PERSONAL SPACE: Ok, questa
cosa è uscita più autobiografica del previsto... avevo iniziato questa
one-shot come uno sfogo personale, un qualcosa per darmi coraggio e
fare quello che ancora oggi non sono riuscita a fare e sì, c'entra con
la lunga pausa che mi sono presa questa estate... e forse anche con
l'angst che verrà in Friendship & Loyalty... sorry Matt... Ad
ogni modo... avevo pensato di non pubblicarla, poi però non so...
magari può aiutare qualcun altro per cui...
E niente... buona lettura... credo.
A family for Christmas.
E anche il ringraziamento se ne era andato, ed era riuscito a
scampare l’interrogatorio di Foggy su cosa avrebbe fatto (o meglio, non
fatto), ma, soprattutto la sua pietà.
Senza i suoi supersensi, probabilmente non avrebbe affatto notato il
leggerissimo, impercettibile, cambiamento di atteggiamento del suo
compagno di stanza nei suoi confronti all’avvicinarsi della prima
festività dal giorno in cui si erano conosciuti.
Ovviamente, il biondo non aveva fatto fatica a immaginare che Matt non
aveva una vera e propria famiglia da cui tornare e col passare dei
giorni si era davvero sforzato di nascondere la sua eccitazione alla
prospettiva di tornare a casa, insieme con la sua ansia e il senso di
colpa, tutte cose di cui lui non sarebbe stato cosciente se le sue
orecchie non fossero state in grado di sentirne il battito del corpo,
per non parlare del leggero aumento della sudorazione e dell’aprirsi e
chiudersi continuo della mano sinistra del proprio amico, un tic che
aveva imparato a riconoscere come un segnale di ansia.
Alla fine ne avevano parlato, ovviamente, e Matt si era inventato un
ritorno alla parrocchia dove era cresciuto, quella affiliata
all’orfanotrofio che lo aveva accolto dopo la morte di suo padre, e,
fortunatamente, Foggy se l’era bevuta.
La notte precedente la partenza, nonostante avessero avuto una giornata
piena tra lezioni e studio in biblioteca, non era riuscito a dormire,
il sonno bloccato da un groppo alla gola al solo pensiero della
partenza del suo amico.
Sapeva che era stupido, che non aveva alcun senso, e che non avrebbe
potuto vivere la propria vita così, nel terrore che le persone se ne
andassero.
Eppure non riusciva a non pensarci.
Suo padre era uscito per un combattimento, sarebbe dovuta essere una
serata come le altre, con Matt a casa a vedere l’incontro e ad
aspettarlo una volta finito con il ghiaccio e il kit di pronto
soccorso. E invece c’era stato solo quel maledetto sparo e il suo cuore
che si era fermato. L’aveva sentito fin da casa, anche se ancora non
aveva idea di come sfruttare a pieno le proprie capacità.
Poi c’era stato Stick, a cui meno pensava meglio era, onestamente,
perchè ogni volta non riusciva a evitare di tornare a quel giorno e
chiedersi cosa diavolo avesse fatto di tanto sbagliato. Il vecchio non
gli piaceva, affatto, ma era l’unica persona nella sua vita, e aveva
fatto di tutto per compiacerlo, ma non era servito.
E infine Elektra.
Ci aveva quasi sperato, questa volta.
Era tutto perfetto. Le aveva detto quello che riusciva a fare. Insieme
si erano allenati, aveva corso sui tetti, fatto l’amore praticamente
ovunque e in tutte le posizioni possibili. Erano felici. Parlavano di
lasciare l’università e andare in Grecia, dove lei era nata e
cresciuta, dove aveva acquisito quell’accento che lo mandava
letteralmente in tilt. Volevano sposarsi e vivere la loro vita, lontano
dall’America e dai brutti ricordi.
E un mattino, semplicemente, era sparita.
E domani Foggy avrebbe preso un autobus per tornare a casa e Matt non
voleva, non poteva, pensare che non sarebbe tornato, perchè il solo
pensiero faceva martellare il suo cuore nella cassa toracica così forte
da rimbombargli nelle orecchie, così rumoroso da chiedersi perchè
diavolo il suo compagno di stanza non lo sentisse e non si svegliasse,
e nessuna delle tecniche che gli aveva insegnato Stick riuscì a
tranquillizzarlo.
Rimase immobile, fingendo di dormire, ascoltando il leggero russare del
suo coinquilino.
Alle prime luci dell’alba non riuscì più a resistere. Non poteva
salutarlo. Era più forte di lui.
Lasciò un sms al suo cellulare e, raccolti pochi vestiti in uno zaino,
uscì dal dormitorio.
La domenica sera, molto tardi, quando Matt rientrò nel dormitorio dopo
aver passato le giornate di vacanza chiuso in un motel economico di cui
non avrebbe mai dimenticato la puzza di muffa, mista a sperma e
cannabis, trovò Foggy già all’interno della propria stanza, e il
sollievo che lo pervase quasi lo fece barcollare. Era tornato.
-Matt!- lo accolse gioviale, con la bocca piena di quelli che
sembravano biscotti all’arancia fatti in casa -Iniziavo a preoccuparmi!
Dov’eri finito?-
-Scusa- Matt ovviamente si era già preparato la scusa -Ho iniziato a
giocare con i bambini… e il tempo è passato… Scusa. Come è andata?-
-Benissimo!- sentì Foggy alzarsi con in mano una scatola di cartone per
venire a sedersi sul suo letto - Te la manda mia madre… anche se potrei
essermi fatto uno spuntino mentre ti aspettavo-
Tipico di Foggy, ed effettivamente dalla scatola proveniva un profumino
niente male. Matt, che non faceva un vero pasto da giorni, non esitò a
infilare la mano e a cacciarsi in bocca uno dei più grandi biscotti che
avesse mai visto.
