Titolo: Icarus
Improved
Fandom: Naruto
Pairing: Kisame/Sakura
(Naruto/Ino)
Personaggi: Kisame
Hoshigaki, Sakura Haruno, Itachi Uchiha,
Sasuke Uchiha, Naruto Uzumaki, Kakashi Hatake, Ino Yamanaka, Hinata
Hyuga (Shikamaru,
Chouji, Neji, Akatsuki – vari)
Rating: SAFE
Wordcount: 14.470
parole
Avvertimenti: modern!AU,
gym!AU, implied!psycological abuse, linguaggio volgare
Genere: angst,
sentimentale, introspettivo, slice of life
Note: questa
storia trae ispirazione da una fanart di artisticsasquatch su tumblr in
cui
Sakura e Kisame sono gym buddies. È una delle tre storie che
ho scritto per il
Big Bang #7 indetto dalla community livejournal BigBangItalia questa
estate.
Per
quando riguarda il complesso di Icaro mi sono
rifatta vagamente a ciò che ho trovato sui manuali di mio
fratello e su
internet, ma non avendo mai fatto psicologia non suggerisco di prendere
la cosa
alla lettera, allo stesso modo se gli allenamenti che vengono fatti in
palestra
risultano poco verosimili sappiate che non ho mai sollevato
più di due chili in
una palestra nella mia vita, quindi I blame the internet. Per quanto
riguarda
la coppia Sasuke/Sakura, purtroppo è la mia notp e ho
cercato di farla apparire
in modo troppo brutto, credo che a volte semplicemente le relazioni
finiscano e
questo è esattamente quel genere di storia: un rapporto si
chiude e se inizia
un altro. Sasuke non ha proprio un ruolo da protagonista, né
figura come il personaggio
migliore, però non vogliatemene, alla fine è una
questione di punti di vista e
come dice Sakura in un punto, qui compare solo ciò che di
negativo c’era nell’ultimo
periodo di questa storia, perché è
così che avviene quando ti lamenti con
qualcuno: parli di ciò che ti fa male.
In ogni
caso, spero che la storia non faccia così
schifo, ci ho abbastanza sputato sangue.
Icaro
volò troppo vicino al sole e precipitò.
«Credi che la
tua sia una relazione sana, Sakura?»
«Credo
che nonostante le incomprensioni Sasuke sia
l'uomo della mia vita».
«Conosci
la leggenda di Icaro?»
«Non
era il ragazzo con le ali di cera che volò troppo
vicino al sole e cadde?»
«Qualcosa
di simile, sì. Non credi che il tuo rapporto
con Sasuke possa essere accostato a quello di Icaro e il sole?»
«Non
capisco».
«Hai
mai sentito parlare di complesso di Icaro?»
«Non
ho nessun complesso».
«Ne
hai mai sentito parlare?»
«No».
«Non
voglio insinuare che tu abbia un complesso di
onnipotenza, perché chiaramente non è
così. Ma c'è in te un bisogno continuo di
ammirazione e conferme, sali verso l'alto, ma inconsciamente attendi il
momento
in cui precipiterai di nuovo. Non è colpa tua
però, non del tutto, perché non
mi sento di definirti narcisista nel senso stretto del termine. La
colpa è di
questa relazione che ti ostini a portare avanti da dieci anni».
«Sasuke
è l'uomo della mia vita».
«Sei
attratta da lui come una falena dal fuoco,
nonostante tu abbia la costante consapevolezza che finirai per
scottarti.
Arrivi ad accettare che ti tratti come un oggetto e questo si scontra
con tutto
ciò in cui mi hai sempre detto di credere».
Silenzio.
«Se
vai avanti così finirai col concentrarti sul
lavoro e su te stessa, sviluppando una personalità
narcisistica che contribuirà
solamente ad allontanarti dagli altri».
«Complesso
di Icaro ha detto?»
Icaro
volò troppo vicino al sole e precipitò.
Icarus Improved
Il
bicchiere batte con un tonfo sordo sul bancone.
Sul
bordo è rimasto un alone di rossetto rosato, mentre lunghe
dita affusolate
rimangono strette contro la superficie trasparente; Sakura continua a
fissarlo,
indecisa su quali sentimenti si facciano strada dentro di lei dopo la
quarta
tequila.
«Insensibile
bastardo» mormora tra i denti, ripensando
all’ennesimo litigio di quel
pomeriggio, seguito dall’ennesima rottura.
La
loro relazione va avanti, tra alti e bassi, da quasi dieci anni e ogni
tanto
Sakura si chiede come abbiano fatto ad arrivare fino a quel punto. Come
dice
sempre la sua psicologa, una bionda tutta curve che potrebbe essere sua
madre,
il suo è un attaccamento morboso e in parte poco sano. Non
che le sia mai
importato, è sempre stata convinta che Sasuke fosse
l’uomo della sua vita e non
ha mai dato troppo peso al giudizio degli altri; sì,
indubbiamente c’erano
degli squilibri nella loro relazione, ma dentro di sé Sakura
è sempre stata
convinta che fosse normale, che fossero dovuti all’essere
così diversi l’uno
dall’altra. Non è certo la prima volta che si
lasciano dopo un litigio, e la
ragazza è consapevole che ci vorrà qualche
settimana, ma che prima o poi le
cose torneranno come prima. Anche se questa volta ha intenzione di
fargliela
sudare, non sarà lei a tornare strisciando, oh no! Questa
volta Sasuke deve
imparare la lezione, una relazione si costruisce sui bisogni di
entrambi e non
del singolo, deve capire che lei non è un soprammobile e che
a darla per
scontata non lo porterà da nessuna parte (se non forse a
ricevere un piatto tra
gli occhi).
Mugugna
qualcosa, mentre la voce quasi canzonatoria della sua psicologa che le
ripete “Complesso di Icaro”
le rimbomba nella
mente.
«Vaffanculo»
borbotta.
Henry
A. Murray era stato uno psicologo di fama internazionale, aveva dato un
contributo notevole agli studi della personalità umana,
focalizzandosi su
amenità tipo la complessità
dell’individuo, la sua unicità,
l’importanza delle
sue esperienze passate. Era stato lui, tra gli altri, a postulare il
concetto
di complesso di Icaro. Una moltitudine di conflitti mentali che si
riflettono
nello squilibrio tra il desiderio di successo, realizzazione e guadagno
di una
persona e la possibilità di realizzare quegli stessi
desideri; motivo per cui,
maggiore fosse il divario tra l’obiettivo idealizzato e la
realtà, maggiore
sarebbero state le possibilità di
fallimento.
Ovviamente
Sakura non sa niente di tutto questo, tutto quello di cui è
consapevole è che la
sua psicologa le ha dato della complessata; in realtà non se
la sente nemmeno
di prendersela sul personale, perché Tsunade non ha
esattamente tutti i torti.
Oramai sono tre anni che ogni giovedì mattina la ragazza si
presenta in quello
studio dalle pareti celesti (perché rilassa la mente,
Sakura) e che racconta a
quella donna ogni singolo cruccio della sua vita (perché
rilassa l’animo,
Sakura) e sono tre anni che le viene ripetuto che il suo problema
è sempre lo
stesso: Sasuke Uchiha.
Sasuke
Uchiha che a quindici anni le ha rivolto la parola accorgendosi
finalmente
della sua esistenza; Sasuke Uchiha che a sedici l’ha invitata
a uscire e a
diciassette l’ha baciata per la prima volta; Sasuke Uchiha
che a diciannove
anni le ha detto “Non sono sicuro se ti amo o
meno”, ma che a ventidue si è
trasferito a vivere con lei. Sasuke Uchiha con cui convive da tre anni
e con
cui regolarmente finisce col litigare furiosamente.
A
quest’ora, probabilmente, quello stronzo sarà a
casa di Naruto a fare la
vittima, raccontandogli di quanto lei non sappia fare altro che
lamentarsi e
lamentarsi e lamentarsi; come se il biondo non fosse amico di entrambi
e come
se la sua ragazza non venisse a raccontarle tutto quello di cui li
sente
parlare. Ino in questo è sempre stata molto leale, una volta
messi da parte i
suoi sentimenti per Sasuke e accettato quello che stava nascendo tra
lei e
Naruto, ha sempre cercato di fare in modo che le situazioni spinose tra
la sua
migliore amica e il suo ragazzo bipolare si risolvessero nel migliore
dei modi.
Sakura,
però, questa volta è davvero stufa, si
è sentita dire le peggio cose (non che
normalmente Sasuke ci vada leggero con le parole, ma questa volta
perfino lei
si trova a concordare sul fatto che abbia esagerato); forse sarebbe
potuta passare
sopra a quell’ipocrita urlato dal niente, per quanto ridicolo
detto a una
persona come lei, sempre salda nei suoi principi e disposta a imparare
dai
propri errori, forse avrebbe potuto ignorare l’accusa di
essere sempre presa
dai suoi studi (se solo non fosse che Sasuke trascorre i tre quarti del
suo
tempo fuori da casa e le poche ore che passa in casa Sakura gliele
dedica quasi
completamente). Quello che era sicura non sarebbe riuscita a
perdonargli era
stato il “Sei sbagliata”
che era gli
era scappato di bocca nel mezzo del discorso:
«C’è qualcosa che non va in te
Sakura, mi fai provare queste cose» le aveva detto
«Tutta questa rabbia che ho
dentro, con te non riesco a incanalarla. Sei sbagliata». Era
stato il momento
in cui Sakura gli aveva gettato addosso la zuppiera della prozia, poi
aveva
preso il portafoglio, la giacca ed era uscita urlandogli di sparire.
Che non
voleva vederlo mai più e che poteva tornare il giorno dopo a
riprendersi la sua
roba.
Sa
già che non si presenterà l’indomani e
nemmeno il giorno successivo, con ogni
probabilità non si farà vedere per tutta la
settimana a seguire (due se si
ritrova a pensare che il litigio sia stato particolarmente brutto e che
entrambi meritino di farsi del male a vicenda); questa volta
però sa anche di avere
ragione. La cosa peggiore è che non ricorda nemmeno come
siano arrivati ad
urlare quel giorno, non ricorda nemmeno quale sia stata la causa
scatenante di
tutto (e potrebbe essere stato qualsiasi cosa, dalla battuta stupida
sui suoi
capelli, a una smorfia di gelosia di troppo).
Osserva
il fondo del bicchiere che, nonostante siano oramai passati un paio di
minuti
da quando è stato riappoggiato sul tavolo, è
ancora vuoto. Questa cosa non
dovrebbe accadere, pensa la ragazza, accorgendosi che l’uomo
che fino a qualche
minuto prima si trovava di fronte a lei, interessato ad ascoltarla,
è ora
all’estremità opposta rispetto a dove è
seduta. No, no, no, questa cosa non va
assolutamente bene; il barista dovrebbe essere suo amico e dovrebbe
sempre
essere pronto a servire lei, non perdere tempo con l’uomo in
fondo al bancone!
Sakura
fa una smorfia e si avvicina con aria seccata ad un tizio dalla
carnagione
celeste e i capelli scomposti, si siede sullo sgabello di fianco al suo
e,
senza degnarlo di un’occhiata, si rivolge al barista.
«Kakashi,
ti stavo parlando».
«Arrivo»
le risponde sorridendo, mentre continua a preparare il cocktail del
cliente.
«Aspetta
il tuo turno, cupcake».
La
voce dell’uomo al bancone è profonda e graffiante,
nemmeno si volta verso di
lei mentre le rivolge la parola, ma continua a fissare dritto di fronte
a sé,
in attesa del suo drink.
«Hai
qualche problema?»
«Figurati,
ma i minipony rivogliono i capelli che gli hai rubato».
Sakura
si blocca; normalmente gli insulti le scivolano addosso, ha imparato a
ignorarli sia perché facendo a pungi rischia sempre di
mandare il malcapitato
in ospedale, sia perché niente può essere peggio
di quello che si sputano
addosso ogni tanto lei e Sasuke quando litigano.
C’è un argomento però che non
le piace venga toccato e sono i suoi capelli. Non è colpa
sua se sono così
insoliti, certo sua madre si ostina a dirle che è normale ed
è genetica e che
nella famiglia di suo padre c’è una lunga storia
di antenati dai capelli del
colore dei fiori, ma non è mai stato altrettanto facile
spiegarlo al mondo.
