Confuuuuuuusa. Ho sempre tradotto, fra
me e me, Fessura Stellata per Star Fissure e Fenditura per l'amata
Cleft... ora mi salta fuori che ai vertici hanno stabilito il
contrario? Sui siti buoni non m'azzardo ancora ad andare e certi
scritti cafonazzi italioti danno comunque
Fenditura come lo uso io? Aiuuuuuto? Mi rifiuto comunque di usare
stellare
per... per la Divina
Provvidenza, lì: non è stellare, cioè
delle stelle o relativa alle
stelle... manco sono vere stelle quelle, credo, sarebbe lo stesso se
fosse a
strisce o a quadretti, invece è a stelle. Ergo stellata.
Hmpf. :|
Trailer
della fanfiction :|
Perdonate,
o stranieri ed esploratori di passaggio, questi niubbici approcci al
canone. Sono quasi alla fine del viaggio... ancora poco per chiarirmi
definitivamente le idee, smetterla di andare a tentoni e soprattutto
piantarla di sfogarmi nelle note. Parola di Giovane Marmotta (sezione
speleologia 9_9).
Passando
a cose serie e
utili:
Il
tema della Settima Sfida di True Colors, cui questa storia ha
partecipato con un orgoglios...ehr umile secondo posto,
è Futuro + solelunaopianetaacaso. Futuro anche nel senso di
duun
duuuuun foreshadowing, pianetaacaso nel senso di... stavo sfogliando
siti di astrologia per vedere se trovavo agganci con Myst i miei fandom abbastanza forti
da giustificare una partecipazione...
zero totale fino a Plutone, del quale dicono che:
- è
preposto alle energie di trasformazione
- Governa
le forze del subconscio (ecchissenefrega) e di tutto ciò che
è sotto la superficie (oh, ora c'intendiamo. Tenete i vostri sensi figurati lontani dai miei prompt XD)
- I
suoi aspetti positivi sono rinnovamento, rinascita, fini e nuovi inizi
- Il
suo aspetto negativo è il desiderio ossessivo di potere.
Così,
come Beep Beep (cioè Yeesha, l'uccello del deserto che
è
palesemente un roadrunner) passa in corsa e Wile E. Coyote
(cioè, di
riflesso, Esher) se lo immagina come un arrostino su due gambe, io
leggevo lì e in realtà vedevo:
- But the dream also tells of a desert
bird with the power to weave this new D'ni future. We fear such power
– it changes people...
- Have you heard of the city... the deep
city... the ancient Uru? Where there was power to write worlds. For
thousands of years the city lived... lived beneath the surface...
- We know that some futures are not cast,
by writer or Maker, but the dream tells that D'ni will grow again
someday. New seekers of D'ni will flow in from the desert feeling
called to something they do not understand...
- I could write things that no
D´ni had ever dreamed of. My writing smashed barriers held as
absolutes for millennia. I could change things... I could move
things... I could control things. I learned beyond my parents... I
learned beyond all. I wrote Ages against any challengers... Masters of
the Art and they were beaten. I took all that I could hold. Only death
can conquer pride so strong...
E via andare.
XD
Successive
ricerche astronomiche/astrologiche mi hanno mostrato che il pianeta
nano (ex-pianeta minore,
yes I went there) entra in Scorpione, il suo segno (nonché,
se posso
dire, il segno di Yeesha... sfera sessuale a parte, ce la ritrovo
precisa precisa), nel 1992 cioè ad attività del
DRC appena iniziate
se ho ben capito, e ne esce nel 2006, cioè appena dopo EoA
se ho ben
capito, e non lo faceva da poco prima che venisse scritta Myst.
*dramatic chipmunk*
Se
ho mal capito, abbiate pietà e prendete le date con le pinze.
Da
Albuquerque e dintorni, il pianeta è sorto a est a inizio
novembre.
Disclaimer: Gli avvenimenti narrati
sono frutto di fantasia. Non intendo dare rappresentazione veritiera
del carattere delle persone descritte né offenderle in alcun
modo.
Se possibile, anzi, il tutto è da intendersi come tributo di
affettuosa stima.
Ispirazione minore
He sees no
stars who does not see them first
of living silver made that
sudden burst
to flame like flowers beneath an ancient song,
whose
very echo after-music long
has since pursued. There is no
firmament,
only a void, unless a jeweled tent
myth-woven and
elf-patterned; and no earth,
unless the mother's womb whence all
have birth.
(J.R.R.
Tolkien, Mythopoeia)
Father and Mother loved
and shared with me, their desert bird. Father shared wisdom and
knowledge, and Mother shared visions and dreams. When did they come
to know my destiny? Surely not from birth. As I look back, they knew
so much; they saw so clearly. They planted and watered, so that I
would learn to do the same. I would not realize it until long after I
was to see them no longer.
(Yeesha)
1813, la Fenditura
Catherine si chinò a districare l'orlo
della sottoveste da una scheggia della scaletta d'ingresso alla
Fenditura. Trionfatrice senza troppo spargimento di lana, si
girò a
osservare il groviglio di sentieri, ponti di corda e pertugi che
costituiva il rifugio, come a trarne un messaggio segreto e
personale: quel luogo aveva ancora molto da insegnarle e, riteneva,
almeno una confidenza da tradire. Era un'oasi protetta dai suoi
strati di roccia rossa, un piccolo mondo separato dal deserto al di
sopra, riparato dai venti che quel giorno ululavano preannunciando
tempesta.
