That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Hogwarts - II.006
- Compagni di Stanza
James
Potter
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 5 settembre
1971
“Devi dirmi perché
hai parlato a Malfoy… Che cosa gli hai detto?”
Che strazio! Black stava diventando proprio noioso!
“Te lo ripeto per
l’ennesima volta: N-U-L-L-A! Sono solo salito fino al secondo
piano per salutare il Caposcuola e gli ho chiesto se trovava
interessante la lezione, magari aveva bisogno di un
ripassino!”
Ghignai: era stato divertente vedere quel tipo borioso, di solito
attorniato da saltimbanchi adoranti, arrossire di rabbia e saettarmi
contro quegli occhi gelidi come l’inverno! Sirius Black,
però, sembrava non apprezzare il mio umorismo e continuava a
camminare avanti e indietro sconvolto, nel nostro dormitorio. Mi aveva
trattenuto con una scusa ed io, come uno stupido, c’ero
caduto: e pensare che fuori era una bella giornata e con Frank mi ero
accordato per una gara a Gobbiglie giù al Cortile di Pietra!
Sospirai.
“Per favore, cerca di non
attirare l’attenzione di “quello
là” su di noi…”
“Non ti facevo così
codardo, Black, temo proprio che non sarai mai un vero
Grifondoro!”
Sapevo che, punzecchiandolo, sarebbe saltato fuori il piantagrane che
dimorava in lui, tra l’altro pensavo che, per il bene di noi
tutti, fosse meglio sentirlo urlare che fare la lagna: sul treno non
era stato tanto barboso, giusto un po' strano, ma avevo
capito subito che quel ragazzino spavaldo e tanto insicuro aveva
qualcosa… qualcosa adatto a me. Prometteva bene, anche se
era ancora goffamente legato al passato, un passato che,
l’avevo intuito con facilità, non gli apparteneva.
Come lui non apparteneva a ciò che si stava lasciando alle
spalle. Sirius Black ancora non lo sapeva ma eravamo destinati a fare
grandi cose, insieme, ed io mi ero assunto il compito di farlo vivere,
vivere nel presente. Quei primi giorni,
però, mi aveva reso la vita un inferno.
“Fosse solo per
me…”
E no, invece di saltare su mi ridiventava
un’ameba… Non poteva continuare così!
Per il mio bene, per il nostro bene doveva smetterla! Ed io in
un modo o nell’altro l’avrei riportato alla ragione.
“Sei proprio cotto eh, hai
fatto una faccia ieri! Non so se ti sei espresso meglio nella versione
“geloso” o in quella
“terrorizzato”!”
Mi lanciò uno sguardo pieno d’odio e
sprizzò tutto il veleno che covava dentro dal giorno prima.
“Anche se fosse? Che cosa te
ne importa?”
“Ehi, calmati…
Dov’è il problema, Black?”
Silenzio. La faccenda Sherton, era appurato, era una cosa seria: visto
che Sirius Black non parlava mai, a parte qualche epiteto poco educato
che ci aveva rivolto a turno in varie occasioni, io, anzi tutti noi,
non potevamo sapere qual era la situazione tra loro, magari erano
fidanzati da prima della nascita, in genere nelle famiglie come la sua,
stando ai racconti di mio padre, le cose ancora funzionavano
così… E avevo sentito i più grandi
fare discorsi strani, per cui in un certo senso capivo
perché Black avesse tanto il morale sotto i tacchi. Forse,
al suo posto, anch’io sarei stato male a quel modo.
“Ti prometto che non
farò più il cretino, con nessuno dei due, e
nemmeno con Malfoy, contento?”
“Grazie…”
“Complimenti per
l’entusiasmo, Black…”
Sull’Espresso per Hogwarts Sirius Black si era mostrato un
caro ragazzo, simpatico, vitale, entusiasta e
“casinista”, il tipo di persona che piaceva a me,
ma in quei tre giorni gli avrei volentieri rotto il naso già
varie volte: tra i sospiri notturni, il rumore che faceva al mattino
per fuggire all’alba dalla sua principessa, le zuffe e
l’aria da cane bastonato… no…
così non andava.
“Senti Black, io non so che
farmene dei tuoi ringraziamenti, perciò ti propongo un
patto: io non ti rompo più le scatole se tu smetti di fare
l’ameba, d’accordo? E soprattutto… basta
casino di mattina! Basta! Ok?”
