So was I.

di serClizia
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“Mi dispiace Tony, ma è mio amico.”
“Lo ero anch’io.”

Mi allontano bruscamente dallo schermo. Non riesco a lavorare, il che è quasi ironico visto che qualunque cosa mi sia successa, sono sempre riuscito a metterci sopra il lavoro, con una ragazza a fine serata come ciliegina sulla torta. La distrazione perfetta.
Sono praticamente diventato uno dei maggiori CEO mondiali grazie a questa tecnica – oltre ad aver creato più armature di quante ne avesse bisogno l’intero universo.
Mi riavvicino al computer.
“Jarvis, dammi un po’ di musica.”
“Certo, signore. Qualche preferenza?”
“Qualcosa di energetico. Ho bisogno di carica, qui.”
“Subito, signore.”
Mi ributto sul lavoro, le note della colonna sonora dei Pirati dei Caraibi come adrenalinico sottofondo, e riesco a fare passare ben… guardo l’orologio, ben venti minuti, prima che il pensiero di Steve torni a tartassarmi il cervello.
“Doveva proprio andare a immischiarsi con i serial killer, uh?”
Jarvis non risponde, è più abituato di me al mio parlare da solo ad alta voce. E poi c’è quella cosa di quel programma di modulazione della voce che gli ho inserito, per capire quando sto parlando con lui e quando invece sto semplicemente fissando il vuoto e facendo domande vane all’esistenza.
Potrei chiamare Pepper. È sicuramente a lavoro, e mi sgriderebbe per averla disturbata con… con cosa, poi? “Ehi, Peps, tesoro, il mio migliore amico è entrato in clandestinità per proteggere il suo migliore amico pluriomicida ricercato. E si rifiuta di firmare l’Atto di Registrazione. Cose che sai già, quindi perché ti ho chiamato? Ah, sì, per dirti che non riesco a lavorare o a smettere di pensarci. Bella chiacchierata. Ci vediamo per cena. Ciao ciao.”
Mi strofino gli occhi, che non chiudo da almeno una settimana. Dall’ultima volta che l’ho visto, mentre si nascondeva dietro il suo scudo.
Si proteggeva da me.
L’ho pregato di non farlo. Di non fuggire, insieme avremmo potuto anche provare un compromesso. Non si è fidato di me. Non mi ha creduto. Ha infilato Bucky in una stretta dietro il suo scudo, e sono volati via da una finestra. Avrei potuto inseguirli, ma non ci sono riuscito. L’armatura era pronta a volare, erano i miei piedi a voler restare ancorati al pavimento.
“’Lo ero anch’io’, che frase patetica da dire!”
L’ultima cosa che gli ho detto è il lamento di un vecchio rammollito.
‘O di un cuore spezzato’, mi sussurra una parte di me che risale dallo stomaco e cerca di uscire dalla gola. La ricaccio giù, e deglutisco per buona misura.
No. Non è niente di così idiota come il romanticismo, è puro e semplice tradimento.
Steve ha tradito me, ha tradito la squadra, ha tradito il suo prezioso SHIELD e… no, non ha tradito se stesso. Chiaramente, doveva essere perfetto anche in questo. I suoi principi morali del cazzo. Lasciare che il tuo redivivo migliore amico d’infanzia finisca controllato e probabilmente ucciso? La sua intera fibra esistenziale non poteva permetterlo. La rabbia se ne vola via così com’era arrivata, sostituita da pura e semplice amarezza.
“Potrei chiamarlo.”
Dirgli: ‘Ehi, ricordi l’ultima conversazione che abbiamo avuto? Lascia perdere. Caffè? Ci vuole una tazza di caffè per risolvere una questione come questa. Anzi, scratch that, un drink è meglio. Io, te, casa mia, un drink, puoi portare Bucky se vuoi.’
Stringo le nocche sulla fronte. Niente Bucky, okay. Solo io e lui, e un chiarimento, uno qualunque.
Ma cos’è rimasto da dire?
Apro il programma di localizzazione. L’idiota non ha buttato via il cellulare, e ho rintracciato il suo GPS. Cazzate degne di chi non ha ancora capito bene come funziona la tecnologia.
Fisso il puntino giallo della sua posizione sullo schermo. È ancora a New York.
Potrei andare da lui.
Chiudo il programma, spengo lo schermo.
“Jarvis?”
“Sì, signore?”
“Chiama Pepper, dille che oggi ho finito prima. L’aspetto a casa.”
“Subito, signore.”




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