Non ce la faccio più.
Vorrei negarlo, vorrei che fosse falso,
vorrei che fosse solo un'impressione, ma la verità è che non ce la faccio
davvero più. La penuria di acqua e cibo mi stanno chiedendo il conto, facendomi
pagare lo scotto di tanta impulsività. Volevo quella sacca scura ad una spanna
dalla mia piattaforma e la carne essiccata a pochi metri da ess, e non ho
ottenuto né l'una né l'altra. Il pugnale della ragazza del Distretto 1 –
Bellatrix1, mi pare si chiami – è stato più
veloce delle mie gambe ed è solo per un caso fortuito che mi abbia sfiorato il
collo di pochissimi centimetri. A quel punto non ho potuto fare altro che
scappare via, diretta verso i boschi. Le mie conoscenze sulle piante,
medicamentose e commestibili, si sono rivelate utili finché ho saputo
riconoscere qualcosa – corteccia di pino, tuberi bluastri, foglie di menta
selvatica, nocciole e radici – ma mi è bastato addentrarmi di più nel folto
della vegetazione e guardarmi intorno per capire di essere spacciata. Sebbene il
posto fosse pieno di bacche e piante dall'aria apparentemente commestibile, non
ho osato correre il rischio. Con il senno di poi, avrei preferito una morte
rapida per avvelenamento che una lenta per fame e disidratazione.
Tornare indietro non era fattibile, con
il bagno di sangue ancora in corso, perciò ho camminato per quelle che mi sono
sembrate intere ere geologiche, tenendo duro e cercando di catturare uno dei
molti animali che animano il sottobosco, senza alcun risultato – non so niente
di caccia, io. Ma adesso, tre albe dopo, sono costretta ad ammettere l'evidenza:
tremo per lo sforzo di reggermi sulle gambe, dimentico di continuo dove sono o
perfino chi sono, la luce intensa mi ferisce gli occhi e il cervello è così
sotto stress che, ne sono certa, a breve smetterà semplicemente di funzionare.
Si spegnerà e mi lascerà qui, incosciente, fino al sopraggiungere della morte.
Non è così che desideravo tirarmi fuori
dai Giochi. Avevo promesso a mia madre e a mio padre che ci avrei provato, che
ci avrei provato sul serio, che avrei fatto in modo di usare l'astuzia e la
strategia per restare viva fino alla fine. Che mi sarebbe bastato cercare una
pianta velenosa qualsiasi per procurarmi un'arma potenzialmente mortale.
E invece eccomi qui, accasciata su un
masso, alla mercé del sole e degli altri tributi, lontana da qualsiasi fonte di
acqua e sostentamento. Cerco di non lasciarmi pungolare dai sensi di colpa che
provo nei confronti di Albus e Minerva, il mio mentore e la mia stilista, che
così tanto hanno fatto per darmi un gran vantaggio, proponendo ai cittadini di
Capitol City un copione finora inedito: quello del ragazzo innamorato della
ragazza che non solo è capitata lì con lui, ma che lo odia da che tutto il
Distretto 12 ha memoria. Una storia interessante, che ha già fatto parlare di
noi immediatamente dopo la sfilata, quando ancora quasi nessuno conosceva i
nostri nomi. Ma, a conti fatti, solo quello. Se Albus non ha fatto nulla per
aiutarmi è perché nessuno ha tifato abbastanza per gli innamorati nemici
dell'ultimo distretto della Nazione. Nessuno ha offerto del cibo o dell'acqua
per me. Pensavo di averli convinti di valere qualcosa con quell'azzardo della
pianta altamente urticante che ho lasciato cadere nel cibo di due malcapitati
tributi, i quali, in preda ad una fortissima crisi allergica, sono stati
terminati dai Favoriti, ma a quanto pare mi sbagliavo.
Non ho convinto nessuno.
Sono solo una povera ragazza con un po'
di talento nel riconoscere certe piante, ma che è ben lungi dall'essere
incoronata vincitrice.
Quell'ultima scintilla di razionalità
che mi resta si estingue al peso di una morte imminente, e non faccio niente per
fermare la caduta che mi scaraventa sul terreno. Non sento neppure dolore. Solo
un'infinita sensazione di pace. Chiudo gli occhi e spero che almeno Potter, per
quanto lo odi, possa andare avanti. Non per la sua sopravvivenza, non perché
tengo a lui, ma per la mia famiglia, che mai, nemmeno una volta nella vita, ha
avuto la pancia piena.