Silenzio. Mi guardava irascibile e offeso, mio padre aveva ragione, i
Black erano tutti matti, una razza strana ed io, forse, avevo per le
mani il più strano di tutti. Quando avevo scritto a casa la
prima lettera elencando anche i nomi dei miei compagni di stanza, mio
padre mi aveva risposto… beh… con una gran
risata! Mio padre aveva frequentato Hogwarts con suo nonno Pollux, un
tipo assurdo che aveva avuto una figlia, - la mamma di Sirius -, ad
appena tredici anni. Papà sosteneva che i Black fossero
tutti pazzi, anche perché si sposavano spesso tra parenti,
per assicurarsi che il sangue fosse “Toujours pur ed
esclusivamente Slytherin”. Quando però nella
seconda lettera gli avevo descritto l’umore funereo di
Sirius, mi aveva spiegato che non c’era mai stato un Black
che non fosse finito a Serpeverde e, soprattutto, che non
c’era un Black che non odiasse i grifondoro. Per i suoi,
probabilmente, era stato un vero trauma saperlo smistato lì,
ed anche per Sirius doveva essere sconvolgente finire nella casa che
gli avevano insegnato a disprezzare, non doveva essere semplice,
perché di sicuro ora si sentiva rifiutato dalla sua stessa
famiglia, senza radici e senza orizzonti. Quasi sicuramente aveva
paura, io al suo posto ne avrei avuta e tanta, si sentiva solo, ma
orgoglioso com’era non avrebbe chiesto aiuto nemmeno sotto
tortura. Mio padre, perciò, mi aveva invitato a comportarmi
bene con lui, avvicinarlo e aiutarlo, perché in quel momento
Sirius Black era proprio come uno di quei piccoli aquilotti caduti dal
nido che raccoglievo d’estate e rimettevo in salvo, come mi
aveva insegnato mio padre. Quell’epilogo inaspettato doveva
essere stato traumatizzante, per lui, l’avevo visto
con i miei occhi, quella mattina: tutti avevamo ricevuto
doni e lettere da casa, a Sirius Black non era arrivato nulla! Aveva
fatto finta di niente ma era chiaro che questa storia era dura per lui
e a peggiorare tutto, “Snivellus”, quel tipo strano
di Serpeverde, sempre imbronciato e pomposo,
l’aveva ridicolizzato per una risposta sbagliata data a
Slughorn venerdì mattina. Si erano azzuffati di nuovo.
“Martedì ci sono i
provini per i nuovi componenti della squadra, Black, noi non possiamo
partecipare perché siamo piccoli, ma possiamo andare a
vedere, sono selezioni pubbliche, ci vieni?”
Mi guardò poco convinto, non potevo credere che dopo tutta
quella bella discussione sui Tornados e il Puddlemere, ora non gli
importasse più nemmeno del Quidditch!
“Non puoi continuare
così, Black! Ormai sei qui: o ti rassegni o torni a casa o
fai in modo che i tuoi richiedano al preside di farti rismistare! Non
puoi continuare con quell’aria da morto che cammina, o tra un
po’ ti scambieranno per “Nick quasi senza
testa”…”
Provai a invitarlo a ridere della stupida battuta, sperando che almeno
il discorso del nostro buffo fantasma lo facesse rinsavire, invano.
“Che cavolo ne sai tu? Che
cavolo vuoi….? Chi credi di essere, Potter?”
“Sono il cretino che vuole
svegliarti, Black! Se non sei felice qui, se vuoi tornare a Serpeverde,
o a casa, devi fare qualcosa… Se vuoi, ti
aiuto…”
“Io sono felice di non essere
a Serpeverde!”
“Davvero? Non sei molto
convincente…!”
“Ma vattene! Lasciami in
pace!”
“Ti dispiace proprio tanto
avere un amico, Black? È così poco dignitoso per
la tua nobile casata avere qualcuno con cui divertirsi? Con cui
giocare, studiare, fare pazzie e approfittare delle meraviglie di
questo castello? Mi sembrava che volessi questo anche tu, pochi giorni
fa sul treno…”
Di nuovo uno sguardo incredulo, decisamente confuso.
“Qual è il
problema? Anche prima di questo cravattino i tuoi non erano
tanto… l’hai detto tu... quindi non è
cambiato niente … E la tua principessa… di questo
cravattino sembra infischiarsene… anche lei è
bella strana a dire il vero, quando l’ho vista ieri, mi
è preso un colpo, in mezzo a grifoni, babbani e sangue
misto…”
“Grazie per
l’attenzione, Potter...”
“E dai, Black! Fai un sorriso!
Sei capitato nella casa di quelli che sanno godersi la vita, che si
danno all’avventura, non ti senti elettrizzato? Lo so che sei
in gamba... Andiamo di sotto, possiamo assaltare la mensa, esplorare il
castello, dicono che la Sala dei Trofei merita una visita...”
“Ci sono già stato,
Potter… Il primo giorno, di mattina… da
solo…”
“Sei un bugiardo,
Black… non si può, è
vietato… è…”
“… e Dumbledore mi
ha pure beccato!”
Sorrise, era un sorriso vero, lo guardai: era sincero e aveva
quell’aria furfantesca che mi aveva colpito sul treno
rendendomelo subito simpatico. Sirius Black era matto, matto
sul serio!
“Allora è vero che
sei pazzo, Black! Lo dicevo io… e che cosa ti ha detto il
vegliardo?”
“Nulla, mi ha solo sorriso ed
io me ne sono andato a mangiare!”
“Grande Black! Lo dicevo che
sei forte, un vero grifondoro! Ti azzuffi, ti fai beccare dove non
dovresti essere, ti fai smistare qui… Noi due potremmo fare
grandi cose insieme!”
