TITOLO:
Le cose che non dici
AUTORE:
Akane
SERIE:
Numb3rs (il mio dominio è in continua espansione!!!!!)
GENERE:
sentimentale, introspettivo
TIPO:
slash
RATING:
giallo/PG13
PARTI:
One Shot
PERSONAGGI:
a sorpresa (specie mia) DonXColby!!!!!
MODO:
pov di Don e Colby alternati
AMBIENTAZIONE:
prima puntata della quarta stagione…
(meravigliosa… una vera
illuminazione…)
DISCLAMAIRS:
I personaggi non sono miei ma degli autori che ne detengono ogni
diritto….sig! Ma io voglio Colby e Dooooon!!!!
NOTE:
aspettate… ehi, no, ma dove andate? Fermi lì un
secondo!
Specie tu Taila… non morirmi leggendo la coppia!
Dunque… fino a
qualche ora fa ero molto convinta della coppia
ColbyXCharlie… ma
poi ho visto la prima puntata della nuova serie e sono rimasta
abbagliata da quest’altra! Vi giuro… non avrei mai
pensato ma
come non rimanere colpiti dallo stato in cui è Don dopo
l’apparente tradimento di Colby? Quando vede e rivede
ossessivamente per cinque settimane il video in cui Colby confessa?
Come esce di sé mentre lo cerca? Quando Colby è
Don che
cerca dicendogli che si fida solo di lui e gli chiede aiuto? Quando
Don gli grida di non scappare? Quando si tormenta sulla sua natura
(buono o cattivo)? Quando poi decide di fidarsi e va da lui a
salvarlo? Quando Colby si sacrifica e sta per morire e cercano di
rianimarlo e Don gli prende il viso gridando sconvolto di non morire?
No, quella puntata è un continuo slash fra loro due, mentre
nulla su Colby e Charlie, a sorpresa… Così la mia
testa ha
fatto reset su tutto quello che erano le mie idee e sono sopraggiunte
di nuove (specie in virtù di quanto bello era Colby in
questa
puntata!). Ora, gente, vi lascio alla mia fanfic scritta a caldo
subito dopo la puntata. Buona lettura. Baci Akane
DEDICHE:
a Taila che anche se patteggia per Colby e Charlie sono certa che
leggerà la fic lo stesso e non la disdegnerà!
RINGRAZIAMENTI:
a tutti quelli che leggeranno e commenteranno.
LE
COSE CHE NON DICI
/
Run - Snow Patrol /
“Le
immagini di quel video vanno e rivanno in continuazione davanti ai
miei occhi. Le fermo, le mando indietro e le faccio ripartire.
Così
da giorni.
Anzi,
un tempo indefinito.
Ogni
momento libero, ogni momento possibile vengo qua in sala video e
guardo la confessione di Colby, ingrandisco sul suo viso, mi
concentro sui suoi occhi, sull’inclinazione di ogni muscolo,
ogni
impercettibile espressione che ha anche solo l’ombra di
passare su
quel viso serio dai lineamenti sottili e sensuali.
Lo
conosco a memoria, ogni linea che lo compone, ogni taglio, ogni
morbidezza o durezza, tutto.
Persino
il colore dei suoi occhi è vivido nella mia memoria.
E
in questo video io vedo tormento. Un tormento molto nascosto.
Normale, tutto sommato… è venuto fuori che
è un
traditore… è stato scoperto… eppure no.
Eppure
c’è qualcosa che non va.
È
uno dei miei uomini, come ho potuto non accorgermi di nulla?
Come?
O
forse il punto è che lui non è uno DEI miei
uomini
bensì il MIO.
Come
interpretare questa sensazione accompagnata da questa mia
affermazione che gira nella mia testa da quando è stato
arrestato?
Tutti
hanno reagito a modo loro, anche Charlie.
Io
quel che ho fatto è stato non seguire più nessun
caso,
lasciare Megan in ferie per un tempo spropositato e perdere di vista
David che non so nemmeno cosa stia combinando.
Io
me ne sto qua giorno dopo giorno a rivedermi in modo ossessivo questo
video, i suoi occhi, ascoltare la sua voce vellutata e dura che
confessa.
E
a pensare che non è tanto il fatto che fosse uno dei miei
uomini quanto che dovesse essere il mio.