-Sono ottimi!- sorrise poi prendendone un secondo -Ringrazia tanto tua
madre da parte mia-
-Potresti farlo di persona a Natale- fu l’allegra risposta -Se non hai
di meglio da fare, ovviamente-
Andare da Foggy per Natale? Il suo cuore saltò un paio di battiti al
solo pensiero. Erano anni che non festeggiava in famiglia, anzi, a dire
il vero, che non festeggiava affatto, e se in casa Nelson erano tutti
come lui, non avrebbe rischiato il festival dell’imbarazzo. Stava già
per rispondere, quando di nuovo, la paura lo assalì. Non voleva
affezionarsi a nessun altro più di quanto fosse strettamente
necessario, e il Natale era un grande passo avanti anche solo per
un’amicizia.
-Ho promesso di tornare in orfanotrofio- rispose, senza aver bisogno di
fingere il proprio rammarico.
-Oh… beh magari ti chiamiamo al telefono, ok? O potresti raggiungerci
dopo, per il capodanno!-
-Sì…- rispose, più che altro perchè era l’unico modo per far cambiare
discorso a Foggy, che non avrebbe mollato finchè non avesse avuto una
risposta -forse…-
Ovviamente non c’era nessun orfanotrofio in cui tornare. Matt non
metteva piede in quella casa-famiglia da quando aveva compiuto i 18
anni ed era finalmente potuto uscire da quel posto. Ovviamente, le
suore sarebbero state ben felici di tenerlo con loro, ma lui ne aveva
le scatole piene di essere quello che non era mai stato adottato
definitivamente, quello che deteneva il record delle volte che era
stato riportato dopo pochi mesi per via della sua cecità, perciò non
aveva esitato mezzo secondo a raccogliere le sue cose e a sparire.
Ogni tanto andava a messa alla parrocchia, per salutare le educatrici,
ma la sola idea di rimettere piede nella struttura gli dava il volta
stomaco.
Ne aveva passate troppe là dentro per sopportare di tornarci.
Come per il ringraziamento, se la filò prima del sorgere dell’alba, il
primo giorno di vacanza. Era molto presto, troppo presto per sperare di
avere una camera al solito motel, per cui prese l’occasione per farsi
un giro nella sua Hell’s Kitchen.
Non era un luogo in cui tornava spesso, non da quando aveva iniziato a
frequentare l’università, almeno. L’orfanotrofio che l’aveva accolto si
trovava appena al di fuori del piccolo quartiere della Grande Mela, ed
era riuscito in qualche modo a terminare le scuole dove le aveva
iniziate, almeno fino al liceo.
Per le scuole superiori, dati i suoi risultati, era stato mandato in
uno dei più prestigiosi licei di Manhattan, con una borsa di studio che
gli aveva poi successivamente permesso di candidarsi (ed entrare) alla
Columbia University.
Tra lo studio, la scuola e i piccoli lavoretti che riusciva a
rimediare, le sue visite nel vecchio quartiere erano drasticamente
diminuite, fino a diventare praticamente nulle.
Non che avesse qualcuno da cui tornare, comunque.
I suoi compagni di classe non erano mai stati particolarmente
amichevoli, e quando passi il tuo tempo libero in palestra con tuo
padre non è che ti fai troppi amici. Certo, i pugili gli avevano voluto
bene, ed erano sempre stati lì per lui dopo la morte di suo padre, e
ancora dopo, quando aveva espresso il desiderio di poter “tirare
quattro pugni al colpitore”, non avevano di certo rifiutato la
richiesta del giovane Matt, ma oltre a essi, non c’era nessuno.
Quella mattina, comunque, decise di tornare.
Nonostante il gelo del mattino e la neve caduta da poco coprissero
abbondantemente gli odori, il suo olfatto colse comunque l’ombra
dell’atmosfera del quartiere mentre ne guardava lo skyline infuocato
dai suoi sensi dall’alto di un palazzo: sporco, spazzatura, droga,
sangue e inquinamento si mescolavano tra loro e lo riportarono ai tempi
in cui era tutto ciò che conosceva del mondo.
Sorrise, mentre prendeva la rincorsa e saltava da un edificio
all’altro, ripercorrendo con le gambe e con la mente i luoghi della
propria infanzia. Si fermò quando atterrò agilmente sul tetto di quella
che era stata casa propria, dove era cresciuto con suo padre.
Ripercorse mentalmente le scale antincendio, fermandosi e rivedendosi
bambino mentre si sedeva sul pianerottolo al di fuori del loro
appartamento, con le gambe a penzoloni e la mente che vagava in terra
sconosciute, alla ricerca di mille avventure.
L’altezza non l’aveva mai spaventato, nemmeno quando aveva ancora la
vista.
Se liberava il proprio olfatto, riusciva ancora a cogliere, anni dopo,
l’odore del dopobarba di suo padre, e la leggera nube di alcol che
aleggiava perennemente nel loro salotto. Jack Murdock non era mai stato
un vero e proprio ubriacone, ma le bottiglie non restavano mai piene
troppo a lungo una volta entrate in casa. Quando gli sembrò di sentire
la porta cigolare, seguita dai passi stanchi e zoppicanti del padre,
capì che non era il suo naso a captare gli odori: era tutto frutto
della sua testa, che lo ingannava, facendogli credere che in quel
palazzo fosse rimasto ancora qualcosa dei Murdock.