Gli diedi la mano e stavolta il suo sorriso ampio e sincero non aveva
dubbi, la sua stretta fu decisa, almeno quanto l’occhiata
malandrina che ci scambiammo. Gli cinsi le spalle con un braccio e
andammo a cena, in Sala Grande, dove, per tutto il tempo,
non smettemmo mai di parlare del campionato di Quidditch, con un tale
coinvolgimento che notai qualche occhiata sorpresa di Remus, colpito
dall’aria gioviale di Sirius Black, quella che era sempre
stata assente alla tavola di Grifondoro. Una volta in camera, mentre
Peter già sonnecchiava sul suo letto, io e Remus ci
mettevamo il pigiama e Frank era ancora in bagno per prepararsi, Sirius
Black tirò le tende del suo baldacchino, come faceva sempre:
per la prima volta, non ci scoccò addosso
l’occhiata Black, altezzosa e poco partecipe, ma
ci salutò con un sorriso sereno in faccia. Spente le luci,
dalle tende rossooro alla mia destra, che lo celavano al mio sguardo,
lo sentii sussurrare piano con la voce impastata:
“Martedì scendiamo
al campo da Quidditch dopo l’ultima lezione,
Potter!”
Mi addormentai sorridendo soddisfatto: l’ameba sembrava
sparita e al suo posto era comparso un amico. Il mio primo vero amico a
Hogwarts. Un altro aquilotto nel nido.
***
Meissa
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - mar. 7 settembre
1971
“L’unico tra le
matricole a non aver ricevuto nemmeno un bigliettino, nemmeno una
strillettera! Nemmeno domenica!”
Sirius, accanto a me, scuro in faccia e nervoso, calciava le foglie ai
suoi piedi: si lamentava giustamente dei suoi, a Grifondoro faceva il
duro e lo spavaldo, fingeva che non gli importasse nulla di quello che
stava vivendo, ma con me era diverso, non era la prima volta che mi
confidava dubbi e delusioni. Mi era sempre sembrato che gli importasse
poco della sua famiglia, ma ora che era lontano da loro, mostrava i
suoi veri sentimenti: anche se erano strani, anche se non
l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, sentiva la loro
mancanza, soprattutto di suo fratello. A volte mi chiedevo
anch’io che cosa facesse Regulus, da solo, a Grimmauld Place,
con quell’arpia di sua madre.
“E' tutta scena,
Sirius… tua madre è un po’ strana,
vero, ma… Orion ti vuole bene…”
“Certo, come no! Ma a me non
interessa nulla di loro, non più, è da tanto che
so di non essere un Black… Basta! Basta davvero!”
Gli strinsi la mano e lui mi guardò risoluto e sollevato.
Ghignò... Qualunque cosa dicesse, Sirius era inesorabilmente
un Black. Prendevamo il sole nel Cortile della Torre
dell’Orologio, io cercavo di non farlo, ma continuavo a
guardare verso il Ponte di Legno, rimuginando sul sogno di alcune notti
prima: più ci pensavo e meno riconoscevo
quell’anello, sapevo che era solo un sogno ma…
ancora tremavo. Era per questo che mi ero distratta ed ero quasi caduta
dalla scopa: il timore che quello fosse l’anello dei Malfoy
mi bloccava perfino lo stomaco, mangiavo poco e dormivo anche meno. E
se i miei fossero stati sogni premonitori? Impossibile, non avrei mai
seguito volontariamente Malfoy da nessuna parte, mai!
“Sei sicura di stare bene? Sei
così pallida! Ti accompagno in infermeria!”
“Grazie, Sirius,
ma… ci sono stata anche troppo, sabato… ho solo
sonno…”
Mi lanciò uno sguardo poco convinto, ma preferì
non insistere. Ognuno dei due era preso dai propri fantasmi. Lo guardai
con la coda dell’occhio: era vero, stavo facendo molte nuove
amicizie, molte di più di quanto avessi sperato prima di
partire, ma nessuno riusciva a darmi la stessa felicità di
Sirius. A parte le scaramucce iniziali, gli ultimi giorni erano
trascorsi come a Herrengton, passavamo molto tempo insieme e sapevo che
su di lui potevo sempre contare: avrei voluto raccontargli tutto, mi
avrebbe di certo fatto coraggio… e mi avrebbe
abbracciato… io… Non capivo… Lo
consideravo da sempre un ragazzino più bello e simpatico
della norma, e da tanto sapevo che mi piaceva, ma…
mai così… tanto… Sentii le guance
farsi calde e rosso porpora, mi alzai e sospirai a fondo. Che strane e
stupide idee mi passavano per la testa!
“Novità dai tuoi
genitori? Saranno contenti… gli hai detto
dell’altro giorno a Pozioni?”
Cercai di regolare la voce e il respiro.Gli porsi l’ultima
lettera, era arrivata quella mattina e mi aveva lasciata
basita. Vidi che anche Sirius ci restava un po’ male.
“E’ un
po’… diversa da come
l’immaginavo…”
“Tua madre ti ha
scritto questo? Ma non hanno sempre detto che potevi essere amica di
chi volevi tu?”
“… questo non vuol
dire che le tue uniche amicizie possano essere Mezzosangue, Nati
Babbani e Purosangue discutibili…”
“E ti consigliano di fare
amicizia con questa gentaglia? La Parkinson! E La Dickens! Le hanno viste mai? Sbavano dietro a
qualsiasi maschio incrocino! Tu non puoi diventare come quelle
lì, Meissa!”