Non
ci siamo mai messi insieme, non l’ho nemmeno mai pensato o
voluto,
non l’ho mai visto sotto queste vesti, non mi è
mai passato
per l’anticamera del cervello, però ora che non
c’è
più e che mi ha pugnalato a quel modo, ora che soffro da
cani
per questo, mi sento come uno tradito e lasciato dalla propria
metà,
dal compagno di vita, dalla persona che ha sempre amato.
Non
ho mai contemplato l’ipotesi di essere gay e non lo
farò ora
solo perché mi arrivano certi strani pensieri come
proiettili.
Non è ora che sono da considerare.
Ora
devo assolutamente capire una cosa.
Cos’è
che non mi convince di Colby e di questo interrogatorio?
Cosa?
Sento
che questo conta sopra ogni altra cosa, addirittura sopra la
possibilità che io ne fossi innamorato o che comunque mi
piacesse. Sopra la mia presunta omosessualità. O
bisessualità
che dir si voglia.
Dovrebbe
essere una cosa in grado di mandarmi fuori eppure Colby la supera,
Colby e il suo tradimento mi permette di superare tutto. Tutto a
parte lui che era una spia, che mi ha ingannato e lasciato.
Lasciato.
Quanto
pesa questo suo abbandono. Questo suo doppio gioco.
Quanto.
Se
l’avesse fatto chiunque altro non so se ora starei ancora
così,
dopo cinque settimane.
Ma
non so far altro che pensare a lui e a cosa non ha detto.
Come
un ossessione.
Nemmeno
la consapevolezza che forse lo considero il mio uomo, anche se non
è
mai stato così alla pratica, mi distrae.
Io
devo sapere.
Io
devo capire.
Devo.
Colby,
cosa non mi hai detto? “
“Inferno.
Un
inferno.
Pensavo
che come marine in guerra in Afganistan avessi visto tutto, che fosse
quello l’inferno… eppure ora che ci sono dentro mi
rendo conto
che quello in realtà non era nulla. Che questo è
quanto
di peggio io possa cercare di portare avanti.
Non
posso mollare. Non posso lasciarmi andare.
Ne
vanno di mezzo loro. Lui.
Non
posso arrendermi. Sono stato preso, sono chiuso in prigione
però
non è finita. Le persone sotto cui mi sono infiltrato
faranno
di sicuro qualcosa per farmi uscire. È certo.
Una
volta fuori devo pensare a cosa fare, come muovermi, come arrivare da
Don senza farmi ammazzare o prendere.
È
l’unico di cui mi possa fidare, l’unico. Non
chiamerei nessuno,
solo lui.
Devo
trovare il modo di contattarlo in privato senza essere controllato.
Devo
comunicare con lui.
Non
posso arrendermi.
O
per lui sarà la fine presto o tardi.
Non
posso lasciare che quei bastardi facciano.
Non
solo il Paese è in pericolo, ma lui.
Lui.
Don.
Non
è il fatto che ha sempre avuto fiducia in me,
l’hanno fatto
anche gli altri della squadra. È più il fatto che
lui è
semplicemente un'altra cosa per me.
So
di averlo ferito profondamente, di averlo pugnalato e che sicuramente
ora non vorrà più saperne di me. Starà
lavorando
a tutto andare su un sacco di casi cercando di dimenticarmi,
infuriato con me.
Gli
ho fatto del male.
Gli
ho fatto davvero male.
Ma
non potevo condividere con lui la mia situazione, non potevo
dirglielo, sarebbe stato in pericolo anche lui, magari ora sarebbe
anche già morto, chissà. Sono in una posizione
difficile, pericolosa e complicata. Se le persone che mi stanno
dietro sapessero tutto sarei ricercato da non so quanta gente, il
doppio di ora probabilmente.
Ho
dovuto proteggerlo agendo da solo, completamente da solo.
Se
non fossi stato così legato a lui avrei condiviso con lui la
verità mettendolo a rischio, ma non potevo.
Quando
mi ha interrogato mi sono trovato su una bilancia la
possibilità
di morire da solo e quella di morire con lui. Perché di
questo
si trattava considerando le persone con cui ho a che fare e che se
vengo scoperto mi daranno la caccia. Non avrei mai potuto, mai.
Anche
così rischia perché quei bastardi presto o tardi
attueranno i loro sporchi piani, con o senza di me, ma se gliene
avessi parlato ora chissà dove sarebbe.
