Sailor Moon - Dentro di noi
Note:
- Lo scopo di questa storia è riempire il periodo
tra la fine del primo arco della seconda serie (Ail e Anne) e l'inizio
del secondo (Chibiusa e Luna Nera). Ovvero far capire come Mamoru e
Usagi sono riusciti a mettere in piedi la loro relazione. Non so, ho
sempre pensato che non sarebbe stato proprio facilissimo. Questa storia
non vuole in alcun modo essere drammatica, comunque, non preoccupatevi.
Non prevedo più di due o tre capitoli per questa fanfic.
- Non ho perso l'ispirazione per 'Acqua viva', ma ho avuto molto da
fare in questo periodo. Dopo mi è venuta in mente questa
storia e ho voluto scriverne subito. Ma ho già pronto del
materiale sia per la storia su Ami sia per il sequel di 'Oltre le
stelle', se ve lo state chiedendo.
- Natsumi = Michelle, Manami = Jo
DENTRO
DI NOI
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
«Ti ricordi tutto!» Usagi non riuscì a
stargli lontana per più di un
altro
secondo; neanche il contatto del viso col petto di lui
frenò le lacrime.
Non voleva smettere di piangere. Le lacrime di gioia sulle
guance, le
braccia di lui che la stringevano... aveva atteso tutto troppo a lungo.
Era un'altra fine, ma aveva pochi punti in
comune con la drammatica conclusione della
precedente guerra che avevano combattuto:
i nemici contro cui aveva lottato questa volta lei li...
comprendeva. Non erano che due ragazzi soli, ora consapevoli di amarsi
e di poter vivere d'amore.
Dentro una bolla trasparente, con in mano il germoglio dell'albero che
aveva dato loro ogni energia, salutarono lei e gli altri, partendo alla
volta dello spazio.
Mentre si dileguavano nel cielo, Usagi rimase a contemplarli.
Le mani che aveva sulle spalle la strinsero appena, ricordandole chi
aveva finalmente accanto. Sorrise. «Saranno sicuramente
felici, non
credi?»
«Sì, ne sono certo.» La dolcezza
con cui non le aveva mai parlato prima le scaldò il
cuore.
Piena di gioia, si girò verso di lui. «Spero che
anche noi-»
Vennero circondati da un coro di voci amiche. «Che
fortunelli!»
Ahh, non erano soli!
Lei e Mamoru si staccarono di colpo.
Minako ridacchiò. «Vi stavate mettendo
in mostra, su, non smettete!»
«State veramente bene insieme.»
Ami sorrise benevola a entrambi.
Makoto si poggiò le mani sui fianchi.
«Sono gelosa!»
«Ho deciso!» Rei
attaccò il pavimento con un piede.
«Mi troverò anche io un
fidanzato!»
Minako tirò fuori la lingua. «Che dici,
Mamoru
stesso non sarebbe male, no?»
Eh?
«No no
e no, potete scordarvelo!»
«Stavo solo scherzando!»
Rei alzò le mani in aria. «Va bene va bene, basta
con le
burle.» Guardò lei e Mamoru.
«Sono felice
per voi,
ragazzi.»
Annuirono tutte quante.
Usagi si sentì arrossire. Non poteva crederci nemmeno
lei; finalmente, finalmente poteva stare insieme a Mamoru!
«Ehm...» Tossicchiando, Ami attirò la
loro attenzione. «Il palazzo
è
completamente distrutto, credo che tra poco arriveranno i vigili del
fuoco.
È meglio andare via.»
«Sì» Mamoru vagò con lo
sguardo lungo il
pavimento pieno di detriti. Trovò quello che cercava
e si mosse in quella direzione.
Usagi lo osservò raccogliere da terra la propria giacca, con
movimenti faticosi... lenti.
Gli corse incontro. «Non ti sei ancora ripreso, aspetta, ti
aiuto io.» Lo spinse a metterle un
braccio attorno alle spalle, facendolo appoggiare su di
sé
come meglio poteva.
Mamoru cercò di mostrarle un sorriso tranquillo.
«Non ti preoccupare.»
Come poteva non farlo? Lui l'aveva difesa col suo stesso corpo,
prendendo in pieno continue scariche di energia e... senza la protezione
di
alcuna
trasformazione. Non riuscì a trattenere la preoccupazione.
«Forse c'è bisogno di un dottore...»
