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La compagnia dei morti
Fuoco
su fumo, fumo
su fuoco—erano il segnale di un altro ordine. Per questo
anche una criminale e
una marine ebbero la possibilità di un accordo,
benché fragile e rischioso. Nel
nuovo sistema di quella malformata relazione l’entropia
aumentò a dismisura dal
primo contatto tra i poteri delle due protette del Diavolo.
Quando
Anne
toccava Smoker e faceva prendere fuoco alle proprie mani, il fumo
reagiva in
maniera quasi automatica: dei viticci grigi risalivano sulle mani di
Anne e cercavano
di controllarne le fiamme. Era una sensazione piacevole, come immergere
i polsi
nell’acqua tiepida, come mettersi sulle braccia un maglione
riscaldato dal
calore di qualcun altro mentre infuria un freddo del diavolo. Anne
aveva
dimenticato da tempo quelle sensazioni, e quando per la prima volta il
fumo di
Smoker le aveva provocato una scossa di sorpresa, allora si era
ricordata di
quanto fosse gradevole sentire caldo proveniente da qualcun altro.
Essendo lei fuoco, le sarebbe stato difficile trovare qualcuno che
riuscisse a
darle calore concreto: da tempo, comunque, Anne aveva trovato i suoi
fratelli
di ciurma che, col Babbo, le avevano rivoltato il cuore grazie
all’affetto.
Smoker
non poteva
bruciarla, ma poteva restituirle, di riflesso, un tepore piacevole.
Per
le mani di
Anne tutto il resto del mondo era freddo: Smoker, involontariamente,
riportava
alla memoria la sua infanzia—Sabo aveva sempre avuto le mani
caldissime e lei
non lo ricordava o meglio lo ricordava nel suo subconscio cattivo ed
egoista e
meschino e schivo e—Smoker, involontariamente, la riportava a
un tempo in cui
era stata felice con i suoi due fratelli di cuore. In questo momento,
distante ere
geologiche da quando era piccola, si trovava a inseguire un uomo (un
bastardo)
che le aveva tolto un caro amico (un fratello di ciurma). Tornare
temporaneamente a quello stato felice di condivisione delle
difficoltà era uno
shock: il suo corpo cominciava a ricordare il tepore delle mani di
Sabo, il suo
fiato, la sua voce, la voce di Rufy, i suoi occhi, il suo sorriso.
Smoker
diventava il tramite con un mondo oltre il nostro e anche per questo
Anne non
poteva fisicamente smettere di frequentarla nel breve periodo.
Il
potere del Diavolo
del commodoro reagiva spesso senza che Smoker lo controllasse, ma a
volte
qualcosa sembrava incepparsi e Anne bruciava, in attesa di quel
miracolo di
intercessione che non arrivava per chissà quale motivo.
«Smokie,
perché a
volte non reagisci al mio fuoco?»
Smoker
l’aveva
guardata attentamente negli occhi, cercando la domanda implicita.
«Vuoi la
risposta sincera? Ti avviso, non ti piacerà.»
«Non
importa.
Rispondimi.»
«Tu
parti per il
tuo mondo, a volte, ed è il mio fumo ad alimentare i tuoi
viaggi mentali.
Riesco a sentirlo nella mia forma Rogia e non mi piace per niente. Per
questo
cerco di trattenermi.» Smoker sbuffò –
non per la noia, ma per quell’enorme
seccatura di una ragazzina criminale che stava lì al suo
fianco. «Che cosa ti
succede quando il mio fumo tocca il tuo fuoco, marmocchia?»
Accidenti.
Conoscendo almeno un pochino Smoker, si sarebbe dovuta aspettare sia la
verità
sfacciata che la domanda.
Anne
titubò finché
poté, ma poi capì che non ne sarebbe uscita, se
non avesse detto almeno un
pezzetto di verità. «Mi vengono in mente cose
della mia infanzia.»
«Voglio
sapere.
Non voglio essere il tramite di cose che non conosco.»
«Non
posso
parlarne.»
«Perché
no?»
«È
troppo
doloroso,» disse Anne con un filo di voce,
«risparmiamelo.»
«Tch.
Fa’ come
vuoi.»
Smoker
le dava ora
le spalle. D’accordo, la sua schiena era comunque una bella
schiena, ma
qualcosa diceva ad Anne che si era lasciata scappare
un’occasione.
Anne
mise una mano
tra le scapole di Smoker e fece prendere fuoco alle proprie dita. Non
ci fu
reazione. Le piccole lingue di fuoco mordevano e nulla rispondeva.
Anne,
frustrata, arrabbiata e addolorata, aumentò la temperatura
delle fiamme. Ancora
nulla. O meglio, sulla pelle di Smoker ora c’era un marchio
che se ne sarebbe
andato via con il primo soffio di fumo.
L’occasione
era
scivolata via come l’acqua tra le mani, come il tempo tra i
granelli di sabbia.
