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Crew&Ship: Sirius Black, Regulus Black | Black!brotherhood Warnings: Reunion, Post mortem Dove la Rana dice cose: erano probabilmente secoli che volevo
scrivere questa reunion. Ne sentivo un bisogno quasi fisico. E nonostante
gli impegni universitari - che ho deplorevolmente trascurato per mettere
nero su bianco questa storia - ho sentito che era il momento di farlo. Anche
perché a volte questi due mi mancano come se fossero concreti; mi manca
scriverci su, o anche solo parlarne. Ma l'unica vera nota importante, in mezzo a tutte queste considerazioni di
dubbia utilità, è che quanto segue è, in un certo senso, il sequel di
un'altra mia fanfiction, Il primo della stirpe; ovviamente il senso
generale di questa storia è chiaro e non c'è bisogno che voi
conosciate/andiate a leggervi anche l'altra, ma ci sono alcuni dettagli,
alcune parti che si ricollegano direttamente a Il primo della stirpe. In
ogni caso, comunque, siamo in un Paese libero, perciò sentitevi liberi di
fare come più vi va XDD Ultimo: il titolo è lo stesso del capitolo in cui Sirius muore e questa
storia ne rappresenta l'ipotetico - molto ipotetico - spin-off. La vostra amichevole Rana di quartiere.
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A Silvia (no, tesoro, non ti aspettare niente che sia al livello di Leopardi XD) che è stata la mia personalissima iniziatrice a questa coppia e che per questo devo ringraziarla proprio tanto. <3
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Il Velo non è che il principio di
ogni cosa.
Non puoi ancora saperlo, ovviamente,
perché il principio verrà solo alla fine e perché c'è stata come
un'esplosione che ti ha scaraventato due vite lontano dal Ministero,
gettandoti alla fine su qualcosa di morbido e vagamente pungente che
solletica le zone che i tuoi vestiti non riescono a coprire: le caviglie, le
mani, la nuca, un lembo di schiena. Segue un momento di apnea dove il
respiro resta incagliato da qualche parte, e tutto è fermo, sospeso, in
bilico. Ma poi ogni cosa torna al suo posto, il sangue ricomincia a
fluirti nelle vene e il cuore a vibrare in petto, e infine riapri
gli occhi su un cielo azzurro come il disegno di un bambino. Da qualche
parte c'è il sole; lo senti nell'aria, con quel suo odore di polvere e di
caldo, ma non riesci a vederlo – qualcosa lo trattiene, lo occulta, te lo
nega. Per ultimo arriva lo scialacquio maldestro di
qualcosa che cerca di muoversi in acqua; solletica una corda della tua
memoria – e del tuo cuore – ma ancor prima di poterti concentrare su
quell'informazione perduta una mano tesa e una sagoma buia e imponente ti
tolgono la luce di dosso, proiettando su di te un'ombra densa. In alto,
molto più in alto, un paio d'occhi brillano, fanno il paio con un sorriso
bianco e appena cauto che pensavi il tempo e il rancore ti avessero
strappato di dosso e invece è ancora lì, perfetto come lo ricordavi.
«Ciao, Sirius».
Il ricordo si incrina, si riempie di
condensa, come se quella voce sconosciuta vi avesse soffiato sopra,
confondendolo. Perché non conosci quella tonalità, non hai mai imparato a
farlo – ti sei negato l'occasione. Ma conosci chi ancora ti tende la mano,
chi la agita appena per invitarti a prenderla. E tu, che mai nella vita ti
sei piegato all'invito di chicchessia, l'accetti. Chiudi le dita sulle sue e
stringi la mano di quello che, alla fine dei conti, è un estraneo.
Ma che, alla fine dei conti, è pur
sempre Regulus. Tuo fratello Regulus.
Con la forza di un adulto – che
ancora una volta stride con il ricordo di bambino ch conservi di lui – ti
tira in piedi, sulle gambe, e finalmente riconosci il luogo. I cappelli
aguzzi di decine di torrette che ti negano il sole non possono che essere
quelli di Hogwarts. E lo sciala cquio maldestro non
è che quello della piovra gigante, la cui testa affiora dal pelo dell'acqua.
Regulus intuisce la tua incertezza e
abbozza un sorriso.