Ami si avvicinò a loro. «Verifico
subito.» Tirò fuori il suo mini-computer e
iniziò a
digitare
alacremente. «Hmm... no. Hai qualche livido, Mamoru, ma
soprattutto sei
debilitato. Hai bisogno di riposare.»
Makoto si fece avanti. «Se ti serve una mano, Usagi, posso
aiutarti io
a
portarlo a casa.»
«No.» Mamoru si
staccò da lei, sorridendo. «Non
è necessario che mi portiate in braccio.
Fatemi
prima provare una cosa.» Alzò una mano davanti a
sé, col palmo
aperto e rivolto verso l'alto. Nel viso gli apparve un'espressione di
intensa concentrazione. Dal nulla, materializzò tra
le dita una rosa rossa.
Usagi si lasciò scappare un'esclamazione di sorpresa: non
l'aveva mai visto
creare una delle rose
che era stato solito lanciare.
Lui fece roteare il fiore con un rapido gioco di dita. D'improvviso, la
mano gli si ricoprì di un guanto bianco e, sul resto del
corpo, si ritrovò ad indossare il
costume
di Tuxedo Kamen.
Quanto le era mancato vederlo in
quelle vesti.
Lo sentì inspirare profondamente e spostare il peso da un
piede
all'altro. Infine annuì sovrappensiero, rivolgendosi a tutte
loro.
«Ce la faccio. Col costume
riesco a
muovermi da solo.»
«La trasformazione sta solo attenuando gli effetti della tua
condizione» puntualizzò
Ami. «Devi
riposare comunque.»
«Sì, ora vado a casa.»
Non da solo. «Ti accompagno. Ragazze, ci vediamo...
domani.» Per un attimo aveva contemplato l'idea di
incontrarle
più tardi, ma... no, voleva stare con
Mamoru
per tutto il tempo possibile.
Rei le rivolse un sorriso consapevole, abbassandosi a prendere Luna da
terra. «Sicuro. Prenditi cura di
te, Mamoru. Noi andiamo.»
Le altre annuirono e salutarono anche loro, seguendo Rei giù
dal
tetto.
Lei tornò a guardarlo. «Tentiamo le scale o
ce la fai a
saltare giù dai balconi?»
«Vanno bene i balconi. Da quella parte.» Le
indicò il suo
appartamento con il movimento distratto di un braccio.
Confusa, rimase a fissarlo. «Lo so.» Era andata a
casa sua quando
avevano
fatto da babysitter al piccolo Manami, sapeva bene dove abitasse.
Mamoru le sembrò sorpreso; per un attimo, persino
scosso. «Giusto. Andiamo.»
Gli andò dietro e fu solo a metà strada che
comprese il motivo di quell'errore: Mamoru
aveva fatto confusione tra le due memorie che aveva in testa. Per quel
che ricordava lui, l'aveva
conosciuta due volte.
Era ancora giorno, perciò individuarono un posto isolato
poco lontano
dall'edificio dove si trovava l'appartamento di lui.
Una volta certi di non avere attorno occhi indiscreti, sciolsero
entrambi la trasformazione.
Senza che lui lo chiedesse, Usagi lo fece di nuovo appoggiare contro di
sé.
Era veramente esausto, del tutto spossato: si appoggiava a lei anche
quando cercava di non farlo.
Il tragitto verso il suo appartamento fu breve, ma farlo arrivare in
piedi fino all'entrata di casa non fu comunque facile. Lui
impiegò più tempo del necessario ad aprire la
porta e, una
volta dentro l'appartamento, lei fece un ultimo sforzo, accompagnandolo
fino al
letto.
Mamoru vi si lasciò quasi
cadere. «Scusami.»
Il sussurro era stato abbastanza forte da essere udito. Usagi si
chinò sopra di lui. «Per cosa? Stai bene e hai
solo bisogno di riposarti.»
Appoggiò una mano sul letto accanto a lui: non aveva
ancora il coraggio di toccarlo. «Non
c'è niente di cui scusarsi.»
Gli angoli della bocca di Mamoru accennarono ad alzarsi
mentre chiudeva gli
occhi. Occhi blu che si riaprirono subito, focalizzandosi su di lei.
«Scusami.»
Le nuove scuse erano state diverse, più sofferte.
Usagi si sedette sul bordo del letto. «Per cosa?»