Sorrisi… non che ci fosse da scherzare con gli ordini di mia
madre, ma… Mi faceva piacere vedere con quanto ardore Sirius
disprezzasse quelle due oche che facevano sempre le smorfiose con
lui… forse era per quello che le odiavo, le avrei volentieri
schiantate, quelle stupide megere! Mentre Sirius cercava di farmi
promettere che non sarei mai diventata un’animale da salotto
come sua cugina, ma che sarei rimasta una ragazza a cui piaceva la vita
libera di Herrengton, scacciai l’immagine delle mie odiose
compagne di stanza e ripresi a riflettere su cose più
importanti. Avrei voluto leggere le parole di mio padre su
quell’argomento spinoso, ma sembrava non fosse in Gran
Bretagna in quei giorni, aveva ripreso i suoi viaggi appena dopo lo
smistamento, lasciando la mamma a Essex Street, a stretto contatto con
Orion e Walburga Black. Di certo quella lettera era maturata nei lunghi
pomeriggi noiosi a Grimmauld Place: non osavo immaginare quali
catastrofi stesse preparando quella donna… una donna che non
mandava nemmeno una lettera a suo figlio, solo per il colore
sbagliato del suo cravattino! No! Io non sarei mai diventata
così!
“Per farla contenta
uscirò con un paio di ragazze purosangue di Corvonero,
Pauline McDougal e Sheila Clearwater, due ragazze del Nord,
gentili, semplici e simpatiche, le hai conosciute anche tu,
credo… ma... ma di certo non rinuncerò
alle mie amiche per questa stupida lettera! E se lo possono scordare
che… Non sarà mai amica di quelle due
smorfiose!”
“Meissa… cerca di non
metterti nei guai anche tu… voglio dire… non
credo che quella rossa altezzosa di Evans e il suo amichetto borioso
valgano una lite con i tuoi…”
“Ti ci metti anche
tu?”
“Tra tutte le ragazze di
Hogwarts ce ne sarà qualcuna che può andar bene
sia a te sia ai tuoi, no? Quelle due Corvonero andranno benissimo, non
ti servono la rossa e il gufetto! Inoltre puoi venire con me stasera
fino al campo da Quidditch, ormai ti sarai ricreduta su Potter, sabato
ti ha pure salvato!”
Non volevo nemmeno ricordarlo quel giorno funesto!
“I Potter sono appunto una
delle famiglie Purosangue discutibili, e gli altri due in stanza con te
sono come minimo Mezzosangue, mi pare! Perché i tuoi amici
dovrebbero andare meglio di quelli che mi sono scelta da
sola?”
Ci guardammo in cagnesco, ben sapendo, però, che nessuno dei
due si preoccupava troppo per lo stato di sangue di chi ci stava
intorno, anche se per motivi diversi: Sirius perché in piena
rottura con la sua famiglia, io perché avevo avuto il
benestare di mio padre prima di partire. Razionalmente, Sirius aveva ragione, ma a me Potter non piaceva, ero convinta che
fosse falso, che fosse sempre pronto a sparlare alle mie spalle e a
prendermi in giro, come sul treno: in fondo non me lo stavo
immaginando, l’avevo visto all’opera varie volte in
quei giorni, persino ai danni di Sirius… Poi, secondo me era
lui che lo incitava contro Severus, mentre io volevo che quei due
diventassero, se non amici, almeno… E invece si erano
accapigliati di nuovo domenica mattina, giù, vicino alle
cucine: da quanto avevo capito, era stato Severus a cercarsele,
stavolta, e come sempre Sirius aveva ceduto alle provocazioni. Rigel li
aveva separati in tempo ma si era preso a sua volta una sgridata da
Mastro Gazza, per averli difesi.
“… e comunque
preferisco non dividere il poco tempo che abbiamo con altre
persone…”
Merlino! Che cosa avevo quel giorno? Sirius mi rilanciò
un’occhiata sbigottita, gli s’incresparono un
po’ gli angoli della bocca, poi però si
rimangiò la battuta con cui avrebbe potuto sotterrarmi: in
quel momento, con quello sguardo ironico e gentile, assomigliava tanto
a suo padre quando, davanti al camino, aveva buttato lì, per
scherzo, che un giorno mi sarei sposata con uno dei suoi
figli… Come poteva Orion Black, l’uomo che
ammiravo di più dopo mio padre, non amare suo figlio, se era
identico a lui? No, di sicuro Sirius sbagliava nel giudicarlo.
“… Volevo
dire…”
Le guance ormai in fiamme dicevano la verità e preferii
tacere, come Sirius preferì non infierire. Mi guardai
attorno insofferente, se bastava sognare un bacio e un anello al dito
per farmi diventare così ridicola… e comunque quel
sogno di certo non riguardava Sirius Black: lui non mi avrebbe mai
fatto del male, non mi avrebbe mai venduta a quell’ombra
oscura, all’uomo che mi aveva fatto cadere a Black Manor, il
giorno del matrimonio di Bellatrix… Merlino! Bellatrix e la
sua risata inconfondibile… Mi percorse un brivido, di cui
per fortuna Sirius non si accorse.