“Atrus”, chiamò, senza ottenere
risposta.
Imboccò decisa il sentiero davanti a
lei.
Suo marito si era rifugiato nel letto
della sua infanzia, la nicchia scavata nella pietra che era stata la
sua prima, temporanea protezione dalla morte e da tutte le
verità
scomode sopra e sotto la terra. Lì rifletteva (o riposava:
con
Atrus, d'altronde, i due termini presentavano solo una lieve
sfumatura di significato) appoggiato su un fianco, usando un braccio
come cuscino e tenendo con l'altro un taccuino scolorito.
“Atrus.”
Scosso dai suoi pensieri, si voltò a
guardarla come attraverso un sogno, o come se solo in uno di essi
fosse stato possibile rintracciarlo fino a lì, con decine di
mondi a
disposizione. Sarebbe stato possibile in un sogno o per una
sognatrice, di
fatto, e già in
quei termini quella perplessità quasi infantile
portò un sorriso
sul viso di Catherine. Ma proprio chi vive fianco a fianco col
miracolo è restio a scomodarlo, quando la semplice
osservazione può
rivelarsi sufficiente: c'era una sola possibile soluzione di fronte a
una casa vuota e a scaffali di libri ordinatamente chiusi ed era
quella che l'aveva condotta senza errore fino a lì.
Si sedette al suo
fianco, accarezzandogli la schiena. Osservò il diario,
cercandovi
indizi in merito alla malinconia del compagno, ma era molto vecchio e
non lo riconobbe.
“Atrus. Ho visto
sassi più entusiasti.” Sospirò.
“Decidere di fare un figlio
dovrebbe essere un'occasione di gioia.”
“Ne sono felice.”
“Lo vedo”,
rispose lei inarcando un sopracciglio.
Atrus le prese la mano fra le sue, in
segno di scusa. Si alzò e la guidò fuori,
precedendola giù per il
ponte spezzato che portava al suolo e sostenendola nella discesa. Si
sedettero sul terriccio, nostalgici entrambi, senza confidarselo, di
quei fiori blu che li avevano uniti fin dal principio e che avrebbero
forse gettato un poco di necessaria allegria sulle parole a venire.
“È l'ultima svolta prima della fine
di una lunga, triste strada di fallimenti”, le
confidò infine.
Aveva paura, ma sapeva anche di non poter restare fermo al crocevia.
E Catherine vide la gioia che aveva invocato, rannicchiata e sbiadita
dietro lo scoramento più cupo. Non aveva mentito, esisteva
davvero.
Nei mesi passati, con parole, sguardi d'intesa, Tomahna tutta,
avevano cullato la speranza di un nuovo inizio ed era necessario per
entrambi lasciarsi alle spalle il dolore, se non gli insegnamenti,
del comune passato. Eppure le preoccupazioni avevano investito come
una tempesta quel sogno così prezioso. Come nuvole sulla
Fenditura,
poteva vedere l'ombra di Gehn e della sua follia proiettarsi,
inestinguibile, su ogni speranza che Atrus potesse portare con
sé.
Era una tenebra spessa e profonda, densa, le cui propaggini avevano
già raggiunto un loro figlio – forse entrambi, ma
Sirrus non era
una colpa che fossero pronti a scaricare con leggerezza. Cos'altro
aveva o avrebbe toccato tutto quel che di male Anna aveva lasciato
alle Ere? Quello era il perno di un futuro incerto, e Catherine
sapeva. Aveva visto la rassegnazione dietro a uno
specchio,
quando Atrus vi si soffermava e attendeva che qualcos'altro
rispondesse al suo sguardo. Aveva letto i suoi esperimenti con l'Arte
e vi aveva trovato una logica pura e agghiacciante, un'ossessiva
conferma a se stesso che quella stessa logica non lo stesse
abbandonando, giorno dopo giorno, per lasciare spazio al vero figlio
di suo padre.
Ma la sola logica
non ripara dal male, né dà spalle forti
abbastanza da sostenere il
fardello che il suo mite compagno aveva da tempo scelto di fare suo.
In quel tardo pomeriggio di un giorno qualunque, seduti sulla terra
brulla, Catherine sentì il legame che li univa scorrere
limpido e
rinforzato dagli anni e trovò il coraggio di sperare per due.
Colse un fiore
immaginario e, con gran cura, ne attorcigliò lo stelo
attorno agli
occhiali di lui.
“D'ni non è un
fallimento”, disse.
“Ho cercato di
infondere vita artificiale a una città già
morta.”
“Che ora
respira, sebbene a fatica, in attesa di una nuova Era. Non li hai
delusi, Atrus... sei la guida migliore.”
“Per genti
lontane e facce ignote, forse”, negò con vigore.
“Ma chi mi è
vicino? Non riesco nemmeno a onorare l'amicizia quando mi viene
offerta... che garanzie posso offrire a mio figlio? Come
potrò
compensare il peso dell'eredità che per necessità
di cose caricherò
sulle sue spalle?”
“Conosco
questo tono”, commentò lei.
“È la parte di te che riservi alla
carta, che non può rispondere. Io però posso. E
ti dico che
quarant'anni di giudizio, di saggezza guadagnata, saranno la nostra
garanzia. Amore mio... non possiamo essere la fine, so che io non
arriverò a vederla. E questo peso non può essere
tuo per
sempre.”
