Note dell’autrice:
1°: Innanzitutto, comincio
col dirvi che scrivere di Hinata,
per me, è faticosissimo. È uno di quei personaggi
cui non assomiglio per
niente, dunque immedesimarmi in lei è un autentica impresa.
Perciò se mai Hinata divenisse OOC, o
perdesse il ruolo centrale nella storia, fatemelo sapere.
2°: la storia è
AU: le vicende si svolgono però, non in
Giappone, ma in uno scenario occidentale, molto probabilmente Americano
(dopotutto la storia tratta di supereroi no?).
3°: Non sono molto convinta
di questa fan-fiction. Il punto
e che, in realtà, ideai questo racconto un bel po’
di tempo fa, quando la
“moda” di Hinata non imperversava così.
Ormai scrivono tutti di lei, e la cosa
mi irrita alquanto, quasi al punto da farmi stare antipatica la stessa
Hinata.
Io odio le mode, e, anzi, tento sempre di andare controcorrente, e
infatti
questa ficcy doveva essere qualcosa di fuori dalla norma. Ma
poi….
Insomma, ormai ho cominciato a
scriverla, perciò la
pubblico, ma se mi stufo troppo di Hinata, la ritiro senza esitazioni.
Capitolo
primo:
Gli
Eroi non sono timidi
La
cosa peggiore in assoluto, era
che non era cambiato nulla.
Ci si sarebbe dovuti aspettare un
cambiamento netto, nella
sua vita, una svolta totale, una rivoluzione.
L’opinione degli altri su
di lei sarebbe dovuta cambiare,
così come era cambiata lei.
E invece…
Non era cambiato nulla.
Fu un cavo elettrico a far partire
l’incendio; o meglio, il
topolino che ebbe la splendida idea di rosicchiare
l’invitante guaina di gomma
che avvolgeva i fili ad alta tensione, fece sì che
scoppiasse l’incendio, in
quella palazzina nella periferia cittadina.
Lì, all’ultimo
piano,nella stanza dalle pareti umide e il
soffitto sgocciolante per le infiltrazioni, bastò il
contatto di una scintilla
con qualche goccia d’acqua perché la moquette
stantia diventasse un praticello
di fuoco.
Le fiamme, man mano che inghiottivano
sedie, mobiletti,
oggetti sparsi sul pavimento e quant’altro stesse
nell’angusta camera,
aumentarono di grandezza e intensificarono il loro calore.
Il fuoco divampò ben
presto anche nella rampa di scale, e
fortunatamente qualcuno se ne accorse e diede l’allarme.
I passanti fecero appena in tempo ad
accalcarsi intorno
all’edificio, come avvoltoi curiosi su una preda, che
già le fiamme lambivano
l’ultimo piano nella sua interezza e anche il tetto.
Il vociare era sempre più
intenso, in mezzo alla folla, e
cominciarono anche a distinguersi le imprecazioni feroci degli
inquilini della
casa, che rischiavano di, o stavano per, perdere la loro dimora.
D’altronde, era anche una
bella fortuna che i pochi
affittuari degli appartamenti attualmente incendiati, fossero tutti per
strada,
al sicuro.
O quasi…
« Aiuto! Per favore,
qualcuno salvi il mio bambino!! » la
tipica signora che durante un incendio dimentica il figlioletto in
casa, era
trattenuta a forza da due passanti, che le impedivano di gettarsi tra
le fiamme
« per favore qualcuno salvi il mio bambino!!! »
implorava, piangendo e
dimenandosi.
Gli spettatori, lì
intorno, scuotevano la testa con dolore,
chi con più o meno sincerità. Cominciarono a
serpeggiare commenti sconsolati:
« povera
donna…una vera disgrazia.. » mormorò
una
vecchietta, portandosi una mano al volto.
« Già. Una vera
tragedia. » commentò un omone alla sua
destra, con fare colloquiale « che iella che in un quartiere
tanto lontano dal
centro i vigili del fuoco ci mettano tutto questo tempo ad arrivare!!
».
« P-p-permesso, per
f-favore…» balbettò una vocina alla
destra dell’uomo, ma in mezzo alla bolgia
tutt’intorno, finì per essere
totalmente ignorata.