Poco prima di scivolare verso lidi
lontani, molto più lontani dell'arena, catturo il suono confuso di passi in
avvicinamento. Apro gli occhi, ma la vista è quasi del tutto guasta: l'ultima
immagine di questa vita è quella di un paio di scarponi schizzati di fango ed
erba strappata che si aprono la via a calci tra gli arbusti bassi, puntando
velocemente verso di me.
La prima goccia d'acqua mi brucia la
gola come se fosse fuoco liquido. Ne ho disperatamente bisogno, ma allo stesso
tempo vorrei tossire, rifiutarla, allontanarla.
Con quelle che vengono dopo va un po'
meglio. Notevolmente meglio, in effetti. Alzo le mani alla cieca e sento una
borraccia sotto le dita; la premo contro la bocca e il timido refolo d'acqua
diventa un fiotto che mi cola sul mento, che rischia di affogarmi, ma, se
possibile, inclino il recipiente ancora di più, perché sono positivamente certa
di poterne inghiottire tutto il contenuto in un paio di sorsi.
Qualcosa, o qualcuno, però, la strattona
via da me. Una voce distorta e lontana mi sembra che stia dicendo di andarci
piano, che di questo passo sarà peggio e che dovrei saperlo. In realtà, non
conosco altro che questa sete bruciante, dolorosa, che sento il bisogno vitale
di estinguere.
«Ancora» dice una voce gracchiante e
distorta. Mi spavento, sobbalzo, e solo quando il corpo inizia lentamente ad
assorbire i liquidi di cui aveva così bisogno capisco che quella voce è la mia.
Che sono Lily Evans, il tributo femmina del Distretto 12. Che quest'odore di
pini che sento non viene da oltre la recinzione che abbraccia il distretto, ma
dall'arena degli Hunger Games in cui sono stata scaraventata.
Che la persona che così premurosamente
mi ha offerto l'acqua è James Potter.
Per un attimo, quello che i miei occhi
provati registrano mi sembra incoerente. Manca qualcosa, un dettaglio lampante
che non riesco però a cogliere. Lo osservo, con il poco di concentrazione di cui
dispongo, ma alla fine è lui a venirmi incontro.
«Mi hanno fatto qualcosa, mentre
l'Hovercraft mi portava qui. Adesso ci vedo perfettamente2» spiega e non posso
non cogliere un fondo di soddisfazione. La sola idea che Potter possa apprezzare
qualcosa di anche solo vagamente correlato a Capitol City mi dà la rabbia
necessaria a puntellarmi sui gomiti e guardarmi intorno. Ho perso i sensi poco
dopo l'alba, questo me lo ricordo. A giudicare dalla luce e dal colore del
cielo, deve essere trascorsa l'intera giornata. Tuttavia, il posto non è quello
giusto. Non è qui che mi ero fermata.
«Mi hai portata tu, qui?» domando, ma la
risposta cessa di interessarmi quando il morso della fame mi toglie l'aria dai
polmoni. L'acqua che pensavo mi avesse aiutata in realtà ha peggiorato le cose,
risvegliando i sensi e i nervi e la pancia vuota da troppi giorni.
Provvidenzialmente, James cerca in una sacca che porta agganciata alla cintura –
sospettosamente simile a quella che ho cercato di prendere al momento del gong –
e tira fuori un pacchetto di frutta essiccata ancora sigillato.
«Datti da fare».
Nonostante il sorriso storto e
arrogante, l'invito sembra sincero. Eppure, esito, sospettosa. Perché sta
facendo questo? Si sta attenendo al copione che lui stesso ha fornito al nostro
mentore? È stato Albus ad ordinarglielo, o agisce di sua iniziativa? E
soprattutto: fino a che punto posso fidarmi? Il manico di un pugnale, che fa
capolino dal bordo del suo scarpone, non mi aiuta. Mi domando se la lama non
aspetti altro che tagliarmi la gola. Mi domando quale sia il suo piano – perché
è certo che ne ha uno. Mi domando a che gioco stia giocando.
Mi domando un sacco di cose e non riesco
a trovare alcuna risposta.
«Coraggio, Evans. Non sono avvelenati».
«È stato Albus a dirti di fare così?»
«Così come?»