“Ma è... giusto?”
“Più di quanto
sia stato il destino della gente di Riven, che non ebbe scelta,
eppure non lo definiamo ingiusto. Tu hai deciso di rinunciare a molto
perché altri potessero goderne. Questo lo chiamo giusto, e
lo amo,
ma non siamo eterni.”
“Il mio dubbio
non riguarda le mie scelte. È per lui – o per
lei”, aggiunse,
cullando in sé la speranza di una bambina nonostante tutti
quei
timori sensati e immediati e opprimenti.
“Che capirà e
seguirà per intenzione, e ci sarà una fine, o non
capirà e seguirà
per obbligo, e non ci sarà pace. O si ribellerà
nuovamente, e
l'ultima nostra svolta finirà in un dirupo”,
terminò Catherine al
suo posto.
Alzò la testa per
guardare il cielo, scostando una ciocca ingombrante di capelli neri.
Inspirò a fondo.
“La sua luce
risplende sottoterra; sorgerà”, disse.
“È una
rassicurazione?”
“È ciò che
accade. E l'oscurità cala e impregna questi luoghi
caricandosi di
significati oltre i nostri orizzonti. S'insinua nel ricordo, nel
passato, nella pietra, scendendo, sempre scendendo, e trova infine
una singola radice che...” Scosse la testa. “No,
non ancora.
Accompagnami a casa, amore mio. Si fa tardi e la cena non si
preparerà da sola, in nostra assenza.”
Quando furono
risaliti, e la Fenditura diventata una linea sottile alle loro
spalle, Catherine si voltò nuovamente verso il vulcano,
mentre le
raffiche di vento le buttavano senza grazia i capelli sul viso.
“La sua luce
risplende sottoterra; sorgerà...”,
ripeté fra sé e sé,
inquieta, e tornò al fianco di Atrus.
1822, Tomahna
“Papà,
cosa c'è laggiù?”
Yeesha
sedeva davanti alla grande finestra rotonda del laboratorio,
appoggiata alla balaustra con le gambe che sporgevano dalla
piattaforma di legno. Gli spicchi di luce della vetrata gettavano
arabeschi sulle stoffe ariose della tunichetta e le ravvivavano il
volto, lasciandone gli occhi azzurri a unico contrasto di un panorama
caldo di bronzi e marroni.
Atrus
alzò gli occhi dalla scrivania e si grattò la
nuca, perplesso: non
l'aveva sentita entrare. La pelle arrossata e la polvere che
ricopriva i sandali lasciavano intuire una giornata di giochi e corse
sfrenate nel deserto roccioso, auspicabilmente sotto lo sguardo
vigile di Catherine. Ma il sole era ancora alto e una
curiosità
molto grande doveva aver colpito la sua bambina irrequieta per
riportarla prima del tempo entro i confini di Tomahna, silenziosa
come una lucertola.
“Dipende.
Cos'è 'laggiù', per te?”,
domandò avvicinandosi a lei, grato per
quel momento assolato e per tanti altri suoi pari, ripetibili, ma non
infiniti: temeva già il giorno in cui avrebbe ricominciato a
temere.
“Laggiù
è laggiù”, rispose lei indicando con un
dito paffuto.
“Nell'acqua?”
Aveva
sperato, in tutta onestà, in qualcosa di intellettualmente
più
stimolante di un pesce.
“Oltre
la terra, papà. Cosa c'è quando finiscono le
stelle?”
Yeesha
tracciò l'orizzonte davanti a sé.
“Altre
stelle”, rispose soddisfatto. “Ognuna con i suoi
mondi.”
“Quante?
Quali? E dove? Come si vedono?”, chiese con rinnovato
entusiasmo,
issandosi sulla balaustra.
Non
avesse avuto sette anni e un'innocenza tutta infantile dipinta in
volto, la si sarebbe quasi potuta sospettare di avere un qualche
scopo recondito, tanta era la foga con cui si era gettata
sull'argomento. Atrus, tuttavia, lo interpretò solo come un
interesse che disperava ormai di veder sorgere e si chinò a
scompigliarle i capelli.
“Vieni”,
le disse, incoraggiandola a seguirlo fino al suo banco da lavoro.
Chiuse il libro su cui stava lavorando e spostò l'inchiostro
oltre
la portata della bambina, assieme ad alcuni gingilli sulla cui
solidità non avrebbe scommesso. Lasciò che Yeesha
si inerpicasse da
sola sulla sedia: aveva già dato dimostrazione di esserne
capace e,
per contro, l'ultima volta in cui aveva provato a prenderla in
braccio aveva sentito la schiena protestare con vigore. Con la
piacevole sensazione dello sguardo della piccola fisso su di
sé,
Atrus socchiuse gli occhi e si portò una mano alla tempia,
cercando
nella memoria l'ultima posizione di un oggetto antico e amato.
Passati mentalmente in rassegna tutti i cassetti e gli scaffali della
stanza e congedatili con corrucciati gesti di diniego,
mormorò due
parole di scusa a Yeesha e svanì nell'ascensore.
Ne
riemerse, vittorioso, in tempo per sentire lo scatto della chiusura
di un cassetto. Era certo che, nascosta dietro lo schienale, anche
sua figlia si stesse risistemando nell'esatta posizione in cui
l'aveva lasciata – così fu.
