◊ Prologo ◊
Wolfborg giace a terra in terra impotente,
mentre quello del drago azzurro continua il suo roteare, impavido come il suo bleader che è ancora incredulo della vittoria ottenuta.
“Trattano bene i loro bey, fanno amicizia con i
compagni, e si aiutano a vicenda…Non conosco questo modo di combattere”
Intorno a lui lo stadio esplose in un
strepito assordante di urla di gioia, esultanze, fischi; tutti si riversano attorno
alla squadra vincitrice di questo primo Mondiale.
Strinse Wolfborg
nel palmo della mano cercando un minimo di conforto, ma fu come trattenere dei
pezzi gelidi di ghiaccio, che invece di emanare il solito calore rassicurante
dopo ogni battaglia, rimane inerme al tatto. Come una qualsiasi banale
ferraglia, senza piccoli bagliori o cenni di esistenza da parte dell’animale
sacro che vi dimora. Distolglie lo sguardo dalla
raffigurazione del lupo per porlo su Takao che dopo
aver raccolto il suo beyblade da terra, si è fermato
a poca distanza.
“È stata una sfida avvincente, spero di incontrarti
ancora” esordisce con
il suo tono allegro e con stampato sul viso un sorriso innocente pari a quello
di un bambino, tendendo una mano verso il rosso.
In un istante, come il flash
improvviso di una macchinetta fotografica annebbia la vista, lei è li.
Sovrapposto al volto del nipponico prende forma quello di una bambina dagli
occhi cerulei e i capelli cremisi che ridendo pronuncia le stesse identiche
frasi. L’unico ricordo seppur breve, in grado di riscaldare quel muscolo
involontario che aveva dimenticato persino potesse battere. Ed è del tutto inatteso
il calore all’altezza del petto che da anni era diventato come gli iceberg, la
voglia di riacquistare la propria libertà da anni negata, dire finalmente la verità
alla piccola Kira. La luce che riesce finalmente a penetrare in quell’angusta
prigione in cui aveva rinchiuso la parte più vera di se.
La line sottile e perfettamente
orizzontale delle labbra acquista una leggera curvatura all’insù.
Un sorriso che non vuol essere di
circostanza, né malefico o ironico come è abituato a fare. Un gesto che non gli
si addice più da molto tempo, implacabile.
“Lo spero anch’io” risponde stringendogli la mano e desiderando davvero
iniziare una nuova vita.
Così mentre il nuovo campione in
carica siallontana, l’altro capitano si dirige verso
la panchina della sua squadra, e anche se imperturbabile la nota di preoccupazione
nel non vedere Vorkov pronto ad elencare le sue
subdole minacce è presente; sugli spalti a malincuore anche il nonno di Kei è sparito dalla circolazione.
“Non sei invincibile come credi di
essere. Hai perso anche tu a quanto pare, dov’è finita tutta la tua
strafottenza?” sorride serafico Boris, che in questo momento di angelico ha
soltanto il falso sorriso.
Non degnando di risposta colui che
fino ad un giorno prima aveva considerato come la persona più cara, preferendo
incenerirlo con lo sguardo, gli volta le spalle con l’intento di uscire
dall’atmosfera idilliaca presente nello stadio.
“Non credo Vorkov
ti abbia tagliato la lingua dato che proprio a causa tua, per poco Sergey ed Ivan non ci rimettevano la pelle, mentre il
sottoscritto era a marcire nelle segrete del Monastero.”
Se le parole avessero avuto una loro
forma materiale, sarebbero stati degli aghi acuminati pronti a centrare ogni
singolo lembo di pelle diafana.
Il suo sproloquio intriso di rabbia
viene bloccato dal biondo che scuotendo la testa gli poggia una mano sulla spalla.
“Lascia perdere, non parlare con chi non ti può capire”
“Facile tradire e poi godersi la scena.
Ammirare i corpi martoriati di chi ti è sempre stato vicino e trarne piacere. Sei
diventato ciò che per anni non hai voluto essere” sibila Ivan velenoso mentre
carica Wyborg nella sua direzione. Seppur come
caricatore di lancio, un fucile è pur sempre tale, come proiettili sono le
parole pronunciate dal proprietario.