«Per... Beryl, per il modo in cui mi sono
fatto-»
Gli accarezzò il viso,
scostandogli i capelli dalla fronte. «No, va tutto
bene.» Scosse
appena la testa, cercando di infondere nella propria espressione la
pienezza del sentimento che provava nei suoi confronti.
«Pensa solo a riposare. Io... rimarrò
qui
finché non ti sarai addormentato.» Si
sentì
stringere una mano e ricambiò delicatamente il tocco.
Non ci vollero che pochi istanti: Mamoru si addormentò quasi
subito.
Lei rimase ferma a contemplarlo, a guardare i tratti innocenti che...
erano davvero tali: lui non aveva alcuna colpa per ciò
era
accaduto con Beryl. Era stato
influenzato in
punto di morte, senza alcuna barriera che potesse proteggerlo dal
potente attacco mentale dei loro nemici.
Doveva parlargli, fargli capire che lei non lo considerava in alcun
modo responsabile. Come avrebbe mai potuto dare la colpa a lui?
E poi adesso era lì con lei e... sospirò
d'improvvisa gioia. Era stato così difficile
parlargli in
quelle settimane, cercare di entrare nella sua vita, sapere che lui non
ricordava nulla di ciò che avevano passato
insieme. Il dolore l'aveva colpita come una fitta ogni volta che lo
aveva guardato negli occhi e si era vista riflessa
come un'estranea.
Ma ora... ora era tutto finito: Mamoru ricordava tutto.
E la amava.
Ogni parola, ogni tocco e ogni sguardo lo dichiaravano.
Lasciò scorrere le tracce del pianto sulle guance e non si
preoccupò di asciugarle: tanta felicità era
preziosa, insperata.
Aveva vissuto il loro amore solo in un'altra epoca, ma lo
sentiva dentro di sé come se il sentimento appartenesse da
sempre a quella
stessa vita. E pensare che lei non lo aveva nemmeno
mai... baciato.
Già, nonostante tutto ciò che significavano l'uno
per l'altra,
non lo aveva mai...
Rise.
Era finita. Erano liberi di stare insieme, di amarsi.
La gioia offuscò le ultime lacrime. Si
chinò
su di lui e gli sfiorò la guancia con le labbra.
Inalò un profumo che era stato caro, che sarebbe stato
infinitamente caro; non resistette e gli strofinò il naso
sulla
pelle, cercando di riempirsi di lui. Finì col disturbargli
il sonno, ma persino il breve lamento fu fonte di ulteriore contentezza.
Sorrise un'ultima volta.
Basta, avrebbero avuto una vita intera per stare insieme. «Ora
tu devi solo dormire bene.»
Si alzò e si diresse al balcone. Con un'ultima occhiata
verso la stanza, richiuse la vetrata dietro di sé.
Mamoru si svegliò, il sole sul viso. Quando la luce gli
arrivava fin
negli occhi, era sempre tarda mattina.
D'istinto, si voltò guardare la sveglia: le dieci.
Strano, di solito si alzava prima. Inoltre la testa gli girava
un po' e il corpo gli doleva in più punti.
Ma cosa... Usagi!
Scattò seduto sul letto.
Usagi!
Ail e Anne, l'albero della vita, il Cavaliere della Luna, le guerriere
Sailor... i cristalli dell'arcobaleno, il cristallo
d'argento,
Beryl, Usagi... Usagi.
Usagi.
Serenity.
Usagi.
Era viva.
Era sopravvissuta alla battaglia con Metallia.
Appoggiò la fronte su una mano e cercò di
schiarirsi le idee: era stato come... risvegliarsi appena dopo la
battaglia contro Beryl. I ricordi erano tornati tutti insieme.
Scosse la testa. Il
giorno prima non aveva avuto il tempo o l'energia per
processarli completamente. Solo un fatto era sempre stato
chiaro, una cosa
sola non
aveva mai avuto bisogno di essere spiegata.
Ricordò la forza con cui l'aveva stretta, il bisogno di
sentirla
contro di sé. Sì, non c'era stato
bisogno di alcun
ragionamento
per rendersi
conto di... amarla.
Usagi. Sailor Moon. Serenity.
Per tutto ciò che era successo con Beryl, le aveva rivolto
delle
scuse... patetiche. La parola non era sufficiente a descriverne
l'inadeguatezza, eppure Usagi l'aveva guardato come se fosse tutto a
posto.
Abbassò lo sguardo sul pavimento: Usagi aveva il cuore
più grande che avesse mai conosciuto.