Barricata
dietro la sedia, Yeesha chiuse gli occhi per l'emozione.
Immaginò le
stelle accendersi e riempire lo spazio attorno a lei, espandendosi in
ogni ripiano, pertugio e provetta. In realtà, tutto quello
che sentì
fu lo scartocciare di un pacchetto. Aprì un occhio.
Atrus
stava liberando da strati e strati di carta ingiallita un oggetto
poco più grosso di un bollitore e da esso non dissimile.
Appoggiata
al centro del tavolo, una grezza struttura cilindrica s'impiantava su
una base composta di più strati concentrici, ognuno
intagliato con
lettere, numeri e tacche a intervalli regolari. Yeesha
osservò suo
padre consultare alcune tavolette e inserirne una in una fessura
laterale.
Lo vide
premere un pulsante nascosto e, dopo una lenta e rumorosa accensione,
le stelle esplosero di fronte ai suoi occhi ammaliati.
Facendo
centro sul rudimentale proiettore, l'aria di fronte a lei si
riempì
di piccole stelle, grosse ognuna quanto una sua unghia e decorate con
dettagli fantastici, sempre diversi, in mezzo ai quali si leggevano a
stento nomi arcani: Baten Kaitos, Al Rischa, Mira, Kaffaljidhmah. Le
vide muoversi con la grazia di un meccanismo a molla mentre suo padre
ruotava le basi concentriche secondo chissà che complessi
allineamenti.
“È
bellissimo”, sussurrò.
“Lo
so”, rispose Atrus, orgoglioso del piccolo oggetto
più che di ogni
sua invenzione. “Sai da dove viene?”
Yeesha
fece segno di no.
“Dal
tuo bisnonno. Di lui mi restano il nome, questo, un diario e poco
più.”
“Era
suo?”
“Lo costruì lui. Per Ti'ana, perché
potesse ricordare
il cielo di casa. Dipinse lei le stelle, al meglio della sua
memoria... ma questo certo l'avrai notato.”
Yeesha
non l'aveva proprio notato e si sentì un po' stupida: il
tratto
della sua bisnonna era unico e la tecnologia D'ni le avrebbe dovuto
raccontare il resto della storia senza farsi spiegare tutto come una
bambina piccola. Sbuffò e sperò che suo padre non
le volesse meno
bene per questo.
Le
stelle rallentarono le loro orbite e si fermarono del tutto.
“Questo
è il cielo che sta vedendo ora chi vive molto, molto a sud
da qui,
sotto il nostro orizzonte, come chiedevi.”
“Da
che parte siamo noi?”, chiese la bambina.
Atrus,
la cui passione per il cielo notturno si estendeva per tredici Ere e
perdeva pertanto un poco in dettaglio, studiò le
costellazioni
sull'orizzonte in cerca di sostegno.
“Qui.
In questo momento, in un certo senso noi siamo oltre questa
estremità. Guarda, riconosci questa?”
Scosse
la testa. “E perché le stelle sono così
poche?”
“Perché
non se le ricordava bene”, rispose Atrus con un sorriso
nostalgico.
“Ti'ana ampliò questo proiettore negli anni
passati in superficie,
con l'osservazione diretta e scambiando quel poco che avevamo in
più
per delle copie di carte tracciate da avventurieri e navigatori. Ma
non sono tante quante ne vediamo con i nostri mezzi. Allora,
uccellino mio, hai trovato quello che cerchi?”
Yeesha
osservò l'ologramma con grande attenzione. Ci
infilò prima una
mano, ridendo nel vederla diventare blu, poi la testa, per guardare
da vicino ognuna di quelle stelle meravigliose intarsiate d'oro e di
rame.
“È
qui”, disse infine indicando una parte oscura del cielo.
“Ma non
c'è! Cosa vuol dire, papà?”
Atrus si
sistemò gli occhiali. “Cosa ti fa essere essere
così sicura di
quel che dici? E cosa stai cercando, ad ogni modo?”
“Non lo
so, papà. Ma sento che è proprio, proprio
lì.”
Catherine
gli aveva insegnato da anni che era inutile ribattere a risposte del
genere: erano e basta. Ne prese atto e si dedicò alla
domanda che
gli pertineva.
“Può
essere una stella molto lontana”, spiegò.
“Una che non emetta
una luce sufficiente a venir osservata a occhio nudo. Come quelle che
non vedi in cielo e che ti ho mostrato dal nostro telescopio.
Oppure...”
“Oppure?”,
lo incalzò Yeesha, poco convinta dalla spiegazione ricevuta:
il suo
punto sotto l'orizzonte non era lontano, o non sarebbe riuscito a
chiamarla così bene. Le sembrava, al contrario, che fosse
poco oltre
la portata della sua mano.
“Oppure
ho dato per scontato qualcosa che non lo era e quella che cerchi non
è una stella. Non vedo perché no... potrebbe
essere un mondo.
Un'Era.”
Un'Era!
Quello, sì, aveva senso!
“E
possiamo andarci?”
“Nella
teoria più pura, sì”, rispose Atrus.
Abbassò la testa,
pensieroso. “In pratica, tuttavia, no.”
“Perché
no?”
“Perché
non è così che si stabilisce un
Legame”, disse dandole un
buffetto sul naso. La risposta non sembrò soddisfarla e ne
fu lieto.