Sapeva bene che non era così.
Tutto ciò che rimaneva di suo padre era sepolto in fondo al suo
armadio, alla Columbia, nascosto perfino alla vista di Foggy. In una
vecchia scatola di legno grezzo, che gli graffiava le mani ogni volta
che la apriva, era custodito tutto ciò che era la memoria del pugile:
l’abito rosso, che aveva indossato durante l’ultimo combattimento, i
guantoni da box e il paradenti.
Gli erano stati restituiti poco dopo la chiusura dell’inchiesta della
polizia, il giorno dei funerali.
Matt si alzò in piedi e riprese la sua corsa.
Si fermò a un isolato dalla chiesa antistante il piccolo cimitero dove
riposavano le spoglie di suo padre. Si lasciò scivolare, con più
accortezza di quanto fosse necessario, fino a terra e percorse a piedi
la distanza rimanente.
Esitò di fronte al cancello chiuso, per qualche istante.
Non aveva remore riguardo a scavalcare il cancello chiuso; vero, era un
luogo sacro, e, altrettanto vero, probabilmente avrebbe infranto
qualche legge, ma non voleva fare niente di male, solo una visita a suo
padre, ammesso e non concesso che fosse riuscito a trovare il coraggio.
Per la prima volta in vita sua poteva ammetterlo: dal giorno del
funerale, non era mai più stato sulla tomba di Jack.
Decine di volte era andato al cimitero, con un mazzo di fiori freschi
comprati poco prima, deciso a compiere quel passo, ma era sempre finito
a lasciarli sulla prima lapide alla sinistra dell’entrata, che sapeva
appartenere a un bambino morto a pochi giorni dalla nascita, prima di
scappare il più lontano possibile (il che, in realtà, significava il
suo letto nella camerata dell’orfanotrofio).
Si appese con un salto all’estremità del muro di cinta, prima di
tirarsi su con la sola forza delle braccia e saltare dall’altra parte.
Era buio pesto, lì dentro, l’unica illuminazione proveniva dalle
candele accese, simbolo dell’anima dei defunti, ma a Matt non sarebbe
importato neppure se non fosse stato cieco. Sapeva esattamente dove si
trovava suo padre, doveva solo mettere un piede avanti all’altro e
andarci.
No. Non poteva farcela.
Si girò e tornò sui suoi passi.
***
Foggy si svegliò allegro, con l’intento di dare il suo regalo a Matt
prima di partire… salvo scoprire che il suo compagno di stanza si era
già ampiamente dileguato. Il ragazzo non riuscì a nascondere la
delusione: aveva messo la sveglia con largo anticipo per poter passare
più tempo possibile con il coinquilino e dargli il proprio regalo, non
per pietà, ma perchè era veramente dispiaciuto del fatto che avesse
declinato l’invito a casa Nelson.
Tra l’altro, Foggy non era stupido come sembrava, e non si era
esattamente bevuto la storia del tornare in orfanotrofio.
Aveva una discreta memoria, e ricordava abbastanza bene che le poche
volte che si era andati sull’argomento, Matt aveva fatto in modo di
deviare il discorso il più velocemente possibile, rinchiudendosi in un
ostinato silenzio quando non aveva altra scelta.
Inoltre, da quando Elektra era sparita (più o meno letteralmente) dalla
circolazione, aveva chiaramente avvertito una coltre di freddezza
attorno al cieco, come se fossero tornati agli inizi della loro
convivenza. Certo, c’era sempre una certa confidenza tra di loro,
perchè niente poteva cancellare le notti passate a studiare insieme, o
a confortarsi e a prendersi cura l’uno dell’altro quando si erano
ammalati ma, allo stesso tempo, era come se ci fosse un velo invisibile
che li separava, che diventava più spesso di giorno in giorno e Foggy
avrebbe davvero voluto sapere cosa stava succedendo a quello che aveva
iniziato a considerare il suo migliore amico.
-Franklin!-
-Eh? Cosa?- Dal tono di voce di sua madre, non era la prima volta che
lo chiamava, ma solo ora che aveva alzato la voce, era riuscito a
scuoterlo dai propri pensieri.
-Ti ho chiesto, per favore, di andare a prendere un po’ di legna per il
camino!-
-Ah. Sì, scusa mamma.- rispose scattando in piedi, lieto di avere
qualcosa da fare che lo distogliesse dal pensiero fisso del proprio
amico -Faccio subito-
-Vengo anche io, Foggy- gli fece eco la sorella, imitandolo e
accompagnandolo nel capanno degli attrezzi, dove tenevano la legna già
tagliata e asciutta, pronta per essere bruciata. -Che succede?- gli
chiese chiudendosi la porta alle spalle in modo che fossero soli.
Candace era di qualche anno più piccola di lui, frequentava ancora il
liceo e nel tempo libero si divertiva a far disperare i loro genitori.