«Come
prego?» sibila rivolgendosi al ragazzo.
«Quel
colore è ridicolo e no, non sembra più naturale
solo perché ti tingi le
sopracciglia».
«Scusa
se non accetto critiche a riguardo da uno sconosciuto con pelle e
capelli blu».
«I
miei sono naturali, torna a piangere sulla tua tequila,
ragazzina».
Sakura
solleva un sopracciglio e si morsica il labbro nel tentativo di
trattenere un
insulto poco fine.
«Anche
i miei sono naturali, stronzo, e almeno io non soffro di
argiria».
«Non
è argiria, carina, sono così e basta, se la cosa
ti crea problemi fuori dalle
palle».
«Ma
se hai cominciato tu!»
«Finitela»
interviene Kakashi, allungando un bicchiere colmo all’uomo e
lanciando
un’occhiata di rimprovero a Sakura «Avevi bisogno
di parlarmi? Andiamo».
«Visto?»
sibila la ragazza all’insegna dello sconosciuto, prima di
tornare al suo posto,
ignorando il dito medio che le viene rivolto.
«Dimmi
che non avete litigato di nuovo».
«Questa
volta è finita!» esclama la giovane, facendogli
segno di riempirle nuovamente
il bicchiere di tequila.
«Lo
hai detto anche otto mesi fa, e la stessa cosa avevi detto
l’anno scorso e
quello prima, ricordi?»
«Sì,
ma ora è diverso» borbotta Sakura sotto lo sguardo
bonario dell’uomo.
Kakashi
conosce Sakura da quando aveva quattordici anni; l’ha vista
crescere e in
qualche modo si può dire che l’abbia cresciuta.
Era professore nel suo liceo,
almeno finché, in seguito ad alcuni screzi con un altro
docente, non aveva
deciso di mollare tutto e aprirsi un bar. Non ci era voluto molto
perché i suoi
ex studenti ne facessero il loro luogo di incontri abituale, una sorta
di
seconda casa, un punto fisso in cui incontrarsi se non tutte le sere,
almeno
due sere a settimana. Così Kakashi li aveva visti cambiare,
crescere gradualmente,
maturare e affacciarsi alla vita; Sakura, in particolare, gli era
sempre
rimasta molto legata e, ancora prima di iniziare le sue sedute dalla
psicologa,
aveva trovato in Kakashi un amico paziente e un confidente fidato,
qualcuno che
stesse ad ascoltarla senza giudicare, che si limitasse a darle consigli
senza
però farle pressioni. Così ogni volta che si
ritrovava a litigare con Sasuke,
finiva con l’arrivare da lui, il viso imbronciato e le
orecchie fumanti, per
raccontargli ogni cosa davanti a una bottiglia di tequila.
«E
così l’hai cacciato di casa, eh?»
«Non
voglio più vedere la sua faccia! O giuro che la prossima
volta gli lancio una
zuccheriera!»
«Tua
madre sarà entusiasta…»
«Andiamo!
Rendiamoci conto! Capisci cosa mi ha detto? E dovrei volerlo
rivedere?»
«Tanto
lo farai lo stesso, non vi siete iscritti alla stessa palestra
all’inizio di
quest’anno? Come proposito per non litigare
più?»
Silenzio.
«Che
ore sono?»
«Beh,
quasi le undici…»
«Ok,
la palestra è ancora aperta. Aspetta qui e non svuotarmi il
bicchiere!»
«Sakura,
ma cosa!?»
«Vado
a disdire l’iscrizione e torno».
La
nuova palestra è più bella e più
grande della precedente e Sakura si domanda
come mai non abbia deciso da subito di iscriversi lì.
La
risposta è sempre la stessa: Sasuke. Il ragazzo non ha mai
amato gli spazi
troppo aperti né i luoghi troppo affollati e allenarsi in
una palestra così
grande lo avrebbe sicuramente messo a disagio; non era mai stato
un’animale
sociale Sasuke e Sakura ne era sempre stata consapevole, adeguandosi di
buon
grado a quella che vedeva come una cosa naturale.
L’importante era stare
insieme e se questo voleva dire uscire un po’ meno o
frequentare una palestra
un po’ meno bella, beh, lei non vi si sarebbe di certo
opposta; inoltre Sasuke
non era il tipo d’uomo da fare scenate di gelosia o da non
lasciarla uscire con
i suoi amici – che poi erano i loro amici perché
il gruppo era sempre quello da
quasi dieci anni.
Sakura
sospira, osservando la sottile tessera plastificata con il suo
nominativo
sopra, e si avvia negli spogliatoi. Le è costato un sacco
quell’abbonamento, ma
a prima vista direbbe che ne vale proprio la pena: più di
5000 metri quadrati
di benessere disposti su sei piani, per un’esperienza di
fitness unica.
Almeno
così le ha detto la signorina durante il giro di visita.
«Al
piano terreno ci sono le sale Fitness IsoCardio, quindi tapis roulant,
pesistica, cyclette e tutto ciò che può aiutare
il suo corpicino-ino a
modellarsi» Sakura si era trattenuta dal tirarle un pugno sul
naso e l’aveva
seguita annuendo, compiaciuta nel vedere che, nonostante il personale
cerebroleso, le sale erano davvero belle.
«Procedendo
verso l’alto abbiamo la sala fit kombat e area yoga al
secondo piano, gli spazi
per i corsi musicali fitness al terzo e quarto piano, la piscina al
quinto
piano – che però non è sempre
disponibile per il nuoto libero, ci sono dei
giorni in cui viene utilizzata per i corsi di Idrobike, Water Running e
Acquagym – e al sesto piano, si tenga forte signorina, ecco
l’area benessere:
un’oasi di relax con vasca idromassaggio, bagno turco, sauna
finlandese e un
percorso multisensoriale a base di acqua e cromoterapia. Non si sente
già più
rilassata?»
Sakura
era riuscita a liberarsi dell’addetta ai nuovi clienti solo
dopo una buona
mezz’ora in cui la giovane si era dovuta sorbire una manfrina
che non le
interessava per niente su quanto fossero interessanti e ben suddivisi i
corsi
della loro Palestra, in fondo nessuno era come la JoinIn a livello di
funzionalità e offerta agli iscritti. Corsi classici, corsi
di gruppo o
privati, corsi superallenanti, corsi intensivi, corsi in acqua, corsi
di ballo,
di yoga, di danza classica, moderna, tango, di pilates, di arti
marziali,
qualsiasi cosa di potesse volere, beh, loro la offrivano.
Si
spoglia velocemente nei larghi camerini delle donne, ammirando le
finiture di
legno dei mobiletti e osservando ammirata le larghe docce sul retro
dello
spogliatoio; quelli sì che sono soldi ben spesi, pensa
soddisfatta, infilandosi
il top sportivo e fissandosi i capelli lunghi in una coda alta.
I
minuti del riscaldamento li trascorre quasi tutti nella sala dei tapis
roulant,
dove scioglie la muscolatura e fa una breve corsa per regolarizzare il
battito
cardiaco; a lasciarla senza fiato, però, è la
sala pesi, perché Sakura così
tanti attrezzi e così belli non li ha mai visti nella
palestra che frequentava
in precedenza.
Certo,
dove andava prima tutti la conoscevano, sapevano chi fosse e cosa fosse
o non
fosse opportuno dirle, qui, beh, qui è la ragazzina nuova
che si avventura
nella stanza dei pesi.
«Non
sono sicuro che tu sappia a cosa servono questi» ride un
ragazzo che non ha mai
visto prima, e la ragazza trattiene un moto di stizza, ignorandolo
completamente.
Fa
per proseguire sulla sua strada, diretta verso la panca, quando una
voce che ha
già sentito da qualche parte la richiama indietro.
«Ehi
Cupcake» a rivolgerle la parola questa volta è un
uomo sui trent’anni,
carnagione e capelli bluastri e un sorriso affilato sul viso, Sakura lo
riconosce quasi subito, ricollegandolo con una smorfia a quella sera di
qualche
giorno prima «I pesi da due chili sono
laggiù».
Gli
si avvicina a grandi falcate, fermandosi di fianco alla panca piana su
cui è
seduto e lo guarda con un misto di irritazione e noia.
«Hai
detto qualcosa, Argiria?»
«Non
è argiria, Fiorellino, te l’ho detto, è
una benedizione della natura» ironizza
l’uomo «Cosa c’è? Non ti sarai
mica offesa? Hai bisogno di uno spotter per i pesi
tra tre chili?»
Sakura
ispira profondamente, contando mentalmente fino a dieci.
L’ultima volta che ha
perso la calma ha mandato in ospedale due persone e non è
stato piacevole né
rompere loro le ossa né riaggiustarle; ironia della sorte
vuole che fin troppo
spesso oltre che la prima causa di ospedalizzazione degli idioti,
Sakura ne sia
anche il medico.
Questa
volta però continua a contare finché sente di
essersi calmata e pensa che forse
le sedute della psicologa stanno iniziando a dare i loro frutti, meglio
che
niente.
«Prima
di tutto mi chiamo Sakura» sibila piano, senza
però offrire nessuna mano da
stringere «E scommetto che riesco a sollevare più
di quanto non facciate voi
tutti qui dentro».
«Oh,
guarda, guarda, abbiamo un gattino arrabbiato!» la prende in
giro l’uomo,
sollevandosi dalla panca e lasciandole il posto.
«Non
ho ancora fatto il riscaldamento» borbotta Sakura, sollevando
un sopracciglio
«Non sono un’idiota e non ho intenzione di farmi
del male solo perché voi
deficienti non siete in grado di veder entrare una donna nel vostro
habitat
senza dare di matto».
«Le
cyclette sono di là» sente che qualcuno le urla,
ma non ci presta troppa
attenzione, facendo una piccola smorfia di fronte a quel suggerimento
idiota.
Come se cinque minuti di corsa potessero bastare a riscaldare il corpo
per la
pesistica.
«Imbecille»
mormora tra i denti, avvicinandosi al rack e cogliendo un lampo
divertito negli
occhi del ragazzo dalla pelle blu «Hai intenzione di seguirmi
tutto il tempo?»
«Sei
tu che ti sei vantata, Cupcake –»
«Sakura»
«E
ora io controllo che non ti venga in mente di barare su quanto
sollevi».
«Quanti
anni hai? Due?»
«Trentacinque.
Con quanto vuoi partire?»
«Trenta,
e non ci pensare nemmeno a caricarmi quelli, so riconoscere un peso da
venti
quando lo vedo» sibila con astio, posizionandosi sotto
l’attrezzo e iniziando
con sei ripetizioni, dopo quattro volte che compie l’intero
movimento di squat,
staccando il peso e scendendo con i suoi trenta chili, finalmente
riprende a
parlare.
«Dieci».
L’uomo,
senza dire niente, si avvicina a caricare ulteriormente il bilanciere,
osservando mentre la ragazza continua i suoi esercizi di riscaldamento
con
altre quattro serie da sei ripetizione per i quaranta chili, da cinque
per i
cinquanta, da quattro per i sessanta. Quando arriva agli ottanta chili,
emette
finalmente un fischio di apprezzamento.
«Complimenti,
Cupcake! Ehi, Morino, guada che, ridi e scherza, ‘sta tipa
solleva quanto te in
un allenamento normale».
Le
quattro serie da due vengono ripetute anche per i novanta e ora Kisame
non è
l’unico a guardarla con un briciolo di ammirazione, ma
l’intero corpo maschile
della palestra la osserva come a cercare di capire dove li nasconda
tutti quei
muscoli.
«Cento
chili al rank non sono comunque come cento in piana» borbotta
lo stesso
individuo che l’aveva invitata a riscaldarsi correndo.
«Sarà,
ma tu ai cento ci arrivi appena sia in rank che in piana,
Zabusa» gli fa notare
l’uomo in piedi a fianco a lei, mentre Sakura rimette a posto
il peso da cento
chili.
«Ora
posso anche spostarmi in piana, anche se avrei fatto volentieri qualche
minuto
in sbarra trazioni» si lamenta la ragazza stringendosi la
coda «E dubito che ci
sia qualcuno di voi forte abbastanza da farmi da spotter in
panca».
«Non
te la tirare troppo Cupcake, che qui l’unico senza spotter
rimango sempre io.
Vediamo cosa sai fare».
Sakura
si sdraia sulla superficie fredda e osserva la sbarra di metallo; ogni
volta
che entra in una nuova palestra si ritrova a dover dimostrare qualcosa.
