Invece
No
Era
un giorno così.
Fuori,
il cielo plumbeo, dentro di me il più bel sole che si
potesse
sognare.
Aspettavo
quel giorno da due settimane, da quando, cioè, la mamma mi
aveva detto di essere incinta e che mi avrebbe portata con lei quando
avrebbe fatto l'ecografia.
“Così
vedrai la tua sorellina.” aveva detto. “O
fratellino.” aveva
aggiunto poi, ma subito aveva proseguito. “Anche se, secondo
me,
questa è una femmina.”.
A
sentirla, papà aveva riso. “Non è
troppo presto per
dirlo?” aveva chiesto.
Ma
la mamma aveva sorriso e aveva risposto: “Una mamma, certe
cose le
sente prima di chiunque altro.”.
E
quel giorno era arrivato.
Mentre
aspettavamo il nostro turno nel corridoio della clinica, ricordo che
non riuscivo a stare ferma.
“Calmati,
fai venire l'ansia anche a me!” aveva detto la mamma, ridendo.
Ansia?
No, ero solo eccitata.
O
forse no. Forse già sentivo che qualcosa sarebbe andato
storto.
Entrammo,
finalmente, nell'ambulatorio.
E
lì, sentii una frase che mai nulla, nulla, potrà
farmi
dimenticare.
“Qui
c'è qualcosa che non va.” disse il dottore, non
appena
cominciata l'ecografia. E poi, rivolto a me: “Adesso devi
uscire.”.
Non
ricordo di aver aperto la porta dell'ambulatorio, ricordo solo di
essermi trovata in corridoio, seduta su una delle sedie di plastica,
questa volta incapace di muovermi.
Forse
bastava respirare,
solo
respirare,
un
po'...
Sì,
forse sarebbe bastato respirare.
Per
accorgermi che quello era solo un incubo, un dannatissimo incubo, dal
quale mi sarei svegliata subito per scoprire che era tutto a posto.
E
respirai.
Ma
niente cambiò.
Quello
non era un incubo.
Mia
mamma uscì. “Andiamo.” mi disse.
“E'
vivo?”.
“Andiamo.”.
“E'
vivo?”.
“No.”.
Chi
resta qui,
spera
l'impossibile...
Chi
resta qui, spera ancora che non sia vero nulla.
Spera
in un errore, in una diagnosi sbagliata.
Spera
in un miracolo.
Invece
no...
Invece
no, il miracolo non c'è.
C'è
solo una realtà più grande di te, dalla quale
vorresti
scappare, che vorresti cambiare.
C'è
solo un ricordo che ti tormenta, che torna a farsi più vivo
che mai non appena chiudi gli occhi, ed è il ricordo di quei
momenti in clinica.
Ci
sono solo le lacrime, inesauribili.
C'è
solo l'aggrapparsi con le unghie alle persone a cui vuoi bene quando
le abbracci, perchè ora hai paura che ti vengano portate via
anche loro.
C'è
solo quel dolore sordo nel petto, che non se ne vuole andare.
C'è
solo una domanda che vorresti urlare, ma che già sai che
resterà senza risposta. Perchè?
Qualcosa,
da
finire insieme a te...
Finire,
non iniziare.
Avevamo
già iniziato qualcosa, no?
Quella
sorta di legame che si era creato dal momento in cui avevo saputo di
te.
Un
legame inconoscibile, irrintracciabile, unico.
Forse
è tardi,
forse
invece no...
Forse,
però, non te ne sei andata davvero.
O
andato.
Ma
è vero, anche secondo me eri una femmina.
Forse
sei ancora qui, accanto a me.
Invisibile,
ma ci sei.
Del
resto, il visibile non è sempre sinonimo di presenza.
Ci
sei, ti sento.
Sei
con me, sorellina mia.
Dedicata
alla mia sorellina, nel settimo anniversario di quel maledetto
giorno.
Ti
voglio bene, piccolina.
(La
canzone è “Invece no” di Laura Pausini)
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