«Non mi aspettavo niente di diverso;
questa, dopotutto, è casa tua».
Lo guardi.
Alla luce del giorno, sotto questo
cielo terso, non potrebbe essere più diverso dal ragazzino che ricordi,
quello dalle spalle ingobbite dal peso di un rancore che non gli apparteneva
e dagli occhi grigi come i tuoi, ma opachi, abbacchiati, sempre socchiusi
quando le urla gli sciamavano intorno, colpendolo infine dritto al cuore. Questo Regulus è l'adulto che ti
sei negato, il bambino che è cresciuto nella penombra di Grimmauld Place,
come una pianta malaticcia in un ambiente malsano.
Questo Regulus è il fratello che è
morto sotto la bacchetta di Voldemort e per il quale non hai osato piangere
– Azkaban ti era già penetrato troppo dentro, anchilosandoti il cuore.
Però ti assomiglia. Non dimostra più
di vent'anni e ti assomiglia in una maniera che t'impressiona e ti
sconcerta, lo specchio del ventenne che sei stato. Abbozzi un sorriso e una
domanda sboccia sulle tue labbra, solo per appassire l'attimo dopo.
Perché – non l'hai appena
pensato? – Regulus è morto. E se la sua presenza è così fisica e
concreta, allora questo non può che voler dire che anche tu sei morto. In qualche
modo, da qualche parte, sei morto. Una risata fredda e acuta veleggia piano
verso di te e il viso di tua cugina Bellatrix ti si stampa nelle retine,
facendo il paio con l'incantesimo che non ti ha ucciso, no, ma ha fatto di
peggio: ti ha spinto oltre il Velo, oltre il cuore frusciante e
sussurrante della Camera della Morte.
«Sono morto».
Regulus annuisce e il suo sorriso si
allenta un po', incupito dal dispiacere.
«Perché siamo a Hogwarts?»
«Ah» sospira Regulus, battendoti una
pacca leggera sulla schiena per spronarti a camminare, a passeggiare, a
calpestare quell'erba che i tuoi passi hanno mandato a memoria una vita fa.
«Dicono che la morte porta la pace. Questa, evidentemente, è la tua» e
allarga le braccia, osando perfino una mezza, lenta piroetta, senza mai
smettere di camminarti accanto, come se temesse di perderti ancora. O forse
sei tu a camminargli accanto come se temessi di perderlo ancora.
«E adesso?» chiedi, impaziente come
sempre di sapere cosa viene dopo. Ma tuo fratello sorride, scuote un po' la
testa in quel modo che ti ricorda un po' il giovane Remus della tua
adolescenza (al pensiero, una vertigine dolente ti si spalanca nella pancia,
perché tu sei qui e Remus è rimasto oltre il Velo e questa solitudine che ti
scava nella pancia deve somigliare un po' alla sua) e indica un punto
lontano, proprio davanti al portone sprangato. C'è qualcuno sugli scalini,
qualcuno che ti aspetta quietamente e qualcun altro che invece agita un
braccio e c'è qualcosa, in quella sagoma, qualcosa che ti fa venire una gran
voglia di piangere, una gran voglia di ridere. Una gran voglia di vivere.
«Aspetta» ti prega Regulus,
stringendoti per un gomito. I suoi occhi ti stanno dicendo che ci sarà tempo
per quello e per tutto il resto, ma che, al contrario, non ne resta troppo
per colmare tutti gli anni che vi separano; non basterà, sai che non basterà
neppure una vita per recuperare quello che vi siete negati, quello che tu
gli hai negato voltandogli le spalle, quello che lui ti ha negato facendosi
marchiare. Perciò, quietamente, ti lasci condurre sulla sponda del lago.
Camminandogli appena un passo indietro, come per proteggerlo, prendi
nuovamente atto di questo giovane uomo che non conosci, di come tutto ti sia
estraneo in lui: il suo incedere, le sue movenze, perfino e banalmente i
vestiti che indossa – gli ultimi. C'è però una sorta di serenità che ha
sostituito il tormento che lo ha appannato per tutta la vita, come se
veramente la morte gli avesse portato la pace. Non c'è più dolore nei suoi
occhi, né rancore o disperazione; questo che ti scocca da sopra la spalla,
un po' in tralice, con i capelli che il vento gli soffia sulle guance, è lo
sguardo di una persona che ha finalmente esorcizzato i propri demoni.