“Io non ho mai provato piacere nel
vedervi soffrire” una frase detta in modo così controllato è l’unica risposta
ottenuta, senza nemmeno voltarsi nella loro direzione. Riflettendo di essere
diventato il soldatino di quel monaco molti anni fa, non ora.
Un sibilo squarcia l’aria in una
frazione di secondo, Yuri scatta verso sinistra evitando per un soffio il bey
di Ivan che conclude la sua corsa contro il muro dello stadio. Osserva
interdetto il cratere causato dall’impatto, mai avrebbe pensato che l’intenzione
di vederlo in stato di sofferenza sarebbe giunto a tanto. Un attacco alle
spalle che avrebbe reciso l’incavo tra il collo e la spalla in modo più
prepotente e distruttivo, anziché limitarsi a quel piccolo taglietto bruciante
sul quale si era formato un sottile rivolo di sangue.
Gli occhi di Ivan erano i bracieri di
una rabbia assopita ormai da troppo tempo, con il respiro affannoso, ricorda
una belva in gabbia. Proprio come una vipera aveva deciso di avvelenare la
propria vittima alle spalle.
Dentro di se cercava di capire le
ragioni che spingevano i suoi compagni ad odiarlo in quel modo, ma non trovava
una risposta soddisfacente.
Senza degnarlo di ulteriori risposte imboccarono
uno dei tanti corridoi, lasciando il loro capitano ancora semi seduto, con i
pugni stretti talmente tanto da farsi male. Nessuno si era accorto del loro
diverbio, troppo presi ad osannare il neo campione.
Cosa avrebbe fatto da oggi in poi non
lo sapeva neanche lui, dopo i piani smascherati della Borg non aveva un posto
dove andare. Certo, aveva odiato con tutto se stesso il Monastero, ma era da lì
che doveva ripartire. E a quanto sembrava, avrebbe dovuto farlo da solo, del
resto in quel posto non vi era mai stato spazio per emozioni di alcun genere, a
patto che non fossero dolore, rabbia, sofferenza. A modo suo però aveva
imparato ad apprezzarli, ad aiutarsi a vicenda per rimanere a galla in quello
squallido posto. Lui aveva rovinato tutto, aveva perso di nuovo ciò che
considerava come una famiglia. Chiunque fosse passato in quel momento ed
avrebbe stentato a riconoscere quell’espressione malinconica sul volto del
freddo Yuri Ivanov. Giunto all’ultima curva che l’avrebbe
portato verso l’uscita sentì dei rumori sommessi provenire dal corridoio
successivo. Decise di affrettare il passo, in procinto di girare avvertì un
dolore lancinante espandersi sulla nuca. L’impatto è violento tanto da farlo
cadere per terra urtando con la tempia il pavimento. Una crescente voglia di
chiudere gli occhi si impossessa di lui che non riesce più a muovere un solo
muscolo, né a sentire alcunché. L’immagine sfocata che gli si presenta davanti
gli occhi prima di cadere nelle tenebre, è quella di Boris e gli altri privi di
senso sul pavimento.
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“E anche questa è fatta!! Abbiamo
vinto i mondiali!” esclamò Takao fra un boccone ed un
altro continuando a ingozzarsi come se fosse il suo ultimo giorno di vita sulla
Terra.
“Non cambierai mai” osservò divertito
Rei osservando il suo capitano abbuffarsi e tenendo sotto controllo con la coda
dell’occhio l’argenteo appoggiato allo stipite della finestra, assorto
nell’osservare i fiocchi di neve cadere.
Dalla fine dell’incontro non aveva
detto neanche una parola ed era caduto nel suo solito silenzio, non toccando
nemmeno cibo. Cosa che seppur voleva fare notò Rei, era ormai troppo tardi,
tutto era stato spazzolato da qualcun altro.
