue orecchie parevano quelle di una lince
– perché? Ti avevo detto che avevi un fratello,
proprio il primo giorno che ti ho incontrato –
Laika cominciò a riflettere, era un po’ agitata,
la notizia che le aveva appena annunciato Pedasus non era affatto
positiva, quindi si sedette per terra a gambe incrociate, pensando a
quello che stava succedendo.
Quando mi sedetti sotto la grande chioma dell’albero,
cominciai ad aprire la mia tracolla per prendere il libro di geografia
e iniziare a studiare, anche se non avevo la minima voglia di studiare
geografia. I raggi del sole cominciarono ad essere più
intensi, le persone all’interno dei giardini Crawt erano
poche, vi erano più bambini che adulti, i bambini giocavano
con lo scivolo o con le altalene, un gruppetto però si era
appartato in uno spazio più piccolo ma ricco di vegetazione
e di nascondigli, e si era messo a giocare a nascondino. Io, con il
libro di geografia in mano, socchiusi gli occhi per poi riaprirli, poi
li richiusi per poi riaprirli, il cinguettio degli uccellini era
piacevole, le foglie degli alberi iniziarono a rumoreggiare, i rami a
mormorare, il vento a fischiare acutamente, ed io dopo il terzo
tentativo di riaprire gli occhi cedetti a quel paradiso vegetale.
Quando mi svegliai, i raggi del sole erano spariti, il vento era
diventato più fresco, il cinguettio degli uccellini
scomparso nel nulla, notai che era tarda sera, circa le sei e mezzo,
quindi mi alzai un po’ spaesato. Non vedevo più i
bambini giocare a nascondino, ma nemmeno adulti parlare tra loro, ero
solo e impaurito, mi misi a camminare, poi però mi accorsi
del libro di geografia e della borsa a tracolla, mi chinai a prenderli
per poi assumere una posizione retta e sentire una voce dirmi:
- salve Fox –
Mi guardai attorno, poi pensai che era solo nella mia testa,
perché mi ero appena svegliato:
- Fox Hallow? Ci sei? –
Non era possibile che una seconda volta potevo aver sentito una voce,
quindi cercai tra i rami dell’albero dove mi ero addormentato:
- chi parla? – chiesi con tono
flebile – chi… chi parla? –
- dai Fox non avere paura – mi
rispose la vocina proveniente dalla chioma dell’albero
– sono tua amica sai? –
- ah sì? – chiesi
indietreggiando sempre di più – fatti vedere
allora –
- va bene, prima devi farmi una promessa
però? – disse la vocina
- quale? – chiesi, sempre
indietreggiando
- per prima cosa smettila di allontanarti
sempre di più, non voglio mica mangiarti – da
quell’affermazione mi fermai, fissando solo un punto della
chioma, perché non avevo nessuna idea di dove fosse nascosta
la vocina che sentivo
- poi devi promettermi che quando mi vedi
non cominci ad urlare come fanno i mocciosi –
continuò la vocina – promesso? –
- pr…pro…promesso
– balbettai, immaginando che aspetto avesse la vocina che mi
parlava nascosta tra i rami dell’albero, se mi aveva chiesto
di non urlare doveva essere mostruosa.
Dopo quindici secondi, le foglie dell’albero iniziarono a
muoversi, l’erba, su cui stavo, pareva lamentarsi sembrava
che sussurrava qualcosa contro di me, e poi tra i rami della chioma ne
uscì una rondine, la stessa rondine che mi aspettava ogni
volta che mi presentavo:
- allora… dove sei?
– chiesi io, incuriosito di vedere la vocina che poco prima
mi aveva parlato
- sono qui scemo – la rondine
mi rispose ghignando, cinguettò per un po’ e poi
iniziò a fissarmi. Anche io la stavo fissando con la bocca
aperta, dalla quale non uscì alcuna parola, lei non disse
nulla, forse voleva aspettare che dicessi qualcosa, ma io non dissi
nulla.