Questo è il fratello che meritavi;
lo stesso che tua madre, con il suo odio e la sua follia,
ha tenuto fuori dalla tua portata.
Si ferma proprio sul delimitare
della sponda, con la punta della scarpa pericolosamente in bilico sul pelo
dell'acqua, in un punto che, se foste ancora bambini, ti strapperebbe un
moto di apprensione e ti riempirebbe la mano dell'urgenza di tirarlo via da
lì – proteggerlo. Infila le mani nelle tasche dei pantaloni e un po' di
vento gli smuove i capelli, i lembi della camicia che scodinzolano dietro la
sua schiena, quasi sfiorandoti. Ti guardi la mano e pensi all'ultima volta
che gliel'hai offerta, ai piedi di quella scala che vi ha separati e mai più
riuniti, sì, gliel'hai offerta e hai pregato che l'afferrasse, che si
mettesse dietro alle spalle tutte le aspettative che i vostri genitori
avevano nutrito nei suoi confronti, ma Regulus è rimasto fedele al sangue,
sacrificando l'affetto.
Ti guardi la mano e la senti
colmarsi del desiderio di posarsi sulla sua spalla, chiuderla sulla sua
carne e non lasciarlo mai più andare, perché solo in questo modo tua madre
avrà definitivamente perso – perché Regulus è qui con te, e non altrove con
lei. Perché solo in questo modo ritroverai il ragazzino piccolo e buono che
a fatica sapeva pronunciare il tuo nome, ma che ci provava comunque perché
l'idea di restare lontano da te lo terrorizzava.
Le dita stanno quasi per posarsi sul
tessuto morbido della sua camicia, ma poi Regulus parla e la sua voce è come
una fiammata che ti strina la pelle, spingendoti a ritrarre la mano al
petto.
«Ho fatto un sacco di errori,
Sirius, così tanti nei tuoi confronti che... Io, vedi, potrei dare la colpa
di tutto a nostra madre – forse non a torto – ma la verità è che quando te
ne sei andato, non avevo più motivi per mostrare quel poco di resistenza e
coraggio di cui la tua presenza mi faceva forte. Io penso di averti odiato,
Sirius» e si volta, guardandoti dritto in faccia, a viso aperto e mento
alto, come mai ha osato fare dall'altra parte del Velo. C'è però un sorriso
autentico, come lo spettro di un ricordo una volta velenoso ma che il tempo
ha mitigato, rendendolo adesso perfino dolce.
«Penso di aver odiato la tua
assenza, soprattutto, e il fatto che James Potter mi avesse spinto fuori dal
tuo cuore per prendere il mio posto. Naturalmente, nostra madre non ha perso
tempo a sfruttare la cosa a suo vantaggio. L'anno dopo era già un
Mangiamorte» e si sfrega l'avambraccio nudo, libero del Marchio Nero – un
atto di bontà della morte, pensi.
Sei tentato di interromperlo e
scagliargli addosso tutte quelle domande che si sono accumulate nel corso
degli anni e del dolore e della lontananza, quelle che a volte ti hanno
tenuto sveglio, o quelle che a volte ti hanno fatto piangere nell'intimità
di una doccia che, per quanto bollente, proprio non riusciva a scaldarti, ma
qualcosa nella rigidità delle sue spalle o nel profilo del suo mento ti
trattiene.
«Ho fatto cose orribili, Sirius, in
nome di qualcuno in cui non credevo nemmeno. Ciononostante, le ho fatte.
Finché...»
E quello che ti racconta ti strappa
brividi di disgusto e rammarico. Ti spiega di quella volta che Voldemort aveva voluto Kreacher al suo servizio, di quello che era stato costretto a fare, di
come gli ci fossero volute settimane e visite in posti infinitamente
deplorevoli per scoprire il suo più grande e terribile segreto. Di come
avesse definitivamente prestato ascolto a quei dubbi e a quei rimorsi che lo
pungolavano sin dalla marchiatura, di come si fosse reso conto troppo tardi
della selvaggia brama di potere che animava il suo signore, di come avesse
deciso di intervenire.