“La Scrittura definisce un mondo nella sua essenza. Qualunque
Era
io scriva potrebbe, in effetti, essere il punto che desideri. Ma come
facciamo ad essere sicuri che sia proprio quello? Pensa alle
possibilità che abbiamo di scegliere ogni dettaglio come a
un grande
albero, il più grande che tu abbia mai visto, il
più grande che sia
mai esistito.”
“Più
grande di casa su Tay?”
“Molto, molto più grande. Ora scegli
una foglia. Chiudi gli occhi e arrampicati sull'albero, cercando di
raggiungerla... mi credi se ti dico che nemmeno tua madre ci
riuscirebbe?”, azzardò, ben conscio del rischio di
venir tacciato
di sacrilegio: agli occhi della piccola Yeesha il papà
sapeva tutto,
ma la mamma poteva
tutto (e riusciva ad ogni modo a sapere sempre il giusto, se non
qualcosa in più). Ai suoi stessi occhi, in fondo, la
fallibilità di
Catherine era un evento remoto ed evocarla gli stava lasciando una
brutta sensazione.
“Ma se
io voglio andare proprio lì?”
“Si dice se io volessi, Yeesha.
E staresti seguendo ben strani sentieri. Perché proprio
lì?”
“Perché
ci voglio andare”, rispose.
“Vuoi
andare da qualche parte o solo dimostrare di essere
arrivata?”,
disse, aggrottando la fronte in un curioso specchio dell'espressione
accigliata della figlia. Dove Yeesha mostrava caparbietà,
però, la
sua era unicamente preoccupazione.
“Non
ti capisco, papà.”
La
simmetria si sciolse con la bambina perplessa, intenta a confrontarsi
con questioni più grandi di lei, e Atrus pronto a stringerla
in un
abbraccio di conforto. Attendeva il giorno in cui le avrebbe potuto
parlare da pari, trasmettendole sentimento e pensieri con le vere
parole che li rappresentavano invece di stentate semplificazioni in
cui, a volte, lui stesso riusciva a perdersi.
“È un
ragionamento, vedi, che non sta nell'Arte: allungando una mano, puoi
raggiungere quello che vuoi. Che è fatto, spero, di
contenuti e non
di idee vuote! Il mio augurio per te sono i pensieri più
belli di
tutti, non certo una... distanza da percorrere.”
Yeesha
annuì. Aveva afferrato una parola su quattro, ma le sembrava
che
dicesse con tutte quasi la stessa cosa che, alla radice, poteva non
essere un concetto così difficile.
“Ma
allora”,disse, guardando suo padre dal basso in alto.
“Si possono
fare tutte e due le cose, papà.”
Atrus la
squadrò quasi gli avesse proposto di fare come Ahlsendar, il
Grande
Re, di cui le storie dicono che potesse spostarsi fra le Ere senza
l'ausilio di un Libro.
“Come,
prego?”, chiese, con una formalità involontaria
che tradiva la sua
estraneità al concetto.
“Se
prima tocco quel mondo... quella foglia... quel pensiero”,
formulò
lei districandosi fra le metafore. “Creo un collegamento a
com'è,
no?”
Indubbio
– sempre posto di riuscirci. Annuì.
“E se
poi cambio una cosa, poi un'altra cosa, è sempre lui
– però
diventa anche la mia idea. Con tanta pazienza posso cambiarle
tutte.”
No.
“Non
voglio sentire queste parole in bocca a una signorina per
bene.”
Quasi le
bloccò la mano sul tavolo, con l'impulso di tenerla lontana
dalla
Scrittura tutta, ma sapeva che quel sentiero non aveva meta, avendolo
già percorso in compagnia d'altri, in un passato lontano.
Passò
oltre: il gesto divenne una carezza di scuse, ma non riuscì
a
ritrarre la fitta d'angoscia che gli aveva serrato lo stomaco nel
vedere l'esempio suo e di Catherine cadere – ancora
– così
lontano dall'albero. Faceva male.
Si
irrigidì e chiuse gli occhi. Ordine nei pensieri. Calma.
Cosa vedi, Atrus?
Una bambina piccola che
non può ancora scorgere una frazione del Tutto.
Tempo, ancora tempo. E una parola sbagliata non compromette un libro,
se lo scrittore se ne prende cura e le dà armonia con le sue
vicine.
“E
perché”, riuscì infine a chiederle con
un groppo in gola, “perché
tutta quest'ostinazione, uccellino mio?”
Non
finse un sorriso, ma si obbligò a distendersi da un timore
troppo
precoce e attese la risposta tornando a guardare sua figlia con
compunto affetto.
“Perché
quella foglia è mia amica” fu l'approssimazione
migliore che
riuscì a trovare per qualcosa che lei stessa non comprendeva
e, per
del tempo, smise di pensarci, ammaliata dalla vita come può
esserlo
una bambina figlia di due scrittori di mondi.
1829, Tomahna
A
Catherine mancò il respiro. Il che accadde un po' per la
sorpresa,
un po' per il peso di una figlia quattordicenne che le si era gettata
in braccio buttandole con gran foga le braccia al collo.
“Non
sei un po' grande per queste cose?”, boccheggiò
senza fiato.
“Mamma!