Anne
aveva parlato
di cose della mia infanzia. Si
trattava di ricordi racchiusi in un piccolo angolo del suo cuore: da
quando
Sabo era morto, Anne aveva sigillato le memorie di quel periodo lontano
in
modo tale da non esserne affetta mortalmente. Ogni tanto lasciava che
il
sorriso di Sabo si impadronisse di lei, e allora stringeva il proprio ASNNE
d’inchiostro sotto le mani e sospirava. Quelli erano stati i
suoi primi tempi
sul mare.
Alla
morte di Satch
tutti quegli episodi che aveva conservato nell’inconscio
erano
riaffiorati e il dolore era stato tale da portarla sull’orlo
del delirio di un
moribondo. Satch e Sabo si erano sovrapposti uno sull’altro
anche in quella S
tatuata e la testa di Anne aveva girato come in una danza di marmocchi
in fiera
e le gambe avevano ceduto e gli occhi si erano inumiditi e il pianto
non
l’aveva liberata da alcunché. E, e, e, gli eventi
si erano susseguiti con una
lentezza esasperante che glieli aveva fatti rivivere in una
rapidità e
un’intensità da attacco cardiaco.
Anne
aveva bisogno
dei propri ricordi, ma ne aveva molta paura. Il solo pensare a Sabo o
Satch la
riempiva di odio per se stessa e di un forte rimorso. Quando, con il
fumo che
Smoker incarnava, aveva avvertito calore, Anne aveva pensato per prima
cosa a
Sabo e Rufy, e poi a Satch e Marco.
La
contraddizione
le stringeva il cuore in una morsa. Amava il calore sulla pelle, questo
sì; ma
rivivere quei ricordi—era meraviglioso e doloroso allo stesso
tempo—era la tortura
di chi trova giusto sentirsi colpevole e responsabile per tutto il male
attorno.
In
tutto questo, Smoker
era la sua Caronte dagli occhi di cinigia, diremmo noi da un altro
universo:
tuttavia non sarebbe mai una definizione esatta, perché
Smoker non era una guida, bensì
l’incenso che apre il varco tra i mondi, la tempesta
epifanica. Perdere lei
significava perdere l’opportunità di
sentire
di nuovo calore concreto, che nulla toglieva all’affetto dei
suoi compagni (dei suoi fratelli)
– anzi, forse lo
rendeva ancora più consapevole.
Doveva
risolvere
la questione con Smoker. Stava diventando pazza – avrebbe
fatto prendere fuoco
all’intera nave, se necessario, perché il fumo si
manifestasse di nuovo.
«Cosa
ti avevo
detto, marmocchia? Mi sento sfruttata.»
«Non
devi. Non lo
sei. Non al di fuori dei termini che abbiamo stabilito.»
«Così
dici, ma la
situazione non cambia.»
«Cambierà.
Dammi
una possibilità.»
Anne
stava
mettendo alla prova la fiducia di entrambe davanti a una
Ma’at a cui porgeva un
cuore di piombo.
Allungò
una mano
verso il collo di Smoker. Le dita erano già roventi prima di
toccare la pelle
del commodoro, che non si mosse di un solo millimetro, non
sbatté le palpebre,
forse non respirò. A contatto con le lingue di fuoco il suo
collo prese fumo
con un lungo sibilo. Entrambe avvertirono la sensazione di calore
diffondersi
di cellula in cellula – come se potessero percepire ogni
microscopico elemento
dei loro corpi.
Era
un tepore
piacevolissimo.
Non
era fusione
col fuoco e col fumo: il fumo era un mezzo che creava calore e quello
era
colore nei ricordi scialbati di Anne. Mordeva. Il suo corpo azzannava
il cuore
per obbligarlo a proseguire. Che cosa doveva Anne a Smoker? Non era
meglio
infierire e tirar fuori altri colori per le proprie memorie?
«Non
sei vile. Non
diventarlo.»
Era
stata una voce
lontana e demonica a parlarle.
Il
tocco leggero
di Anne divenne una presa da strangolamento. Smoker si
sublimò in fumo e quello
fu il sublimarsi dell’esperienza di Anne. Trascorsero solo
pochi secondi
prima che Smoker si addensasse di nuovo nelle proprie fattezze e
bloccasse la
giovane sotto il proprio peso.
La
terra si era
sollevata e ne erano usciti i morti, ma Anne aveva perso
un’altra occasione.
«Smokie,
prometto.»
«Cosa
ci guadagno,
da tutto questo?»
«Se
non ci riesco,
me ne vado. Per sempre. Prometto.»
Smoker,
nell’osservare Anne, sembrava un gatto che guarda oltre
l’occhio del proprio
umano, cerca di capire
oltre, arriva a cogliere qualcosa ma non riesce a dire –
a decifrare – quello che ha scoperto, come un Poignee Griffe
ai suoi occhi di
non iniziata.
«Voglio
fidarmi
un’ultima volta,» rispose Smoker, «e non
lo faccio per te.»
«Per
chi? Per te
stessa?»
«Sì.
Non posso
aver sbagliato così tanto nel mio giudizio.»
Anne
sorrise.
L’avrebbe morsa e abbracciata se Smoker non le avesse
inchiodato i piedi con
quegli occhi da Atena glaucopide.