Era tante cose, Candace, ma, soprattutto, era in grado di leggerlo come
un libro aperto. -E non pensare di ingannarmi con una delle stronzate
da avvocato che ti insegnano alla Columbia. Guardo Suits, so
riconoscerle-
-Sai che guardare un telefilm non equivale a ottenere una laurea, vero?-
-Non cambiare discorso. Sputa il rospo!-
-E’ Matt- rispose appoggiandosi alla catasta di legno con le mani e il
fondoschiena - Il mio coinquilino-
-Quello carino ma cieco?-
-Esatto-
-Avete litigato?-
-Non esattamente. Cioè, sono sicuro di no, però… ultimamente si
comporta in modo molto strano. Si potrebbe definire quasi freddo, senza
contare che ora non so dove sia, e la cosa mi preoccupa-
-Beh, sarà dalla sua famiglia. E’ Natale, no?-
Foggy sospirò, prima di iniziare a raccontare che Matt era orfano e
quella che secondo lui era stata solo una scusa.
-Hai provato a chiamarlo?-
Ovviamente ci aveva provato, ma ogni volta o aveva trovato il telefono
staccato oppure dopo uno o due squilli era entrata la segreteria, come
se avesse rifiutato la chiamata. -Beh, tu sei il suo contatto di
emergenza, vero?-
-Sì, perchè?-
-Essendo Matt disabile e al momento inrintracciabile, potresti far
controllare la posizione del GPS del suo telefono… o chiamare
semplicemente l’orfanotrofio-
Sua sorella non era solo un’ottima psicologa; era anche un dannato
genio del male, Foggy non si stupiva del fatto che riuscisse a fregare
genitori e insegnanti con estrema facilità.
Rientrò con la legna e fece subito un tentativo al Sant’Agnes, anche se
già conosceva la risposta: come previsto, sorella Marie, che gli aveva
risposto al telefono, gli disse che Matt Murdock non era più stato
visto in quel posto da quando l’aveva lasciato praticamente, esclusa
qualche messa. Di certo non era stato da loro al ringraziamento, e non
lo era adesso.
Il biondo riprovò quindi sul telefono dell’amico: sapeva che al momento
i loro rapporti non erano dei migliori, così come quanto fosse
riservato, e non voleva passare direttamente alla polizia; sarebbe
stata una totale invasione della sua privacy, di quelle probabilmente
che si potevano mettere sullo stesso piano di quella volta in cui gli
aveva praticamente strappato via gli occhiali da sole dagli occhi, e
non voleva rischiare un litigio.
Di nuovo, ascoltò la voce leggermente metallica che lo invitava a
lasciare un messaggio. Questa volta non riattaccò.
-Matt, sono Foggy. Senti, lo so che stai rifiutando le mie chiamate, e
so anche che non sei al Sant’Agnes, ho telefonato. Amico, non mi
interessa dove sei, ok? Solo… chiamami, fammi sapere che stai bene, ok?
Sono preoccupato da morire.-
Attaccò, prima di comporre di nuovo il numero.
-Sono io- disse dopo il segnale acustico -Di nuovo. Volevo solo dirti…
che il mio invito a passare qui il Natale è ancora valido, ok? Dimmi
solo dove sei e vengo a recuperarti.-
Poi fece una terza chiamata.
-PS: in ogni caso, dobbiamo parlare. Che ti succede amico? Perchè ti
stai isolando così? E’ per Elektra? Ho fatto o detto qualcosa di male?
Non allontanarmi, Matt, sei il mio migliore amico, e ci sarò sempre per
te. Te lo prometto.-
E una quarta.
-PPS: Buon Natale.-
Foggy aveva lasciato passare tutta l’antivigilia e metà della vigilia
di Natale prima di riprendere in mano il telefono. Aveva iniziato a
nevicare durante la notte, una tempesta di neve in piena regola che
aveva ben presto imbiancato New York e mandato in tilt strade,
aeroporti e, di riflesso, anche tutti i mezzi pubblici. Matt non aveva
dato nessun segno di vita, e la cosa lo stava mandando fuori di testa.
Non avendo altre idee, aveva cercato negli archivi online la storia di
Jack Murdock e, disperato, aveva telefonato alla palestra dove si
allenava, nel caso Matt fosse rimasto legato a quel posto ma, di nuovo,
nessuno aveva più saputo niente del piccolo Matty da quando aveva
iniziato il liceo.
Sopprimendo un’imprecazione, compose di nuovo il numero del suo
compagno di stanza.
-Matt- lasciò l’ennesimo messaggio in segreteria -So che sembro una
fidanzata gelosa, credimi, ma ti scongiuro, dammi un segno di vita. Un
sms, uno squillo, ma ti prego, fammi sapere che sei vivo, che non sei
congelato sotto uno strato di neve. Ti prego, Matt. Non farmi andare
alla polizia a denunciare la tua scomparsa, ok?-
***
Matt ascoltò l’ennesimo messaggio di Foggy mentre se ne stava rintanato
sotto le coperte di quella camera che sapeva di muffa. Tra le altre
cose, il riscaldamento aveva smesso di funzionare all’inizio della tempesta e nonostante fosse più
che coperto stava iniziando a tremare di freddo.
Una parte di lui non capiva perchè mai fosse così orgoglioso da
rifiutare l’offerta (e la preoccupazione) di Foggy. Non voleva
accettare. Foggy era preoccupato solo perchè era cieco e orfano, e non
voleva la sua pietà. Tuttavia, non voleva nemmeno che gli scatenasse
dietro l’intero distretto di polizia, per cui si decise a chiamarlo
dopo l’ennesimo messaggio.
Sperava soltanto che i suoi denti smettessero di battere abbastanza da
permettergli di parlare.
-Foggy?-
-Matt! Grazie al cielo! Dove sei? Stai bene?-
La voce di Foggy trasudava preoccupazione e Matt si sentì un filo in
colpa per avergli mentito sulla sua destinazione. Tra l’altro, faceva
fatica a capire perchè non fosse furioso con lui per avergli mentito ed
essere sparito.