...
E lui... non sapeva nemmeno se lo meritava.
Si mise in piedi. In bagno, grazie all'acqua sul viso e
giù per la
gola, uscì dal torpore in cui si era svegliato.
Usagi.
Doveva andare a trovarla.
Sospirò di frustrazione: non sapeva nemmeno dove abitava.
Per dirle cosa, poi?
Che l'amava. Lei doveva assolutamente saperlo.
... probabilmente, lo sapeva già.
Nella mente iniziarono ad affollarsi una serie di
ricordi,
di episodi: lui che la chiamava quasi sempre e solo Testolina Buffa.
Lui che rifiutava la sua compagnia, che rifiutava i suoi
tentativi di
avvicinarglisi.
Lui che la prendeva in giro, che non la prendeva sul serio.
Lui che si preparava a recitare una scena d'amore con Natsumi. Lui che
portava dei fiori
a Natsumi.
E la faccia che lei aveva avuto in quei momenti.
E prima... ancora prima, nell'altra 'vita'.
Chiuse gli occhi.
Allora si era comportato persino peggio.
L'aveva presa in giro in maniera spietata; le aveva rivolto frasi
canzonatorie ogni volta
che la incontrava, neanche lo stessero
pagando.
Rei. Dannazione, era uscito con una sua amica.
Infine arrivò il peggior ricordo tra tutti: lui che
si preparava a farle del male, nelle vesti del comandante di Beryl.
Non aveva alcuna scusante: in
quel momento aveva già saputo di lei, aveva
già
avuto coscienza del loro passato, eppure si era lasciato
vincere ugualmente.
Non aveva scuse neanche per le settimane più
recenti: una
parte di lui, quella che aveva continuato a difenderla, era stata
consapevole del loro passato comune. Quella parte si era materializzata
fino a
diventare
un'essenza capace di proteggerla, ma non era sparita del tutto, da
dentro di lui. In fondo se n'era reso conto: aveva provato qualcosa di
diverso per lei, di
indefinibile, eppure... non
aveva indagato. Aveva preferito continuare con la sua vita.
Alzò la testa e si guardò allo specchio.
Forse non la meritava davvero. Forse non meritava la
possibilità che avevano ora.
Quando era morto, appoggiato sulle sue ginocchia,
colpito a morte e sanguinante, con l'ultimo pensiero aveva pregato
perché lei potesse essere felice. Aveva solo sperato che un
giorno potesse trovare qualcuno che l'avrebbe amata
come meritava.
Qualcuno che... la meritasse.
In quel momento scoprì qualcosa di importante su
stesso, una parte di sé che non gli piacque molto: non
sarebbe
riuscito ad essere tanto nobile. Forse non la meritava, ma non
sarebbe stato in grado di
starle lontano ugualmente.
Si diresse in cucina.
Giusto perché ancora non si sentiva del tutto in forze, mise
in
bocca tre biscotti e del latte. Il caffè lo
lasciò
stare, non era il sonno a mancargli dopo più di
sedici e passa ore trascorse a letto, a dormire.
Si vestì rapidamente con i primi indumenti che gli
capitarono sotto mano.
Sarebbe andato al santuario di Rei.
Aveva
scoperto per caso che Rei abitava
proprio al santuario che aveva recentemente visitato ed era l'unica
pista che poteva seguire: d'altronde, lei doveva sicuramente
sapere dove abitasse Usagi.
Afferrò le chiavi e, una volta fuori casa, si
ricordò
solo quando era ormai in mezzo al corridoio del pianerottolo che non
aveva chiuso la porta.
Tornò indietro per occuparsene, dirigendosi poi a passo
più
rapido verso l'ascensore. L'indicatore lo segnalava occupato.
Si era ormai spostato sulle scale quando il suono di apertura delle
porte lo fermò. Dall'interno, brillò il
biondo di capelli
che conosceva molto bene.
Si bloccò.
Usagi rimase ferma davanti all'ascensore. D'improvviso, si
voltò verso di lui. E... non disse nulla.
Si guardarono per lunghi istanti, entrambi senza pronunciare parola.
Non... non aveva pensato a cosa dirle, a come iniziare una
conversazione.
A spiazzarlo fu soprattutto la nuova consapevolezza che aveva
di
lei. Era come avere davanti tre persone diverse. La Usagi del periodo
di
Beryl, la Usagi di quelle settimane e... la Usagi che
amava.