Stavolta
Anne
aveva una strategia. A furia di provarci e di fallire, aveva capito
come
combattere quel delirio febbrile che l’assaliva quando il
calore le inumidiva
le dita. Mise una mano su quella di Smoker e l’altra nei suoi
capelli grigi: la
prima si arroventò, la seconda strinse forte.
Il
fumo reagì
prontamente, e quando i morti si mostrarono debolmente, come velati nei
suoi
occhi scuri, Anne strinse forte i capelli di Smoker. Capelli rimasero,
ma le
parvero i fili reggenti il varco tra memorie e presente.
Anne
vide
Rufy—Sabo—i loro tre bicchierini verso il cielo.
Strinse la sua accompagnatrice
al punto tale da rubarle un ringhio, che quasi riportò
l’io di Anne sulla nave
della Marina. Quasi: Anne stringeva ora la mano di Sabo nella propria
ed erano
dita bambine.
Forse
fu questo
rivedersi di nuovo piccola che riportò Anne da questa parte
dello squarcio.
Smoker
la stava
guardando (che novità): aveva la testa storta
all’indietro, tanto che il collo
sembrava del colore delle ossa pulite. La mano di Anne era ancora tra i
suoi
capelli, che in controluce avrebbero brillato come delle ragnatele
irrugiadite.
«Puoi
anche
smettere di cercare di rompermi il collo, adesso.»
Anne
sciolse la
presa e tentò, senza molto successo, di rilassare la
mandibola. Ansimava. Aveva
gli occhi di un ubriaco. Poi, sorridendo, spiccò un piccolo
salto per atterrare
sul petto di Smoker e abbracciarla.
«Grazie,»
le
disse, desiderosa solo di piangere o di dormire.
Il
cuore di Smoker
si turbò (in maniera forse un po’ maldestra, come
se non avesse previsto un
ringraziamento) e perse l’accordo. Il commodoro sciolse la
treccia di Anne e le
pettinò i capelli con le dita, in silenzio, senza
imbarazzare, senza rimproverare.
Il sentimento che provava per Anne non era né quello di
un’amante, né quello di
una madre o di una sorella – era qualcosa come
l’immagine proiettata dalla luce
dietro la nebbia, una figura sfuocata e inafferrabile. Ecco.
Inafferrabile era
il suo sentimento.
(Anne
si era
addormentata, alla fine. La sua stretta sul petto s’era fatta
molle e il suo
fiato più lento.)
Smoker
non credeva
che il proprio potere potesse nascondere sorprese simili –
forse Anne si
lasciava suggestionare dalla piacevole sensazione di fumo su fuoco?
Forse si
stava prendendo gioco di Smoker, la stava raggirando?
Anne
sembrava
sincera. Il buon intuito del commodoro non poteva sbagliare in una
situazione
del genere, quando in altri casi aveva capito subito a quale gioco la
marmocchia stesse
giocando – non perché fosse più facile
capirla, ma perché questa sembrava
proprio una situazione seria. Di importanza vitale.
Smoker
adagiò la
stupida addormentata sul letto e decise che per quel giorno ne aveva
viste a
sufficienza.
Quando
Anne si
svegliò, si trovò stretta tra il muro in legno
della cabina e il corpo di
Smoker, ancora nel mondo dei sogni (chissà cosa sognava, il
commodoro:
probabilmente tazze di caffè giganti bevute mentre mandava a
quel paese metà
dei propri superiori). Si ricordò di aver provato ancora
quelle belle
sensazioni della propria infanzia – i sogni di allora e le
fantasie del mattino
si intravedevano nel pulviscolo che galleggia nell’aria e che
si vede solo in
controluce.
Smoker
grugnì nel
sonno. Probabilmente stava davvero maledicendo i boss della Marina.
Come
diavolo faceva ad avere quella faccia scazzata perfino mentre dormiva?
Forse
era nata con quell'espressione? Pff.
In
ogni caso,
Smokie era
stata brava. Non solo era riuscita a invischiarla in quella relazione;
aveva anche trovato delle maglie rotte nell'angolino recintato del
cuore di Anne in
modo tale che la giovane potesse frequentarlo senza la paura di
rimanerci
intrappolata.
Da
qualunque
angolo venisse guardato, si trattava di certo di un atto
d’amore. Magari non
strettamente amore per Anne – improbabile, a dire il vero
–, piuttosto amore
per il dovere, per la giustizia, per il sentimento etico che Smoker
doveva aver
provato quando aveva permesso ad Anne di usarla come tramite con i
morti. Era
un sacrificio per amore dei propri ideali e della propria
integrità.
Anne
capì: quando
lei e Smoker cominciarono a frequentarsi, il commodoro (allora
capitano) aveva
mostrato pochi problemi nell’affrontare una relazione simile
perché si era
fidata del proprio istinto e del proprio giudizio. Con ottima fiducia
in se
stessa aveva deciso e si era comportata di conseguenza –
almeno così sembrava.
Un
animo forte e
un’anima vecchia. Al confronto, Anne si sentì una
nullità.