O
almeno così era prima che Sasuke avesse deciso che dovevano
frequentare lo
stesso posto; da quel momento la gente faticava anche solo ad
avvicinarsi a
lei, non aveva importanza di chi si trattasse, se uomini o donne,
Sasuke li
cacciava via con una sola occhiata, a
volte anche con un cazzotto se lo riteneva necessario. Si
facevano da
spotter a vicenda e solo ora, nel trovarsi alle prese con qualcuno a
cui deve
dimostrare qualcosa e che si mostra piacevolmente colpito nello
scoprire quanto
sia competente, Sakura si rende conto di quanto tutto questo le fosse
mancato.
«Il
mio massimo è 117» dice con voce tranquilla
«Caricalo pure subito».
«Se
vedi che non riesci a tenerli dillo subito, non sono quel genere di
spotter che
aiuta la gente per sport».
«Non
mi dire» ironizza la ragazza.
«Quando
vuoi, dolcezza».
Le
sue mani afferrano saldamente il bilanciere freddo e vi si serrano
attorno,
mentre i muscoli si contraggono nello sforzo. È una
sensazione unica quella che
dà la panca, i muscoli si flettono e si tendono, come
volessero urlare al mondo
cosa sono in grado di fare; quel peso che prima era un ostacolo,
diventa una
meta e nello sforzo di riportarlo verso l’alto percepisci la
soddisfazione e la
gratificazione che la consapevolezza di avercela fatta porta con
sé.
Quando
i 117 chili ritornano al loro posto, il silenzio che cade nella
palestra la
dice lunga su cosa ne pensino ora, questi esimi sconosciuti, di lei;
nessuno le
rivolge più la parola, ma, anzi, tornano ognuno ai propri
esercizi. Tutti tranne
l’uomo dalla carnagione blu che è ancora in piedi
dietro la sua panca.
«Complimenti»
le dice, tendendo poi la mano verso di lei «Mi chiamo Kisame,
Kisame Hoshigaki.
Hai detto che ti chiami Sakura, giusto?»
La
ragazza reprime un sorriso di soddisfazione, rimanendo ad osservare per
qualche
secondo quella mano tesa, indecisa se stringerla o andarsene con una
pernacchia.
«Sakura
Haruno» risponde quindi, mentre le sue dita si chiudono su
quelle dell’uomo.
«E
dimmi, Sakura, saresti in grado di fare da spotter per i 130?»
«Non
ho mai provato, ma per i 125 non ho mai avuto problemi» si
blocca un secondo
interdetta «Sollevi 130 chili? Merda».
«Ah,
tranquilla, non ti rinfaccerò di certo che ne sollevi meno
di me, sei comunque
l’unica che potrebbe essere in grado di seguire il mio
allenamento. Per altro
hai un ottimo programma di riscaldamento, ti va farmi vedere
com’è quando lo
fai completo? Senza rompicoglioni che ti interrompono per vedere quanto
sollevi?»
Sakura
scoppia a ridere, quindi annuisce con un sorriso di soddisfazione che
nessuno
le leverà tanto presto dal viso. Poi inizia a spiegare.
«Non
posso credere che tu l’abbia fatto davvero» si
stupisce Ino, mentre con la
cannuccia pigia più a fondo la menta nel suo mojito.
«Come
sarebbe a dire che non puoi crederlo?»
«Beh»
interviene Naruto, avvertendo una vibrazione negativa
nell’aria «Fino ad ora
non hai mai cambiato palestra, nemmeno le altre volte in cui tu e
Sasuke vi
siete lasciati».
Sakura
alza le spalle e avvicina il bicchiere di vino alle labbra.
«Ve
l’ho detto, questa volta ha superato il limite»
borbotta «E non avevo alcuna
intenzione di smettere di andare in palestra per non vederlo».
«Credo
che comunque lui pensi che tu l’abbia fatto» le fa
notare Ino, mentre allunga
una mano a spostarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio
«Ho visto Karin,
quando è stato… Quando è stato,
Naruto?»
Il
suo ragazzo si gratta distrattamente una tempia, cercando di fare
ordine nella
memoria.
«Vediamo,
è stato dopo che siamo andati a pranzo da Shikamaru o prima?
No, no, è stato
dopo, allora credo fosse due giorni fa».
«Ecco,
comunque mi ha chiesto come stessi e a dirla tutta suonava parecchio
preoccupata, come se ti pensasse abbracciata a un cuscino a piangere.
Forse
dovresti chiamarla e –»
«Che
cazzata. Sto benissimo!» borbotta Sakura, interrompendo
l’amica «Non ho mica
più sedici anni, ne ho venticinque, Ino. Venticinque. E so
perfettamente come
reagire a queste cose e come prendermi cura di me stessa».
«Davvero?»
domanda l’amica «E la tua psicologa cosa ne
pensa?»
«Tch».
«Ti
vedo stanca, Sakura».
«È
una sua impressione, sto benissimo».
«Non
dovresti mentirmi, sei riuscita a dormire stanotte?»
«Il
letto matrimoniale mi infastidisce, ma sì riesco a dormire
ora. Anche se ogni
tanto mi ritrovo ad abbracciare il cuscino».
«Secondo
alcuni abbracciare il cuscino è segno di ricerca di affetto,
cosa ne pensi?»
«Penso
che sia normale, visto che io e Sasuke ci siamo appena
lasciati».
«La
cosa ti fa stare male?»
«Non
vedo come non potrebbe».
«Ma
sei ancora sicura che sia la scelta migliore?»
«Te
l’ho detto, Tsunade, questa volta sono seria, ho davvero
deciso».
«Hai
deciso cosa è meglio per te?»
«Ho
deciso cosa è meglio per tutti e due. Non ha senso che
rimaniamo entrambi in
una relazione che si trascina avanti da anni. Sasuke ha il diritto di
conoscere
qualcuno che non lo trattenga indietro, una donna che lo
meriti».
«Perché
tu non lo meriti?»
«Non
ho detto questo».
«Hai
ancora incubi, Sakura?»
«Ogni
tanto…»
«E
dimmi, cosa sogni?»
«Io…
Sogno sempre la stessa cosa».
Icaro
pecca di hybris. Eppure suo padre, Dedalo, è stato molto
chiaro con lui a
riguardo, deve volare mantenendosi a un’altezza costante,
nella media, non
troppo in basso per evitare che l’umidità del mare
blocchi le ali e non troppo
in alto dove il sole può sciogliere la cera che le tiene
insieme. Ma Icaro
pecca di hybris.
Forse
ad affascinarlo è il calore, o il fuoco, Dedalo non lo sa,
non lo saprà mai,
vede solo le piume che, una a una, si staccano da quelle ali
artificiali e suo
figlio che precipita, con le mani ancora tese verso il sole, in un
ultima
grottesca parodia di un battito d’ali.
Icaro
pecca di hybris e precipita al suolo.
Ma
è davvero colpa sua? Non è stato forse illuso da
suo padre con la promessa di
una libertà che non conoscerà mai? Non
è stato forse tradito dalla vita nel
momento stesso in cui è nato rinchiuso in una prigione di
solide mura? Il suo
sogno forse è reale, forse è hybris, forse
è solo il capriccio insoddisfatto di
un giovane uomo che non ha mai visto il mondo e non ne conosce le
forze, ma
Icaro allunga la mano e tenta di afferrarlo lo stesso. E, nel farlo,
precipita.
Sakura
inizia a riversare nella palestra e nel lavoro tutto il suo impegno e
tutta la
sua attenzione, ora che Sasuke non è più in casa
ha più ore per studiare e
riesce a trovarne anche qualcuna per sé stessa. Alla fine
è venuto davvero a
portare via le sue cose e la ragazza si domanda se non stesse solo
aspettando
quell’occasione, un litigio più pesante degli
altri, una parola di troppo,
insomma, una scusa per scappare da lei.
Forse
Tsunade ha ragione, deve smettere di pensare che sia meglio
così, deve smettere
di pensare che Sasuke si meriti di meglio, il suo è un
complesso di inferiorità
ingiustificato e a tratti persino stupido.
Si
rende conto, anche da sola, di quanto tempo abbia passato a inseguire
Sasuke –
e in parte anche Naruto – per dimostrare a sé
stessa e agli altri di essere
all’altezza di quei due, in cosa, esattamente, non saprebbe
dirlo nemmeno lei.
Eppure quei libri di medicina sono lì a dimostrare che ci
sta riuscendo alla
perfezione, a testimonianza di come non debba spiegazioni a nessuno.
Persino in
palestra, in quella nuova, la gente la guarda con ammirazione e se
qualcuno osa
commentare ora ci pensa Kisame a zittirlo con un’occhiata.
Non
avrebbe mai pensato che ci sarebbe andata d’accordo, eppure
l’uomo si è
rivelato un compagno di allenamento eccezionale, riesce a tenere i suoi
ritmi,
a seguirla nei pesi, nella corsa e nel nuoto e ad eccellere in ogni
cosa, dimostrandosi
superiore a lei senza però mai farglielo pesare. E Sakura si
domanda come mai
sia così stupita della cosa, forse perché negli
ultimi anni le è sempre stato
fatto notare come fosse un passo indietro a tutti (a
tutti chi, Sakura? Chiederebbe la sua psicologa, rimanendo in
attesa di una risposta che Sakura sarebbe troppo riluttante a dare) e
come
difficilmente avrebbe mai potuto raggiungere un livello simile.
Sospira,
guardandosi nel grande specchio della camera da letto.
I
lineamenti regolari del viso, gli occhi verdi e i lunghi capelli rosa;
Dio,
quanto ha odiato quei capelli e quel colore, perché era
così insolito, così
strano. Nessun altro aveva i capelli come i suoi ed era solo ovvio che
divenissero oggetto di scherno. Lei, i suoi capelli, la sua fronte
alta. Eppure
a Sasuke piacevano, davano un senso di pace, diceva sempre, un senso di
sicurezza.
Sakura
piega la bocca in un sorriso triste.
Fa
così strano usare i verbi al passato ora.
Dentro
di sé ode ancora quella vocina sottile che si domanda se sia
giusto, dove sia
Sasuke adesso, che cosa stia facendo e, soprattutto, se si sente
davvero pronta
a ricominciare.
Nella
casa della sua infanza, seduto in una stanza dalle tende tirate, il
ragazzo dai
capelli neri pensa le stesse cose, senza riuscire però a
trovare il coraggio di
formulare quelle domande a voce alta, rischiando di renderle troppo
vere,
troppo reali.
Sasuke
ha amato Sakura con tutto sé stesso, o almeno crede di
averlo fatto; non è mai
stato facile per lui venire a patti con i suoi sentimenti,
né tantomeno
riuscire a gestire il suo rapporto con gli altri. Sakura in questo gli
è sempre
venuta incontro, lo spingeva ad uscire, vedersi con gli amici (che
fossero solo
i suoi o i loro per lei non aveva importanza) e lo stimolava a cercare
nuovi interessi.
Con il senno di poi, riesce ad ammettere di essersi aggrappato a Sakura
almeno tanto
quanto la accusa di essersi aggrappata a lui; la loro relazione non
è mai stata
sana o equilibrata, ma entrambi riuscivano a ritrovare
nell’altro un punto di
stabilità, un porto sicuro.
Nel
suo faticare a costruire relazioni stabili con il prossimo, Sasuke era
riuscito
a trovare in Sakura qualcosa di unico e non avrebbe mai ringraziato
abbastanza
per questo, il vero problema – che poi era unicamente un suo
problema, ma non
era mai stato granché bravo nell’ammettere le sue
mancanze – era la sua totale incapacità
di comunicare in situazioni di stress.
Aveva
problemi sul lavoro? Finiva con lo sfogarsi su Sakura. Litigavano?
Finiva con
il dire cose che non pensava. La vita gli parava di fronte un ostacolo?
Si
chiudeva a riccio escludendo il mondo esterno.
No,
decisamente non è mai stato bravo in queste cose e riconosce
che gran parte dei
problemi tra lui e Sakura è stato lui stesso a crearli,
certo non tutti perché
le relazioni si costruiscono in coppia, ma sicuramente la maggior
parte. Quello
di cui ancora non è sicuro è che valga la pena
riprovarci, dopo tutto è sempre
Sakura, e lui sa già come andrà a finire, quindi
aspetta, aspetta che sia lei a
tornare.