“Ragazzi vedo state festeggiando la
vostra vittoria” I bleader si voltarono verso
l’ingresso della camera in cui erano appena entrati il presidente Daitenji con il padre e il nonno di Takao.
“Presidente! Pensavamo fosse tornato
in Giappone” disse Max dando voce al pensiero di
tutti, riuscendo a distogliere l’attenzione del proprietario di Dranzer dal paesaggio innevato.
“Dovevo risolvere delle faccende prima
di poter tornare in patria”
“Che fine ha fatto mio nonno?” chiese Kei puntando i suoi occhi in quelli del presidente.
Diretto. Voleva sapere che fine avesse fatto quel pazzo e i suoi ideali,
insieme al suo fedele alleato. Dopo tutto ciò che aveva ricordato non aveva
intenzione di lasciar correre l’intera faccenda.
Daitenji cercò di sostenere lo sguardo gelido
di quelle ametiste con scarsi risultati, “Tuo nonno è stato arrestato per i
suoi folli progetti, questo non si può dire di Vorkof”
Sopracciglia aggrottate e sguardo di
fuoco. Impassibile all’esterno ma in subbuglio all’interno, non accettava una
simile scelta, non per chi gli aveva rovinato la vita.
“Intende dire che quel monaco è ancora
proprietario del monastero? “
“Purtroppo si, nei documenti di tuo
nonno non compariva mai il suo nome. Evidentemente aveva calcolato tutto fin
nei minimi dettagli. In caso lui fosse stato accusato Vorkof
avrebbe potuto portare avanti i suoi progetti.”
“Tutto ciò è inaudito! Dopo l’evidente
intenzione di farmi fuori di Boris, la polizia non ha nessuna prova dei suoi
subdoli piani?”
“È una faccenda molto
delicata, non possiamo fare molto” aggiunse Nonno J osservando i volti preoccupati
di quei ragazzi. Il silenzio cadde nella stanza interrotto soltanto dal pendolo
dal pendolo dell’orologio.
“Dove sono Yuri e gli
altri?” Chiese Kei stringendo i pugni lungo i fianchi
pensando al destino che aveva condiviso con quei ragazzi, solo che lui aveva
avuto molta più fortuna.
Il presidente scosse la
testa “Non lo sappiamo, credo abbiano deciso di abbandonare il Monastero dopo
la notizia dei folli piani del proprietario”
Una risata fredda risuonò
in quelle mura, in grado di far scorrere brividi lungo la schiena. Un suono
gelido carico di ironia. “E lei crede che i Demolition
Boy così come gli altri ragazzi non sapessero di questi progetti? Crede che
volessero restare lì di propria iniziativa?”
Lo sguardo basito dei
presenti era concentrato su di lui, le parole per rispondere a tali domande
sembravano inesistenti.
“Secondo te, Vorkov li tiene ancora sotto tiro?” Si intromise il padre
di Takao.
“Non è del tutto da
escludere, mio nonno aveva le proprie ambizioni e per poterle raggiungere aveva
sfruttato dei ragazzi. Non li lascerà andare molto facilmente.” Sapeva che era
quasi impossibile che quei ragazzi potessero riacquistare la propria libertà, e
malediceva ancora se stesso per essersi fatto ingannare e ritornare lì di sua
spontanea volontà.
“It’s
terrible, what can we do? There must be something.”
“Non posso assicurarvi
niente, ma come presidente dell’associazione del beyblade
potrei chiedere una perquisizione del Monastero, con l’accusa di allenare in
modo increscioso i propri blader. Ma secondo ciò che
dice Kei, dubito che non sia preparato a tale
evenienza.
L’argenteo soppressò
quelle parole per poi riportare la propria attenzione al paesaggio di Mosca.
No, non sarebbe stato affatto facile far cadere completamente la Borg, e questo
lui lo sapeva fin troppo bene.