Mamma, cosa c'è laggiù?”, chiese di
rimando Yeesha, con poco
riguardo per i polmoni altrui come per la sua personale reputazione
di giovane seria e coscienziosa. I suoi occasionali sbalzi d'energia
erano terremoti che sapevano scuotere le fondamenta stesse di
Tomahna.
D'ni,
fu tentata di risponderle Catherine guardando in direzione del
vulcano, ma il senso dell'orientamento della ragazza era valido
quanto quello paterno ed ebbe la netta impressione che una tale
risposta avrebbe insultato l'ingegno di entrambe. Ricambiò
invece
l'abbraccio, cullandola a sé come non faceva da qualche
tempo, e si
abbandonò al vuoto.
“C'è
un re sotterraneo, in cielo”, rispose.
La sua
perplessità si scontrò con l'entusiasmo suscitato
dalle stesse
parole nella figlia, che sembrava aspettarsi una risposta del genere
e sapere che non l'avrebbe potuta ottenere altrimenti che
lì, e
tuttavia essere stata sorpresa da un risultato che andava oltre ogni
sua più rosea aspettativa. Quella felicità
irraggiava di una luce
più vitale la serra in cui Catherine, terminate le
incombenze del
giorno, si era ritirata per cercare riparo dai primi freddi
autunnali.
“Ti
osserva”, specificò, con lo sguardo ancora
incantato da un punto
invisibile sotto l'orizzonte.
Quest'ultima
informazione bloccò Yeesha come un animale braccato:
“Perché?”
Storse
la bocca in un aperto disappunto. Non le piaceva l'idea che un
perfetto sconosciuto (chiunque tranne suo padre, in verità,
ma
poteva fare eccezioni) intaccasse la sua libertà, anche di
una sola
frazione.
“E io
cambio Era e non mi osserva più”,
commentò risentita prima ancora
di ricevere risposta.
Catherine
le sorrise con gli occhi e con il cuore, uno dei suoi sorrisi pieni
che Yeesha ricordava dall'infanzia e di cui gli ultimi anni erano
stati anche troppo avari. Si strinse a lei: non aveva veramente
intenzione di cambiare Era. Solo che...
“Non è
così facile”, le disse Catherine.
“È nelle stelle!”
“Proprio
per questo!”
“Ma
davvero. E dimmi, piccola mia, sai cos'è una stella? Lo sai
davvero?”
“È un
corpo celeste che brilla. E che sta fermo nel suo angolo di cielo. Io
no! Io posso cambiare angolo, tempo e ramo!”
Catherine
la zittì con un dito sul naso.
“Lo
so, lo so. Te ne correresti via come un uccelletto, come facevi da
bambina. Ogni tanto mi chiedo quanto tu sia veramente cambiata, sai,
Yeesha? E scapperesti con buona intuizione, ma basi fallaci. Mi
raccontava la tua bisnonna che qui in superficie tutti i popoli
guardano le stelle da tempo immemore, in cerca di consiglio. Ora io
ti chiedo: quest'Era è più speciale delle
altre?”
“Suppongo...
suppongo di no.”
“E
supponi bene. Su Riven facevamo lo stesso. Su Tay, è la
prima parola
che ho sentito pronunciare.”
“Twan”,
annuì Yeesha.
“O
estrella, o cinque
parole diverse per età e attrazione gravitazionale donate a
chi
aveva il privilegio di vederle solo su mondi lontani.” Dal
naso, su
cui era saldamente posizionato, il dito scese a carezzare la guancia
della ragazzina. “Le stelle sono uniche e irripetibili, come
ogni
Era che vi orbita intorno, in questo e altri cieli. Così
è unico e
irripetibile – e personale, in verità –
il tessuto di immagini
che intrecciano nella mente di coloro che, la notte, alzano lo
sguardo e vedono oltre.”
“Penso di capire. Ma, mamma,
'personale'?”
“Quella
che qui chiamano il Carro?”, le confidò con l'aria
da cospiratrice
che all'occasione sapeva ben ripescare dalla memoria. “Non ci
posso
fare nulla: per me è una padella...”
Yeesha annuì solenne. Se
per sua madre era una padella, da quel giorno in poi anche per lei
non avrebbe avuto altro aspetto.
“Ma il
senso che si cela dietro alla moltitudine di simboli?”,
riprese,
seria. “No, bambina mia, quello è uno solo, lo
stesso che vedi nel
Tutto.”
L'immaginazione
allenata di Catherine le fornì un'immagine distinta di
quella che
sarebbe stata l'espressione di Atrus se le avesse sentite parlare
così: lo vide mentre si allontanava a testa bassa, alzando
le spalle
sconsolato. Non si sarebbe sorpresa di sapere che era, in effetti,
successo due minuti prima.
“Quindi,
il mio re...”
“Probabilmente
non sarebbe più un re, ma continuerebbe a
guardarti.”
“E
cosa fa oltre a guardarmi?”, chiese Yeesha, che da una parte
sperava che il suo celeste ammiratore fosse almeno abbastanza
occupato da lasciarle degli spazi privati, dall'altra si rendeva
conto, passata la stizza iniziale, di essere stata lei la prima a
guardare in quella direzione e voleva vederci chiaro.
“Veglia.
Sul regno dei morti.”
Catherine
rispose a malincuore, ma non mentì, anche se aveva visto
dove il
discorso si stava dirigendo e avrebbe dato molto per poterlo sviare.