Una donna alle spalle
dell’uomo sentì doveroso dire anche la
sua: « sono in casi come questi, dove la gente comune non
può arrivare, che ci
vorrebbero dei veri eroi! »
« Ah sì, come ai
vecchi tempi! » sospirò la vecchietta, con
nostalgia. In molti tra i presenti annuirono, partecipi.
« c-chiedo scusa, io dovrei
p-proprio passare…! ».
«
Com’è vero! »
s’infervorò l’omaccione nerboruto,
agitandosi, senza nemmeno accorgersi di aver dato una gomitata alla
ragazzina
al suo fianco, che tentava disperatamente di sorpassarlo, «
ci vorrebbe un eroe
come quelli del passato, che in caso di pericolo scendevano
giù dal cielo in
picchiata e risolvevano il problema, di qualunque natura fosse la
calamità del
giorno!!! ».
Un coro di consensi si
levò tra la folla.
« Giusto! »
« Sì! Ci vorrebbe un eroe! »
«un eroe è ciò che
ci serve!! ».
« E-ecco, giustappunto, io
starei c-cercando di accontentarvi
ma… » la vocina fu ancora una volta ignorata. Ma
almeno la sua proprietaria
riuscì a sgusciare tra i presenti, fino a sbucare nella
zona, tra la folla e
l’incendio stesso, dove non si trovava nessuno tranne qualche
intraprendente
cittadino con un secchio d’acqua in mano,
nell’intento disperato di, come
minimo, rallentare le fiamme.
Fu uno di questi che, vedendo la
ragazzina in quella zona
tanto pericolosa, pensò bene di andarla a scacciare:
« Tu! Ehi tu! »
urlò, infastidito dall’incoscienza della
mocciosa « ma ti pare un posto dove venire? Come ti salta in
mente di spingerti
fino a qui, eh?! Torna subito indietro! ».
La ragazzina in questione,
probabilmente una liceale, a
giudicare dalla cartella che portava sulle spalle, sobbalzò
di colpo agli
avvertimenti dell’uomo.
Le luci rossastre del fuoco che la
illuminavano, non
facevano altro che sottolineare il biancore della sua pelle e
soprattutto degli
occhi grigio perla, in quel momento spalancati per la sorpresa. I suoi
lunghi
capelli scuri ondeggiavano al vento, tanto da farla somigliare a uno
fantasma
malvagio, di quelli che appiccano gli incendi per gioco o per vendetta.
L’uomo con i secchi, avanti
con gli anni e superstizioso di
natura, quasi pensò davvero
che
quella ragazzetta, con gli occhi opachi e sgranati e quella frangetta
spiovente, che si avvicinava con tanta noncuranza a un edificio in
fiamme,
potesse essere realmente un spirito incendiario.
Ma quell’espressione piena
d’ansia, totalmente sprovvista
del minimo sentore di perfidia, non poteva assolutamente non
appartenere a una
brava ragazza. Forse era solo un po’ scema o ritardata.
« Allora?! Vuoi deciderti
ad andartene? » domandò ancora
l’uomo, con feroce preoccupazione « se per caso eri
una di quelle persone che
stavano all’ultimo piano, sappi che ormai è troppo
tardi per salvare qualsiasi
tipo di avere. ».
La ragazzina aprì e
richiuse la bocca un paio di volte,
facendone uscire solo sconnesse monosillabi: «
no…io non.. v-veramente non … ».
Poi si bloccò, stringendo
le labbra, e parve prendere
coraggio. Tutto il coraggio di cui disponeva. Prese fiato, strinse
convulsamente i manici della cartella tra le dita affusolate e infine,
con gli
occhi serrati, urlò, sebbene la sua voce apparisse comunque
debole: «
Ascoltatemi!!! » vociò, perdendo tutta
l’aria che aveva nei polmoni già con
un'unica frase « ascoltate per f-favore!!! ».
Stavolta la folla parve degnarla di
una qualche attenzione,
seppur non si potesse dire che pendessero esattamente dalle sue labbra.
Lei
riprese, ma stavolta con meno foga, perché intimorita dalla
moltitudine di
sguardi (anche irrisori) che la fissavano:
« Io sono qui per risolvere
la s-situazione! Vi prego di
n-non ostacolarmi e di collaborare! ».
Il silenzio più vuoto
accolse questa sua affermazione, e se
non fosse stato per i riverberi rossi del fuoco che si riflettevano
sulla sua
pelle chiara, tutti si sarebbero accorti che la ragazza era arrossita
come un
papavero.