Quella
consapevolezza fu una scintilla, scoccata sul suo cuore già
provato da troppi
dolori e da troppi affetti. Su quella scintilla scrosciò una
sferzata di vento
secco che alimenta gli incendi estivi; improvvisamente, il suo cuore
riprese a
bruciare, ricordi e fantasia si sovrapposero per un solo istante e
un’altra
rivelazione la colse – che cosa ne
sai,
tu, di questa donna? Che cosa ne vorresti sapere? Credi davvero che una
marine
(una nemica!)—ma il tempo
trascorso ha dimostrato che non è come gli altri, e
che perfino i suoi sottoposti sono diversi—
Anne
scavalcò con
agilità Smoker e recuperò i vestiti che aveva
lasciato sulla sedia. Nello
scuotere la testa per riprendersi, notò di avere i capelli
slegati.
Non
poteva aver
sciolto la treccia, era troppo importante – troppo intimo
– perché l'avesse fatto
davanti a Smoker. Il panico di chi ha appena scoperto il fianco al
proprio
avversario fu tanto intenso che Anne desiderò bruciare il
legno sotto ai propri
piedi, lasciando affogare anche se stessa nello scrigno di Davy Jones.
Il
rimorso e la paura si intorbidavano vorticando.
Il
suo elastico
era sulla scrivania. Quando se ne accorse, Anne lo acchiappò
come se quel
pezzetto di gomma stesse per cadere in una voragine; poi si sedette sul
tavolo,
a gambe accavallate, e cominciò a intrecciarsi i capelli.
Voleva arrabbiarsi –
era stata preda di una furia cieca per due secondi, benché
le fosse sembrato un
tempo infinito – e far saltare in aria tutto. Lasciar perdere
il mondo intero,
salire a bordo del proprio Striker e allontanarsi dalla maledetta nave
il più
velocemente possibile, sì, lo desiderava con tutto il cuore.
Solo due freni
rimanevano ai suoi piedi, ed erano più pesanti di due ancore.
Avete
mai provato
ad astenervi dal godere della cosa (non della persona) che
più vi piace? Che
sia privarsi del cibo preferito, dell’alcol, del gioco, delle
sigarette, c’è un
momento in cui il fisico richiede attenzione. Il corpo, non lo spirito,
reclama
delle attenzioni che prima erano concesse senza remore: superato quel
momento
di crisi, l’organismo si adatta e oltrepassa quella che prima
era considerata
un’urgenza.
Anne,
seduta sulla
scrivania di Smoker, con i capelli ancora tra le mani, si trovava nel
mezzo di
una transizione simile. Aveva toccato di nuovo un calore che non
ricordava più
– lo aveva toccato nelle mani piccine di Sabo, le sue manine
da ragazzino, lo
aveva ascoltato nella risata di Rufy, nelle loro
particolarità che Anne temeva
di dimenticare solcando mare e tempo. Era stato commovente poter
tornare
nel cantuccio della propria testa dove aveva rinchiuso i propri ricordi
d’infanzia e abbracciarne dolcemente uno, uno soltanto, con
Sabo e Rufy e Anne
felici, insieme, pronti a vivere. Nel periodo in cui aveva vissuto con
loro, lo
spettro di una vita che non valeva la pena vivere era stato un incubo,
che
emergeva in pochi momenti e veniva subito scacciato da uno dei suoi due
fratellini.
Poter
tornare a
quell’armonia—a quella spensieratezza macchiata di
una prematura coscienza dell’esistenza—era
uno dei regali più belli e drammatici degli ultimi tempi.
Prima
di quella
notte, Anne aveva trovato altri motivi per vivere – Sabo,
ormai morto, Rufy, in
giro con la sua ciurma, Barbabianca e tutti i suoi figli e figlie. Ma
poter
ricordare sulla pelle (sulle dita!) il calore dei suoi due affetti
più grandi
era tanto doloroso da renderla felice: il dolore di una perdita
vergognosa come
quella di Sabo veniva accompagnato dal tenero ricordo di quegli anni
verdi come
i dintorni del monte Corbo.
Rivivere
quell’esperienza, però, era stato
devastannn—
Smoker,
nel sonno,
si voltò verso la scrivania e ringhiò di nuovo.
Le
due ancore
incatenate ai piedi di Anne l’avrebbero costretta in quella
cabina finché il
commodoro non si fosse svegliato. Allora le avrebbe parlato, avrebbe
risolto
tutti i conti che doveva saldare con quella testa calda di una
Cacciatrice
Bianca e si sarebbe ritirata come la marea – per scomparire
per sempre, una
volta per tutte. Non sarebbe scappata. Doveva dimostrare a una delle
poche
persone della Marina con un minimo di intelligenza morale che i pirati
non sono
tutti feccia. Non l’avrebbe fatto per Smoker –
anzi, voleva mettere in
difficoltà il commodoro, comportandosi in quel modo: voleva
complicare l’ideale
di giustizia e di lealtà che Smoker s’era
costruita nel corso degli anni.
«Perché
sei così
sconvolta? Cosa significa quella treccia?»
Ma
quella fingeva
di dormire? Era un cyborg? Si alimentava a sigari, come lo Striker con
le
fiamme? Che razza di donna, accidenti.