-Sto… Sto bene…-
-Ehi… erano i tuoi denti quelli? Matt, dove cazzo sei?-
-Foggy… davvero…-
-No, Murdock, non ci provare. Riesci a malapena a parlare. Dimmi dove
sei-
In risposta, Matt attaccò e lanciò il telefono dall’altra parte della
stanza. Sentì dei crack sospetti al momento dell’impatto, ma non gli
importava. Meglio. Se non poteva parlarci, non avrebbe dovuto dare
spiegazioni.
***
-Dannazione!- Foggy per la rabbia lanciò il telefono sul tavolo con una
forza tale da far saltar via cover e batteria.
-Foggy, calmati…- Candace raccolse i vari pezzi da terra, rimettendoli
insieme con mano esperta. -Chiamiamo Brett e facciamo rintracciare il
cellulare, ho sentito che è entrato in polizia dopo il liceo…-
Foggy annuì e diede il numero di Matt alla sorella, lasciando che fosse
lei a occuparsi di tutto. Lui era solo stanco di tutta questa
situazione e della testardaggine del suo migliore amico. Riusciva solo
a pensare di mandarlo al diavolo, di fregarsene, godersi le vacanze e
tornare in università con una parete invisibile ma spessa a dividerlo
dall’altro letto e dalla persona che lo occupava. Voleva isolarsi?
L’avrebbe accontentato.
Ovviamente, Foggy, essendo Foggy, non poteva persistere a lungo con
quell’atteggiamento, e, come la sorella rientrò un paio di ore dopo le
corse subito incontro, ansioso di sapere.
In risposta, Candace sorrise e gli passò un bigliettino.
-L’ultima cella a cui si è connesso il telefono indica questa zona. E’
fuori New York, e non c’è molto. Un paio di fabbriche e un motel di
quelli che affittano le camere a ore-
Foggy non perse altro tempo. La ringraziò e prese in prestito l’auto
del padre. Conosceva quella zona; se c’era qualcosa di peggio di Hell’s
Kitchen, era proprio la periferia industriale della città, con tutto il
circus di attività illecite che ne derivavano.
Si recò subito alla hall dell’albergo con una delle sue tirate da
arringa finale già pronte, e ottenne senza sforzo un pass-partout (le
parole “cieco” insieme a “possibile incontro con più uomini”, il tutto
condito da “la polizia sa ma tace, ma non potrà ignorare questo”
avevano praticamente disintegrato ogni possibile replica, per non
parlare di quando aveva mezionato l’ufficio igiene. Nella hall faceva
un freddo cane, quasi più freddo che fuori, per colpa dell’umidità che
aveva perfino lasciato evidenti tracce sui muri, e tutti gli ospiti se
ne erano andati. Tutti, tranne Matt, ovviamente.) e il numero della
camera del suo amico.
***
Faceva dannatamente troppo freddo. Matt ormai era completamente sepolto
sotto le coperte, tutto raggomitolato su sè stesso. Rimpiangeva ora di
non aver raccolto il telefono, adesso avrebbe dato qualunque cosa per
poter chiamare Foggy, o il 911 per farsi aiutare.
I primi sintomi dell’ipotermia iniziavano a farsi sentire.
Probabilmente ci sarebbero volute ancora molte ore prima di arrivare
agli estremi, ma le sue capacità di pensiero e concentrazione
iniziavano a vacillare. Aveva ignorato completamente il proprietario,
quando era venuto a invitarlo a lasciare la stanza. Comunque, non
sapeva dove altro andare, e dormire sotto un ponte non era un opzione,
al momento.
Smise di lottare, lasciandosi pericolosamente andare al torpore.
Si svegliò con una sensazione di calore che lo avvolgeva e il
famigliare odore della sua stanza al college. Allucinazioni, pensò
subito, realizzando di essere nei guai fino al collo. Le allucinazioni
non erano mai un buon segno.
Cercò di muoversi, di alzarsi, ma realizzò subito che qualcosa lo
tratteneva, qualcosa di caldo. Ci volle un attimo al suo cervello
infreddolito per realizzare che l’odore non era nella sua testa, e non
era quello della sua camera al college. Ok, in parte lo era, ma mancava
tutto il resto: i residui di pizza, i calzini sporchi, la perenne
marijuana fumata dai loro vicini di camera, che a quanto pare vivevano
a suon di canne e vodka economica. No… c’era solo… Foggy?
Si immobilizzò all’istante, cercando di concentrarsi, di espandere a
poco a poco i suoi sensi. Mosse le mani piano, a cercare cosa lo stava
immobilizzando. Tastò e si trovò a toccare della gomma, una punta
arrotondata, del tessuto? Scarpe?
La mente cominciò a schiarirsi, e il mondo a riprendere il suo solito
aspetto piano piano. Foggy. Foggy era ovunque attorno a lui.
Evidentemente, si era aggrappato attorno a lui in una presa come quella
dei koala, circondandolo da dietro sia con le braccia che con le gambe.
Non era più così freddo come prima. Foggy lo stava scaldando.
-Matt? Sei sveglio?- la voce dell’amico era poco più di un sussurro.