Con lei si era comportato in modo diverso ogni volta. Parlare solo
all'ultima Usagi, sapendo come aveva trattato le altre, sembrava tanto
poco...
No. Usagi era una sola. Unica.
Fu lei a fare il primo passo, a sorridere, sospirando di sollievo.
«Allora stai bene.»
La sua voce. Io l'ho
già
trovato il ragazzo che fa per me. Così gli
aveva detto, mentre lui moriva, tra le sue braccia.
«...
stai uscendo?»
Percepì l'esitazione nel tono indeciso.
Per forza, lui ancora non aveva ancora fatto uscire una sola sillaba.
«Stavo... venendo a
cercarti. Non sapevo dove abitavi.»
Il viso le si illuminò; con poche e sbrigative parole gli
comunicò il
suo indirizzo di casa. «Ah sì, poi il numero di
telefono!
Però dimmi
il tuo prima. Non sono
brava a ricordare i numeri, ma questo non lo
dimenticherò di certo.» Gli mostrò
ancora una
volta quel
sorriso tanto... carino.
Non glielo aveva mai visto in volto, eppure non faticò a
comprendere che doveva essere un'espressione naturale per
lei: doveva essere il tipo di sorriso che Usagi
riservava a chi amava. E lui... lo vedeva per la prima volta,
solo in quel momento.
Fino a quando non si era ricordato di amarla in una precedente vita,
non l'aveva apprezzata abbastanza da farsi guardare in quel modo da lei.
La meritava?
Non riuscì ad evitare un'espressione di sofferenza, anche se
per poco. Si schiarì la mente con un rapido movimento della
testa. «Vuoi uscire o
preferisci
entrare in casa?»
«... come vuoi tu.»
Usagi era tornata a guardarlo con incertezza, gli occhi spenti.
Doveva pensare a lei, doveva farla felice. E lei sembrava volere lui,
almeno questo lo sapeva.
Tutto quel poco che aveva, quel poco che era, lo avrebbe dato a lei.
Le tese una mano.
«Torniamo dentro.»
Usagi tornò immediatamente ad illuminarsi, incrociando le
dita con le sue.
Una volta in casa, la fece accomodare sul divano.
«Vuoi
qualcosa da... mangiare?» Non che avesse molto in cucina.
Lei scosse la testa e... rimase a fissarlo, negli occhi la
sensazione di una nuova scoperta.
«... Cosa
c'è?»
«Ecco... penserai che sono una sciocca, ma
è... strano. Da
una
parte vorrei-... però non...»
Lui ne fu genuinamente sorpreso: neanche Usagi, sempre tanto
spontanea e
spigliata, sapeva cosa dire.
Si... somigliavano. Era la prima volta che
pensava una cosa del genere, ma il pensiero lo rallegrò
parecchio.
Sì, avevano qualcosa in comune,
anche lei era invasa
da un'incertezza non dissimile dalla sua. Per lui la sensazione
terminò in quel momento: non poteva vederla
dubitare
di loro due, di ciò che c'era tra loro. Parlò
senza
pensare. «Posso abbracciarti?»
Il rossore le accese le guance e il sorriso si fece vedere solo dopo,
ma conquistò rapidamente l'intera espressione. Prima che lui
fosse riuscito a fare un
solo passo, fu proprio
lei a
colmare la distanza tra loro.
Mamoru conosceva ogni particolare di quell'abbraccio: l'odore di lei,
quanto
riusciva
a circondarle la vita con le braccia, quanto doveva abbassare
la testa
per appoggiarla su uno dei morbidi chignon. Eppure... era la prima
volta che la
stringeva così: era il suo corpo a ricordare ancora cosa si
provasse ad amare Serenity.
La consapevolezza era lì, presente, ma, in quel
momento, era Usagi che lui stava abbracciando.
Cominciò a sentire dei sussulti, simili a singhiozzi. Si
scostò fino a poterla guardare in faccia e la
trovò
che piangeva... con un sorriso piantato in volto. Sorriso che si fece
presto risata. «Sono così
felice.»
Quanto era tenera... e buffa. Iniziò a ridere a sua volta,
senza riuscire a frenarsi. I sussulti di spontanea felicità
li percorsero entrambi come lenitive
carezze.
Assurdo come, neanche poco prima, fosse sembrato tutto
talmente tanto complicato.