Ora,
all’inferno, ci sono solo io.
E
va bene così.
Se
è per proteggere chi amo va bene così.
Però
vorrei solo… poterlo vedere di nuovo… e
chiedergli scusa… scusa
per averlo ferito, per avergli taciuto una cosa simile, per non
avergli chiesto aiuto, per non avergli dato fiducia. Ma non si
trattava di questo. Io ho fiducia in lui. Però non bastava a
salvarlo. La mia fiducia l’avrebbe ucciso.
Non
ho esitato un istante a sacrificarmi pur di salvarlo, pur di
permettergli di vivere un giorno in più.
Presto
lui mi dimenticherà aiutato dall’odio verso di me
ed io…
io magari marcirò o qua in prigione o fuori sotto le mani di
quei criminali che mi scopriranno e mi tortureranno. Ed io so come mi
tortureranno.
Se
mi scoprono mi aspettano delle sofferenze di cui sono perfettamente
consapevole. Quante volte ne ho viste inflitte ad altri.
Ma
non posso mollare così.
Per
lui.
Devo
permettergli di continuare a vivere ancora.
Mi
sembra così importante, improvvisamente, la vita di una sola
persona… quanto quella di tutta una popolazione messa
insieme. Non
avrei mai pensato di riuscire di nuovo a provare una cosa simile.
Non
dopo l’Afganistan. Se ho accettato una missione simile
è
stato solo perché non provavo più nulla. Nulla
che
andasse al di là del mio dovere verso la patria. Nulla di
profondo, nulla di meraviglioso, in realtà.
Disilluso
verso il genere umano, scottato da ciò che ho visto in
guerra,
sofferente dalle perdite importanti che ho dovuto sopportare ho
accettato questa missione che era suicida sperando di farla finita
una volta per tutte.
Però
qua ho ritrovato la vita, la mia anima, i miei sentimenti. Tutto
ciò
che avevo perso. E se prima avrei mollato facilmente, troppo stufo di
questa schifezza di mondo per cui mi sbatto da troppo tempo, ora non
ce l’ho più fatta.
Il
suo sguardo rabbioso e ferito, deluso, disfatto e fuori di
sé
mi è entrato dentro, mentre mi interrogava. E lì
c’è
rimasto. Non se ne andrà più la dannata
sensazione di
averlo ferito così tanto. Mai.
Ma
spesso ciò che è giusto non è anche
ciò
che si vorrebbe.
Lui
un giorno dimenticherà e tornerà a vivere
fidandosi
degli altri, ritroverà la felicità.
Io…
io semplicemente devo fare quello che è giusto.
Me
la sono sempre cavato da solo, lavorare per lui mi aveva fatto quasi
credere di potermi affidare a qualcuno, di non essere sempre senza
nessuno accanto. Ma la verità è che è
stata solo
una breve meravigliosa vacanza e che ora mi aspetta un continuo
inferno come questo.
Un
inferno portato dal fatto che ho ferito profondamente chi amo.
Perdonami
Don.”
“Quando
mi ha telefonato mi è sembrato di morire. Charlie
è
arrivato dandomi il suo telefono, dicendo che era Colby, e la prima
cosa che mi è venuta da chiedergli è stata
perché
ha chiamato lui e non me!
Bè,
in fondo ha comunque cercato me.
Lui
parlava dandomi svelto tutte le informazioni che mi servivano e che
quella volta non mi aveva dato, facendomi capire che c’era
davvero
qualcosa che non andava, che la mia sensazione era giusta, che non
è
davvero un traditore, che posso respirare, tornare a vivere, che lui
è ancora con me, che ha bisogno di aiuto ma che non mi ha
pugnalato… e allo stesso tempo mi sono fermato a
rabbrividire
risentendo semplicemente il suono della sua voce vellutata e calda.
Sono
forse impazzito?
Ma
il mio cervello, o il mio istinto, ha registrato tutto e mi ha spinto
a fare come sempre il mio dovere.
Il
dovere di un capo squadra dell’FBI.
E
ho dubitato di lui, l'ho accusato, gli ho chiesto come potevo fidarmi
di lui mentre invece volevo dirgli di dirmi dove era e di aspettarmi
che avrei risolto tutto.
Come
sempre.