Tanto
lo farà, Sakura torna sempre, si ripete nel buio della
stanza.
«Hai
tagliato i capelli!» nota Kisame vedendola entrare in
palestra.
«Mi
impicciavano soltanto e sono una piaga da asciugare dopo la
piscina».
«Stai
bene».
Sakura
sorride nell’udire quel complimento; da quando si sono
conosciuti, due
settimane prima, Kisame ha sempre dimostrato di notare più
le sue abilità di
atleta che le sue doti di donna e vedere che ha notato il suo nuovo
look le
risulta più gratificante di quanto si aspettasse. Forse
perché è la prima volta
che qualcuno non le chiede se non pensa che sia stata una pessima idea
rinunciare alla sua chioma in favore di un più comodo
caschetto; Ino ha
sostenuto che la sua sia stata una reazione naturale al cambiamento,
Naruto ha
quasi pianto nel vederla e, anche se non lo ha ancora visto, Sakura
è
abbastanza certa di cosa le avrebbe detto Sasuke.
«Stavi
meglio prima».
Scaccia
via il pensiero e li infila sotto la pesante cuffia di plastica nera.
«Facciamo
chi fa per primo trenta vasche?»
«Ti
va di perdere stasera? Sono in ottima forma!»
«Dicevi
così anche ieri, e poi invece…»
«Non
è gentile ricordarmi quando mi dimostro una mezza
sega!» si lamenta il ragazzo
fingendosi oltraggiato.
Sakura
scoppia a ridere e gli batte con aria di commiserazione una mano sulla
spalla.
«So
che la realtà è difficile da accettare».
Quindi
si tuffa, udendo a malapena il brontolio inframmezzato da una risata
che emette
l’uomo. È parecchio tempo che Kisame non si
divertiva così tanto in palestra;
sì, certo, per lui era stata spesso e volentieri una
questione di mero
allenamento e non riusciva a concentrarsi su altro che non fossero i
pesi. Ma
ora le cose stanno cambiando e inizia a rendersi finalmente conto che
l’attività fisica può essere
divertente, che ad allenarsi con qualcuno il tempo
trascorre più velocemente e quelle ore che prima sembravano
interminabili ora
cominciano ad apparire quasi troppo brevi.
«Oi,
ti va una birra più tardi? Devo beccarmi con un amico non
lontano da qui,
potresti unirti» domanda passandosi l’asciugamano
sulle spalle.
Sakura
non rimane troppo a pensarci su, Kisame non l’ha mai messa a
né disagio da
quando si sono conosciuti, né l’ha mai portata a
pensare di essere interessato
ad altro, quindi la ragazza accetta sorridendo, sollevata, una volta
tanto, di
non essere costretta ad uscire con amici carichi di preoccupazione nei
suoi
confronti.
«Certo
che mi va, se continuiamo con questi ritmi anche due».
Quello
che non si aspetta, nel momento in cui sale sulla macchina che li
attende fuori
dalla palestra, è di incontrare qualcuno che conosca. Itachi
la saluta con un
cenno, scompigliandole con affetto i capelli, sotto lo sguardo
incuriosito di
Kisame.
«È
una storia lunga» borbotta Sakura.
«Beh,
mica tanto. È la ex ragazza di mio fratello, più
o meno, quanto a lungo pensate
di rimanere in lite questa volta?»
«Ehi!
Definitivo, ok? Definitivo! Non fare il sarcastico come tuo
solito» lo
ammonisce la ragazza incrociando le
braccia al petto «E comunque pensavo che dovessimo andare a
bere una birra, non
parlare della mia vita».
«A
me sarebbe interessata anche quella» celia Kisame, seduto sul
sedile del
passeggero vicino a Itachi.
«Un’altra
volta, magari».
«Come
no, Cupcake, hai detto la stessa cosa quanto ti ho domandato che cosa
facessi nella
vita e non me lo hai ancora detto!»
Itachi
sorride sotto i baffi, lanciando un’occhiata di sbieco alla
giovane riflessa
nello specchietto.
«E
tutta questa reticenza da dove esce? Ti ricordavo più
espansiva».
A tuo fratello
non è
mai andato troppo a genio che raccontassi i fatti miei agli sconosciuti, vorrebbe
rispondergli, ma ancora
una volta (come troppe negli ultimi tempi) si trattiene rendendosi
conto di
quanto Sasuke sia riuscito a influire sulla sua vita e sulla sua
persona.
«Sei
stato via un per tre anni, magari sono cambiata».
«Figurati,
le persone non cambiano, Sakura».
«E
la Madonna, Itachi, piantala con il tuo cinismo del cazzo, che poi non
ci viene
più con me a bersi una birra! Però potresti anche
dirmelo cosa fai nella vita,
io non ho mica tenuto nascosto che cosa faccio».
«Cosa
ci sarebbe da tenere nascosto? Fai il meccanico».
«Appunto!»
Sakura
scoppia a ridere, smettendo di pensare, per la prima volta da quando
è salita
in macchina, a cosa possa pensare di lei Itachi nel vederla uscire con
qualcuno
pur sapendo della rottura così fresca tra lei e suo
fratello.
«Ok,
ok. Sto facendo la specializzazione di medicina, vorrei diventare
chirurgo».
«Poco
impegnativo mi dicono» fischia Kisame ammirato
«Complimenti, dubito che sarei
arrivato anche solo alla fine del primo anno, questo spiega i tuoi
orari
assurdi».
«Beh,
quando non sono in reparto o studio o sono in palestra, quindi finisco
con avere
un ritmo di vita un po’ sballato».
«Non
era una critica».
«Come
se questo beota potesse mai criticare qualcuno» mormora
Itachi parcheggiando.
«Siamo
già arrivati? Oh, conosco questo posto!»
«Tutti
conoscono il Saizo, dai andiamo».
È
vero, forse tutti lo conoscono, ma solo in pochi lo frequentano; la
verità è
che il locale è noto per il suo arredamento eccentrico e per
gli ottimi
cocktail, almeno quanto per il pessimo carattere del proprietario. Dal
soffitto
scendono lampade colorate, che diffondono una luce soffusa e un calore
tenue,
le pareti di legno sono decorate con vinili e poster retrò,
mentre i tavolini
di forme e dimensioni più variegate sono ricavati da veri e
propri tronchi
tagliati a casaccio e apparentemente riadattati.
«Oi!
Branco di sfigati, siamo qua!» urlano da un tavolo in un
angolo e, Sakura deve
ammetterlo, non è che i loro amici abbiano un aspetto
esattamente rassicurante,
anzi, se li incontrasse da sola al buio forse, forse due domande se le
farebbe.
Ma è anche vero che le apparenze ingannano, che
l’abito non fa il monaco e
altre frasi fatte che non le vengono in mente, ma il cui concetto
rimane sempre
lo stesso, prima di giudicare aspetta almeno di averci parlato.
Dopotutto
nemmeno Kisame ha l’aspetto più raccomandabile del
mondo, per Dio! È blu!
«Ve
a siete presa comoda, cosa cazzo stavate facendo? Grattandovi le
palle?»
«E
complimenti a Hidan per la miglior presentazione degli ultimi
anni» celia il
ragazzo biondo seduto a fianco di quello che li ha accolti con tanta
delicatezza.
«Sakura,
lui è Hidan, ma forse lo hai già visto in
palestra» lo presenta Kisame
ignorandoli tutti quanti «Alla sua sinistra Deidara, alla sua
destra Kakuzu,
lei è Konan – non lavori stasera? E invece, dove
diavolo è Sasori?»
«Ci
ha pisciato» risponde Deidara disegnando distrattamente su un
tovagliolo con
una penna nera.
«Oh
beh, poco male. Invece il proprietario di chiama Pain, non farti
intimorire
dalla sua faccia di cazzo, è una brava persona».
«A
volte» aggiunge Deidara.
«Se
lo becchi in buona» continua Konan.
«Finitela,
deficienti. Lei è Sakura, comunque. La mia spotter in
palestra, la ragazza di
cui vi ho parlato!»
«Non
è una vichinga» fa notare laconico Kakuzu.
«Io
non cosa?» domanda la giovane interdetta, indecisa se
prendersela con il suo
interlocutore o direttamente con Kisame.
«Capiscilo»
interviene Itachi, che Sakura la conosce da anni e si rende conto di
come possa
male interpretare certe battute sul suo aspetto «Da quando
Kisame ti ha
conosciuta non ha fatto altro che elogiare questa sua misteriosa
partner,
apparentemente tanto forte da fargli da spotter e batterlo addirittura
nel
nuoto. Non ci aspettavamo esattamente una ragazza carina come
te».
«Davvero?»
domanda Sakura, lievemente lusingata.
«Beh
non è che parli proprio sempre di te, eh. Ho anche altri
argomenti di cui
parlare!»
Quello
che Sakura non avrebbe mai immaginato prima di arrivare lì,
è che la
conversazione con dei perfetti sconosciuti potesse scorrere con tanta
facilità
e naturalezza; ad essere onesta non ricorda nemmeno più
quando sia stata
l’ultima volta che le sia capitato di uscire e conoscere
gente nuova.
Sorseggia
lentamente il suo mojito, mordicchiando leggermente le foglie di menta
tra i
denti e ridendo di tanto in tanto di qualche battuta; anche il
proprietario del
locale si è rivelato essere meno scorbutico di quanto
pensasse, nonostante
quello che aveva sentito su di lui.
Il
primo momento veramente impegnativo della serata arriva quando quasi
tutti
escono a fumare e Sakura si ritrova da sola con Itachi a quel tavolo
improvvisamente troppo grande. Si rende conto che sono anni che non lo
vede e
che non sapeva nemmeno che fosse di nuovo in città.
«Quindi
sei tornato a casa?»
«Sai
come si dice: il figliol prodigo».
«Non
che tu lo sia mai stato, Itachi» gli fa notare Sakura
sorridendo appena e
osservando il suo drink.
«Forse
no, ma era anche tempo. O meglio, non vivo più con i miei,
non so se Kisame te
ne ha accennato, sono il suo vicino di casa».
«Oh,
quello con l’OCD, si ora capisco cosa voglia dire quando dice
che ogni tanto
entri a sistemargli la casa, nel senso… ho ben presente le
manie tue e di tuo
fratello».
«Non
sono manie, si tratta di senso pratico e logica» ribatte
l’uomo leggermente
piccato «Piuttosto, parlando di mio
fratello…»
Sakura
storce il naso e distoglie lo sguardo.
«Non
va avanti da un po’ troppo tempo questo tira e
molla?»
«Non
credo che tu sia la persona più adatta con cui
parlarne».
«Perché
è mio fratello?»
«Beh,
sì. Mi sembra chiaro».
«Proprio
per questo ci tengo a fartelo notare, e non solo per te, ti conosco da
così
tanto tempo che potresti essere mia sorella pure tu. Sono preoccupato
anche per
Sasuke, e la sua tendenza all’istrionismo, non vorrei
rimanesse troppo ancorato
al passato e non riuscisse ad andare avanti con la sua vita. Rischiate
solo di
trattenervi a vicenda in questo modo, lo sai, vero?»
«Tendenza
a che? In ogni caso non mi va di parlarne. E non è che lo
costringo a stare con
me, né mi ha mai costretto lui, insomma-»
«Non
è quello il punto».
Sakura
solleva lo sguardo e lo fissa per qualche secondo, prima di trovare la
forza di
rispondere.
«Lo
so».
È
in quel momento che ritorna Kisame, con un bicchiere pieno e un sorriso
sul
volto; non ci aveva mai fatto caso prima, ma Sakura nota in quel
momento che i
suoi denti sono stranamente appuntiti, o almeno più del
normale, si accorge
anche di avere ripreso a respirare, perché sa anche lei che
ora che non sono più
soli l’interrogatorio è finito.
«Ho
bisogno di una boccata d’aria» mormora piano,
mentre la gente si fa largo per
tornare a sedersi.
«Ti
accompagno» esclama Kisame, sollevando la sua birra e
facendole cenno di
seguirlo «Sul retro c’è un giardino
fighissimo, devi vederlo!»
Il
giardino c’è davvero e non è per niente
male, piccolo, ma curato e molto verde;
fiordi colorati sono raccolti in piccole aiuole e un muretto di circa
un metro
lo separa da un’altra proprietà. Vi si appoggiano,
lasciando in bilico i bicchieri
sulla cima e Sakura chiude gli occhi, respirando l’aria
fresca della sera.