Usagi si staccò da lui, coprendosi il
naso
con la mano. Negli occhi che lo guardarono, brillanti per la
felicità e le lacrime versate, c'era ora anche una
punta di imbarazzo. «Ehm... hai qualcosa per...»
Mosse la
mano libera vicino al viso coperto.
Lui comprese cosa stava cercando di dirgli e si diresse in cucina.
Tornò da lei con un tovagliolo e glielo porse. Fece di tutto
per evitare di ridere, ma non ci riuscì
appieno.
Usagi si
asciugò il naso. «Sì, lo so, sono un
po' un disastro...
un po'
tanto. Ma questo
già lo sai.» Lo
guardò,
dubbiosa. «Ammetto che un po' mi merito il nomignolo che mi
hai dato.»
«Testolina buffa?»
In volto le nacque un cenno di risentimento.
Lui si affrettò
a spiegare. «Scusa, non
l'ho mai
inteso in
maniera davvero negativa. Né questo né
il
resto.» Si sedette su uno
dei
braccioli
del divano. «Credo che... Un po' ero
invidioso di quanto eri... viva rispetto a me. So che ti sembro uno che
prende in giro la gente, ma...
è una cosa che ho cominciato a fare solo con te.»
Nessuna lo aveva mai spinto a
comportarsi in un modo simile, prima di Usagi. Già, forse
un atteggiamento del genere non era proprio un
complimento, per lei.
Usagi però sorrideva di soddisfazione.
«È
bello
sentirti chiedere scusa.
Non sono mai riuscita ad averla vinta con te.»
Non era mai-?
«Ci sei riuscita
più volte di quante immagini. Ogni volta
che ti
prendevo in giro mi sentivo tornare alle elementari, ma
non riuscivo comunque a smettere.»
Lei ridacchiò.
E... rimasero semplicemente a guardarsi.
Fu quel momento a fargli scoprire che era in grado di
farla arrossire molto facilmente: bastava guardarla, a quanto pareva.
Usagi emise un paio di risatine accompagnate da un delizioso rossore;
si portò una mano
dietro la testa. «Ecco... non so bene
cosa fare adesso. Voglio dire, so che dopo quello che abbiamo
passato ora dovrebbe essere
tutto così... naturale. Ma...»
Alzò un dito in aria, colpita da un'idea. «Aspetta
aspetta, ho
capito!
Dobbiamo uscire insieme.»
Beh, non era una cattiva ide-
«Ahh, che sciocca! Torniamo indietro. Dovevi chiedermelo
tu.»
Non la stava più seguendo. «Cosa?»
«Di uscire insieme, no? Ho sempre voluto sentirmelo chiedere
dal
ragazzo che avrei amato e non posso proporlo io, rovino
tutto.»
Prima
ancora di riuscire a ridere, lei si tappò la bocca con una
mano. «No, non dovevo dire nemmeno quello. Cioè,
è
chiaro che
io-... però volevo-» Stava entrando in crisi.
Mamoru la interruppe. «Facciamo finta
che
tu non lo abbia detto. Faremo le cose per bene, non ti
preoccupare.»
La invasero ondate di sollievo, persino lui fu in grado di capirlo.
«Sì.»
«Possiamo cominciare imparando cose fondamentali
l'uno sull'altra.
Vorrei che mi parlassi di te. E io farò lo stesso.»
Usagi schioccò le dita. «Hai
ragione, che sciocca! È solo che, in un certo senso, mi
sembra di
conoscere già tutto di te.»
Mamoru comprendeva molto bene cosa intendesse dire. Ad
altri
livelli, si conoscevano da sempre. «È vero.
Però ad
esempio non sapevo dove vivevi.»
«Giusto, giusto.» Usagi
affondò un dito in una guancia. «Allora
comincio io. Hmm... frequento la terza media, ma
questo lo avrai già capito. Ho
quattordici anni e anche questo lo sai. Vivo con i miei genitori e mio
fratello. Ho solo Luna come animale domestico, anche se è
più la mia padrona domestica.» Fece una pausa.
«Sono
Sailor Moon da circa sei mesi. Ho conosciuto Rei, Ami, Minako e
Makoto così. Ho un'altra cara amica di nome Naru.
Hmm...» Arrossì d'imbarazzo e abbassò
lo
sguardo.
«Non
sono molto brava a scuola. Scusa.
Cercherò di impegnarmi.»