Siamo alla fine, posso anche dirtelo.
Anne
cercò in
tutti i modi di sembrare tranquilla: quando però
capì che Smoker non ci sarebbe
cascata, rispose: «Da piccoli eravamo in tre. È un
modo per ricordarmi di
loro.»
«Non
ricordi la
loro voce?»
«Guarda
che Rufy è
ancora vivo e l’ho visto da poco.»
«E
l’altro?»
«Chi
ti dice che
era un lui?»
«Hai
detto piccoli, non piccole.
Cappello di Paglia è in giro per la Rotta Maggiore a combinare casini, e tu tendi a nascondere
il tuo io dietro al plurale.»
«Dillo,
che hai
tirato a indovinare.» Esclamò Anne, cercando di
dissimulare il disagio dietro
uno schiocco di dita, una treccia ben fatta e uno stirarsi delle gambe.
«Senti,
Smokie, grazie per stanotte, ma adesso me ne vado. Per sempre.
Be’, a meno che
tu non decida di inseguirmi, ma a quel punto ti denuncerei per
molestie.»
«Quello
sarebbe il
mio lavoro, marmocchia.» Poi Smoker guardò dritto
negli occhi di Anne, come se
esistesse un modo per sezionare le emozioni con uno sguardo laser. La
sua voce
era ancora un po’ roca dal sonno. «Non riesco a
capire se la tua è paura o uno
stupido tentativo di farmi arrabbiare per avere la scusa per
andartene.»
«Ma
come? Io
pensavo che fossi contenta di vedermi sparire.»
«E
io pensavo che
sapessi leggere fra le righe.» La marine scosse la testa, si
passò una mano tra
i capelli e si alzò: in quella situazione poteva sembrare
una valchiria
statuaria e plastica. L’immagine incantata si
spezzò quando quella insultò
chissà chi tra i denti e si mise in bocca due sigari fumanti.
«Avrei
bisogno di
un tuo diario segreto, commodoro, ma sfortunatamente sono costretta a
prendere
sul serio qualsiasi cosa tu dica, perché altrimenti non ti
si capisce.»
«Qual
è il
problema?»
Sii precisa. Una stoccata, poi via.
«Che
non voglio
più mostrarmi debole davanti a nessuno. Tantomeno a te, che
sei
insopportabile.»
«Avere
sentimenti
è da deboli?»
Anne
rimase in
silenzio, perché (come al solito) Smoker non era stata per
nulla chiara. Certo
si sarebbe spiegata, ma non prima di osservare con cura la reazione di
Anne—gli
occhi che si mossero verso sinistra e un tremito in un pollice.
«Non
parlo di me,
né di te in generale. Parlo di quelli per i tuoi fratelli.
Ci voleva il mio
potere per tirarti fuori dei ricordi che prima ti facevano solo del
male e che
adesso ti fan felice? Questo sì che ti farebbe cadere in
basso, marmocchia.»
«Ma
tu non hai la
minima idea—»
«Un’idea
ce l’ho.»
Rispose Smoker, battendo giù il sigaro consumato nel
posacenere, con la voce di
chi vuol finire un dannato discorso e lo finirà, costi
quello che costi. «Non
sei l’unica a stare bene quando i nostri poteri si scontrano.
In breve: se
pensi di potermi sfruttare – perché è
quello che hai fatto, infrangendo il
patto – e poi di andartene senza darmi delle spiegazioni
ragionevoli, hai
veramente sbagliato persona fin dall’inizio.»
Sul
viso di Anne
comparve quel sorriso amarissimo di chi vorrebbe piangere e non ci
riesce. «Non
c’è nulla di ragionevole. È
tutto un groviglio. La verità? Tu sei la compagna
dei morti, per me. Non ho mai più sentito calore sulle mani
da quando posso
diventare fuoco. Il tuo dannatissimo fumo me lo fa percepire, e allora
riesco a
ricordare il mio passato – quando ero felice con i miei due
fratelli e
sognavamo di diventare pirati, e anche se a quel tempo ero felice, ora
non lo
sono. Mi fanno male. Non c’è ragione, ci sono solo
contraddizioni: altrimenti
non avrei cercato di strangolarti almeno un paio di volte.»
Poi Anne guardò
negli occhi l’altra donna e aggiunse: «Tu sei la
compagna dei miei morti e non posso
sopportare un
giorno di più la tua presenza.»
Smoker
non
sembrava sconcertata da quelle parole, ma doveva esserlo per forza.
Erano
termini troppo duri perché non la spaventassero un poco.
«Ti mancano loro o i tuoi
ricordi felici di loro?»
«Basta.
Ho
risposto.» Disse Anne, ora scocciata e impaurita dalla
propria confessione.
«Hai finito il tuo interrogatorio, Cacciatrice
Bianca.»
«Un’ultima
cosa.
Rispondimi sì o no. Non ho bisogno di altro.»
Anne
sbuffò.
«Hai
paura che tuo
fratello sia morto odiandoti?»
Silenzio.