Perché
per la mia squadra mi faccio sempre in mille cercando di non far
pesare loro nessuna decisione che invece posso benissimo prendere io.
Cerco
sempre di salvare il culo a tutti però se ce
n’è uno
in particolare che vorrei salvare è il suo ed in quel
momento
volevo solo dirgli di fidarsi di me che l’avrei aiutato.
Però
ho dovuto fare l’agente federale voltandogli di nuovo le
spalle.
Di
nuovo perché non l’ho mai capito davvero dopo
tutto il tempo
passato insieme.
Mi
sento terribilmente colpevole di tutto quello che ha fatto e gli
è
successo.
Però
sentirmi dire da lui che io sono l’unico di cui si fida,
arrivato a
questo punto, è stato semplicemente rigenerante e
sconvolgente.
Una
vampata violenta di calore mi ha invaso su tutto il corpo e sono
rimasto inebetito un millesimo di secondo. Prima che me ne rendessi
conto però il mio istinto mi aveva già fatto
agire da
solo e stavo dirigendo tutte le indagini come sempre.
Io
non ho mai tempo per pensare a me stesso e a quel che provo o vorrei.
Devo prima mettere davanti il mio lavoro, la mia squadra, la gente
che proteggo… tutto è sempre stato più
importante di
me e se qualcosa è andato storto senza che io ne fossi
direttamente coinvolto, ho sempre sentito il peso doppio sulle mie
spalle.
Sono
fatto così e nemmeno parlarne con Charlie o con mio padre mi
solleva in alcun modo.
Non
penso che sia un problema di ego, come ha detto mio
fratello… penso
che sia più un problema di sentimenti. Semplicemente fino ad
ora sono riuscito a farne a meno, non erano poi così forti o
coinvolgenti, ma ora lo sono.
Oh,
se lo sono.
Lo
sono al punto da farmi uscire di me, infuriare con chi non centra e
correre come un matto ovunque.
Il
mio problema, ora, sono i miei sentimenti. Per lui.
Quando
poi l’ho rivisto di sfuggita in stazione insieme al complice,
mentre mi avvicinavo correndo chiamandolo insieme agli altri agenti
che eseguivano i miei ordini, mi è anche venuto un colpo.
Anzi
più di uno.
Il
primo mentre costatavo che il suo abbigliamento da fuggiasco lo
rendeva decisamente diverso tanto da farmi avere di nuovo quella
famosa ondata di caldo e brividi, la seconda quando ha guardato me e
poi le rotaie della metro libere. Ho sentito il rumore di un altro
che arrivava da lontano, ho visto i suoi occhi, occhi che conosco a
memoria e che mi hanno perforato, lo sguardo che si è
scambiato con me, la decisione su cosa fare, l’inferno in
sé
che è riuscito a trasmettermi.
Non
ho potuto far altro che gridare di no.
No
Colby.
No.
Con
quanto fiato e forza avevo in gola, non un ordine, non un consiglio
ma una richiesta, una supplica.
La
metro stava per passare e lui era saltato sui binari con
l’altro
ragazzo, continuava a guardarmi, io continuavo a gridare sapendo che
si sarebbe spostato in tempo e che non sarebbe morto, che non poteva,
come non poteva andarsene da me proprio ora che l’avevo
ritrovato.
Non poteva rifiutare la mano che gli tendevo, continuare a viaggiare
da solo, a giocare a questa roulette russa senza nessuno che
l’aiutasse e lo proteggesse.
È
stato un momento di delirio in cui nessuno ha più capito
nulla, cosa sperare, cosa volere, cosa fosse giusto.
Ed
io e lui ci siamo visti per l’ultima volta proprio la
frazione di
secondo prima in cui passasse il treno.
Ho
capito che potevo fidarmi quando mi ha salvato la vita.
Il
suo complice aveva alzato la pistola contro di me, se lui non
gliel’avrebbe abbassata sarei morto.
Devo
la vita a Colby ed ora so che posso stare tranquillo e fidarmi.
Lo
so.
Ho
avuto solo la conferma dagli altri che la pensavano così
seppur non osassero buttarsi apertamente.
Però
ora che sto per entrare nella nave in cui dovrebbe essere lui mi
chiedo cosa troverò dentro.
Cosa
starà facendo, se ho fatto bene a fidarmi, se
sarà
vivo, se…
Ma
i se muoiono quando sentiamo spari e ci fiondiamo direttamente in
sottocoperta.