«Non ti preoccupare.» Era ben lontano dal ritenerla
'inferiore'. Come
se, sapendo tutto ciò di cui era stata capace, un
particolare come la scuola
potesse essere importante. Comunque, se aveva dei problemi, poteva
aiutarla lui.
Alzò lo sguardo su di lei e comprese che era arrivato il
proprio turno. «Io... della mia famiglia lo sai.»
Usagi annuì.
«Ho
diciassette anni e-» Si interruppe, notando lo sguardo di
sorpresa.
«Pensavo ne avessi almeno
diciotto. Sei al primo anno di
università come Motoki, no?»
«Sì, ma ho saltato un anno.»
«Saltato?»
«Alle elementari, sono andato di un anno avanti. Andavo bene,
perciò mi hanno fatto saltare una classe.» Fu
costretto a
trattenersi dal ridere, perché l'espressione di lei fu molto
comica.
«Sei andato avanti di un anno perché eri bravo?
Ora
capisco
perché mi prendevi sempre in giro: sei un genio in
confronto
a
me.»
In quel commento non trovò nulla di
divertente. «Scusami.»
«Per cosa?»
«Per le prese in giro.»
«Non ha importanza, le scuse di prima bastano. E poi ti
insultavo
anche io, no?»
«Solo dopo che lo aveva fatto io.»
«In effetti...» Ridacchiò.
«Sai
l'altra volta,
quando curavamo il piccolo Manami? Ecco, avevo finito col pensare
che... un po' mi
stavi antipatico.»
Mamoru sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi una confessione del genere.
Nemmeno
poteva
definirla tale, in fondo: era stato più che palese che non
fosse mai stato tra le persone preferite di Usagi, lui stesso aveva
fatto in
modo
di non esserlo. Eppure sentirglielo dire ad alta voce fece
ugualmente male.
Lei sembrò
accorgersene. «Oh, ma ho già capito che
è solo una parte del tuo carattere. E poi
anche io ho un sacco di difetti: sono immatura, pigra, disordinata,
infantile... per nulla perfetta. Il tuo carattere lo conosco, Mamoru.
Mi piace. Continua a parlarmi di te.»
Forse non era perfetta, ma la sua capacità di perdono la
poneva un gradino sopra tutti gli altri.
Col cuore un po' più leggero, lui le
raccontò di
come si era ritrovato a vivere da solo, di
come
aveva scelto di studiare medicina e di come avesse conosciuto Motoki.
Di tanto in tanto Usagi lo interrompeva con alcune domande, ma
era
sostanzialmente lui a parlare. Mentre le svelava la sua vita, si rese
conto di non
aver mai raccontato se stesso a qualcun altro in quel modo.
Nemmeno con
Motoki era stato così. Poteva definirlo il
suo unico amico, ma anche a lui aveva dato solamente un quadro a
sprazzi del suo passato e solo in seguito ad una lunga attesa.
D'improvviso, Usagi assunse un'espressione sbarazzina.
«Hmm...
e a
parte Rei, quante altre ragazze hai avuto? So
che è una domanda sciocca, ma se devo essere
sincera, voglio proprio saperlo.»
«Con Rei siamo solo usciti qualche volta, non c'è
stato
niente. Te l'avrà detto anche lei.»
«Sì, però volevo sentirlo anche da
te. E... altre ragazze?»
«No, nessuna.»
«Nessuna?» Le sentì nella voce un misto
di contentezza e...
divertimento.
Non comprese. «Non dovrebbe farti piacere?»
«Sì sì... è solo che non
riesco a capire.»
Cosa c'era da capire?
«Voglio
dire, se... se io avessi avuto una vita
più normale, so che avrei
fatto di tutto per trovarmi un ragazzo prima di finire le superiori. E
tu, col tuo aspetto... non riesco a capire, tutto qui.»
«Col mio aspetto?»
Iniziò a divertirsi a sua volta.
«Sì, ecco... perché ridi
così?
Vuoi farmelo dire, vero?»
«No, se non vuoi.» Era come se lo avesse
già fatto.
Mamoru sorrise apertamente, senza riuscire a trattenersi.
In un certo senso la stava prendendo di nuovo in giro, ma
comprese che non le dava davvero fastidio. Non ora che sapevano
bene entrambi ciò che provavano.
Si sentì... a proprio agio. Improvvisamente.
C'era sempre stato dentro di
lui un
sentimento profondo per qualcuno che non aveva mai davvero conosciuto.