“Veglia...”,
ripeté Yeesha in un sussurro. “Cos'altro vedi,
mamma?
Raccontamelo, per favore.”
“Bambina
mia... vedo un regno buio e vuoto, nelle profondità della
terra,
lontano dalla vita. Rocce, metalli, una radice secca – e un
corteo
di morti a seguire i suoi passi. Amministra loro il giusto giudizio.
Questo è quel che vedo.”
I
simboli che sua madre aveva evocato si affollarono di fronte ai suoi
occhi, unendosi, mescolandosi, tingendosi di una luce aranciata
là
dove risuona il respiro di città morte.
“Mi
chiama?”
“Tuo
padre non vorrebbe che ti parlassi così.”
“Ma mi
chiama? È il mio destino, mamma? È
D'ni?”
Si sentì
trascinata da un torrente di possibilità, di solchi passati
che
s'intrecciavano portandola sottoterra fino a raggiungere il suo re e
sedere su quel trono per diritto di nascita, custode di sussurri e
memorie spezzate. Tremò, da tanta era la pressione che una
simile
spinta esercitava sulla sua immaginazione.
“No.”
La voce
di Catherine era tagliente e la riportò alla
realtà.
“No,
mamma? Ma l'hai appena mostrato.” Si sentì scissa:
sollevata dal
poter resistere al torrente, ma incompleta per dover restare alla
fonte e limitarsi a indovinare, immaginare, sognare il suo flusso.
“Sì,
è D'ni, solo un folle non lo vedrebbe. E sì, era
destino che questo
accadesse... nient'altro. D'ni ti chiama in questa e mille altre
forme e 'destino' è una buona parola per descriverlo. Forse
ne
esistono di migliori, io non ne conosco. Ma il tuo futuro è
dove tu
vuoi che esso sia: quando, come, se
rispondere alla sua chiamata è una scelta solo tua.
Né io né Atrus
possiamo compierla per te, né certo un segno nel
cielo.”
“Non
credevo che il destino funzionasse così”, disse la
ragazza.
“Credevo che desse delle risposte. E lo sento così
forte lassù
che credevo... credevo che la mia fosse chiara, anche se non sapevo
cos'era. Lo speravo, almeno.”
“Nulla
è semplice se non l'occhio che osserva. La mia comprensione
è così
piccola, così limitata”, sussurrò
Catherine. “Vedo, ma vedo
solo il limite del mio sguardo. Comprendo, e capisco solo qual
è il
confine della mia ragione. E così è per tuo
padre, così fu per la
tua bisnonna e così sarà per te. Eppure in queste
umane restrizioni
so che non tutto è scritto... ricordalo, Yeesha, ricordalo
sempre.
La trama, ma non l'ordito. L'azione, non già la reazione.
Impara a
distinguere fra ciò che accade e ciò che deve
accadere e cerca il
tuo ruolo nel mezzo, con un sorriso.”
“Ricordalo,
Yeesha”, le sussurrò stringendola a sé.
“Ricordalo sempre.”
1992, la Fenditura
Yeesha si rigirò nel letto che fu di
suo padre, col pugno serrato come a stringere la lettera, sempre
quell'unica benedetta lettera, per strizzarne ogni oncia di
rimprovero, affetto e speranza e farli suoi. Ma i suoi occhi chiusi
quella notte non ne stavano ripercorrendo le righe: erano fissi su un
punto ignoto all'orizzonte.
Si alzò, rabbrividendo per il gelo
spietato e secco, ed esitando sulla soglia trovò conforto
nella
fessura stellata sopra di lei, con le mille luci del cielo terrestre
che si riversavano tutte entro i confini frastagliati della
Fenditura, di casa. La accarezzò con una mano e
uscì.
Si arrampicò fino alla superficie e si
sedette sul bordo di pietra rossa, con una gamba tenuta stretta al
petto e l'altra lasciata a penzolare, sfiorando ancora il buon legno
della scala levigato dall'uso. Il suo ospite non l'avrebbe fatta
attendere.
***
“Oh”, disse infine al suo apparire,
brusca, con la scontrosa confidenza che si concede a un vecchio amico
che dopo anni di silenzio si ripresenta alla porta. “Sei
tu.”
Yeesha si alzò con una lenta giravolta
compiaciuta che terminò in un inchino rivolto a est,
senz'altri
spettatori che il deserto notturno e il cielo al di sopra.
“Regeltavok Oorpah, libro nono,
versetto sesto: colui che trova uno specchio e se ne innamora diventa
lo specchio, e perde se stesso”, recitò
ad alta voce
piroettando ancora e sorridendo al cielo. “Colui che
getta lo
specchio ha rigettato sé, ed è ugualmente perduto.”
Inspirò
a fondo. “Riflettere, far riflettere, questo
è il suo scopo.”
Si lasciò cadere con la schiena sulla
sabbia, sentendo su di sé la luce lontana e riflessa di un
mondo
invisibile a tutti fuorché alla scienza orgogliosa e agli
animi
affini, sorto certo non per appagare la prima – neanche per
lei, in
fondo. Era sorto con lei.
“Benvenuto”, gli disse. “Vieni,
ti mostro la fine.”