Anne
cercò di rimanere il più ferma possibile. Solo
quando Smoker le si avvicinò
tanto da metterle le mani sulle spalle la giovane si
divincolò e scese dalla
scrivania con uno scatto da animale che sente invaso il proprio
territorio.
«Va
bene, hai
risposto anche così. Vattene. Ma ficcati in testa,
marmocchia, che ai bei tempi una
marea di cose era
incomprensibile. Diventare adulti non è un peccato: i tuoi
punti di riferimento
non cambiano perché i tuoi anni aumentano, ma
perché tu capisci di più il
mondo. Ripensare al passato dovrebbe servire a capire meglio le cose,
non a rimanere
attaccati a pensieri da bambini.»
«Questa
è una
bugia, commodoro.» Anne ridacchiò senza essere
divertita.
«Questo
è perché
non vuoi mettere in moto il tuo cervello, marmocchia.»
Aggiunse Smoker, prima
di acchiappare una mano di Anne e lasciare che le proprie dita
evaporassero su
quelle di Pugno di Fuoco. «Se tu lo volessi, potresti capire
molto di più di
quello che capisco io – anche di te stessa. Ma sei una
codarda.»
«Codarda
a me?»
«A te, marmocchia. Tieni nascosto il tuo
passato perché hai paura che la tua identità
finisca per essere la
sovrapposizione dei tuoi ricordi nel tuo presente, però ti
ostini a riviverli.
Rivivi quei momenti in cui eravate insieme in un misto di gioia e odio,
perché
hai paura che tuo fratello sia morto odiandoti.»
Un
altro silenzio,
un’altra risposta – anche se questa volta non le
era stata posta una domanda
direttamente. La mano di Anne ancora non aveva reagito al fumo che si
stava
aggrovigliando sul suo polso.
«Ti
perdi nel tuo
dispiacere e sei felice di odiare te stessa – è
una stupida giustificazione per
quello che hai o non hai fatto. Lo so perché ci sono passata
anche io, molto
tempo fa.»
«Vedi
che allora
sei vecchia, commodoro?»
«Non
te lo sto
dicendo per farti divertire, idiota.» Smoker prese un altro
sigaro, ma questa
volta fu Anne ad accenderglielo con la punta dell’indice.
«Lo
dici per
sembrare più forte di me.»
«Sei
dura di
comprendonio. Forte non significa chiudersi in se stessi.»
«Parla
Miss
Espansività.»
«Sai
benissimo
cosa intendo. Significa che dovresti occuparti dei tuoi ricordi.
Superarli. Non
lasciare che condizionino il tuo presente in questo modo – in
un altro, ma non
così.» Ci fu una breve pausa che preannunciava
l’ennesima spiegazione. Ancora
Anne non capiva per quale diavolo di motivo fosse arrivata a discutere
del suo
passato con quella maledetta impicciona di un commodoro: glielo
concedeva,
indagare era il suo mestiere e la sua ragione di vita, ma
quell’interrogatorio-monologo
dove e quando sarebbe finito? «I ricordi delle persone care
dovrebbero aiutarci
ad andare avanti, non a rimanere incastrati in vecchie idee o vecchi
sentimenti.»
«Non
mi dire cosa
devo fare. Non sono una dei tuoi sottoposti.»
«Pugno
di Fuoco,
credo proprio che tu sia stata superata in questo dalla mia seconda in
comando.
Tu hai la tua vita. Non devi nulla ai morti. Lasciali in pace. Non
richiamarli
in questo mondo.»
Che
occhi. Grigi
come due perle, taglienti come due spade di Ambizione.
«Io
devo tanto ai
miei morti. A Sabo, a Satch—»
«Sono
morti.
Lasciali riposare. Ricordali, porta avanti le loro volontà,
se ti può servire, ma
farti del male ricordando bei momenti non ha senso.»
Anne,
a metà tra
l’incredulo e lo sconvolto profondamente, riuscì
soltanto a sussurrare. «Perché
me lo dici?»
«Perché
non posso
essermi sbagliata così tanto, nel mio giudizio.»
Allora,
dopo un
momento di indugio, la mano della giovane prese fuoco,
un’ultima volta:
il fumo fu in grado di contenere le fiamme senza alcun problema. Quando
Anne
avvertì nuovamente il calore fisico e capì che
non ci sarebbe stata un’altra
occasione, decise di dimostrare a Smoker che anche lei sarebbe
diventata più
forte e avrebbe potuto imparare a convivere con le proprie memorie,
senza
relegarle in un angolo, senza venirne assalita ogni volta che cercava
di
assaporarle.
Nella
cabina c’era
un fumo tale da far venire le lacrime agli occhi. Non riuscivano
più a vedersi
in faccia, ma Anne pensò che di sicuro – di
sicuro – quella maledetta stava sorridendo con
l’aria di chi ha vinto una
sfida.
«Essere
forti non
esclude la possibilità di farsi aiutare. Bastava
chiedere.»
«Sì,
perché la
Cacciatrice Bianca avrebbe accettato di aiutarmi fin da subito.
Certo.»
«Solo
quando Pugno
di Fuoco avesse deciso di aver bisogno di
una mano.»