«Tutto
bene?» domanda l’amico (e sì, Sakura si
domanda se sia il caso di considerarlo
in questo modo, forse potrebbe essere il caso).
«Sì,
è stato solo inaspettato, ecco».
«Cosa?
Incontrare Itachi?»
«Non
sapevo che vi conosceste, insomma, quante possibilità
c’erano?»
Kisame
solleva le spalle e sorride: «Più di quante tu
creda, hai mai sentito parlare
della teoria dei sei gradi di separazione?»
Sakura
scuote il capo, perplessa; è mai possibile che tutte le
persone con cui parla
ultimamente non facciano che tirarle fuori cose di cui non ha mai
sentito
parlare in vita sua? Prima Tsunade, poi Itachi e ora pure Kisame.
«È
una teoria sociologica secondo la quale ogni persona può
essere collegata a
qualsiasi altra persona nel mondo attraverso una catena di conoscenza e
relazioni composta da non più di cinque persone. Quindi come
vedi non era così
strana come possibilità, quella di conoscerci intendo.
Magari prima o poi ci
saremmo conosciuti comunque e a farla veloce abbiamo due soli gradi di
separazione, visto che sei la ex ragazza del fratello del mio vicino di
casa».
«Mi
sembra una teoria un pochino tirata».
«Ma
verificata e comprovata, quindi mi spiace, Cupcake, ma questa volta ho
ragione
io!»
Sakura
scoppia a ridere, divertita.
«Non
sapevo fossi un esperto di sociologia».
«Ci
sono un sacco di cose che so, sarò anche solo un meccanico,
ma non sono un
idiota».
«Non
intendevo insinuare che lo fossi!»
«Lo
so, lo so, non preoccuparti» la tranquillizza
l’uomo appoggiandole una mano sul
capo «Cioè, chiaramente è capitato,
più volte, ma non certo in questo caso, non
mi hai mai fatto sentire da meno per via del mio lavoro o della mia
istruzione».
«Saprò
anche essere spocchiosa, ma non sono una stronza» fa notare
con gentilezza
Sakura, sorridendo appena.
«Però
non ti va comunque di parlarmi della tua vita, giusto?»
«Non
è proprio così, è solo che mi fa
strano, nel senso Itachi è il fratello di
Sasuke ed è un po’ imbarazzante parlarne con
lui».
«Sì,
ma non ti ho chiesto di parlarne con lui, ma con me, sempre che ti
vada. Non mi
sembra che tu sia troppo propensa a parlarne con i tuoi
amici».
«Guarda
che ce l’ho già una psicologa, non serve che mi
psicoanalizzi anche tu!»
«E
non mi sembra che tu sia troppo sincera nemmeno con lei».
Sakura
si siede sul muretto a cui sono appoggiati, fissando un punto
indefinito
davanti a sé, nella penombra male illuminata del giardino.
«Hai
presente» comincia a voce bassa «quello sguardo
mortificato che ti rivolgono
ogni tanto le persone che consci? È uno sguardo di
pietà mista a dispiacere e
tu senti che, anche se non credono di farlo, ti stanno giudicando.
Dietro ai
loro sguardi è nascosta una preoccupazione che non vorresti
vedere perché
raggiungono conclusioni a cui tu non vorresti arrivassero, spesso
sbagliate,
affrettate e senza alcuna base logica. Hai presente?»
«Temo
di sì» risponde Kisame, passandole un braccio
attorno alla vita con fare
protettivo e lasciando che la ragazza gli appoggi il capo contro la
spalla.
«Ultimamente
mi sembra che mi guardino tutti così, tutti a chiedere
“Sakura stai bene?”,
“Sakura ce la fai?”, “Sakura che cosa
vuoi davvero?”, non so nemmeno cosa vorrò
fare domani, figurati se so cosa voglio fare con Sasuke. Se fosse
così facile
questa situazione non sarebbe durata così a lungo».
«Si
preoccupano, ti conoscono molto meglio e da molto più tempo
di me, quindi credo
sia normale» le fa notare Kisame «E a quanto ho
capito non doveva essere una
relazione sanissima la vostra».
«Forse
no, ma ha davvero importanza? Eravamo felici, siamo sempre stati
felici. Sì,
certo stare con Sasuke non è mai stato facile, ma io lo
am-»
«Lo
ami?»
«Sì,
cioè no, cioè non so. È complicato,
ok? Non era comunque quello il punto. Il
punto è che puoi stare con una persona problematica e amarla
lo stesso, puoi
vedere i difetti dell’altro e amarlo lo stesso, puoi anche
renderti conto dei
problemi che ha la vostra relazione e decidere che va bene
così».
«Non
sono del tutto sicuro di concordare, ma capisco il discorso. Anche se
credo
dipenda dalla persona».
«Sasuke
è una persona complicata, soffre di una leggera depressione
che ogni tanto
torna a farsi sentire. Non so nemmeno perché io te ne stia
parlando ora, non lo
sa quasi nessuno, oltre a me, la sua famiglia e il suo- nostro,
migliore amico.
Però ecco, se la porta dietro e quando si fa risentire
diventa difficile
gestirlo, ogni tanto ci gioca su, nasconde il suo malumore e la sua
voglia di
sfogarsi dietro la scusa dei farmaci e se la prende con gli altri. Ma
la verità
è che sono solo dei momenti ed è normale che la
gente veda il peggio, perché se
devo lamentarmi mi lamento quando sto male, non quando sto bene,
è normale,
no?»
«Stai
cercando di dire che ti infastidisce che i tuoi amici giudichino la
vostra
relazione solo in base ai suoi momenti peggiori, giusto?»
«Detto
così sembra una cosa quasi ovvia».
«Beh,
lo è, Cupcake» le fa notare Kisame
«Anche se è una cosa che avviene spesso, le
persone che ci sono vicine tendono a farlo e non certo per cattiveria,
la loro
è quasi sempre solo preoccupazione».
«Non
voglio che si preoccupino allora, non ne ho bisogno. So badare a me
stessa».
«Non
è quello il punto, Sakura».
«Lo
so, ma non tollero quando lo fanno e mi fissano giudicandomi per il
solo fatto di
amarlo ancora, come se questa fosse una colpa».
Kisame
non risponde, incerto su cosa dire, incerto se lei voglia o meno andare
avanti
a parlare; forse però è meglio così,
perché Sakura in quel momento non è certa
di volerla una risposta e non sa nemmeno bene come mai sia riuscita a
confidarsi
così tanto con una persona che conosce così poco,
ma per la prima volta da
qualche tempo si sente come se le avessero levato un grosso peso dallo
stomaco.
Si accorge che forse aveva bisogno di parlare, di uscire, di
ricominciare a
comportarsi come una persona normale.
«Credo
che andrò a casa ora».
«Ti
accompagno, aspetta solo che vado a riprendere due cose».
«No,
davvero, grazie, ma credo prenderò la mia borsa dentro e poi
un taxi» il
rifiuto di Sakura è gentile, ma deciso e Kisame non insiste
più di tanto
consapevole che sarebbe inutile «Grazie per la
serata».
«Quando
vuoi, Cupcake».
Il
Pug’s è sempre stato il loro punto
d’incontro, è un po’ il bar sotto casa,
quello in cui sono soliti raccogliersi tutte le sere per sbronzarsi
come degli
alcolisti e sparare cagate a raffica. Non che sia davvero sotto casa di
qualcuno di loro, a dire la verità per Sakura è
pure scomodo da raggiungere,
soprattutto se arriva dall’ospedale, ma oramai profuma di
casa. L’odore
penetrante di legno e alcool che colpisce le narici appena entrati, il
russare
sommesso del carlino dietro al bancone, proprio accanto a Kakashi che
prepara
imperterrito i drink, sono diventati parte di tutti loro; non
riuscirebbero più
a immaginarsi un venerdì sera senza tutto questo.
Fa
parte della loro routine, oramai: sedersi allo stesso tavolo, ordinare
gli
stessi drink, e, nonostante le premesse siano sempre le stesse, rendere
ogni
serata diversa dalla precedente.
«Quindi
Sasuke non ha intenzione di venire nemmeno stasera?» domanda
Naruto, con il
viso imbronciato appoggiato al tavolo e le braccia allungate a cercare
di
afferrare l’estremità opposta.
«Ancora
ti stupisci?» gli fa notare Neji «Tutte le vote che
si lasciano smette di
uscire con noi!»
«Fate
pure come se non fossi qui» borbotta Sakura, affondando il
viso nel suo
margarita.
«Comunque
è vero» interviene Ino ignorando l’amica
«Si isola e si mette ad uscire solo
con i suoi colleghi di lavoro. Se vi doveste lasciare sul serio temo
proprio
che smetterebbe del tutto di uscire con noi».
«Come
se ci lasciassimo davvero?»
«Nel
senso che il vostro tira e molla dura da anni» fa eco
Shikamaru «Oramai sono
aperte le scommesse per vedere quanto ci metterete a rimettervi
insieme».
«Siete
seri?»
«Mai
stati così seri, Sakura. E ti dirò di
più, io e Hinata siamo diventate
bravissime e ne usciamo quasi sempre vincitrici!»
«Tu
quoque?» domanda Sakura girandosi verso la figura
più tranquilla del gruppo.
«Oh,
beh, inizialmente pensavo non fosse appropriato, ma poi Ino mi ha
convinta del
contrario e-»
«Siete
delle persone orribili, vi odio tutti» borbotta la ragazza
affondando il naso
nel suo drink «E comunque non è vero che non
verrebbe più se la rottura fosse
definitiva, insomma siamo amici da una vita! Siamo un gruppo».
Neji
storce il naso, leggermente contrariato dalla definizione.
«Non
siamo esattamente un gruppo, siamo amici che si incontrano. E ognuno di
noi ha
più gruppi di amici, usciamo insieme, ma non siamo vincolati
gli uni agli
altri. Il concetto di gruppo è sopravvalutato, se un giorno
Sasuke decidesse di
voler sparire sarebbe perfettamente in grado di farlo, magari
mantenendo solo
il rapporto con Naruto».
«Non
che questo mi faccia stare meglio».
«Non
che sarebbe colpa tua» nota Choji «Sarebbe una sua
scelta che non avrebbe nulla
a che vedere con te come essere umano. E comunque poteva pensarci
prima, ecco».
«Io
comunque sono abbastanza sicura di vincere anche questa volta, a meno
che non
ci si metta di mezzo qualcuno. Tipo il tuo nuovo amico della
palestra».
«Ma
chi? Kisame?»
«Quello»
conclude Ino.
«Non
credo proprio, stronzetta».
Sakura
considera la sola idea quasi assurda; il legame che si è
venuto a creare con
Kisame per quanto rapido e inaspettato non è niente di
più di un’amicizia.
Certo, per lei è stato quasi strano riuscire a legare
così in fretta con uno
sconosciuto ed è stato piacevole per entrambi scoprire come
fossero in grado di
capirsi così bene e di parlare così apertamente
senza problema alcuno.
Anche
e proprio per questo, adesso che le cose sembrano assestarsi
leggermente,
Sakura non si fa problemi ad uscire più spesso con lui,
hanno deciso
addirittura di organizzare una serata cineforum, un giorno a settimana,
in cui
spararsi film di guerra, pieni di morti e di sangue. Quei mattonazzi
che fin
troppo spesso le sue amiche si rifiutano di guardare con lei
perché “Eugh, che noia,
ma si sparano e basta!”.
La
prima sera, Kisame si presenta con due pizze in una mano e sei birre
nell’altra, strappando un gridolino estasiato nella ragazza
non appena le vede
(le birre, o forse le pizze, o forse entrambe, non ha intenzione di
rifiutare
del cibo).
«Bella
casa».
«Grazie,
anche se bella è una parola grossa».
«Sei
in affitto?»
Sakura
appoggia le pizze sul tavolo del salotto e annuisce, mentre fa
accomodare
Kisame all’interno.
«Sai,
all’inizio doveva essere una sistemazione temporanea, costa
più di quanto possa
permettermi da sola, ma poi Sasuke è venuto ad abitare con
me e in due è stato
subito più semplice. Ora non so proprio quanto
resterò…»
«A
meno che lui non torni».
La
sente sbuffare.