E
lo troviamo.
Svenuto.
Seduto.
Legato.
Sudato.
Con
un’aria terribile.
Con
un ago nel petto, sul cuore, spinto a metà.
Che
diavolo succede?
Cazzo,
cosa succede?
Cosa
gli hanno fatto?
Registro
a fatica David che dice il nome del veleno iniettato a metà
direttamente nel cuore; morirà?
Quello
che ha avuto potrebbe bastare ad ucciderlo.
Rimango
impietrito mentre guardo David scioglierlo e stenderlo, comincia a
rianimarlo, è molto agitato, lo chiama, grida il suo nome e
dice altro che non capisco.
Parla
con me?
Con
lui?
Da
solo?
Oh,
non lo so davvero… quel che so è che sono
impietrito davanti
a questa scena raccapricciante, i muscoli si atrofizzano, i legamenti
diventano ferro rovente e il sangue è peggio della lava.
Tutto
il mio corpo si informica ed io perdo cognizione di me, non so
più
dove sono e se mi sono mosso.
Per
un momento, breve o lungo non lo so, è così.
E
mi sveglio quando realizzo una cosa.
Colby
sta per morire.
Dannazione.
No,
non può morire.
Realizzo
anche che gli dobbiamo la vita e molto di più, che questo
suo
sacrificio ha permesso a noi e a tutto il Paese, forse, di salvarsi.
E
che per questo non possiamo lasciarlo andare.
Non
possiamo.
Il
debito che abbiamo con lui non sarà mai colmato del tutto,
ma
il minimo è salvargli la vita. Così mi riaccendo
e
dicendo qualcosa che non registro nemmeno io mi inginocchio davanti
alla sua testa, al contrario, gliela prendo fra le mani, la
raddrizzio, comincio a schiaffeggiarlo e chino su di lui urlo ancora
il suo nome, lo chiamo chiedendogli di non lasciarmi, di non
andarsene. Non un ordine, non un consiglio ma una richiesta, una
supplica.
Non
andartene, Colby.
Non
ho mai fatto così per nessuno, credo, forse nemmeno quando
è
stata rapita Megan… e lì ne ho superati di
limiti… ma come
mi sento ora non mi ci sono mai sentito.
Caos.
Dolore.
Shock.
Bruciore.
Follia.
Paura.
Una
paura pazzesca, inaudita, indomabile.
Di
perderlo.
E
amore.
Un
amore che va oltre ogni comprensione.
Un
amore istintivo così forte e chiaro che non potrei mai
ignorarlo per qualche altro dovere più importante
perché
improvvisamente non esiste più nulla di importante oltre a
lui
e alla sua vita.
Non
lasciarmi Colby.
Non
mi importa se siamo due uomini, se mi hai tradito, anche solo per
finta, se a me hai preferito fare tutto da solo, se hai sbagliato e
se noi due siamo diversi.
Però
tu riapri gli occhi.
Ti
prego.”
“Una
voce.
Una
richiesta.
Una
preghiera.
Cos’è
ciò che mi giunge in questo posto lontano da tutto e da
tutti?
È
buio oppure luce?
Che
colori si susseguono intorno a me?
Ci
sono cose definite oppure no?
Mi
sembra come di fare il morto sulla superficie del mare.
È
un mare molto calmo e tiepido, si sta bene… le onde sono
tenui e mi
dondolano cullandomi dolcemente, mi piace stare qua, non vorrei
stare altrove.
Istintivamente
lo penso.
Non
è per nulla male.
Ma
poi?
Poi
che farò, dopo?
Starò
qua per sempre?
Dov’è
il qua?
E
soprattutto io chi sono?
Cerco
nella mia memoria i frammenti di me ma non mi viene nulla.
Più
mi sforzo di ricordare e più questo lapsus mi annienta il
cervello.
Niente,
nemmeno con tutti gli sforzi possibili… così
rinuncio perché
comincia a farmi male e mi dà fastidio.
Voglio
continuare a farmi cullare da quest’acqua che avvolge il mio
corpo.
Forse sono nudo. Forse non ho nemmeno un corpo.
Un
corpo.
E
cosa sarebbe?
Ne
ho mai avuto uno?