Fumo
e calore
schiusero le porte di fuoco del mondo. Non era più la nostra
Anne ad avere le
mani di Sabo bambino tra le proprie dita: era una piccola Anne, una
ragazzina, ad
abbracciare Rufy e a contemplare il sorriso e le voci dei suoi due
fratellini.
Anne
Pugno di
Fuoco stava osservando la bambina Anne dall’esterno, come
l’attrice di un film
che decide di riguardare il primo lungometraggio della propria carriera
– come
una scrittrice che torna a rileggere i capitoli che ha scritto. Non era
spiacevole: erano più apprezzabili i gesti della piccina, le
sue risposte ai
segnali mandati da Rufy o Sabo; dall’esterno poteva cogliere
tutti i movimenti
di uno e dell’altro senza doversi muovere. Era uno stato
contemplativo, in cui
Anne Pugno di Fuoco non poteva e non voleva agire – ci
pensava già la piccina, in
quella maniera un po’ schiva e un po’
contraddittoria che Anne riconosceva in
se stessa.
Lo
riconobbe come un
bel ricordo, anche se vissuto da quel punto esterno. Era separata dalla
bambina
Anne, ma non la sentiva come una mancanza – o meglio, era una
distanza che non
le toglieva più il fiato e non le pungeva più gli
occhi in lacrime.
Oh.
I loro tre
bicchierini di sake al cielo, tutti e tre finiti in un
sorso. L’alcol in gola –
Anne bambina doveva averlo sentito, ma Pugno di Fuoco non sentiva
più neanche
il bruciore di un liquore; la loro risata e la piccola lotta giocosa
che ne era
seguita, come se anche quella baruffa fosse il sigillo del legame che
avevano
deciso di ufficializzare con il sake.
I
tre bambini si
disfacevano piano piano negli occhi della nostra Anne. Il ricordo si
stava
spegnendo come una voce al termine di una canzone di strada, con un
tremolio di
languore. Quando Anne riprese coscienza di sé e
dell’ambiente circostante, per
prima cosa vide dei tralci di fumo riformare le dita di Smoker attorno
al polso
di Anne, poi vide la faccia serissima del commodoro, davanti a lei.
«Difficile?»
Anne
le fece una
linguaccia. La voglia di scappare via non era diminuita –
forse era ancora più
forte, visto che Anne non voleva proprio ringraziare quella maledetta
Cacciatrice
Bianca: allo stesso tempo andarsene non—non le sembrava
giusto. Non subito,
almeno.
Chissà
in che
direzione avrebbe puntato una bussola che indica ciò che
più si vuole al mondo.
Se solo ne avesse avuta una...! Ma certe fantasie non possono
avverarsi, e
forse per lei era meglio avere il beneficio del dubbio, in quel momento.
«Ora
puoi
andartene, marmocchia.» Smoker aveva parlato con
così tanta convinzione da
risultare non autentica – come se non volesse che Anne
sparisse di colpo.
«Adesso
sei tu a
mandarmi via? Volevi soltanto farmi una ramanzina?»
Smoker
predicava
bene e in genere seguiva i precetti su cui insisteva sempre, ma questa
volta
sembrava in difficoltà. Non sarebbe riuscita a esporsi e a
chiederglielo? Avere
sentimenti non è una debolezza, giusto?
«Solo
se è una
cosa seria. L’ultima cosa seria.» Rispose Smoker.
«Promettiamo?»
«Promettiamo.»
Anne
aveva creato
quella che davvero fu l’ultima occasione – ecco
quanto era migliorata. Consumarono
tutto il tempo che avevano a disposizione per dedicarsi a sé
e all’altra in un
intervallo sospeso nel tempo dell’esistenza: quando il fuoco
e il fumo si
toccarono di nuovo furono le carezze profonde di chi sa che la mancanza
del
contatto sarà terribile ma si sfalderà a lungo
andare.
Si
amarono completamente
senza che tra loro ci fosse amore completo (o anche solo amore a
metà); si
chiamarono per nome perché era la più immediata
forma dell’io a cui si può
arrivare, benché
imperfetta—incompleta—parziale.
Il
sole stava
sorgendo dal mare quando Anne si sollevò dal letto
– o cercò di alzarsi, perché
un braccio di Smoker che aveva indugiato sulla vita di Anne le aveva
fatto
perdere l’equilibrio: così la giovane era finita
di nuovo sul petto del
commodoro.
«Cos’hai
da
ridere, ragazzina?»
«Senza
volerlo
dare a vedere, sei carina. A modo tuo. Ma lasciami andare,
adesso.»
«Sei
tu che sei
scoordinata,» rispose Smoker, evitando di mostrare il proprio
imbarazzo (il che
le riusciva in genere abbastanza bene).
Anne
le fece
un’altra linguaccia. «Se ti piacciono le ragazze
goffe, dovresti fare un
pensierino sulla tua seconda in comando.» Schioccò
un bacio innocente sulle
labbra di Smoker e poi si alzò per lasciare definitivamente quella cabina di quella
nave della Marina.