Non se la sentiva di parlare, non ancora, così si limitò ad annuire,
tremando lievemente. -Grazie al cielo, Matt… credevo di averti perso…
Non… non siamo riusciti a svegliarti… C… Candace sosteneva… che
dovevamo scaldarti… e… così… Candace è mia sorella, a proposito… lei… è
uscita a prendere… qualcosa… di caldo… e Dio, Matt… mi hai spaventato a
morte…-
Matt recepì solo un quarto di quello che gli era stato detto, un po’
perchè concentrarsi era ancora difficile e un po’ perchè Foggy aveva
cominciato a piangere, e tra i singhiozzi e la traccia salata delle
lacrime nell’aria che lo distraeva non era facile capire le parole.
Matt si rilassò contro l’amico, godendosi il calore di quell’abbraccio
non solo per il sollievo fisico che gli dava, ma soprattutto per quello
morale.
Foggy era lì.
Lui era stato uno stronzo, eppure Foggy era lì. L’aveva trovato ed era
lì. Quanto tempo era passato? Erano già ricominciate le lezioni? Aveva
completamente perso la cognizione del tempo.
-Fo… Foggy…- cercò di dire, la voce arrochita dalla disidratazione, la
gola gli bruciava in un modo allucinante. Doveva bere, per cui cambiò
momentaneamente la frase -Se… Sete-
-Dammi un… minuto. Torno subito, Matt, ok? Torno subito-
La sensazione di calore scomparve all’istante mentre Foggy si
allontanava per raccogliere qualcosa da terra, e immediatamente
ricominciò a tremare di freddo, nascondendosi sotto le coperte. -Sono
qui. Sono qui.-
Venne spinto a mettersi seduto e spinto indietro, dove incontrò di
nuovo il petto caldo del suo amico che gli premeva sulla schiena, una
mano che gli strofinava forte le gambe per generare altro calore. Notò
solo in quel momento che non riusciva a sentire totalmente le lenzuola
sotto le gambe, così come il tatto faticava a recepire le cose.
Probabilmente, se non avesse avuto i suoi sensi, non avrebbe sentito
niente affatto. Sentì il collo di una bottiglia premergli sul labbro e,
obbediente, aprì la bocca.
L’acqua era fredda, tanto da farlo tremare ancora, ma si costrinse a
bere. Finalmente.
-Foggy… Io… Che giorno è? Sono ricominciate le lezioni?-
-No, esimia testa di cazzo. E’ quasi mezzanotte della vigilia di
Natale. Sei qui dentro da due giorni. E ringrazia il cielo che un’amica
di mia madre abbia un figlio poliziotto. Ci ha aiutato a rintracciare
il tuo telefono. Ehi, Matt. Repira forza-
Matt sentì foggy cambiare posizione e sedersi sulle sue gambe, ma senza
caricare il peso, prima di abbracciarlo di nuovo, le mani che gli
strofinavano la schiena, generando calore e irritazione nello stesso
momento -Respira. Adesso arriva Candace, ti porterà qualcosa di caldo…-
-Foggy…-
-Shh. Shh. Pensa a scaldarti, pensa a scaldarti-
***
Quando finalmente Candace riuscì ad arrivare con non solo un thermos di
tè caldo, ma anche armata di una stufetta elettrica, Matt iniziava
finalmente a formare frasi coerenti, anche se ancora non gli aveva
detto cosa diavolo gli era saltato in mente di fare.
La ragazza non perse tempo in chiacchiere e, dopo aver passato la
bottiglia termica al fratello maggiore, attaccò la stufa alla presa di
corrente più vicina al letto, puntando il getto d’aria contro il
ragazzo non appena divenne calda.
-Matt- Foggy tornò a concentrarsi sul suo migliore amico -Bevi,
coraggio. E’ caldo. Ti farà bene- Versò un po’ di tè decisamente
bollente in un bicchiere e richiuse subito il contenitore. Il cieco non
sembrava in grado di muoversi, per ora, troppo intento a cercare di
scaldarsi per muovere anche solo un muscolo, quindi gli appoggiò il
bicchiere alla bocca -Bevi, Matt-
Proseguirono in silenzio. Matt sempre appoggiato a Foggy in cerca di
calore e il ragazzo che lo costringeva a bere. Candace non si era
limitata a un thermos soltanto, fortunatamente, e anche se ne aveva
ampiamente abbastanza, Foggy sospettava che il suo compagno di stanza
non stesse nemmeno pensando opporsi, non dopo tutta la paura che gli
aveva fatto prendere.
Quando era entrato nella stanza, la prima cosa che l’aveva colpito era
stato il freddo intenso. La camera era esposta a nord, e trasudava
umidità non meno della hall. Tutto l’insieme, faceva sì che all’interno
fosse molto più freddo che fuori. Aveva imprecato, pensando di essere
arrivato tardi… poi aveva visto le coperte muoversi, tremare per
l’esattezza, e quando le aveva spostate l’aveva finalmente trovato:
privo di sensi (o addormentato, non sapeva dirlo con certezza), con le
labbra che tendevano al bluaceo e pallidissimo, per non parlare di
quanto stesse tremando.
Aveva cercato di svegliarlo, di portarlo fuori da lì per portarlo a
casa, ma non aveva dato cenni di vita. Spaventato, aveva chiamato
Candace che, da buona telefilm-dipendente sapeva esattamente come
diagnosticare (per telefono) un principio di ipotermia e come rimediare
alla situazione. Mentre l’aspettava, aveva cercato di nuovo di farlo
tornare in sè, e quando non aveva avuto risultati l’aveva prima avvolto
nella sua felpa di pile e poi nel suo abbraccio. Dio, era gelato.