Nerdaggine & Credits:
@ fanfiction tutta: la sindrome di
Exile, o delle mani legate che dir si voglia, colpisce un po' tutte
le mie fanfiction su Myst, ma questa in particolare. Spero che non
sia pesante e spero anche che non sembri inutile: nulla di fatto e
nulla di aggiunto, alla fine, salvo un parallelo talmente calzante
che non bisogna neanche far nulla per farlo funzionare (e la noia
resta in agguato), ma restano tre quadretti di famiglia e un
micro-delirio in solitario cui mi sono affezionata.
@ Catherine che lo trova a colpo
sicuro: Saavedro parla di porte aperte. Suppongo valga anche per
quelle chiuse. A meno che uno non sia uber come il Grande Re, nel
qual caso.... oh ciao Yeesha! XD
@ Gehn come unico 'errore' di Anna,
implicando che, ehm, l'altro non lo fosse: sto
prendendo un
azzardo grosso come Gahreesen a metterlo in bocca a Catherine. Finora
ho trovato riscontro di quasi qualunque bizzarria mi passasse per
l'anticamera del cervello (questa stessa fanfic è stata
abbozzata
due giorni prima
che in EoA
trovassi la pagina di diario che la sottende), ma boh...
[vedasi trailer iniziale] eventualmente correggerò!
@ amicizie non onorate: sembra Saavedro
ma non è, essendo la prima parte ambientata poco prima di
Exile...
ma già gente come Emmit, Branch, Will, Pran aveva sofferto
in modo
simile mentre Atrus non si accorgeva di nulla, non dimentichiamoli
solo perché non c'è Brad Dourif a dar loro stile.
E, oserei dire,
la stessa amicizia con lo/a Straniero/a è stata un po'
trascurata in
quegli anni lì, visto che in tutto il Book of D'ni (che
copre un
lasso di tempo non indifferente) non se ne fa cenno e Exile
è la
prima visita a Tomahna. E probabilmente non si erano proprio visti da
fine Riven, in effetti.
@ finale della prima parte: mbeh?
Yeesha l'avrà pur presa da qualcuno quella retorica, no? I
write
dreams, and they are real e tutto quel genere di cose.
@ occhioni blu di Yeesha: ho detto blu,
Ubisoft, blu. Quel paragrafo esiste solo per affermare questa
semplice verità: BLU. Porca paletta.
@ Aitrus: beh, lol. Scoperto dopo del
doppio segnatempo in possesso di Gehn, con quel richiamo alle ore e
alla vita di superficie. Il mio proiettore-bollitore si sente
moooolto più canonicamente giustificato e ne è
molto fiero, motivo
per cui sarà presto sbattuto in cantina 'to return to
Leastness'.
@ tendenze astronomiche di Atrus:
invento, ma non mi pare un azzardo, dato che il signore ha chiamato i
suoi figli quasi come due stelle (Sirius e Achernar) e si premura di
costruire osservatori astronomici da far invidia all'ESA ogni volta
che mette su casa. E poi ama profondamente ogni aspetto della
creazione, questo è ovvio anche senza andare a pescare
frammenti
tradotti di preghiere in D'ni dal calendario '96...
@ tredici Ere: numero ovviamente
sparato a caso, partendo dal presupposto che, fra quelle che ha
scritto, non da tutte il cielo sia visibile e che non in tutte abbia
passato abbastanza tempo da interessarsene.
@ botte di vita di Yeesha: la mia
impressione dal Viaggio + parziale del diario di EoA (sono alla prima
pagina post-riassunti) è che lei sia partita per D'ni come
una
perfetta somma degli insegnamenti dei genitori, ma che, pur se
adottata in piena buona fede, quell'impostazione fosse artefatta. In
seguito, dopo aver lasciato sfogo al suo lato più
primordiale, si è
ricostruita finendo per essere veramente il punto d'incontro e la
sublimazione di Atrus e Catherine (e di un po' della svitataggine di
famiglia), ma a modo suo (che, ci tengo a sottolineare, è
fighissimo
e se il resto del mondo non gradisce la adotto io...).
@ Plutone sempre sotto l'orizzonte: in
realtà da aprile a settembre non lo era, da lì,
ma per
corrispondenza simbolica Yeesha ne sente la presenza solo quando la
sua posizione richiama D'ni e lo stato sotterraneo, dormiente, in
attesa, della ragazza stessa. Non mi sto nascondendo dietro un dito
perché pianificando la fanfic ho letto male il planisfero,
malpensanti... mi sto nascondendo dietro un piccolo pino, il che
è
COMPLETAMENTE diverso! è_é
@ Plutone: ero tentata di citare
Proserpina, ma non mi sembrava giusto relegare 'l'uccello del deserto
col potere di tessere il futuro di questa nuova D'ni bla bla' (per
tacer delle questioni di Grower e no che Grower che non ne so ancora
abbastanza) a semplice consorte. Tuttavia, se la fine del Viaggio
dovesse rivelare cose che... [vedasi trailer iniziale] ...alla peggio
correggo! *sob*
@ due frasi di citazione spudorata da
Phil: Phil? Phil chi? Eh? Eh?? Non conosco nessun Phil, io =|
*nasconde dietro la schiena un Libro di Relto da cui spunta un grosso
pino*
@ Regeltavok Oorpah: citazione
inventata ad hoc, chiaramente, ma il nono libro è lo stesso
di
quelle di Teledahn e Kadish Tolesa, che trattano temi simili! Una
copia completa non è consultabile online, mmmmh?
@ Revelation che aleggia: Ebbastaaa! XD
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