«Trovarmi, aiutarmi... Fa parte di
qualche piano, vero?» Forse dovrei essere più discreta, considerato che, ne sono
certa, in questo momento ho almeno tre telecamere puntate addosso (perché gli
innamorati nemici si sono finalmente ritrovati e questo, forse, ha addirittura
la precedenza su qualsiasi combattimento), ma il poco di energia che ho
riguadagnato mi rende imprudente, avventata, desiderosa di districarmi da questo
gomitolo di bugie e finzione e trovare almeno una cosa che sia vera. Come le
intenzioni di Potter, per esempio.
Potter, che si limita a fissarmi per un
lunghissimo minuto. A quel punto, quando apro la bocca per protestare, si sente
in dovere di fare qualcosa di adatto alla sua persona, qualcosa di estremamente
inadeguato, stupido e irrispettoso, come chiudermi una mano sulla nuca e premere
la bocca sulla mia.
Sono così sbalordita che non reagisco
nemmeno e resto a fissarlo come un'imbecille quando si scosta, apre il pacchetto
di frutta e mi spinge un pezzo di arancia essiccata tra le labbra. La mastico e
la inghiottisco automaticamente. Per ultima, e finalmente, arriva
l'indignazione.
«Non osare farlo mai più Potter,
o quel pugnale che tieni nello scarpone finirà proprio qui» e con l'indice
traccio un sorriso sul collo, da parte a parte.
«Bene, ma adesso mangia». Non si prende
neanche la briga di darmi veramente retta.
La fame si fa più forte del dubbio e del
sospetto, mi si scaraventa addosso come un'entità viva e nei cinque secondi
successivi mi sto già ficcando in bocca tutta la frutta essiccata, inghiottendo
quasi senza masticare, al punto che Potter è costretto a battermi dei colpi
sulla schiena quando rischio di soffocare perché un pezzo di mela secca si è
piantato in gola e rifiuta di schiodarsi. Bevo altra acqua, molta altra acqua, e
i sintomi della disidratazione e della penuria di cibo iniziano lentamente ad
allentare la morsa e lasciarmi respirare.
Dopo una quantità di tempo che non
saprei definire, un colpo di cannone risuona fragoroso e l'ultimo pezzo di pera
essiccata che sto per mangiare mi scivola di mano, ruzzolando per terra. Potter
ed io ci guardiamo e, per una volta, i suoi occhi sono pieni di angoscia.
So a cosa sto pensando.
Durante le sessioni di allenamento non è
sfuggito a nessuno il modo in cui abbia familiarizzato con il tributo del
Distretto 5. Mi sorprende, anzi, che non abbiano stretto un'alleanza; forse non
ne hanno avuto l'occasione. Il bagno di sangue deve aver rappresentato un
ostacolo insormontabile. Ma è chiaro che adesso non può fare a meno di
domandarsi se il cannone abbia sparato per lui. Forse è meglio così: non so fino
a che punto Potter avrebbe il coraggio di ucciderlo, se il campo si riducesse a
noi e lui.
Chiunque sia, ad ogni modo, lo
scopriremo stasera. Fino ad allora non possiamo che rimetterci in forze e
pensare ad una strategia, perché è chiaro che siamo alleati, ormai. Per quanto
l'idea mi stia stretta, devo ammettere che Potter è in gamba, se è riuscito a
procurarsi armi e cibo senza riportare alcun graffio. Inoltre, sebbene mi stia
sforzando di passarci su, mi ha salvato la vita e questo è il genere di cose che
proprio non si possono dimenticare. È un enorme debito che non riuscirò mai a
ripagare del tutto.
«Sta calando la notte. Togliamoci di
qui, forza» e mi strattona per un braccio, rimettendomi in piedi senza alcuna
difficoltà. Mi sento ancora abbastanza instabile sulle gambe e la testa gira in
cerchi concentrici molto lenti, ma se camminiamo piano non dovrebbero esserci
problemi. In ogni caso, che altra scelta abbiamo? Potter ha ragione, dobbiamo
assolutamente renderci fuori dalla portata dei Favoriti. Ho abbastanza
esperienza, in fatto di Hunger Games, per sapere che la notte è il loro momento
preferito per andare a caccia.