Ora, col passare del tempo, il suo viso stava riprendendo lentamente
colore e all’inizio del secondo thermos era stato in grado di allungare
la mano e bere da solo. Ora sorseggiava piano il tè, ancora avvolto
nelle coperte ma appoggiato alla testiera del letto. Foggy era accanto
a lui, rintanato il più possibile nella giacca a vento. Quel posto era
una dannata ghiacciaia.
-Come… - Iniziò a chiedere Matt, ma Foggy lo interruppe, intuendo la
risposta. Ripetè la storia dell’amico poliziotto e poi aggiunse -Quando
sono arrivato qui mi è bastato nominare l’ufficio igiene… mi ha dato
tutto quello che volevo.-
-Come sapevi che non ero al Saint’Agnes?-
-Al ringraziamento ci ero anche cascato, poi mi sono ricordato di quel
dibattito che abbiamo fatto due mesi fa, quello sulle adozioni gay, se
lo stato dovesse essere un po’ più liberale, oppure imporre controlli
più severi prima di acconsentire all’adozione. Ti sei lanciato in
un’argomentazione sulla famiglia e sugli orfanotrofi che ha più o meno
commosso tutta l’aula, e probabilmente fatto cambiare idea a tre quarti
delle persone contro l’adozione agli omosessuali. Quando ci ho
ripensato, mi è sembrato molto strano che una persona che aveva fatto
un discorso del genere e rifiuta categoricamente di parlare del suo
periodo là dentro ci voglia tornare non solo per il ringraziamento, ma
anche per Natale… E poi ho telefonato all’istituto, e mi hanno detto
che non avevi più messo piede lì dentro da quando hai compiuto i 18
anni…-
-Scusa…- Matt aveva la voce rotta, e questo spinse Foggy ad
abbracciarlo di nuovo
-Che cosa succede, Matt?-
-E’... Non volevo… Io…-
-Ehi. Ti ho chiesto cosa ti sta succedendo. A malapena mi parli da
quando… lo sai. E all’inizio ho pensato che fossi solo giù, poi hai
iniziato a fare lo stronzo, a spingermi via. Che hai?-
-Io… Se ne vanno tutti, Fog. E… un giorno te ne andrai anche tu,
quindi…-
-Aspetta, rallenta. Vuoi che me ne vada?-
-No! No!- Matt sembrava veramente disperato, o terrorizzato alla sola
idea.
-E allora smetti di fare lo stronzo, Murdock, e vieni a casa con noi a
festeggiare il Natale. Forza, via quel muso lungo-
Finalmente ottenne quello che
voleva: Matt riuscì a fargli un sorriso prima di annuire.
***
Dire che la famiglia Nelson fosse accogliente era troppo riduttivo.
Candace era anche più chiacchierona di Foggy (e Matt non pensava che
fosse fisicamente possibile parlare più di lui), e tenne loro compagnia
per tutto il viaggio di ritorno attraverso il cellulare (la ragazza li
aveva infatti raggiunti con una seconda auto). Matt rimase con gli
occhi chiusi tutto il tempo, godendosi il riscaldamento; sentiva ancora
un freddo profondo nelle ossa, come lo spettro di un dolore che non
vuole andarsene, e si divertì ad ascoltare i battibecchi continui tra i
due fratelli, dopodichè passarono a fargli una carrellata di quella che
sembrava essere una famiglia illegalmente grande: la sfilza di nomi,
descrizioni e aneddoti sembrava non finire mai, per non parlare del
fatto che ogni tanto i due si fermavano per consultarsi e decidere
quale fosse lo zio/cugino/nonno/nipote/inserire-parentele-a-caso-qui
che aveva come animale domestico una capretta tibetane e quale invece
aveva cercato di sposarsi un pappagallo (tra l’altro… sul serio?).
La madre e la nonna di Foggy gli fecero rischiare la vita una seconda
volta nel giro di 24 ore (il che era dir tanto per un cieco che saltava
da un tetto all’altro in piena New York con la sua ragazza),
stringendolo immediatamente in un doppio abbraccio stritolatore, di
quelli che gli fecero capire da chi aveva preso Foggy, mentre suo padre
si limitò a un abbraccio di proporzioni normali (se non altro, non gli
impedì la respirazione).
Il resto della famiglia fu mare di nomi, strette di mano e bambini
urlanti, e, cosa estremamente positiva, nessuno sembrò fare caso alla
sua cecità o fece domande scomode riguardo alla sua famiglia.
Alla fine, il suo migliore amico lo salvò trascinandolo di sopra e
mostrandogli il resto della casa e la camera dove avrebbero dormito,
che altro non era se non la propria.
-Ho… un solo letto a una piazza e mezza. Te lo lascio. Da qualche parte
ci sarà sicuramente una brandina… e nel caso credo che la vasca da
bagno sia ancora libera-
-No, Foggy… tranquillo. Posso dormire sul tappeto… siamo su un tappeto,
giusto?-
-Sì, ma no. Mia madre e mia nonna potrebbero uccidermi se lo sapessero.
E loro sanno sempre tutto-
-E allora… condividiamo?-
-Non ti… disturba?-
-Mi hai appena salvato la vita, direi che posso sopravvivere per un
paio di notti-
-Grazie amico-
-Grazie a te. Davvero. Per tutto-
-Forza, andiamo a spalmarci davanti al fuoco e a ingozzarci di biscotti
allo zenzero- Matt avvertì il respiro di Foggy cambiare come sempre
quando passava dallo scherzo a un argomento più serio -Come va? Hai
freddo?-
-E’ più… un freddo latente, come se fosse un dolore sordo, ma presente.