Sei attonito, sgomento, e non riesci
a togliergli gli occhi di dosso; sei ipnotizzato dal suo racconto, ma senti
la spina dorsale vibrare quando percepisci quello che viene dopo, l'ultimo
tassello di un quadro che non hai mai potuto completare se non con vaghe
supposizioni e ancor più vaghe incertezze.
Ti racconta di come avesse avuto
intenzione di sostituire il medaglione e distruggerlo per distruggere
Voldemort.
«Ero convinto che, privato della sua
più grande garanzia di vita eterna, l'avrei indebolita al punto da poterlo
sconfiggere, uccidere. Volevo dimostrarti che alla fine avevo trovato la mia
strada, Sirius, che ero degno di te. Niente, però, è andato come avevo
pianificato».
E ti racconta degli inferi, delle
loro mani bianche e scarnificate che erano affiorate dall'acqua per
prenderlo, per sommarlo al loro esercito dormiente e infernale, di come
avesse urlato a Kreacher di portare a termine il suo compito mentre i corpi
lo trascinavano giù, di come la bocca gli si era riempita di acqua
ghiacciata che si era portata via metà delle sue parole, tre quarti delle
sue speranze e tutta la sua vita.
Senti un po' di quell a
stessa acqua
scialacquarti nel fondo della gola e cerchi di mandarla giù prima che possa
soffocarti, ma è solo un'illusione e il sole che ti riscalda i capelli e che
fa brillare gli occhi di Regulus ti aiuta ad uscire da quell'apnea.
«Anche se è andato tutto per il
verso sbagliato, io devo ringraziarti. Sei stato la mia seconda possibilità.
Se quel giorno, ai piedi delle scale, non mi avessi guardato in quel modo
così... spento, forse adesso sarei dall'altra parte e dalla parte
sbagliata».
Lo abbracci.
Non puoi farne a meno, non potete
farne a meno.
Non sta più bene tra le tue braccia
come quando era bambino; adesso scivola da tutte le parti, le braccia e le
spalle non si incastrano più bene come una volta; vi limitate a cozzare,
senza combaciare. Però forse è giusto così; quello che vi è successo, i
segni che vi sono rimasti addosso non potete cancellarli come con un colpo
di spugna – come con uno schizzo d'acqua o col fruscio di un incantesimo.
Quando si separa e fa un passo
indietro, sai che non sarà per sempre ,
sai adesso che il Velo è stato il principio di ogni cosa.
Ti spiega che deve andarsene, che deve tornare nel luogo a cui apparterrà
finché qualcuno non lo libererà delle catene
che lo trattengono. Finché qualcuno non ucciderà definitivamente Voldemort.
Si allontana senza dirti una parola,
e guardi la sua schiena rimpicciolire, ridimensionarsi e adesso sai cosa
deve aver provato in cima a quella scala, mentre ti guardava andare via.
Lui, però, si volta. Così lontano e piccolo, è fin troppo facile confonderlo
con il bambino che hai protetto fino a che hai potuto. Perfino il suo
sorriso incerto e gli occhi un po' socchiusi ti sembrano gli stessi. Il braccio quasi nudo si leva in un ultimo saluto e la
pelle pulita e priva del marchio, adesso lo capisci, non è un atto di bontà
della morte: è l'ultimo atto di coraggio di tuo fratello.
C'è una mano posata sulla tua
spalla.
Un ventunenne James ti sorride in
quel modo morbido e trattenuto che tanto ti sorprendeva, che tanto stonava
con quello che era. Stringe forte, come se con quella sola mano volesse
sorreggere tutto il peso del tuo essere, delle tue preoccupazioni e del tuo
dolore.
E ce n'è un altra che si chiude
sulla piega del tuo gomito, più piccola e aggraziata, dalle unghie corte e
mangiucchiate – Lily non ha mai davvero perso quel vizio. Anche lei ti
sorride incoraggiante, carezzandoti con l'altro palmo la parte superiore del
braccio.
Quando torni a guardare davanti a
te, Regulus non c'è già più.
«Una nuova e devastatrice utopia della
vita, dove nessuno possa decidere per gli altri persino il modo di morire, dove sia davvero vero l'amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cent'anni di solitudine abbiano alla fine e per sempre una seconda opportunità sulla terra.» (Gabriel Garcia Marquez, discorso per il Premio Nobel)
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