“Sarebbe stato meglio se fossi
finita a Corvonero, dopotutto…”
Quell’uscita mi lasciò spiazzata e mi
riportò al presente.
“Che cosa vuoi dire?”
“Adesso avremmo avuto un’ora da passare
insieme…”
Sospirò, era quasi l’una e dovevamo avviarci alle
lezioni, quel giorno non ne avevo alcuna voglia.
“Possiamo studiare insieme
più tardi…”
“Pensi sempre a studiare, Mei!
Io, con te, non voglio solo studiare! Dovremmo andare alla scoperta di
questo posto! Vieni con me alle selezioni per la
squadra di Quidditch di Grifondoro!”
“Andare lì
insieme… non credo sia una grande idea, Sirius…
Fossi in loro non vedrei di buon occhio la presenza di una
“spia” serpeverde!”
Ridacchiai, immaginando cosa avrebbero pensato i Grifoni vedendo sugli
spalti la sorella di Rigel Sherton. Sirius però mi
guardò serio, non sembrava molto convinto che fosse solo una
battuta, capii anzi, che temeva stessi parlando di lui: al contrario di
me, aveva ancora difficoltà ad ambientarsi, i Serpeverde lo
sfottevano, i Grifondoro non lo accettavano, l’unico che si
mostrava comprensivo era proprio quel Potter, con cui il rapporto negli
ultimi giorni sembrava meno conflittuale. Sospirai.
“Il Quidditch qui è
preso troppo sul serio, per non pensare a queste cose,
Sirius…”
“A me interessa poco del
Quidditch, lo sai, non sono come mio fratello!”
“E' uno dei modi migliori per
legare con gli altri studenti, per fare amicizie, in questa scuola,
quindi… credo dovresti fartelo piacere…”
“Non sono entusiasta delle
cose, quando devo farle per forza…”
“Sai fingere benissimo,
però… Se finiscono presto, ci vediamo per cena in
Sala Grande, o possiamo studiare insieme domani, abbiamo tutto il
pomeriggio libero: domenica pomeriggio, con le ragazze, ho scovato un
bel posto vicino al lago, tranquillo e…”
Non dissi altro, dalla faccia radiosa che aveva fatto avevo capito che
era d’accordo.
“Perfetto! Possiamo iniziare
da lì la scoperta del Lago Oscuro…”
“Sirius…
lunedì c’è la prima verifica di
Pozioni, fossi in te la prenderei seriamente! Puoi portare anche i tuoi
amici, se vuoi, io porterò qualcuno dei miei…
”
Sirius parve per un attimo deluso vedendo i suoi sogni infrangersi
contro la dura realtà, poi annuì, annoiato: pur di passare più tempo insieme,
non mi avrebbe detto di no, anche se con noi ci sarebbe stato
l’odiato libro di Pozioni. Analogamente, io ero disposta a
estendere l’invito pure a quel Potter, pur di stare con lui.
“Se dobbiamo fare questa bella
rimpatriata, cerca di coinvolgere Emily Bones: con lei in giro, Potter
sarà così distratto da non creare
problemi. Ci vediamo più tardi a Difesa!”
Mi salutò sorridente diretto ai sotterranei per Pozioni, io
gli risposi felice e sollevata: con quell’ultima battuta mi
aveva fatto capire che quello che c’era tra noi veniva prima
di tutto il resto, le nostre amicizie
“contrastanti” non sarebbero mai state un
problema tra noi. Per lui, mi sarei anche abituata a Potter: se era
davvero un tipo a posto, avrei imparato a farmelo piacere, anche
perché Sirius aveva bisogno di uscire
dall’isolamento in cui quel dannato cappello
l’aveva gettato. Quando intercettai per le scale Emily Bones
con Mattew Abbott e Colette Midgen, mi affrettai a invitarli al
pomeriggio di studio che stavo organizzando per Pozioni, ben sapendo
che non si sarebbero tirati indietro, e con loro mi avviai a
Trasfigurazione.
***
Sirius
Black
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 5 settembre
1971
“Un invito a passare il
pomeriggio in compagnia della "Principessa delle Serpi"? Ma quale
onore!”
Lo fulminai, dopo tante belle dichiarazioni, ecco che ricominciava a
fare il cretino. Avrei fatto meglio a chiederlo solo a Remus, lui era
più ragionevole e, se si trattava di studiare, non diceva
mai di no.
“Smettila di chiamarla
così, Potter… Si può sapere
perché devi fare sempre lo stronzo con lei?”
Fece spallucce e continuò a camminare davanti a noi,
sghignazzando sommessamente. Remus al mio fianco iniziò a
sbuffare, probabilmente pensava che la tregua tra me e Potter fosse
già finita. Iniziavo a crederlo anch’io.
“Hai finito?”
“Per me è stata
gentile a invitarci… soprattutto perché tra tutti
noi è la più brava in Pozioni e poteva
benissimo…”
“Dai, Remus…
sappiamo bene quanto quella muoia dalla voglia di averci tra i
piedi… E’ lui che ci ha invitato, per passare il
pomeriggio al lago con lei, sa di non poterlo fare da solo e
allora…”
“James!”