«Non
so proprio perché tutti pensino che torneremo assieme,
è così scontato?
Insomma, sì, in passato è accaduto, ma
è così fastidioso vedere le persone che
danno per già definitive delle decisioni che non spettano a
loro».
«Te
l’hanno detto in molti?»
Sakura
annuisce di nuovo, mentre si lascia cadere stancamente su una sedia,
spostando
dal tavolo, con un gesto quasi brusco, una pila scomposta di manuali di
medicina.
«Scusa
la brutalità, ma non pensi che possano avere ragione?
Capiscimi, non ti conosco
da abbastanza tempo per fare un’affermazione del genere e
sicuramente non
conosco il tuo ex. Ma non credi che ci possa effettivamente essere una
possibilità, se tutti sono così sicuri che ci
sia?»
«Forse
sì» si blocca un secondo, mentre
l’amico, seduto di fronte a lei, le apre una
birra «Ad essere del tutto sincera, però, non sono
sicura di cosa farei questa
volta».
«Eh,
tipo che capirlo potrebbe già essere un buon inizio, non
credi?»
«Fosse
facile, perché la fate tutti così facile? Non
avete mai avuto storie d’amore
complicate nella vita?»
Kisame
scrolla le spalle e addenta una fetta di pizza.
«Una
volta sola, ma non sono mai stato granché bravo in queste
cose, le mie storie
non sono mai durate più di tanto. Ho sempre avuto un brutto
carattere e sono
sempre stato brutalmente onesto. Mi dicono che non funzioni molto come
cosa,
dovresti saperlo, non lo è anche Sasuke?»
«Temo
sia un tipo di onestà differente. Sasuke dice tutto quello
che gli passa per la
testa, tu tendi a dire quello che pensi, ma non lo fai con
l’intento di
ferire».
«Ho
fatto anche quello, non pensare troppo bene di me».
«Con
chi? L’unica storia complicata che tu abbia avuto?»
«Vacci
piano con quel tono sarcastico, bella mia. Mei mi ha spezzato il
cuore!»
«E
io che pensavo che lo considerassi solamente un muscolo da allenare al
pari di
tutti gli altri, deve essere stata una vera stronza».
Ora
è il turno di Kisame di rimanere in silenzio per qualche
minuto, mentre nella
sua testa scorrono immagini di esperienze passate; se fosse facile non
sarebbe
lì a parlarne con Sakura e ad essere onesti erano anni che
non ritornava
sull’argomento, ma se qualcuno può capire, per una
volta, questa è lei.
«No,
in realtà no, ma non è mai facile capire queste
cose quando non conosci
entrambe le persone coinvolte».
«Lo
so» Sakura non dice altro e ascolta, piacevolmente sorpresa
dal fatto che
Kisame abbia deciso di aprirsi con lei.
«La
verità è che non puoi conoscere le dinamiche di
una coppia se non sei parte
della coppia; è una cosa che la gente fa spesso fatica a
capire e si permette
di giudicare. Io e Mei eravamo una coppia complicata, litigavamo
spesso, si può
dire che in qualche modo lo facessimo apposta, ci piaceva, dava colore,
ci
faceva sentire entrambi delle regine del melodramma. Non giudicarmi
troppo, ero
molto più giovane e molto più stupido».
«È
un tuo modo carino per dirmi che non hai sempre avuto 35
anni?»
«Ti
odio un po’, comunque avevo all’incirca la tua
età».
«Ti
prego, continua a dirlo come se fosse accaduto sessant’anni
fa».
«Oh,
insomma, mi lasci parlare? Come ti dicevo, eravamo giovani e la nostra
relazione era parecchio turbolenta, era divertente a suo modo, facevamo
un
sacco di sesso e spesso finivamo con il lanciarci dietro oggetti di
dimensioni
diverse. Non so bene quando iniziammo a dipendere così tanto
l’uno dall’altra,
ma ci volle del tempo perché riuscissi a capire quanto fosse
diventata una
dipendenza. Ed era distruttivo a suo modo, ci facevamo del male,
fisicamente,
psicologicamente, ma staccarsi era impensabile. Poi qualcosa
cambiò, forse
semplicemente, com’è nell’ordine
naturale delle cose, fu lei a crescere e mi
lasciò».
«Ti
lasciò e decise di non tornare indietro sulla sua decisone,
non è così?»
«Mi
spezzò il cuore, dico davvero. Ma con il senno di poi non
posso non capire e,
soprattutto, non posso non darle ragione».
Sakura
annuisce, chiude il cartone oramai vuoto della pizza e solleva le
gambe,
avvicinando le ginocchia al petto e appoggiandosi con i piedi sulla
seggiola.
«Il
punto è che è difficile capire se stai sbagliando
o meno in determinate
situazioni, non te ne rendi conto subito e il parere degli altri non ti
aiuta,
perché non conoscono i fatti o meglio, i fatti che conoscono
sono, per forza di
cose, appannati da un giudizio che non possono esimersi
dall’esprimere».
«Lo
so, però –»
«Non
c’è un però Sakura, non so cosa tu
voglia fare con la tua relazione e
sinceramente credo che debba essere tu a decidere senza lasciarti
influenzare
da nessuno, ma qualunque sia la tua decisione non lasciare che il
giudizio
degli altri ti faccia sentire a disagio».
Sakura
sospira e sii stappa un’altra birra.
«Tutta
questa profondità mi fa venire il voltastomaco».
«Lo
so, lo so, tranquilla, ora piazzo su un po’ di morte. Cosa
preferisci
Apocalypse Now o Full Metal Jacket?»
«Uno
vale l’altro, tanto credi che non li sappia a
memoria?»
«Dato
che sono un duro non mi aspetto di piacervi, ma più mi
odierete, più
imparerete. Io sono un duro, però sono giusto: qui non si
fanno distinzioni
razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani o
messicani!»
Sakura
scoppia a ridere e lo segue a ruota.
«Qui
vige l'eguaglianza: non conta un cazzo nessuno! Dai mettilo
su».
Quando
Kisame arriva finalmente a casa sua è già la una
di notte, non che la cosa lo
preoccupi più di tanto, non si sente particolarmente stanco
ed era parecchio
tempo che non trascorreva una serata così piacevole con
qualcuno. Sakura è in
grado di metterlo a suo agio e di farlo sentire normale, non lo guarda
male per
la sua pelle blu, non fa battute spiacevoli e non si turba per le sue
stranezze; anzi pare anche quasi le faccia piacere trascorrere il suo
tempo con
lui. E Kisame lo sa, lo sa che non deve farsi illusioni e che
è meglio che
proprio se la tolga dalla testa (perché si sta accorgendo
che è inizia a
pensarle un po’ troppo spesso), ma la cosa è
più di difficile di quanto avesse
pensato. Sakura è sempre nei suoi pensieri, ultimamente ha
iniziato a
domandarsi se i suoi capelli siano davvero morbidi come sembrano e si
chiede se
sarebbe davvero così inappropriato portarla fuori a cena,
soprattutto vista la
situazione sentimentale di merda che sta vivendo in quel periodo.
«Sono
proprio una amico di merda» borbotta cercando di infilare la
chiave nella
serratura.
La
porta si è chiusa da qualche secondo dietro di lui quando,
dall’appartamento a
fianco, emerge una figura che, se fosse rimasto fuori qualche secondo
di più,
avrebbe sicuramente riconosciuto. Sasuke ha una smorfia stampata sul
viso e
nelle sue orecchie rimbombano ancora le parole di suo fratello:
«Se continui
così qualcuno, prima o poi, te la porterà
via».
Non
che ci creda davvero perché, insomma, pur avendo sempre
avuto i loro problemi,
lui e Sakura sono anche sempre stati in grado di risolverli;
sì, di sicuro la
loro relazione non è mai stata tutta rose e fiori,
né sono sempre stati in
grado di venirsi incontro, ma questo non significa che i dieci anni che
hanno
trascorso insieme siano stati vuoti o privi di significato. Tuttavia
non riesce
a togliersi dalla testa le parole di suo fratello; riconosce che
nell’ultimo
anno e mezzo la situazione sia andata sempre più
degenerando, ma non ha mai
creduto, non davvero, che lui e Sakura si sarebbero lasciati a tempo
indeterminato. I tira e molla fanno parte della loro relazione, le
danno respiro
e a Sasuke non importa più i tanto se ogni litigata sia una
ferita che rimane
nei cuori di entrambi, è un modo come un altro di comunicare
tra loro. Quello
di cui però non si rende conto, e che Itachi si è
premurato di fargli notare, è
che quello che per lui è normale, per Sakura potrebbe non
esserlo; crescere
insieme non sempre significa crescere nella stessa direzione e, spesso,
persone
che hanno trascorso molto tempo fianco a fianco, si trovano a
desiderare cose
diverse, ad avere aspettative diverse per il proprio futuro.
C’è un punto,
nella vita di ogni uomo, in cui ci si ritrova a soppesare le proprie
scelte, le
proprie decisioni e i propri sogni e a dover decidere se il modo in cui
si sta
vivendo la propria vita in quel momento ci soddisfa o meno. Itachi lo
ha
capito: Sakura si trova in quel punto della sua vita e questa volta il
rischio
che si accorga di volere qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo,
è reale.
Sasuke
non è sicuro di volerlo ascoltare.
«Kisame,
Kisame, sono arrivate!» esclama, senza curarsi minimamente di
nascondere la sua
esaltazione.
«Sei
seria? Tirale fuori, voglio vederle!»
La
ragazza si mette ad armeggiare con la borsa della palestra,
piazzandogli in
mano prima il cellulare, poi il portafoglio, quindi un reggiseno
sportivo di cui
l’uomo non sembra nemmeno accorgersi, impegnato
com’è ad osservare il movimento
di ricerca nell’enorme borsone rosa e nero. Finalmente, dopo
qualche
interminabile secondo, Sakura tira fuori due buste azzurrine dalla
sacca e le
porge all’amico, rinfilando precipitosamente dentro ogni cosa
che gli aveva
mollato in mano.
«Puoi
aprirle tu, se vuoi» dice con un sorriso.
«Sei
pronta? Poi le indossiamo subito».
Con
uno strappo simile a schiocco Kisame rompe la plastica e tira fuori
dalle buste
due magliette bianche sulle quali compaiono delle scritte; si tratta di
una
canotta da uomo e un top da donna, entrambi su misura ed entrambi
personalizzati.
La
maglietta di Kisame reca la scritta BEAST quella di Sakura MODE,
chiunque passi
di lì in quel momento non può fare a meno di
osservarli con aria schifata,
sollevando gli occhi al cielo.
«Non
posso credere che vi siate fatti delle magliette
complementari» borbotta Hidan
superandoli ed entrando a passo spedito in palestra.
«Ignoralo»
lo liquida Kisame con un gesto della mano «È solo
geloso perché il suo compagno
di allenamento è un idiota. E per tutti gli squali! Sono
bellissime! E la mia
ha pure la scritta in azzurro!»
«Spero
non la volessi anche tu rosa come la mia, sarebbe stato, come dire,
equivoco»
scoppia a ridere Sakura, per poi tornare quasi subito seria
«A meno che non ti
piaccia quel genere di cosa, allora no sarebbe stato molto chiaro.
Oddio, non
ci ho pensato, scusami!»
«Mi
fa piacere che la mia eterosessualità sia salva, nonostante
io rimanga blu».
«Non
sono sicura di avere capito» lamenta Sakura aggrottando le
sopracciglia.
«L’ultima
volta che qualcuno ha dato per certa la mia sessualità, beh,
si è basato sul
mio aspetto fisico e siccome sono blu ha dedotto che fossi
gay».
«Continuo
a non capire. Non riesco a concepire come il fatto di essere blu ti
possa
rendere omosessuale, sarebbe come dire che siccome ho i capelli rosa
allora
sono sicuramente lesbica».
«Ti
prego, Sakura, vai a cambiarti. Siamo qui per allenarci non per
disquisire di
cosa mi piaccia trovare nelle mutande della gente con cui
esco».
«Peccato,
mi stavo divertendo» celia la ragazza afferrandogli dalle
mani il top nuovo e
sparendo verso i camerini femminili.
La
palestra è semivuota ed è quasi un peccato che
nessuno possa ammirare la
bellezza delle loro magliette coordinate; Sakura si ammira nello
specchio,
mentre si avvicina alla sala dei pesi e si sistema sulla panca,
iniziando gli
esercizi di stretching.