Magari
sono solo una coscienza isolata che vaga in solitudine da secoli, che
ogni tanto si spegne ed ogni tanto si riaccende…
Da
quanto tempo sono qua?
Da
quanto penso?
Non
saprei…
Però
c’era una voce.
Mi
chiamava ed era molto agitato.
Come
faccio a sapere che chiamava me?
Non
ricordo che nome pronunciava ma so che nominava qualcuno e so che
nominava me, ne sono certo.
Mi
cercava, mi chiedeva di svegliarmi, forse.
Già,
ma perché dovrei farlo?
Io
sto bene qua. Se mi sveglio poi dove finisco?
Cosa
sarò?
Come
vivrò?
Come
starò?
Male?
Bene?
Io
so solo che qua sto bene anche se non ricordo nessuno e non distinguo
bene nulla.
Solo
la sensazione dell’acqua addosso che mi sostiene.
Però
magari mi sbaglio, è solo una sensazione vaga, un illusione.
Magari
non è davvero così.
Allora
voglio vagare in eterno in un illusione?
No,
non è da me.
Non
mi ricordo niente di me stesso ma so che non è da me
rimanere
così in un sogno senza nulla di concreto.
Così
passivo.
Però
cosa seguo?
Dove
vado?
Se
voglio cambiare qualcosa, capire, dove devo andare?
Come
devo fare?
Cosa
devo seguire?
La
voce di prima è attenuata, non si sente più.
Da
quanto?
Non
saprei…
Però
vedo qualcosa in questo caos indefinito.
Qualcosa
di diverso da tutto insieme ad una sensazione.
Qualcuno
torna a chiamarmi, è meno agitato, sento
più… come si
chiama?
Amore?
È
un sentimento bellissimo, molto dolce, pieno, vivo, sincero, sentito,
vissuto, forte.
Amore…
si… potrebbe essere quello… non so come faccio a
dirlo perché
non ricordo niente, però sento che è amore.
Allora
seguo questo sentimento, questa sensazione, questa voce che mi parla
da qualche parte.
Man
mano che mi avvicino comincio a sentire del calore.
Dov’è
che sento calore?
Qualcuno
mi tocca… forse è questo.
Qualcuno
mi tocca…
Lo
stesso che mi sta parlando.
Sento
solo lui e probabilmente è perché mi ama
così
tanto, c’è un legame fra noi, lo sento, ne sono
sicuro o non
starebbe qua a parlarmi.
Non
so di preciso cosa mi dice, ma mi parla.
Ha
una bella voce.
Mi
riempie, continua a riempirmi e mentre sento anche la nostalgia di
lui, capisco che lo conosco.
Per
lui ho fatto tutto quello che potevo.
Ho
dato la vita.
Ma
la mia vita è qua, fra le mie mani.
Fra
le sue.
Posso
decidere io cosa fare?
È
uno di quei momenti in cui posso svegliarmi e facendolo
ricorderò
tutto?
Voglio
provarci… magari è solo un illusione, magari sono
morto,
magari non sono mai nato ed ho sempre vagato da solo…
però
ora sento questa voce, questo amore, questo tocco… e voglio
provare
ad andare da lui.
Dopo
di questo non sento nulla di concreto, nulla di definito, nulla di
chiaro.
È
molto vago e caotico.
Non
so cosa sto facendo e che mi succede.
Non
so nemmeno se sento dolore o se sto bene.
Non
lo so.
Però
fra tutto questo macello incomprensibile finalmente riesco a
distinguere della luce. All’inizio mi dà fastidio
poi man
mano che apro e chiudo gli occhi mi abituo e capisco che non
è
davvero forte, è sopportabile.
Così
dopo la luce vedo dei contorni che lentamente diventano sempre
più
nitidi ed insieme ad essi dei lineamenti.
Sono
familiari.
Certo
che lo sono.
E
con essi tutto torna alla mente, tutti i ricordi, la mia coscienza,
la mia consapevolezza, il mio sapere, tutto… nulla va
perduto.
Ricordo
ogni cosa.
E
lui è Don e mi sta tenendo la mano.
Mi
stupirei di questo contatto, non è da lui, se non fosse che
mi
sento come se mi avesse camminato sopra un esercito intero.
Non
è un dolore localizzato e ben nitido, è generico
su
tutto il corpo. Mi sento massacrato, però cerco i suoi occhi
ed ignoro ogni sensazione fisica.