Remus si fermò, scioccato dai pensieri insolenti di Potter,
io strinsi i pugni, poi mi scansai i capelli dagli occhi, deciso a non
fargliela passare liscia. Ero pronto a picchiarlo, ero un po’
fuori esercizio, a dire il vero, come avevo appurato nei due scontri
con Snivellus, d’altra parte era passato un bel po’
di tempo dall’ultima volta che mi ero azzuffato con Regulus,
e James era, di stazza, poco più piccolo di me, quindi avrei
fatto probabilmente una figuraccia anche con lui, ma valeva la pena,
per Meissa. Mi dispiaceva solo di essermi sbagliato su di lui.
“Ha ragione Black, stavolta
devi chiedere scusa a entrambi, James…”
Remus si mise in mezzo, prima che combinassimo l’ennesimo
disastro. James sghignazzò vedendomi così
risoluto, poi si avvicinò pentito e mi chiese scusa: era
evidente che non credeva nelle parole che mi stava dicendo, ma non
aveva alcuna intenzione di fare a botte con me, se non altro
perché così avremmo perso quello che restava
delle selezioni.
“Sei solo un
coniglio, Potter... e un fanfarone …”
Sibilai piano, sperando di riaccendere il suo orgoglio e avere la scusa
per picchiarci. Anche se a casa mia, di certo, non mi avevano insegnato
a rispettare i patti, non mi andava di colpirlo a tradimento.
“Se mi dimostri che ho torto,
finite le selezioni mi faccio picchiare senza dire
A…”
“E’ lei che mi ha
suggerito di invitarti… idiota!”
Caricai il mio sinistro, prendendo di sorpresa sia Remus sia James,
sicuri che, pur avvelenato com'ero, non avrei colpito a tradimento, era
così che si comportava un Grifondoro onesto: vidi con la
coda dell’occhio Remus pronto a saltarmi addosso per fermarmi
e James alzare la guardia, ma fui più rapido di entrambi e
il braccio veloce fendette l’aria... fino ad arrestare il
pugno a pochi centimetri dalla guancia destra di Potter.
“Non sei tu a decidere se e
quando posso picchiarti, Potter… e per
l’invito… fa come ti pare… se non
t’interessa, saranno gli altri a raccontarti come si
vestirà Emily Bones domani pomeriggio… Se invece
hai cambiato idea, il posto lo conosci!”
Ghignai e lo lasciai superarmi, al mio fianco camminava teso Remus, che
era rimasto sorpreso dalla scena cui aveva appena assistito: James era
turbato, non so se più dal pugno che non aveva ricevuto o
dalla lezione che gli avevo comunque dato, o, più
prosaicamente, dall’idea di poter passare un pomeriggio con
Emily Bones. Accelerò il passo verso il campo da Quidditch,
fingendo indifferenza, perso nei suoi pensieri, poi di colpo si
voltò e, sotto gli occhi ancor più meravigliati
di Remus, mi tese la mano e mi fece le sue scuse sincere.
Avevo guadagnato il suo rispetto e forse, per la prima volta, mi ero
comportato da Grifondoro: anche gli altri l’avevano
capito! Avanzammo sorridenti e soddisfatti, pregustando un paio
d’ore di sano e rilassante Quidditch, ma pur preso da una
straordinaria e sconosciuta serenità, non mi
sfuggì la faccia pensierosa e sulle nuvole di Potter: avevo
visto come aveva guardato la Bones ogni volta che avevamo
lezione con i Tassorosso e il rossore che gli si era stampato in faccia
era di nuovo eloquente. E persistente. Era piacevole
ripagare quel simpatico sbruffone di James Potter con la sua stessa
moneta, mettendolo in imbarazzo per merito di una ragazzina.
Non potevo immaginare che quella sarebbe stata solo la prima di una
lunga serie di scene simili.
*
Se avessi tenuto un diario, dopo quasi una settimana a Grifondoro,
avrei avuto già molto da scrivere sui miei compagni di
stanza: le prime impressioni avute sul treno si erano mostrate esatte.
Con James c’era stato da subito un rapporto piuttosto ruvido,
non mi era piaciuto il modo in cui aveva guardato Meissa
sull’Espresso per Hogwarts e non mi piaceva come
s’intrometteva ancora adesso, ma lo apprezzavo per la sua
vitalità, la sua bravura sulla scopa, grazie alla quale tra
l’altro Meissa non si era ferita a lezione di volo. E
soprattutto perché non aveva paura di me e del mio
altisonante nome: sembrava non interessarsi per niente delle mie
origini, proprio come me. Era lui il leader autoproclamato e
riconosciuto di quel nostro piccolo mondo, ed era stato lui a porgermi
la mano per invitarmi a farne parte. Quell’invito, pochi
giorni prima, ad andare insieme fino al campo di Quidditch, aveva fatto
per me la differenza: c’era almeno un’altra
persona, oltre a Meissa, che mi accettava in quello strano castello,
che aveva scombinato all’inverosimile tutto il mio mondo.
Anche se il mio dannato marchio Black faceva sì che spesso
tornassi a nascondermi dietro alle mie maschere, che da scudo spesso
diventavano prigioni. E anche se, come in quel momento,
l’ironia di James nei confronti miei e di Meissa fosse
tutt’altro che leggero. Io ci avrei fatto
l’abitudine, in fondo non era cattivo, ma sapevo che se
avesse continuato a comportarsi in quel modo, Meissa avrebbe
defenestrato prima me e poi lui.