Prima per la Serenity dei suoi sogni, poi per Sailor Moon. Era un
sentimento
che non aveva mai trovato spazio all'interno della sua vita quotidiana,
ma da quel momento in poi sarebbe stato diverso: ora rideva e scherzava
con Usagi,
non con Serenity, che aveva amato ma che non aveva mai davvero
conosciuto, almeno in quella vita.
«Sei molto bello. L'ho sempre pensato, sei contento
ora?»
Mamoru scoppiò a ridere: la faccia di lei non aveva eguali!
«Uffa, che cattivo che sei!»
Per smettere si dovette colpire il petto con un pugno.
«Scusa.» Riuscì a calmarsi un po'.
«È
che
hai la stessa espressione
di quando litigavamo, quando 'perdevi'.»
Usagi aveva le braccia incrociate sul petto, in volto un'espressione di
divertito risentimento. «Beh, in un certo senso ho perso.
Sono sicura
che tu non pensi di me quello
che io penso di te.»
No, non era come credeva lei. Iniziò a parlarne ma fu
subito
interrotto.
«Non voglio che tu me
lo dica solo per farmi contenta. So che non sono brutta, che sono
persino carina. Ma l'importante è che... ti piaccio anche
io. Va
bene così.»
Già, aveva voluto dirle qualcosa di molto simile: Usagi
sarebbe stata molto bella in futuro, anche se lei non se ne
rendeva ancora
conto; il suo limite al momento era solo l'età,
ma a lui non importava: per ora la trovava già
molto carina.
Ed era felice che lei pensasse così bene del suo aspetto,
anche se la sua faccia per lui era semplicemente... una faccia. Non le
aveva mai
dato particolare importanza: non serviva a molto quando
non si era granché interessati ad avvicinarsi ad altre
persone.
«Sì.» Attirò l'attenzione di
lei con quell'unica
parola. «Mi piaci molto.»
Come si era aspettato, quel commento la fece arrossire.
Usagi sapeva molto bene di piacergli, ma era quel tipo di ragazza che
avrebbe amato sentirselo dire, a cui sarebbero piaciute un certo genere
di... romanticherie.
Non erano proprio il
suo forte, tuttavia valeva la pena di fare uno sforzo.
Sforzo... già.
Fece un passo in avanti, per affrontare un punto che
avrebbe potuto essere problematico in futuro: in
lui non c'era una naturale predisposizione alle relazioni
personali. Con Usagi le cose erano state molto più semplici
che
con chiunque altro, tuttavia... «Usagi.
Avrai già capito che io... Io
ho un
problema con le
persone. Motoki è mio amico solo perché si
è sforzato per diventarlo. Io... non sono bravo a
rapportarmi con ciò che provo per gli altri, né
sono
abituato a esprimerlo. Te lo sto dicendo perché temo che
anche se
ci
proverò, ci saranno momenti in cui quello che
vorrò farti capire non sarà sempre chiaro. O
forse non intuirò quello che vorrai farmi capire
tu. E... vorrei che me lo dicessi, in futuro. Se vorrai
qualcosa da me e non ci arriverò... dimmelo.
Perché l'unica cosa che vorrò io
sarà-»
Notò la risata serena di lei, quella che, d'un tratto, le
conferì una saggezza molto oltre i suoi anni.
A cavarsela con i propri sentimenti, d'altronde, Usagi doveva essere
secoli
davanti a lui.
«Ho capito.» L'espressione le si fece...
dolce. «Allora io vorrei... se sei libero oggi... esci con
me?»
Come? «Non dovevo chiederlo io?»
Lei scosse la testa. «Era una sciocchezza, non m'importa
più. L'importante è stare insieme.»
Colpito, Mamoru rimase in silenzio. Gli era bastato solo... chiedere
e Usagi aveva mosso un passo verso di lui. Fu strano sentir colmare
un
vuoto che non aveva mai saputo di avere. Usò la tattica di
prima e le
disse comunque quello che lei già sapeva. «Oggi ho
la
giornata libera e vorrei passarla con te. Vuoi uscire
insieme?»
E, con quel passo verso di lei, si incontrarono al centro.
La luce sul viso di Usagi illuminò la stanza, oltre la
stessa
luce del sole. Gli corse incontro fino ad aggrapparsi al suo braccio e
annuì
con la
testa su
e giù, ridacchiando e stringendolo.
E fu così che iniziò il loro primo appuntamento.
CONTINUA...
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