«Quindi?
Come sta andando in reparto?» domanda Kisame, seduto poco
distante da lei.
«Meglio
di quanto pensassi, Shizune è davvero brava e mi segue
molto. Oh, e poi ieri
abbiamo finalmente fatto da assistenti in sala operatoria ed
è stato
fichissimo».
«Ew.
Hai infilato le mani dentro qualcuno?»
«Ah-ah»
la ragazza annuisce, mentre sistema i pesi sul bilanciere
«Dritto nell’intestino,
squishi squish. Una figata!»
«Disgustoso,
ricordami di non chiederti mai queste cose in orario pasti»
si lamenta con voce
fintamente tragica l’uomo.
«È
la stessa cosa che mi ha detto Sasuke ieri sera. Voi uomini siete tutti
deboli
di stomaco, mammolette».
Kisame
rimane interdetto con i pesi sollevati a mezz’aria; non fa
nemmeno in tempo ad
offendersi per il paragone perché nella sua testa rimbombano
due parole come se
qualcuno stesse prendendogli a martellate una tempia.
«Hai
visto Sasuke?»
«È
tornato a casa ieri sera» ammette Sakura abbassando lo
sguardo e
interrompendosi «Non so no sicura al cento per cento, ma
credo abbia intenzione
di -»
«Di
cosa?»
«Non
lo so bene nemmeno io» ammette «Mi ha fatto un
discorso parecchio lungo e
sentito ed era davvero tanto che non parlavamo tra di noi a questo
modo. Così
apertamente. E non sono sicura, ma credo voglia tornare a casa, o forse
ricominciare dall’inizio».
«Ti
vedo poco convinta…»
Sakura
alza lo sguardo e lo fissa per qualche secondo, dietro un velo di
malinconia.
«Ieri
sera Sasuke mi ha fatto un discorso. Un discorso davvero lungo e
profondo, e
non voglio dire che non mi abbia colpita o non mi abbia spinta a
pensare, solo
che non credo che mi abbia portato a pensare quello che avrebbe voluto
lui».
Kisame
aggrotta le sopracciglia e le si avvicina, appoggiandole con
delicatezza una
mano sul capo e lasciando che appoggi il capo contro il suo fianco.
«Ne
vuoi parlare?»
«Ne
vuoi parlare?»
«Non
credo ci sia più niente da dire, Sasuke. Non
credi?»
«No.
Ascoltami, so di avere dei difetti e so che la nostra relazione non
è perfetta,
ma questo non significa che voglia arrendermi».
«Non
è quello che mi hai detto quando te ne sei andato».
«Per
l’amor del cielo, Sakura! Ero arrabbiato, non devi
-»
«Non
devo sempre ascoltare quello che dici quando sei arrabbiato? Le parole
hanno un
peso, anche quelle che non pensi».
Sasuke
si lascia cadere sulla sedia del salotto e rimane a fissarla qualche
secondo,
in silenzio. Quando è stato che Sakura è
diventata così piccola? Così piccola
rispetto a lui. Mentre la guarda, appoggiata al muro, con le borse
sotto gli
occhi per la giornata di lavoro appena trascorsa, inizia a sfiorarlo
l’idea che
forse non l’hai mai conosciuta davvero. O semplicemente non
ci ha mai provato;
di fronte a lui c’è una giovane donna dalle spalle
piegate e il cuore spezzato
e Sasuke pensa che non è così che dovrebbe essere
la vita, non a venticinque
anni, non quando è appena iniziata e di fronte a te si apre
un infinito mare di
possibilità.
Si
passa una mano sugli occhi e allunga un braccio, Sakura afferra quelle
dite
pallide e le stringe, avvicinandosi piano a lui, fino ad abbracciarlo,
tenendogli il capo contro il proprio ventre.
«So
di non essere una bella persona».
«Sasuke,
cosa –»
«No,
aspetta. Resta così, fammi parlare. So di non essere una
bella persona, sono
spesso egoista, arrogante e a tratti dispotico; ci sono delle volte in
cui il
mio egocentrismo mi isola da tutto il resto, alienandomi da quella che
è la
realtà. So che non è facile stare al mio fianco,
lo so. Ma io ti amo, Sakura.
Sono stato sicuro di poche cose nella mia vita, come sono sicuro di
questo. Sei
il mio punto fisso e la mia ancora, e per quante volte
imboccherò quella porta,
troppo concentrato su me stesso per capire di star sbagliando,
altrettante
tornerò indietro, dove sei tu».
Sakura
non risponde, incerta se quella sia la fine o meno di un discorso che
non
capisce esattamente dove voglia andare a parare.
«Ero
così concentrato su me stesso, sui miei problemi da non
accorgermi dei tuoi. Da
non accorgermi che ti stavo lasciando indietro, ti stavo mettendo da
parte. E
mi dispiace Sakura, perché tu sei tutto. Senza di te non so
più chi sono».
«Sakura?
Mi stai ascoltando?» domanda Kisame, scuotendola leggermente.
«Scusa,
dicevi?»
«Ne
vuoi parlare?»
«No,
non ancora, preferisco di no».
«Ma
siete tornati insieme?» chiede ancora l’uomo, e sa
che dovrebbe fermarsi, ma
c’è quella voce dentro di lui che vuole sapere,
che sussurra piano e lo spinge
a non rimanere in silenzio.
«No,
no» si interrompe per un secondo «Non credo di
poterlo fare».
Quando
Sakura si decide a raccontargli quello che le ha detto Sasuke sono
passati due
giorni, e nemmeno Kisame sa bene cosa dirle. Vede nei suoi occhi
l’ombra del
dubbio, una domanda a cui non sa dare risposta, principalmente
perché non
riesce a identificarla. Non capisce cosa ci sia esattamente che non
vada e
quale sia il problema che attanaglia il cuore dell’amica.
Vorrebbe
solo abbracciarla e dirle che Sasuke non è l’unica
possibilità, che lui è lì e
che se solo se ne accorgesse potrebbe offrirle il mondo, ma non osa.
Non ora
che la vede così fragile, così in bilico; Sakura,
dall’altra parte, vorrebbe
riuscire a parlare, ma non è certa di riuscire a trovare le
parole, non è certa
nemmeno di conoscerle quelle parole che va cercando. Sa che non basta
l’amore
per portare avanti una relazione e sa di non voler essere il
“tutto” di
qualcuno, non osa pensare a cosa significhi davvero che Sasuke non sa
chi sia
senza di lei, la cosa la spaventa più di quanto non vorrebbe
ammettere. E
inconsciamente ripensa alle parole di Tsunade, durante quelle sedute in
cui
storceva il naso e si rifiutava di ascoltare; parole che le ricordano
che la
cura, l’affetto e la responsabilità sono gli
elementi costituenti dell’amore,
che senza il rispetto e la conoscenza della persona che si ha vicino,
l’amore
si deteriora e diventa dominio e possesso. Non è
più sicura che quello che c’è
tra lei e Sasuke non sia una forma di dipendenza ossessiva, di
possesso, e,
soprattutto, non sa come ammetterlo ad alta voce. Non è
sicura di riuscire a vederlo
per la persona che è realmente, non è certa di
essere ancora in grado di
distinguerne i pregi, i difetti, la sua unicità e
ciò che lo rende un individuo
diverso dagli altri; non vuole davvero credere che sia così,
perché è una
verità che la turba anche più della
consapevolezza di un amore finito, ma si
rende piano piano conto che anche Sasuke non riesce più a
vederla davvero.
Quando
riesce, finalmente, a formulare il pensiero è già
trascorsa una settima e
Sakura scopre che sta piangendo e si rende conto di non riuscire a
fermarsi;
Kisame è al suo fianco e rimane congelato sul posto,
incapace di fare o dire
qualsiasi cosa, mentre di fronte a loro il film che stavano guardando
continua
ad andare avanti senza che nessuno rimanga a guardarlo. Le passa una
mano oltre
la spalla e la stringe a sé, baciandole con delicatezza i
capelli, mentre
Sakura si aggrappa alla sua maglietta e continua a singhiozzare; non le
chiede
quale sia il problema, non fa domande questa volta, semplicemente la
lascia
piangere, con la consapevolezza che al momento giusto sarà
lei stessa a
cercarlo per chiedergli consiglio. Con la consapevolezza che non
saprà come
risponderle, perché trattenersi dal baciarle gli occhi e il
viso diventa ogni
giorno più difficile.
Sono
da poco usciti dalla piscina la sera in cui finalmente le dice le cose
come
stanno. O meglio, non glielo dice, glielo urla in faccia, esasperato.
La verità
è che ovviamente non lo ha programmato, ma quando Sakura si
mette di nuovo a
parlargli di Sasuke capisce che non può continuare
così.
«Perché
non torni da lui e basta?» domanda, e la sua voce esce
più tagliente di quanto
vorrebbe, ma forse Sakura è troppo stanca per farci caso,
forse semplicemente
lo ignora.
«Se
fosse così semplice non credi che sarei già
lì?»
«E
cos’è che ti trattiene allora? Perché
sei qui, qui con me, intendo? Perché da
quel che mi hai detto mi sembra che tu sappia fin troppo bene quali
siano i
problemi della vostra relazione».
«Non
lo so, ok? Non lo so, mi piace stare qui, riesco a non pensarci e anche
quando
ci penso non sento quella fastidiosa sensazione di ansia che mi
attanaglia lo
stomaco. Perché deve esserci una ragione per
tutto?»
Kisame
si passa una mano sugli occhi, è un
impercettibile segno di sconfitta e se Sakura non avesse imparato a
conoscerlo
così bene nei mesi che sono trascorsi, forse nemmeno lo
noterebbe.
«Va
tutto bene?» domanda, accarezzandogli il
braccio.
«Io…
Sì, mi spiace. Credimi, non vorrei essere così
duro, ma ogni volta che esce questo argomento è
più difficile per me».
Come a
evidenziare le sue parole il telefono di
Sakura vibra, e sullo schermo compare un messaggio.
Mittente:
Sasuke.
“Ti aspetto a
casa, credo sia il momento di parlare, hai avuto abbastanza tempo per
pensare”.
Kisame
trattiene a malapena un gesto di stizza.
«Hai
capito? Hai avuto abbastanza tempo per
pensare. Avessi voluto pensare di più saresti dovuta
scappare in Tibet».
«Piantala.
È passata più di una settimana, è solo
normale che voglia una risposta».
«Lo
è davvero? O meglio, sei pronta a dargliela?»
«Fingerò
di non cogliere il doppio senso di questa
frase».
«Per
una volta sono serio» borbotta l’uomo
allontanandosi dalla palestra e incamminandosi verso la macchina
«Non so cosa
tu voglia dalla vita, Sakura. Oltre a diventare un medico eccezionale,
forse un
giorno me lo dirai. Ma una cosa la so, anzi, di una cosa sono convinto.
Puoi
avere di meglio, dannazione potresti avere chiunque nel raggio di
chilometri e
avere una relazione più sana di quella che hai
ora!»
«Non
vedo come questo cambi le cose» sibila la
ragazza, spinta sulla difensiva «Non ho detto che voglio
rimettermi con Sasuke!
E comunque non è così facile rimettersi in gioco,
Kisame. Sono stata dieci anni
insieme a Sasuke, pensi che sia facile ricominciare da capo?»
«Dannazione.
Non devi mica andare lontano!
Possibile che tu sia così cieca?»
La
ragazza si blocca, senza capire, aggrotta le
sopracciglia e rimane a fissarlo.
«Non
capisco, stai dicendo che conosci qualcuno
vicino a me a cui piaccio?»
Kisame
emette un verso indistinto a metà tra un
grugnito e il lamento di una balena che muore, spiaccicandosi le mani
sulla
faccia e ringraziando che in quel momento non ci sia nessun altro oltre
a loro
nel parcheggio.
«Si
può sapere dove hai la testa? Come fai a non
avere mai notato niente?»
«Oddio,
non è Itachi, vero? Sarebbe così
imbarazzante se fosse Itachi!»
«No,
è –»
«Meno
male, nessuno dei tuoi amici vero? Perché
sono tanto delle care persone, ma, insomma, non sono il mio genere, nel
senso
sono il mio genere perché sono il tuo genere, ma non so
proprio come potrei
reagire se –»
«SONO
IO» urla l’uomo, esasperato.
«Tu
cosa?»