Gli permetto di sorreggermi per la vita
mentre ci addentriamo nel folto del bosco. Sembra abbastanza sicuro dalla
direzione da prendere e, siccome ormai è ufficialmente il mio alleato, non
protesto. Mi sprona a camminare, anche e specialmente quando la vista mi si
annebbia e mi sento prossima allo svenimento. Non mi sono ancora ristabilita e
so per certo che il mio corpo mostrerà i primi segni di ripresa solo tra molte
ore.
Qualche centinaia di metri dopo è chiaro
che non posso più proseguire. Le ginocchia vibrano come se un terremoto le
stesse scuotendo e, infine, cedono. Rischio di trascinare Potter nella mia
caduta, ma le sue braccia sono forti abbastanza da sorreggermi.
«Oh, no, Evans, non pensarci nemmeno.
Sono bello, giovane e aitante, ma non abbastanza forte da trascinarti – sei
tutt'altro che un peso piuma, lascia che te lo dica. Su, coraggio, respira.
Ecco, così. Dentro e fuori, dentro e fuori. Bene, bene. Meglio?»
Neanche un po', ma la sua frecciata
gratuita mi ha irritata abbastanza da ridarmi un po' di vigore e rialzarmi,
seppure ciondolando come un'ubriaca. Ad ogni modo, ha ottenuto quel che voleva e
ne va fiero. Mi lascio guidare fino alla base della quercia più grande e
massiccia che abbia mai visto in vita mia. Non riesco a scorgerne la sommità,
non c'è abbastanza luce, ma sono sicura che oltrepassi abbondantemente i trenta
metri . Il fogliame è così fitto, modellato in un cupola compatta e uniforme che
non riesco a immaginare come sia possibile trovare uno spiraglio per quello che
penso Potter voglia fare, finché lui non inizia a battere il perimetro
dell'albero, fermandosi davanti a quello che, nel buio, sembra un buco nero e
vuoto, spalancato su un mondo parallelo. Mi spinge al suo interno di peso,
smuovendo poi i rami affinché coprano l'ingresso.
Non c'è molto spazio.
A dire il vero, ce n'è appena per stare
accovacciati, gomito a gomito. Le foglie premono da ogni lato, ma non è
soffocante come pensavo sarebbe stato. A dire il vero, c'è qualcosa di
rinfrancante nel loro sussurro, nel loro tremore contro la pelle. Mi rendo conto
che questo buco ci proteggerà dal freddo della notte e dagli occhi dei nostri
nemici e improvvisamente vorrei dirgli grazie. Grazie per avermi trovata,
salvata e protetta. Una tale mossa da parte mia non farebbe che fomentare gli
animi a Capitol City, perché so che in questo momento una telecamera ci sta
riprendendo: questa bolla nera non è il prodotto del lavoro di Potter, né della
natura. Questo è un rifugio misericordiosamente offerto dagli Strateghi. Se poi
nasconda delle insidie mortali, è presto per dirlo. E in ogni caso, non penso
che sarebbe un bene per lo show eliminarci, a questo punto. Penso che questa sia
la migliore protezione di cui io e Potter godiamo, per quanto labile e volubile
sia. Non c'è niente di male a volerla rafforzare un pochino.
«Ehi, James» lo chiamo, sforzandomi di
pronunciare il suo nome per quella che deve essere la prima volta nella vita
(sicuramente la prima in sua presenza) e dal fruscio che proviene dalla mia
sinistra capisco di aver ottenuto tutta la sua attenzione. «Grazie».
«Ringraziami quando tornerai a casa,
Evans».
Aggrotto la fronte nel buio. Ma di che
sta parlando?
«Pensi davvero che io possa vincere
questa cosa?» Deve saperlo che non ho alcuna possibilità, che le mie abilità
sono scarse e limitate, che non ho alcuna competenza in fatto di armi, che
riesco a procurarmi del cibo solo dove le mie conoscenze incontrano le piante
giuste.
«Io so che tu vincerai questa
cosa. Perché accidenti credi ti abbia salvata, altrimenti?»
Rido. È così assurdo e lui così serio
che non posso farne a meno. Siamo onesti: perché mai James Potter dovrebbe
prendersi la briga di lottare e morire per me? I telespettarori penseranno che
sia per il suo amore di lunga data, ma non è così. Potter non mi ha mai amata.
La sua è una fissazione, una specie di ossessione. La frustrazione per non aver
fatto cadere ai suoi piedi l'ennesima ragazza. Il desiderio bruciante di
aggiungermi alla sua collezione di trofei. Né più né meno. Potrà anche aver
convinto mezzo Paese, ma io la so più lunga di tutti loro.