Dei miei compagni di stanza, però, quello che suscitava in
me maggiore interesse forse era proprio Remus, il ragazzino del treno
che mi aveva attirato nello scompartimento con la sua aria
così diversa dalla mia: un mezzosangue, amato dalla sua
famiglia, povero e saggio. Esattamente il mio opposto.
All’inizio non sapevo spiegarmelo, ma più lo
osservavo più mi sorprendevo intravedendone il motivo: era
una persona timida, riservata, estremamente studiosa e ligia alle
regole, a volte anche troppo, ma al contempo vitale, un ragazzo che ti
avrebbe mostrato un mondo intero, il suo, se fossi stato meritevole
della sua fiducia. Aveva spesso lo sguardo triste di chi vorrebbe fare
qualcosa, ma sa che non può farlo: ci misi poco a capire che
questa caratteristica me lo faceva apparire simile a mio
fratello. Non sapevo quale fosse il problema di Remus, ma era chiaro
che ne aveva almeno uno: come mio fratello, anche Remus aveva paura di
qualcosa, qualcosa troppo al di là delle sue
possibilità e delle sue forze, qualcosa che gli impediva di
essere felice. Remus J. Lupin, però, al contrario di mio
fratello, era una persona buona e per niente stronza. E questo faceva
sì che, saggiamente, finora si fosse tenuto alla larga da
me, pur apparendo al mio fianco sempre al momento giusto, quando ero in
difficoltà, fosse una domanda a lezione o una rissa da cui
era meglio che mi tirassi fuori. Mi chiedevo perché si
comportasse così, visto che io per lui non avevo mai fatto
niente. Anche se lo apprezzavo, il mio solito
caratteraccio Black faceva sì che spesso fingessi di
ignorarlo, per cui, a meno che non fosse un abile Legilimens,
difficilmente Remus J. Lupin poteva avere idea delle cose buone che
pensavo di lui. Eravamo sugli spalti dello stadio di Quidditch e invece
di guardare le selezioni, guardavo i miei compagni: eravamo uno strano
terzetto. James, opportunamente educato, poteva trasformarsi in un
perfetto compagno di avventure, se non altro per la vitalità
e l’inventiva che aveva, mentre Remus era il saggio che
poteva riportarci con i piedi per terra se necessario, soprattutto
visto che io ero un sicuro elemento di disturbo, un attaccabrighe
piuttosto umorale, capace di mettermi nei guai anche nelle situazioni
più tranquille. Sì, opportunamente educati, noi
tre, così diversi eppure simili, potevamo fare grandi cose
insieme.
Su Peter e Frank, gli altri due compagni di stanza, non mi ero ancora
fatto un’idea precisa, o per lo meno non avevo ancora trovato
punti in comune tali da apprezzarne la compagnia: Peter era un
ragazzino insicuro che tendeva ad aggregarsi a chiunque e a non
contestare mai le idee di chi aveva intorno. Fin dal giorno sul treno
l’avevo considerato insignificante, spesso mi dava ai nervi,
soprattutto quando mi si accodava, anche se, a dire vero, per il mio
nome, la pessima reputazione legata alle famiglie Serpeverdi come la
mia e i miei modi bruschi, l’aveva messo di solito sulla
difensiva e si era tenuto spesso alla larga. Frank invece era
l’alieno della nostra stanza: bravo, perfetto, studioso, ma
senza la capacità di sorprendermi che aveva Remus, sapevo
che non avrebbe mai avuto molto a che fare con me. Ricordando quello
che a casa si diceva di sua madre, la famigerata, severa e autoritaria
Augusta Longbottom, non c’era da meravigliarsi che fosse
così: impeccabile e dannatamente noioso. Se fossi stato come
desiderava mia madre, io sarei stato il suo equivalente, solo che avrei
indossato la divisa di Serpeverde: il solo pensiero mi riempiva di
orrore. Riflettevo così, mentre nel campo si alternavano
vari ragazzi e ragazze; quell’anno a Grifondoro servivano un
nuovo cacciatore e un battitore, mentre il fortissimo cercatore, Jarvis
Brent, classe ’54, sarebbe andato via l’anno
seguente: vedevo James molto affascinato da quella notizia. La squadra
era composta dai fratelli Fabian e Gideon Prewett, miei parenti alla
lontana, rispettivamente portiere e battitore, classe 1954 il primo e
1955 il secondo, da Edward McLaggen, un purosangue nato nel 1958,
cacciatore, Jarvis Brent, cercatore, e Alicia Thomas, classe 1958,
cacciatrice, di cui non sapevo pressoché nulla. Quasi
all’ora di cena erano stati scelti Jeremy Wood, nel ruolo di
battitore, e Helena Brown, in quello di cacciatrice: James, come
pressoché tutti i Grifondoro che avevamo attorno, sembrava
piuttosto soddisfatto dalle qualità atletiche dei nuovi
acquisti, almeno quanto io ero tediato. Pessima idea passare il
pomeriggio così, non mi ero mai annoiato tanto! Purtroppo
ormai era ufficiale: io e il Quidditch non eravamo esattamente amici
per la vita. Per lo meno era finalmente ora di riempirsi la pancia! E
quell’idea mi rimise di buon umore: se c’era una
cosa di cui non ci si poteva lamentare a Hogwarts, era la
qualità e la quantità delle portate.