«Argh.
Dannazione, Sakura. Come fai a non capirlo?»
Kisame si avvicina di un passo e le afferra un braccio, scuotendola
leggermente, come se in questo modo il concetto potesse raggiungerla
meglio
«Sto cercando di dirti che ti amo».
Silenzio.
Sakura
spalanca lo sguardo, metabolizzando a fatica
quanto le viene detto. Cercando con gli occhi una via di fuga, nella
speranza
di sottrarsi a una situazione che in quel momento non sa come
affrontare;
Kisame vorrebbe non avere imparato a conoscerla così bene, e
mentre rimpiange
le parole che gli sono sfuggite di bocca, allenta leggermente la presa
sul suo
braccio e la lascia andare, accarezzandole un’ultima volta i
capelli, prima di
voltarsi e avviarsi verso la macchina.
«Non
preoccuparti, non ho intenzione di rimanere a
metterti ansia» borbotta, dandole le spalle.
Quando
la sua vettura esce dal parcheggio, Sakura è
ancora lì, pietrificata nella posa in cui l’ha
lasciata; è con movimenti
meccanici che si dirige fino alla sua macchina, che mette in moto e
parte con
la consapevolezza di non avere un posto dove andare.
Quando
si accorge di essere di fronte al Pug’s non
saprebbe dire nemmeno come abbia fatto ad arrivare, ha guidato e
parcheggiato
in modo così meccanico che le è sembrato quasi di
averlo fatto in sogno. Il
locale è semivuoto, e, in piedi dietro il bancone, Kakashi
asciuga con aria
annoiata dei bicchieri appena lavati; nel vederla sorride, ma la sua
espressione cambia drasticamente nel vedere l’ombra sul viso
della sua giovane
amica.
«Ehi»
lo saluta piano, sedendosi nell’angolo più
distante dall’ingresso, su una delle alte seggiole che stanno
a metà tra
l’estremità del bancone e il retro.
«Brutta
giornata?»
La
giovane si lascia cadere con le braccia e la
testa sul piano di legno, trattenendo le lacrime annuendo piano con il
capo; se
dovesse piangere adesso con che faccia si presenterebbe a casa? Con che
faccia
si presenterebbe a Sasuke? Ma poi ci vuole davvero tornare da Sasuke?
«Sasuke
mi aspetta a casa» mormora piano e se
Kakashi non avesse già udito quelle stesse parole
più volte, probabilmente non
riuscirebbe a coglierle.
«E?»
«E
Kisame mi ha detto che mi ama».
L’uomo
si ritrova improvvisamente più interessato
alla faccenda, perché per la prima volta da dieci anni, le
carte in tavola sono
diverse; l’ago della bussola che ha sempre condotto Sakura ha
casa ha preso a
girare come impazzito, o forse ha semplicemente iniziato a indicare il
nord e
questa volta lascia che sia lei a scegliere cosa fare.
«Vuoi
tornare a casa?» domanda piano, mentre le sue
mani esperte vanno a preparare un martini.
«No.
No. Non voglio più tornare in quella casa, non
potrei farcela» si interrompe brevemente «La mia
psicologa dice che ho il
complesso di Icaro e io sono stufa di continuare a scottarmi».
«Il
che? Lasciamo stare la tua psicologa. Cos’è che
vuoi fare tu, Sakura?»
La
ragazza affonda il viso nel bicchiere che le
viene offerto e scuote ancora una volta il capo.
«La
verità è che non lo so».
«Ma
Kisame ti piace?»
«Sì?
Boh? Non lo so, non ci ho mai pensato,
Kakashi. Mai».
«Non
ci hai mai pensato o non volevi pensarci?
Perché non hai fatto altro che vederti con lui negli ultimi
mesi, non hai fatto
altro che uscire con lui, parlarci di lui e sembrava davvero
che-»
«Che
cosa? Non posso avere amici maschi?»
«Sakura,
hai un sacco di amici maschi. Hai me, hai
Naruto, e Shikamaru, e Neji e Chouji e i tuoi amici
dell’università e i
colleghi a lavoro. Ora dimmi, ti senti davvero di dire che non
c’è nessuna
differenza nel rapporto che hai con loro, con me e quello che hai con
Kisame?»
Sakura
non risponde, rimanendo a fissare il fondo
del Martini, mordendosi il labbro inferiore con aria nervosa.
«Se…
Se…»
«Se
cosa?»
«Se
io ora lo dico, questo non fa di me una persona
orribile?»
Kakashi
le passa una mano sul capo e si piega verso
di lei, nello stesso modo in cui potrebbe farlo un fratello maggiore
– e lei la
differenza tra quella mano sottile e le mani calde e blu di Kisame la
sente più
di quanto vorrebbe ammettere.
«Sakura,
le persone crescono e cambiano. Non amare
per tutta la vita una sola persona non ti rende una persona peggiore,
né una
donna poco seria; i sentimenti mutano con il tempo proprio come le
persone,
crescono e maturano con esse. A volte ci portano a disinnamorarci delle
persone
che avevamo vicino, altre ci portano a scoprire qualcosa di nuovo, e
non devi
mai vedere questo cambiamento come un fattore negativo. È
indice della persona
che sei e come tale è un sentimento che dovresti conservare
con cura».
È
la mancanza di qualcosa a guidarci, ma cosa sia questo qualcosa che
cerchiamo
di raggiungere con tutte le nostre forze non lo sappiamo nemmeno noi.
Tutto
quello di cui ci rendiamo conto è che siamo profondamente
insoddisfatti e che
desideriamo qualcosa. Forse Icaro lo aveva capito cos’era che
voleva davvero, e
non si trattava del sole, era stato Dedalo che, nel vederlo volare
verso l’alto
aveva pensato che fosse quell’astro così luminoso
e lontano ad avere attirato
il desiderio di suo figlio. Icaro, però, no, non desiderava
il sole, forse ne
apprezzava il calore, si beava di quei raggi sulla pelle,
così simili
all’abbraccio di una madre di cui non ricordava
più nemmeno il volto, lo
ammirava e ne percepiva la bellezza. Ma non era il sole ciò
che voleva, alla
fine, più di ogni altra cosa, Icaro, che era rimasto chiuso
in un labirinto per
quasi tutta la vita, desiderava la libertà.
L’invidia,
la gelosia, l’ambizione, qualsiasi tipo di desiderio
è un’inclinazione
dell’animo; l’amore, invece, è
un’azione. È il pieno esercizio della propria
umanità, il libro arbitrio che entra in gioco e ci spinge ad
agire; è qualcosa
che può essere compreso e vissuto solo da chi è
libro e non accetta né
costrizioni né condizioni. L’amore è
un’attività, non un effetto passivo degli
eventi che sconvolgono le nostre vite; le relazioni più
consapevoli e durature
sono quelle verso le quali cammini consapevolmente, non quelle in cui
ti lasci
trascinare dicendo a te stesso che non hai libertà di
scegliere. Nell’amore c’è
sempre una scelta, ed è principalmente quella di offrire, di
dare qualcosa
all’altra persona, senza limitarsi ad aspettare passivamente
di ricevere qualcosa
che non sei sicuro arriverà mai.
A
volte per capire se la decisione che stiamo per prendere è
davvero quella
giusta, non c’è altra scelta che prenderla, che
farsi coraggio, prendere un
respiro e fare un passo avanti, verso il vuoto.
È
così che cammina adesso Sakura, lasciata la macchina nel
parcheggio male
illuminato dietro il complesso di appartamenti; che il futuro sia
incerto lo ha
sempre saputo, è qualcosa che le hanno ripetuto
più volte, quasi fino alla
nausea, ma non ha mai creduto che affrontarlo potesse essere
così spaventoso.
Sente
un brivido leggero lungo la schiena, mentre si ferma di fronte a quel
portone
che conosce fin troppo bene, mentre si fa forza per allungare la mano e
suonare
il campanello. Rimane così qualche istante, con il braccio
sollevato a metà,
mentre nella tasca dei suoi pantaloni il suo telefono inizia a vibrare
e lei
sceglie di non rispondere.
Quando
la porta si apre, l’uomo la accoglie con un espressione
stupita, gli occhi
spalancati riflettono la luce del corridoio, mentre la bocca si piega
in un
sorriso lieve.
«Non
sei tornata a casa».
«No»
mormora piano Sakura «E non credo di volerci più
tornare».
Kisame
si fa da parte, lasciandole libero l’ingresso.
«Vuoi
entrare?»
Secondo
alcuni l’amore è la chiave della crescita
dell’uomo. L’amore e l’unione con una
persona diversa dal proprio io; quel genere di unione che ti porta ad
entrare
in una relazione con gli altri, che ti porta a percepire le altre
persone nella
loro essenza, nel modo di essere, di pensare, di vivere, ma senza mai
limitare
il tuo senso di integrità e di indipendenza.
L’esperienza dell’amore è
l’atto
più umano e umanizzante che viene offerto all’uomo
e che, come la ragione, non
ha alcun senso se concepito in una sola delle sue parti. Senza
rispetto,
fiducia, responsabilità, cura e conoscenza reciproca
l’amore cessa di esistere
e si estingue, come una fiammella in una tempesta.
A
volte basta poco, perché la fiamma si spenga, un soffio di
vento, un alito
leggero o un sospiro troppo pesante, altre volte ci vuole
più tempo, e per
spegnersi la candela si deve consumare del tutto; quello che davvero
è
importante, però, è non perdere la speranza,
perché per quante volte si spenga
la fiamma ci sarà sempre qualcuno pronto a riaccenderla per
noi, pronto a
mostrarci la strada con una nuova luce.
«Non
lo so ancora» risponde piano Sakura, facendo
inconsapevolmente un passo in
avanti e afferrando la maglietta di Kisame con una mano
«Posso restare?»
Appoggia
con delicatezza il capo sul petto dell’uomo, percependo il
movimento regolare
del suo respiro e il battito accelerato del suo cuore; non si stupisce
di non
essersi mai accorta di niente, Kisame sa fingere così bene
che si domanda come
avrebbe potuto rendersene conto. Poi il braccio blu dell’uomo
le scivola lungo
la vita, stringendola con forza, e a quel contatto tanto inatteso
quanto
conosciuto, Sakura ricorda improvvisamente come ci si sente quando sei
in
attesa trepidante di qualcosa, quando aspetti solo che il fiato ti
venga meno e
le gambe si facciano molli.
«Tutto
il tempo che vuoi» risponde Kisame, prima di chinarsi,
finalmente, su di lei e
sfiorarle le labbra con le proprie.
Ed
è il primo bacio con qualcuno che non sia Sasuke dopo dieci
anni, anzi,
probabilmente è in assoluto il suo primo bacio con qualcuno
che non sia Sasuke;
ed è tutto così diverso. All’esitazione
segue il piacere della scoperta e poi
l’eccitazione e la bramosia di qualcosa che nemmeno lei, fino
a qualche giorno
prima, avrebbe immaginato di desiderare così tanto. E,
quando la porta si
chiude alle sue spalle, Sakura non ha più alcun rimorso, non
ha più paura – non
come quando è arrivata lì; da qualche parte,
più lontano, seduto in una stanza
buia, la aspetta invano un altro uomo, il cui viso, illuminato dalla
pallida
luce del cellulare, si piega in una smorfia di disappunto nel leggere
il
messaggio sul display. Un giorno, forse non lontano, anche lui
sarà in grado di
ritrovare sé stesso e ricominciare da capo, per ora non gli
resta che accettare
di avere perso.
«Sei
sicura che sia una buona idea?» domanda Kisame, dopo aver
chiuso la porta.
«No.
Ma di tutte le cose di cui non sono sicura, questa è
l’unica che voglio»
risponde Sakura, prendendogli la mano.
E
ora sa cosa dirà alla sua psicologa, quando la
vedrà nella prossima seduta; le
dirà che sì, Icaro era volato troppo vicino al
sole ed era precipitato, le dirà
anche che, contrariamente a quanto pensavano tutti, dopo essere
precipitato
Icaro non era morto, ma si era rialzato e ci aveva provato di nuovo, e
di nuovo
ancora e ancora finché, finalmente, non era riuscito a
capire dove stava
sbagliando e, dopo avere capito che era il momento di andare avanti, si
era
evoluto e spiccando un balzo, con un movimento leggero di ali, aveva
attraversato
il mare e trovato la libertà.
|