OS EMMA
Attenderò nelle mie stanze bianche, fredde, silenziose,
vuote.
Starò su di una sedia di legno - anche
quella del
medesimo colore della camera -, di fronte a me ci sarà una
grande finestra attraverso cui non entra luce che
riscaldi il luogo nel quale mi trovo. Fuori
pioverà.
Quando tu arriverai a prendermi, l'acqua
cadrà
più fitta e picchierà forte contro il vetro della
finestra. I veloci colpi delle gocce contro il vetro saranno il segnale
del tuo arrivo.
Non dirai una parola, lì, davanti a
me, indosserai una
camicia immacolata abbottonata sino al colletto e mi mostrerai i tuoi
due pugni chiusi come scrigni che nascondono qualcosa, poi con lo
sguardo mi farai
capire che dovrò sceglierne uno da aprire. Non parlerai, non
ancora, avremo tempo per le parole, adesso non servono
perché rovinerebbero tutto: un momento così puro
e pieno
di interrogativi che scuotono l'anima non ha bisogno del riempimento di
risposte inutili e scontate. Sarebbe come un grosso graffio su una tela
bianca dove il pittore non potrebbe più dipingerci sopra i
suoi
sogni, i suoi desideri, le sue paure e frustrazioni.
Noi
pittureremo con calma il nostro quadro, le parole usciranno lisce come
la tinta ad olio viene cosparsa dal pennello ma senza grumi e bolle
d'aria che sciuperebbero tutto.
Comunque io sceglierò il pugno destro,
lo aprirai
e sul tuo palmo troverò un piccolo petalo bianco che
oscillerà, insicuro, timido; lo sfiorerò e di
colpo
la sua timidezza sparirà, prenderà colore e
diverrà rosso. Con un gesto lento ruoterai il tuo polso e
rovescerai il palmo della mano lasciando il petalo cadere,
lì,
sul pavimento di granito bianco cosicché quella piccola
parte di
fiore mi ricorderà una goccia di sangue. Una, unica a
colorare
il granito freddo.
Quella goccia è mia o tua? Il petalo
era nella tua
mano, però sono stata io a colorarlo con il tocco quindi io
credo che sia di entrambi. Sì, è il nostro sangue
quello
e rimarrà lì, in quella stanza silenziosa,
sterile ma ora
come ora non più vuota.
Con timidezza mi prenderai la mano - una di
quelle
insicurezze che supererai appena le nostre dita si intrecceranno -
facendomi prima alzare, mi scorterai fuori dalla stanza. I tuoi saranno
passi
lenti, i miei incerti. Io avrò paura di uscire, sai...
Quando si rimane fuori da tutto e ci si abitua a stare dentro il
niente, è difficile ricordare quanto tempo sia
passato dall'ultima volta che abbiamo fatto parte di qualcosa, o che
siamo stati all'interno di qualche cosa.
Forse io non sono mai stata parte di niente.
Esclusa da tutto con dentro il vuoto.
I passi diverranno più veloci,
avvertirò il tuo
trepidare nel voler uscire da quel corridoio che sa di non vissuto, mi
contagerai con questo tuo desiderio e in un lampo saremo alla porta.
Una porta chiusa che ci separa dalla vita, dalla realtà
crudele, dove non si vede scorrere il tempo e il mutare dello
spazio da una grande finestra con vetri così puliti da dar
l'illusione che non stiamo osservando ma ci siamo dentro.
Sarà invece,
quella dove vivremo il tempo e saremo fautori del cambiamento dello
spazio.
Stringerai la presa della mia mano per darmi
sicurezza e con
l'altra spingerai quella porta maledetta, io mi sentirò
umilita
nel vedere quanto sarà facile aprirla - io che
ero spaventata e credevo di non farcela.
Fuori pioverà e mi sentirò
così viva,
felice da voler prendere tutta quella pioggia, alzerò il
viso per sentir picchiettare sulla mia pelle le gocce,
aprirò la
bocca come fanno i bambini piccoli per gustarne il sapore di pino
e foglie verdi, mentre tu riderai nel vedermi così innocente
e
spensierata. Balleremo un valzer improvvisato sotto quel cielo grigio
che a noi piace tanto - che
importa se non c'è il sole?
Ci siamo io e te, il resto ha tutto il tempo di questo mondo,
così come il sole ha tutti i giorni per sorgere e
tramontare,
questo, invece, è il nostro
giorno.
Mi chiederai se mi andrà di correre e
io da sciocca ti chiederò dove? ma poi
capirò che la risposta non ha importanza poiché
se
corriamo insieme, potrei farlo per l'eternità e senza
sentirne il peso.
Avrò la convinzione di poter
raggiungere qualunque
posto insieme a te, avvertirò le ali sulla schiena e
sentirò le branchie
per poter respirare sott'acqua.
Non esiste posto troppo in alto o mare troppo
profondo da impedirmi di seguirti, almeno in questo nostro giorno.
Siamo stati troppo lontani noi due, qualcosa o
qualcuno ha
deciso per noi, eravamo talmente stupidi e ciechi da darci la
colpa a vicenda, ci hanno usato come due pedine su una scacchiera, non
eravamo più
compagni di squadra ma avversari. Mi hai mangiata, mi hai buttata
giù e io mi sono rotta come fa una regina di marmo. Scacco matto e la
regina si sgretola.
Per questo avvertirò dolore mentre
danzeremo sotto la pioggia? Mi lascerai di nuovo? Io ti
pregherò di
non farlo, non voglio più tornare in quelle stanze bianche
che
annientano l'anima e corrodono il corpo: non voglio più
essere
di pietra bianca,
quindi ti chiederò di restare.
Il sorriso che mi farai sarà
accompagnato dalla
consapevolezza del mio perdono, le tue spalle si rilasseranno e bacerai
la mia fronte come facevi sempre.
Noi avremmo questo giorno, forse l'ultimo per
dirci addio e
chiudere con la vecchia vita, forse il primo per iniziarne una nuova,
chi può saperlo. La cosa più importante
è che
il tempo questa volta sarà nostro amico e ci darà
parte
di sé per poterci salutare. Questo, ovviamente, tramite un
vero saluto
non troppo lento e saturo di agonia, non troppo veloce che porta solo
rancore ma attraverso un addio moderato, un
saluto che non ci separi mai del tutto.
Ciao caro amico,
voglio che tu sappia una cosa: un posto nella mia
mente
lo hai pertanto spero che un giorno, quando il tempo
tornerà ad esserti amico, anche tu lo troverai per me.
Note
d'autrice:
Non
c'è molto da
dire, a parte che vi ringrazio per essere arrivati fino a qui e per il
vostro passaggio nelle recensioni - accetto qualsiasi giudizio,
purché sia costruttivo. Infine non mi resta che ringraziare
anche Tanny, per i suoi consigli e
revisioni attente.
Spero di trovarvi nei
commenti.
Lettera ad un amico immaginario è distribuita con Licenza Creative
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