Per ritornare al castello in tempo per la cena, passammo vicino alle
serre di Erbologia: era la via più breve e noi eravamo
già in ritardo. Purtroppo anche quella sera avremmo trovato
il modo di rendere movimentata la nostra vita a Hogwarts. Stavamo
parlando dei nuovi componenti della squadra e soprattutto del fatto che
nel giro di un anno si sarebbe liberato il posto da cercatore: era
più giusto dire che James parlava e Remus ed io ci
limitavamo ad annuire senza particolare entusiasmo. Perciò
fui il primo ad accorgermene e a dare l’allarme. Li vedemmo
già da lontano, erano tre, tutti decisamente grandi e
grossi, dei veri e propri energumeni, tutti e tre vestivano le divise
di Serpeverde: si rimpallavano un paio di ragazzini del primo anno, o
per lo meno, rispetto a loro, sembravano tanto piccoli da poter essere
solo delle matricole. Li conoscevo tutti e tre, praticamente da sempre,
erano, infatti, poche le feste di famiglia alle quali avevo partecipato
in cui non erano presenti loro o qualcun altro delle loro famiglie,
perciò non mi ci volle molto a riconoscere la testa a uovo
di Goyle e il profilo da faina di Mulciber. Il terzo stava
nell’ombra, dalle dimensioni era come minimo del sesto anno e
gracchiava agli altri due per incitarli: fu la voce cavernosa che me lo
fece riconoscere, appena fummo più vicini, e un brivido mi
percorse la schiena. Walden
Mc Nair. Dai racconti delle mie cugine sapevo che era uno
“spaccaossa”.
“Forza, dobbiamo far capire a
questi sporchi Mezzosangue che devono cederci il passo quando ci
incontrano!”
Vidi James stringere la bacchetta tra le dita fino a farsi le nocche
bianche: i ragazzini erano un Tassorosso, Timothy Mackenzie,
già vittima di Mulciber e Goyle pochi giorni prima, e il
nostro Peter Minus. Illuminati ormai solo dalla luce di una luna
prossima alla totale pienezza, James ed io ci facemmo un cenno
d’intesa, il cenno che preannunciava guai, ma, per una volta,
Remus, invece di farci desistere, fu subito dalla nostra parte: con un
sorriso silenzioso decidemmo il da farsi, non potevamo lasciarli in mano a quei bruti. Ci muovemmo rapidi e silenziosi e ci
acquattammo nel buio: sapevamo di essere in inferiorità per
capacità magiche e ancor di più per forza fisica,
James raccolse perciò dei sassi per strada e noi lo
imitammo, scegliemmo dei punti riparati e sicuri, perfezionammo la mira
e iniziammo a bersagliarli. Potter centrò la testa di Goyle,
che iniziò a muoversi tutto intorno come l’emerito
imbecille che era, il secondo “bolide”, di Remus,
andò a stamparsi preciso e potente sul naso di Mulciber.
Come diversivo fu sufficiente a dar modo ai ragazzi di fuggire, mentre
io completavo la sassaiola centrando un infuriato McNair, che insultava
i suoi scagnozzi, non riuscendo a capire cosa stava accadendo. A quel
punto, tutti e tre colpimmo a ripetizione, più interessati a
fare confusione che non a riportare dei veri danni, tentando nel
frattempo di avviarci verso la nostra unica via di fuga. Purtroppo,
mentre quegli idioti si guardavano intorno senza capire, mi
sfuggì una risata di scherno che ci tradì,
rivelando la nostra posizione: iniziammo a correre, inseguiti dai due
troll e da Walden, di certo il più insidioso dei tre. Con
incredibile fortuna ci infilammo per cortili e passaggi prima che quei
tre smettessero di intralciarsi a vicenda, dando infine inizio a un
inseguimento coerente. Sudati e col fiato grosso, ma soddisfatti e
radiosi, riuscimmo alla fine a sbucare nell’ingresso della
Sala Grande, sempre inseguiti a breve dagli idioti, ci rifugiammo
ridendo tra gli altri Grifoni, non abbastanza rapidamente
però perché i Serpeverde non identificassero, in
noi tre, i responsabili di quanto era accaduto. Sapevo che
c’eravamo appena messi nei guai, guai seri per
l’esattezza, che ci avrebbero dato la caccia furiosamente,
che dovevamo aspettarci di tutto, e che probabilmente prima o poi sarei
stato legnato come mai nella mia vita, ma in quel momento non
m’importava. Era stata la mia prima vera impresa, per la
prima volta mi ero sentito libero e immortale, per la prima volta avevo
diviso una fantastica avventura con James e Remus. E questo, lo sapevo,
ci rendeva amici per sempre.
Uniti per sempre.
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc,
hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui
migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP (maggio 2010). Spero vi sia piaciuta la
mia versione del primo formarsi dei Marauders, a breve ulteriori
sviluppi.
Valeria
Scheda
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