«E cosa farai, per farmi vincere?
Ucciderai tutti gli altri e alla fine ti toglierai la vita tu stesso?»
«Qualcosa del genere, sì».
Questa conversazione non ha né capo né
coda. Chiaramente siamo entrambi provati dalla fatica e dalla stanchezza; non
siamo lucidi. Domattina, alla luce del sole, riusciremo a vedere le cose in
maniera più razionale e veritiera. Domattina prenderemo coscienza del fatto che
prima o poi questa alleanza si spaccherà e uno di noi dovrà essere più veloce
dell'altro.
Ma fino ad allora,
mi dico, dormi.
Ed è quello che faccio.
Il sole è un cerchio perfetto disposto
sullo zenit quando i Favoriti ci trovano. Succede così silenziosamente e così
velocemente che, in un primo momento, penso si tratti di un sogno ad occhi
aperti, o di un'allucinazione.
L'attimo prima spiego a Potter quali
piante raccogliere e quali no, quale bacche sono commestibili e quali, invece,
se lo porterebbero via in trenta secondi, e quello dopo mi ritrovo con la
schiena premuta alla sua, a girare lentamente sul posto, fissando in faccia, uno
ad uno, i nostri nemici.
«Bene, bene, bene» cantilena il ragazzo
biondo del Distretto 2, la voce strascicata e gli occhi grigi freddi e
implacabili che ci soppesano come un gatto davanti al topo. È così sicuro delle
proprie possibilità e della propria vittoria che la lancia che stringe punta al
cielo, indifferente e apparentemente innocua: non ha fretta di ucciderci.
Bellatrix, al suo fianco, è meno rilassata; le dita si agitano continuamente
sull'impugnatura del coltello, come se temesse di perdere la presa. I suoi occhi
guizzano da me a Potter e, chiaramente, non vede l'ora di ucciderci. C'è
qualcosa di folle, in quello sguardo, qualcosa che risveglia la paura che mi ha
lasciata paralizzata e sudata la notte stessa della Mietitura, mentre il treno
ci portava verso la capiale e mi sembrava di dover morire lì, in quel letto
soffice e caldo, tanto il cuore mi batteva forte.
Dietro di loro, il ragazzo dell'1 e la
ragazza del 2, se ne stanno fermi e silenziosi, osservando la scena come se ne
fossero profondamente annoiati3. Sto ancora cercando di capire come abbiano
potuto tenderci un'imboscata così ben riuscita, senza che io né Potter avessimo
il sentore di alcunché, quando lui spinge indietro i capelli e si rigira il
pugnale tra le dita.
«Bello vedervi, ragazzi. Vi state
divertendo?»
«Molto, effettivamente. Ma siamo un po'
troppi, per i miei gusti».
È in quel momento, sentendo i muscoli di
James tendersi come cavi d'acciaio, che capisco che qualcuno sta per morire.
Vorrei gridargli un avvertimento, fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma ho solo una
mano piena di bacche velenose e l'altra serrata sulla giacca di Potter. In più,
è come se avessi perso completamente la capacità di parlare.
Poi, tutto succede così in fretta che
indietreggio, ansimo, il sangue mi schizza sugli scarponi e non capisco, non
capisco, non capisco. Il mondo è pervaso di incoerenza. L'attimo prima il biondo
del 2 ci guardava con aria di trionfo e adesso trema violentemente con un
coltello conficcato profondamente nella gola. La ragazza del suo distretto urla,
lo scuote, ma James è rapido come non pensavo un essere umano potesse essere e
la lancia del suo compagno si pianta nel suo addome, trapassandola da parte a
parte. I due colpi di cannone che seguono se li portano via definitivamente.
Da qualche parte dietro di me,
inspiegabilmente, il ragazzo dell'1 si tiene lo stomaco con le mani, ma
ciononostante, il sangue fiotta a fiumi, facendogli rapidamente perdere colore.
Per terra accanto a lui, scorgo un coltello del tutto simile a quello di James.
E poi capisco: il mio alleato era più armato di quanto avesse dato ad intendere.
Da qualche parte, deve essersi procurato quel piccolo arsenale.
Urla il mio nome e mi giro appena in
tempo per afferrare la lancia che tirato nella mia direzione.