Penso
di avere qualcosa sulla faccia che mi aiuta a respirare, poi altre
cose attaccate al corpo che molto lentamente comincia a tornare da
me. Però mi concentro sui suoi occhi, sul suo sguardo
emozionato e lucido che, posato sul mio, diretto come sempre, cerca
la forza di dire o fare qualcosa senza trovarla.
Per
una volta l’ho lasciato immobile senza parole. Non che lui di
norma
sia un chiacchierone, ma qualcosa da dire, o ridire, lo trova sempre.
Ora
se ne sta zitto a fissarmi con delle lacrime che vorrebbero scendere
e delle parole che vorrebbero uscire, ma riesce solo ad osservarmi
con pienezza, amore ed emozione e a stringermi forte la mano che mi
tiene.
Io
ricambio istintivamente e prima di realizzare che posso muovermi,
seppure con grande fatica, mi trovo a sorridergli con altrettanta
fatica ma con tutto ciò che ho dentro.
Non
so che sorriso sia uscito e come l’abbia preso, né
se
l’abbia visto bene, ma dalla gola che comincia ad ingoiare a
vuoto
mi fa capire che ha recepito bene tutto.
Vorrei
abbracciarlo, sentirlo di più, parlargli, dirgli che lo amo,
che voglio stare con lui, se mi può perdonare, cosa
succederà
ora… vorrei dire e fare mille cose ma non ho nemmeno la
forza di
alzare il braccio e togliermi la mascherina dal viso.
Così
non mi resta che guardarlo e sperare che prima o poi sia lui a dirmi
ciò che spero.
A
spiegarmi questa mano sulla mia e a fare un passo che io ora non
riesco a fare ma che vorrei tanto.
Bè,
sono vivo e lui è qua, significa che tutto il resto
potrà
andare a posto.
Di
certo.
Però
almeno una cosa voglio dirla e girando la testa cerco di alzare la
mano, senza molto successo. Ogni singolo e minuscolo movimento
è
una fatica immensa, per me, però proprio quando penso di
dover
rinunciare a comunicare con lui, capisce che voglio dire una cosa e
senza emettere alcun suono mi abbassa l’ossigeno scoprendomi
la
bocca.
È
più vicino, ora, chino su di me che assorbe ogni cosa che mi
riguarda.
Dio,
da quanto non mi sentivo così… così
amato?
E
magari lui nemmeno si rende conto di dare così tanto agli
altri…
Vorrei
dirgli mille cose, fra cui che lo amo, ma opto per quella che fra
tutte emerge e che non richiede troppe sillabe.
-
Grazie… - Solo questo. Dopo la mia gola grida vendetta
insieme alla
mia testa e nemmeno volendo arrivo a dire altro.
È
stato solo un sussurro e subito ho faticato a respirare. Lui lo nota
e mi rimette la mascherina sulla bocca, quindi rimane così
vicino al mio viso, ci contempliamo a vicenda ed il sorriso di
risposta è qualcosa di non solo dolce ed emozionato, ma
anche
sereno e luminoso a modo suo.
Come
se avesse trovato le sue risposte e con esse la pace.
Ora
sarà tutta un'altra cosa, con lui, lo so.
-
Grazie a te. – Questo mi fa capire che è davvero
tutto a
posto, che è venuto fuori cosa ho fatto e perché
e che
non devo più tormentarmi per riappacificarmi con lui, che ha
capito, che sa, che da ora davvero tutto andrà bene.
Finalmente.
Grazie…
a chiunque abbia contribuito, finalmente, a darmi una mano e ad
arrivare qua.
Se
me lo avessero detto non ci avrei mai creduto.
Anche
se ho molto da farmi perdonare.
Tutte
le cose che non ho mai detto e che avrei dovuto e voluto dirgli.
Stavano
per essere la nostra fine ma ce l’abbiamo fatta.
Ora
di cose da dirne ne ho eccome, ma con calma, quando starò
meglio.
E
allora sarà il paradiso e non più
l’inferno.
Sarà
strano viverlo, sarà la mia prima volta, ma non vedo
l’ora.
L’importante
è che mi abbia perdonato, il resto lo risolveremo parlando.
Non
voglio ci siano più cose non dette fra noi.
Non
voglio più tacergli nulla.”
FINE
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