Per un po’ di tempo solo il silenzio si faceva sentire, poi
però facendo un lungo respiro riuscii a dire qualcosa:
- ciao –
- non riesci a dire altro –
disse la rondine un po’ delusa – sono venuta qui
attraversando, monti, mari e intere città per sentirsi dire
solo un “ciao” –
- è solo che mi serve solo un
po’ di tempo per riacquistare la ragione – risposi
confuso
- e perché mai dovresti farlo,
questo non è un sogno –
- ssssi… - risposi –
hai ragione, non è un sogno, una rondine che parla non
è un sogno vero? –
- ovviamente no, comunque sia sono venuta
qui per portarti via – la rondine appena detto questo,
volò verso me per posarsi sulla mia spalla
- portarmi… via? – a
quel punto volli spiegazioni – in che senso? –
- è solo che tu non appartieni
a questo mondo – mi disse la rondine in parole povere
- vuoi dire a questo paese?
L’America? – chiesi io insinuando di sapere cosa
volesse dire
- no, no ,no, io ho detto a questo mondo,
perché vedi… tu sei…come
dire… tu sei… vedi sei solo… tu sei un
mago –
le foglie degli alberi smisero di muoversi, l’erba interruppe
il suo ronzio e smise di sussurrare, ed io ancora più
confuso dissi:
- che cosa hai detto? –
- ho detto che tu sei un mago –
ripeté la rondine schiarendosi la voce
- e questo secondo te non è un
sogno? – le chiesi io chiudendo gli occhi e riaprendoli come
per dire “sentiamo la tua risposta!”
- esattamente – rispose la
rondine – non è un sogno –
- forse… - dissi io
– può darsi che… - continuai
– no, no, no senz’altro questo è un
sogno, io non sono un mago… perché la magia non
esiste –
La rondine sembrava perdere la pazienza, così avvicinandosi
al mio orecchio mi sussurrò:
- credi davvero che la magia non esista?
–
In effetti io avevo sempre creduto nella magia, ma lei cosa ne sapeva?
E poi era troppo bello per essere vero.
- ammettiamo che tu abbia ragione
– disse la rondine volando verso un ramo
dell’albero per poggiarsi – ammettiamo che questo
sia un sogno, anche se in realtà non lo è, e tu
sei ancora addormentato, di solito nei sogni succede qualcosa, quindi
tu verrai con me sino ad una meta, cioè da tua sorella e se
non ti sarai ancora svegliato vuol dire che è la pura
verità – le sagge parole della rondine mi
convinsero
- d’accordo – dissi
– comunque… cambiando discorso io avrei una
sorella? –
- si, anche lei ha poteri magici
– mi rispose sorridendo
- quindi è una strega?
–
- certamente e ti sta aspettando
–
- spero proprio che tu abbia ragione, e
spero che questo non sia un sogno, perché è bello
in fondo essere maghi – dissi poggiando la mia tracolla
sull’erba e fregandomene altamente della geografia
- te ne accorgerai arrivati da tua
sorella, ma i tuoi parenti, non vuoi salutarli?-
Pensai a mio padre, alla sua voce squillante che emetteva solo suoni
volgari, pensai alla mia sorellina più piccola che non
smetteva mai di piangere e che voleva da mangiare, pensai a mia madre
rinchiusa in prigione, e poi dissi:
- credo che a loro non importi nulla di
me… andiamo –
- perfetto, però prima devo
darti una cosa – la rondine si nascose tra i rami
dell’albero con il suo becco leggermente ricurvo prese un
ciondolo e volando verso di me, me lo porse:
- che cos’è?
– chiesi afferrando il ciondolo dalla forma rotonda.
- Lo saprai non appena arrivati da tua
sorella – mi rispose la rondine fissandomi e sbattendo le ali.
Il ciondolo era fatto in parte di ferro, e al centro vi era una piccola
pietra bluastra simile allo zaffiro con incisa una lettera molto
piccola: “F”. Me lo misi al collo e guardai la
rondine per dirle:
- allora come raggiungiamo mia sorella? A
cavallo di una scopa? –
- troppo visibile – mi rispose
la rondine – a proposito… chiamami pure Keope
–
- va bene… Keope…
come raggiungiamo mia sorella? –
- non lo so, intanto camminiamo e
cerchiamo un uscita, poi ci penseremo – rispose Keope
posandosi sulla mia spalla e dicendomi dove andare.
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