«Attenta!» fa per raggiungermi, ma mi
volto e il ragazzo dell'1 è qui, ad una spanna da me, con il coltello in mano e
la pancia squarciata. È in fin di vita, ma è chiaro che non vuole andarsene da
solo. La lancia che stringo lo trova ancor prima che io abbia il tempo di
pensare qualcosa. Tossisce, schizzandomi del sangue in faccia. Non capisco. La
lancia era ferma nella mia mano, non ho mai voluto puntarla in avanti per
ucciderlo. E allora giro appena la testa e vedo James dietro di me e le sue dita
chiuse sull'estremità dell'arma.
Sta per formulare una domanda, ma poi si
irrigidisce, mi scansa di lato e si volta, lanciando con violenza l'unici
coltello che gli resta contro Bellatrix. La lama si conficca appena sotto il
cuore, ma lei la estrae come se fosse di gomma e, realizzata la situazione
catastrofica, scappa via, scomparendo nel folto della foresta, accompagnata dal
rombo del terzo colpo di cannone. Quanto a me, sto ancora cercando di capire
come sia potuta sopravviere a ben tre Favoriti senza riportare nient'altro che
qualche schizzo di sangue – non mio, tra l'altro – ma i miei occhi sono
ipnotizzati dal sangue che continua a colare dal ragazzo del Distretto 1. Ho già
ucciso, in precedenza, ma questa è la prima volta che lo faccio in maniera
così... brutale. La pianta urticante che è costata la morte a due tributi mi
sembra infinitamente misericordiosa, al confronto.
Poi, all'impovviso, mi colpisce la
consapevolezza che sia stato James a fare tutto questo. Che lui abbia combattuto
ed eliminato tre dei Favoriti. La sua abilità, la sua forza e la sua mira erano
tutte cose che non conoscevo. Dove accidenti ha imparato, se durante le sessioni
di addestramento non ha fatto altro che bighellonare con il capellone del 5?
Deve essere qualcosa che si è portato da casa, qualcosa che ha affinato nel
corso del tempo, di molto tempo. Forse è correlato alla drogheria della sua
famiglia che, tra le altre cose, spesso si occupa anche di macellazione.
Ad ogni modo, sono sbalordita. E pensare
che gli Strateghi non gli hanno dato più di un sette! È chiaro che ha celato le
sue carte di proposito. Se avesse voluto, avrebbe guadagnato un dodici, ne sono
sicura.
Sto per dirgli che è stato incredibile,
ma quando incontro il suo viso bianco e la maniera disarticolata in cui il
respiro esce dal suo naso vengo pervasa da un terrore cieco, quasi più intenso
di quello che ho provato al momento dell'estrazione del mio nome.
«James» lo chiamo e tasto il suo corpo,
aspettandomi una chiazza bagnata e calda di sangue, ma non trovo nulla. Questo
mi terrorizza ancora di più.
«Non capisco. Cosa ti è successo?
Cos'hai?» lo scuoto, ma lui fa una smorfia di dolore, arretra e tossisce.
Il sangue mi schizza il colletto della
giacca e la pelle.
Penso di stare impazzendo perché non c'è
niente che indichi un danno di tale entità, ma poi lo vedo allungare una mano
dietro la schiena, sussultare e riportarla lungo un fianco, dove un coltello
gocciola sull'erba. Lo riconosco dall'impugnatura.
«Bellatrix» sussurro, ma suona come una
sentenza di morte, perché in quel momento James si accascia e giace supino. Una
larga macchia scura va allargandosi sotto di lui. Mi inginocchio, tengo le mani
sollevate sul suo petto e mi sento impotente, schiacciata dalla piega che hanno
preso gli eventi, sconvolta e sotto shock.
Quando capisco che stasera il cielo si
animerà anche del suo viso, sento gli occhi riempirsi di lacrime. Potter è uno
sbruffone, un arrogante e un presuntoso, sempre convinto che gli altri debbano
adularlo e lodarlo, ma è il mio alleato, mi ha salvato la vita e non voglio che
muoia. Voglio che tutto questo finisca, che i Giochi finiscano. Voglio che un
hovercraft venga qui e ci riporti a casa, nel Distretto 12. Lo guardo, ma sul
suo viso c'è un'urgenza che non riesco a spiegarmi.
«Questo è il massimo... che ho potuto
fare» rantola e gli faccio segno di tacere, ma lui scuote la testa e insiste.
«Uccidi... lei. Trova... modo... di avvelen