Una voce sghignazzante si
levò nel silenzio:
« ehi, aspirante eroina,
non ti sei ancora presentata! ».
sporadiche risate si diffusero tra i membri più cinici del
capannello.
La signorina dagli occhi bianchi si
fissò i piedi, nel
panico. Si era dimenticata della parte più importante. O
forse, più
probabilmente, aveva cercato disperatamente di rimandarla il
più possibile.
Prese un’altra volta fiato e coraggio, per la sua
presentazione.
« Io s-sono Super Hinata!
» soffiò, cercando di non
mangiarsi le parole.
Stavolta il coro di risate fu
più corposo.
Super Hinata non perse neanche tempo
a volgere lo sguardo di
fronte a sé, per squadrare i volti ghignanti del suo
pubblico. Si voltò
semplicemente tenendo lo sguardo basso, e con passo veloce, quasi la
sua fosse
una fuga, si gettò verso l’edificio in fiamme,
infilandosi nella porta.
Inutili furono le grida
dell’uomo dei secchi, che tentò invano
di fermarla.
Hinata era già per le
scale.
Un denso fumo nero le avvolse la
testa già a partire dal
primo gradino, e quando fece per afferrare il corrimano,
riuscì a bloccarsi
appena in tempo, accorgendosi che il rivestimento in plastica di
quest’ultimo
si stava sciogliendo.
Fece qualche altro gradino, tossendo
e sbuffando, con le
lacrime agli occhi per il bruciore , poi si rese conto che contare
sulle sue
naturali forze, in quel frangente, non era assolutamente sufficiente:
di fronte
a lei, il pianerottolo aveva totalmente preso fuoco.
Valutò velocemente le sue
opzioni d’azione e decise,
sperando di aver fatto la scelta giusta.
Inspirò forte col naso,
raccogliendo parecchia cenere oltre
che ossigeno, dopodichè si gettò verso le fiamme:
« Super soffio congelante!
» gridò, appena prima di finire
arrostita, e soffiò fuori una coltre di vento e nevischio
direttamente dalla
bocca.
Il fuoco si congelò.
Attenta a non tagliarsi col ghiaccio
acuminato, Super Hinata
corse oltre il pianerottolo.
Una volta raggiunto
l’ultimo piano, cominciò ad udire le
disperate urla del bambino intrappolato.
Le seguì con
concentrazione, ed esse la condussero davanti a
una porta in fondo al corridoio.
« S-super calcio!
» schiamazzò impacciata, prima di sfondare
la porta con una pedata ben assestata. I cardini volarono via e il
legno si
frantumò in mille schegge.
All’interno
dell’appartamento, aveva preso fuoco quasi
tutto. Ma un bambinetto che non poteva avere più di otto
anni, nascosto sotto
il tavolo, alla vista di Hinata rinnovò le sue richieste
d’aiuto.
La ragazza si fiondò su di
lui, e prendendolo in braccio
senza il minimo sforzo, corse verso la porta. Sfortunatamente, non fece
in
tempo a raggiungerla che un mucchio di travi crollò,
sbarrando la via di fuga.
Super Hinata si guardò
intorno, affannata: doveva trovare
un’altra via d’uscita.
L’occhio le cadde
automaticamente sulla finestra, che si
apriva sul cielo blu notturno, in risalto in mezzo a tutto quel cremisi
brillante delle fiammate.
Si precipitò verso la
finestra, e aveva già appoggiato un
piede sul davanzale, pronta a buttarsi, che la colse il dubbio:
Stava per buttarsi giù
dall’ultimo piano di un palazzo. Lei
non conosceva ancora i suoi poteri abbastanza bene per sapere se, una
volta
atterrata, le sue gambe sarebbero state abbastanza
“super” da sostenere l’impatto
col suolo o se, ed era un ipotesi assai sgradevole, si sarebbero
completamente
spappolate sull’asfalto.
Guardò sotto di
sé, oltre il davanzale.
Le persone, piccole come formiche,
stavolta erano affiancati
dai camion dei pompieri, ma anche essi apparivano minuscoli e lontani,
a
quell’altezza.
Hinata deglutì.
Le sue gambe non erano mai state
molto “super”. Ogni volta
che incrociava nei corridoi della sua scuola il ragazzo che le faceva
palpitare
il cuore, loro cedevano quasi completamente. La abbandonavano anche
quando suo
padre la sgridava.