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Il dolore è ovunque, non
vi è una fibra del suo corpo in grado di muoversi e la sensazione di gelo che lo
invade non è delle migliori. Le fitte acute appena tento un minimo movimento si
espandono e le palpebre sono pesantissime da poter aprire. Facendosi forza
riesce a sollevarle quel minimo che basta per vedere la fioca luce delle candele
illuminare un luogo conosciuto fin troppo bene. La guancia poggiata sul lurido
pavimento in pietra dal quale cerca di alzarsi con scarsi risultati, notando
solo ora la corda stretta che lo circonda. Issandosi con uno scatto sulle
ginocchia poggia tempestivamente il proprio corpo al muro prima che il vorticare
incessante della testa lo faccia cadere nuovamente. Respira a fatica per come è
legato e il vapore acqueo che si forma appena tento di espirare concorda sulle
basse temperature presenti all’interno della cella. Pensava fosse ormai finito
questo dannato incubo. A poca distanza da lui una bambina rannicchiata
nell’angolino l’osserva ostile. Quegli occhi azzurri non hanno più nessuna
traccia della limpidezza che li avevano contraddistinti, erano vuoti, come se
avessero perso la loro vita. I capelli rossi arruffati gli ricadevano in parte davanti
in contrasto con la sua candida pelle, donandole un aspetto quasi spettrale.
Il respiro si mozzai vedendola in
quello stato, sporca con i vestiti lacerati e tremante dal freddo. Tutto ma non
anche lei qui all’inferno, è il pensiero fisso insediatosi nella sua mente.
“Kira..”
Sussurra nella sua direzione cercando di avvicinarsi strisciando sul suolo
ruvido con le ginocchia. Non ha neppure la forza di reggersi in piedi.
“Stammi lontano! Non ho bisogno di una
persone come te. È soltanto colpa tua se mi trovo qui.” Arresta l’avanzata al
suo di quelle parole, detto con un astio tale da sentire un peso angosciante all’altezza
del petto.
“Se tu non ti fossi avvicinato a me,
ora tutto questo non sarebbe successo. Ci hai condannato a morte! Non solo me,
tutti!” è urlando in preda alla collera con le lacrime lungo le gote indica la
cella difronte alla nostra, per poi rannicchiarsi ancora di più cingendo le
braccia attorno alle gambe pieni di contusioni.
Sbarra gli occhi inorridito e sente lo
stomaco rivoltarsi alla vista di quello spettacolo. Su dei pali in legno sono
impilate le teste di Boris, Sergey ed Ivan piene di
sangue e con gli occhi spalancati e la bocca deformata in una smorfia. Immobili
per l’eternità.
Gli occhi iniziano a bruciare e quello
spiacevole liquido salir su per l’esofago bruciandolo dall’interno, uscir fuori
di getto imbrattando il pavimento. Non riesce a smettere di vomitare, sperando
di cacciare anche la sua stessa anima. Gli angoli degli occhi pizzicano in
maniera allarmante, mentre delle scie bagnate si prolungano lungo le guance.
Kira guarda immobile il pietoso spettacolo
con sguardo rancoroso rigirandosi nella mano una piccola lama.
“Tu devi soccombere al loro stesso
destino. Sei un egoista, hai lasciato morire i tuoi amici, i tuoi quasi
fratelli senza un briciolo di pietà.” Si avventa sul ragazzo infilzando la lama
all’altezza del collo per poi girarlo più volte nella ferita.
Urlo con quanto fiato ha in corpo, un
urlo di dolore, rabbia, rancore contro l’abominio che ha portato a compimento.
Riapre gli occhi simili a zaffiri,
annebbiati, respirando e deglutendo a fatica. Ha la gola secca e tossisce convulsamente
cercando di incanalare quanta più aria possibile. Il dolore alla gola sembra
essere svanito nel nulla e infatti si rende conto di poter muovere le braccia,
e tastando la pelle non vi è alcuna traccia di ferite. Cercando di riuscire
almeno a mettersi seduto cosa che risulta abbastanza difficile. Nell’ angolo
opposto della cella due smeraldi sono puntati su di lui, squadrandolo da capo a
piedi. Due occhi che mostrano ancora lo scorrere della vita al loro interno.