Però sto meglio-
Sentì l’amico aprire l’armadio e scavarci dentro per trovare qualcosa.
Alla fine esalò un sospiro soddisfatto e si avvicinò a lui,
piazzandogli qualcosa di soffice e caldo in mano. Matt giocò per un po’
con il tessuto, esplorandolo con le dita. Era pile, uno di quelli di
alta qualità, molto morbido anche per la sua pelle delicata.
-E’ una mia vecchia tuta, probabilmente ti andrà un po’ grande, ma è
sicuramente meglio di quei jeans. Vieni, ti mostro il bagno-
La cena passò in quello che sembrava un attimo, e Matt ritrovò non solo
il calore corporeo, ma anche quello di una famiglia. Sembrava che
avesse sempre fatto parte dei Nelson, indipendentemente dal proprio
cognome.
Era diverso dai Natali passati con suo padre; non c’erano messe (Foggy
non era cattolico e Matt non aveva intenzione di trascinarlo a messa,
non dopo quello che gli aveva fatto passare, anche se sapeva che, se
gliel’avesse chiesto, l’avrebbe accontentato senza obiettare) e la
tavola era decisamente più imbandita; era qualcosa di nuovo, di
diverso, decisamente un qualcosa che minacciava di sopraffare i suoi
sensi, ma non gli importava.
Aveva una calore nel petto che non sentiva più da troppo tempo, e le
fiamme del camino non avevano niente a che fare con esso.
-Cosa vuoi fare, Matt? C’è qualche posto in cui vuoi andare prima di
tornare alla Columbia?-
Le feste di Natale e capodanno erano ormai passate e, nonostante il
progetto di rientrare al dormitorio e togliere il disturbo il prima
possibile, nessuno aveva acconsentito ad accompagnarlo prima del dovuto
alla stazione degli autobus, per cui si era ritrovato (senza nemmeno
lottare troppo, se doveva essere sincero) a rimanere dai Nelson. Dopo
che tutti i parenti erano ritornati alle loro case, la famosa brandina
era saltata finalmente fuori, così Matt si era trasferito dal letto ad
essa. Non ci dormiva bene, ma per lo meno poteva rigirarsi senza temere
di far cadere Foggy sul pavimento.
Matt riflettè per un attimo sulla cosa, prima di rispondere.
Aveva una faccenda in sospeso a Hell’s Kitchen, che voleva sistemare da
un po’, ma tutt’ora era indeciso.
Fanculo. Decise alla fine, prima di buttarsi.
-Mi accompagneresti in un posto?- chiese alla fine, e Foggy acconsentì
senza fare domande.
Questa volta non aveva comprato dei fiori. Esitò prima di entrare nel
cimitero. Foggy era al suo fianco e, come sempre, aveva già capito
tutto e, ovviamente, essendo Foggy, non lo pressò o fece domande a
riguardo.
Ruppe il silenzio solo dopo 5 minuti buoni passati di fronte
all’entrata del luogo sacro, senza che Matt riuscisse a fare un passo
in una direzione o nell’altra.
-Matt- gli mise una mano sulla spalla -Non sei obbligato a farlo se non
te la senti…-
-Devo, Foggy. Lui… non se lo merita-
-Che cosa?-
Doveva ammetterlo ad alta voce. Forse l’avrebbe aiutato. Sicuramente
avrebbe aiutato.
Prese un bel respiro e parlò.
-Un figlio che non è mai andato a trovarlo-
-Mai?- Foggy, giustamente, era incredulo -Cioe’... Mai, mai?-
Matt scosse la testa.
-E se continuo così… continueranno ad andare così le cose…-
-Matt. Ehi- Foggy lo tirò gentilmente per un braccio, facendolo sedere
su una panchina poco lontano -Ascoltami, ok? Il fatto che non visiti
una tomba, non significa che non gli vuoi bene, ok? Voglio dire…
Portare dei fiori, o fare una visita, è un bel gesto, ma questo non
significa niente. E’ come misurare un’amicizia sulla base di quante
volte due si dicono che si vogliono bene. Voglio dire, noi non ce lo
diciamo mai, ma ci siamo sempre l’uno per l’altro, mentre ho visto mia
sorella e le sue amiche dichiararsi eterna amicizia salvo poi vederla
abbandonata da tutte la prima volta che aveva davvero avuto bisogno di
loro- Foggy fece una pausa, probabilmente per raccogliere le idee prima
di ricominciare a parlare, per non divagare troppo dall’argomento
principale -Quello che voglio dire… è che sono sicuro che a lui non
frega un accidenti dei fiori, o del fatto che non vai mai sulla sua
tomba. Lui sa quanto gli vuoi bene, e che lo porti sempre nel cuore.
Per cui sono serio; se non te la senti… non è un problema, nè una
mancanza di rispetto, ok?-
Matt annuì, non del tutto convinto, ma era senz’altro un bel discorso.
Si prese un attimo, seduto su quella panca. Era a soli pochi metri, e
non poteva dire con esattezza quando sarebbe stata la prossima volta
che avrebbe potuto tentare di nuovo.
Prese un altro bel respiro.
-Vieni con me?-
-Sempre, amico.-
Tremando leggermente, teso come una corda di violino, mise un piede
davanti all’altro e finalmente riuscì ad arrivare di fronte alla tomba
di suo padre, dove cadde sulle ginocchia, sopraffatto dalle lacrime e
dai ricordi.
Era comunque un inizio.
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