L’avrebbero tradita anche
quella volta?
Il bimbo che teneva tra le braccia
singhiozzò.
Bé, esisteva uno solo modo
per verificare. Hinata uscì dalla
finestra, e si mise in piedi sul cornicione, in equilibrio.
Oh, andiamo. Se le sue gambe non
sopportavano le sfuriate
del padre o l’emozione per un ragazzo, dovevano per forza
compensare con una
abilità di qualche genere, no?
Chiuse gli occhi e si
gettò.
La sensazione che dava avere il vuoto
sotto i piedi era
raggelante. Super Hinata sentì lo stomaco risalirle verso i
polmoni. Poi,
improvvisamente, il suolo.
Ammortizzò bene, al primo
impatto.
Ma una volta poggiati entrambi i
piedi per terra, scivolò
sul bagnato lasciato dai secchi sgocciolanti, e cadde col sedere per
terra.
Il bambino però stava
bene, pensò Hinata con sollievo, prima
che un calo di pressione le riempisse il campo visivo di macchie rosse,
facendole perdere momentaneamente vista ed energie.
L’udito però le
era rimasto, e anche il tatto. Sentì che il
bambino le veniva sottratto dalle braccia, e udì le urla di
giubilo della
madre.
A quel punto, sicura di aver compiuto
la sua missione, poté
permettersi di perdere completamente i sensi, con un sorriso beato
stampato in
viso.
Si riprese una decina di minuti dopo.
Una qualche anima
buona l’aveva sistemata contro il muro, facendola sedere con
il busto eretto.
Riaprì gli occhi, e li
richiuse subito dopo, in preda alla
vergogna: la folla di prima le stava tutta intorno, fissandola.
« Ehi, signorina, prendi un
po’ di acqua e zucchero, che ti
riprendi per bene! » disse qualcuno, porgendo un bicchiere.
Acc. Troppo tardi, avevano capito che
era sveglia. Dischiuse
timidamente gli occhioni e accettò con garbo
l’acqua che gli veniva tesa. Bevve
tutto d’un fiato.
Scorse oltre la folla i pompieri
all’opera, che spruzzavano
acqua su ciò che rimaneva della palazzina.
« i-il bambino sta b-bene?
» domandò, quando ebbe svuotato
il bicchiere. Il gruppo annuì, e lei sorrise di nuovo, certa
al cento per cento
del suo meritato successo. Per una volta, aveva fatto tutto per bene!
Peccato che non tutti fossero dello
stesso parere:
« senti un po’,
ragazzina, ma se sei davvero una super
eroina, e a quanto pare lo sei, per non c’è lo hai
fatto capire da subito? Di
primo acchito ci ai fatto solo mettere tutti in ansia! ».
« Giusto! »
aggiunse qualcun altro « pensavamo ti stessi
buttando nella casa in fiamme per suicidarti! ». Molti altri,
in mezzo alle
fanfare, fecero commenti simili.
« m-m-ma io.. »
balbettò Hinata disperata « ve l’ho
detto
chiaramente fin dall’inizio! ».
« Eh! Ma ti pare che uno si
può fidare solo delle parole!...
» « …uno che fa il supereroe deve farsi
riconoscere volando giù dal cielo…»
« …
e deve avere un costume con la sua iniziale sul
petto…» « …mica deve
balbettare…»
« …gli eroi sono fieri e
carismatici…».
I commenti erano tutti analoghi.
Hinata avrebbe voluto tapparsi le
orecchie e sprofondare.
Possibile che ciò che faceva non fosse mai abbastanza? Mai
abbastanza per nessuno?
Va bene, lei era timida, e la
timidezza non si aggiudica a
un eroe, ma la sua missione di coraggio l’aveva svolta
comunque e con un certo
successo no?
Il bimbetto cui aveva salvato la vita
le si avvicinò, quatto
quatto. Dopo averla fissata a lungo esclamò, con
strafottenza:
« Bà, non hai
nemmeno il mantello! ».
Quello era veramente troppo.
Hinata fuggì via,
coprendosi il viso con le mani.
La folla, intenta in una discussione
di gruppo su come un
supereroe dovesse o non dovesse essere, non si accorse nemmeno, della
sua fuga
repentina.
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