Accanto a lui i corpi di Sergey ed Ivan ancora privi
di sensi.
Sospira poggiando la testa al muro cercando
di placare il tremore che ha invaso le sue membra convincendo se stesso che
anche questo è un incubo. Non può ricominciare nuovamente l’agonia.
“Perché ci hai chiamato?” scandisce le
parole mentre continua la usa scannerizzazione.
Yuri osserva Boris in cerca della
risposta che ha chiesto, non trovando alcun nesso logico a tale quesito
“Hai detto i nostri nomi prima di
svegliarti…Anzi dal modo in cui ti dimenavi erano più degli urli.” Indica con
il capo gli altri due camminando verso l’indirizzo del rosso e appoggiandosi
alle sbarre poco distanti.
Si passo stancamente una mano sul
volto cercando resti di pianto, ma nota con sollievo che almeno quelli non li
ha fatti uscire dal suo inconscio.
“Nulla” risponde stancamente, ben
sapendo che ormai non crederanno più a quello che dice, ha buttato via la loro
fiducia e anche se non l’ha mai dimostrato apertamente, non poter più avere il
loro appoggio fa provare una sensazione spiacevole. Dimenticata da anni che ora
riemerge, la solitudine provata appena giunto in questo inferno, le angherie
degli altri ragazzi. Ricordando a se stesso solo il più forte sopravvive.
Boris sofferma ancora un po’ lo
sguardo su colui che aveva ritenuto un fratello, chiedendosi cosa l’abbia
spinto a comportarsi in quel modo. Non era d’accordo con gli altri, doveva
essere successo qualcosa per farlo cambiare tanto. Gli sfuggiva qualcosa, e
odiava quando ciò accadeva.
Ritornò sui suoi passi frapponendo fra
loro una certa distanza. Quegli occhi glaciali ricambiavano il suo sguardo,
nessuno dei due voleva abbandonare per primo la muta sfida creatasi.
“Vorkov è
ancora a piede libero, è venuto poco fa a dire che ce la farà pagare per la
sconfitta”
Non aveva intenzione di dirlo in quel
modo, ma l’odio che al momento provava verso il suo capitano aveva reso la
frase più dura del previsto. Aspetta una sua possibile reazione che non
avviene. La mente di Yuri si era già persa nella moltitudine di punizioni
precedenti. La gola si era improvvisamente prosciugata rendendo più difficile
la salivazione. Tutto ciò che ottenne come risposta il platinato fu soltanto
due occhi azzurri sbarrati al suono del chiavistello. L’inferno aveva
nuovamente inizio.
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Rieccomi qui!
La vostra Aky è
ritornata nel Fandom! (Non ti vuole nessuno, sappilo…ndYuri)
So che ho già una fanfiction
avviata, ma non me la sento di continuarla ora poiché devo stabilire bene la
sua stesura. Di fatti adesso è considerata incompiuta.
Quindi eccovene una fresca fresca^^
Le parti che nella storia sono scritte in
modo più chiaro non sono mie bensì le frasi dette dallo stesso Yuri nell’ultima
puntata della prima serie. Avrei voluto scriverla in altro modo e tutt’ora tale
capitolo non mi convince rispetto ad altre storie da me pubblicate. Ma dopo
averla cambiata troppe volte eccola qui.
La storia come si nota fin da ora parla del
periodo che nella serie non viene mostrato, dalla sconfitta del primo mondiale
all’iscrizione al terzo e di ciò che hanno subito i nostri baldi giovani prima
di riottenere la tanto attesa libertà. Il personaggio di Kira è ovviamente di
mia invenzione e servirà nello svolgersi della trama, non so ancora bene come
definire il suo ruolo, avrà la sua parte.
Detto ciò spero che qualcuno di buona fede
decida di leggere e lasciare un suo parere negativo o positivo che sia, anche
le critiche aiutano a crescere.
Al prossimo capitolo(che
tra vari impegni universitari dovrebbe arrivare come minimo fra una settimana
sperando)
Baci a tuttie
Aky