Mi mancherà, pensarono
entrambe. Non fraintendiamole:
non perché ci fosse amore tra loro. Si trattava del fuoco e
del fumo, del
rispetto che ognuna aveva per i propri ideali, del coraggio che avevano
mostrato in quella relazione non meglio definita e non meglio
definibile.
Provavano nostalgia del contatto prima ancora di allontanarsi.
«Fa’
la brava,
Smokie. Non farti venire un’ulcera per lo stress.»
«Tu
non farti
ammazzare troppo presto.» Rispose Smoker, con quel ghigno da
arrogante persona
sveglia che ogni tanto le compariva sul viso.
«Non
te lo
garantisco.»
Poi
Anne sparì
fuori dalla finestrella della cabina in una nuvola rossa di fuoco. Lo
Striker
ruggì e la giovane uscì dalla vita di Smoker per
diverso tempo.
Quando
vi rientrò
fu con gran prepotenza, in un pessimo momento e per una ragione
terrificante.
Eugenetica, mai sentita nominare? Una ragione fuori di senno, anche
quando
attuata contro un pirata.
«Le
colpe dei
padri ricadranno sui figli,» disse Smoker, ad alta voce,
mentre fumava una
sigaretta assieme a Hina – entrambe erano rimaste in silenzio
da quando la
battaglia (la guerra) si era
conclusa. «Cosa dicevano quei vecchiacci, Hina?»
«Va’
e non far più
del male.» Rispose Hina, la Gabbia Nera. Le sue nocche erano
bianche come latte
e dure come l’acciaio, e avrebbero spaccato un muro di
Marijoa, se lei ne
avesse avuto l’intenzione.
«No,
prima di
quello. La parte che tutti sanno.»
«Chi
non ha fatto
del male colpisca per primo.»
Ecco:
Va’ e non far più del male
aveva più
senso, ora. Peccato che nessuno ricordasse tutta la storia. Ci si
limitava a
citarla per sentirsi sollevati da ogni colpa, mentre tutti i dolori
provocati
sarebbero ritornati, ritorti e molto arrabbiati.
Ci
pensava
ancora—non era salutare, per lei, ma nonostante tutto ci
pensava ancora. In
quanto a volersi male, Smoker aveva avuto ottimi insegnanti nel corso
della
propria vita: quella marmocchia forse era stata la sua maestra
più brava.
(Non
si erano
lasciate in una brutta maniera. Non era doloroso: forse malinconico,
questo sì.)
Lei,
la compagna
dei morti, ogni tanto pensava ai propri defunti e il fumo dei due
sigari che
aveva in bocca si contorceva, come le radici di un cipresso che
divelgono una
pietra tombale e si arricciano su un epitaffio. Le parole si annerivano
della
terra e Smoker si sentiva leggera più della cenere che
soffiava fuori dalla
finestrella della propria cabina. Immaginava che la polvere fosse
quella dei
corpi bruciati delle persone che aveva amato e rispettato, e che
spargerla sul
mare fosse il gesto più—giusto?—che
potesse compiere nei loro confronti.
Certe
memorie
infestavano i suoi sogni. Smoker era capace di avvertire il calore di
una tazza
di caffè o del sangue: ciononostante provava nostalgia al
ricordo delle mani di Anne,
perché emanavano un calore particolare – certo,
questo era dovuto al potere del
Frutto, ma come poteva dissociare l’alta temperatura e la
persona che la
emetteva, quando quello stesso ricordo era tenuto insieme soltanto da
una fioca
forza di volontà?
A
volte – di rado,
certamente – Smoker era
debole.
Debole e in continua contraddizione con se stessa: con i propri
pensieri, non
con il proprio istinto morale. Allora prendeva la cenere dei sigari e
la
rovesciava nel mare.
Sapeva
che certe
memorie dovevano infestare i suoi sogni, ma a
differenza di qualcun altro Smoker aveva imparato a
sfruttarle per migliorarsi
e irrobustirsi. Le prendeva con le proprie mani di fumo e le
accompagnava
nell’angolo morto della propria mente: le abbandonava
lì per qualche tempo.
Quando tornava a recuperarle, alle sue spalle spirava un vento di mare
che
assottigliava la sua proiezione eterea, ma non riusciva mai a
sconfiggerla e a
diradarla completamente.
La
traghettatrice
non si permetteva mai di naufragare—doveva combattere contro
le correnti e le
tempeste, ma era—giusto. Aveva persone di cui fidarsi, a cui
affidare le vele e
le funi. I morti si manifestavano sulla linea dell’acqua e
ogni tanto uno di
loro veniva sbattuto sul fianco del suo traghetto: nessuno,
però, poteva
valicare di nuovo il confine.
Era
sospesa tra
due mondi ma rimaneva stabile sui propri piedi. Questo certo non vuol
dire che
non avesse la propria parte di rimpianti o di rimorsi; a volte (di
rado, di sicuro) non raccogliere il
riflesso
di una persona amata o un profilo che emergeva dall’acqua e
sembrava parlare,
lasciarlo al grembo marino, tutto era una tortura—erano lupi
che la mordevano
nella bonaccia sdentata.
⁂
⁂
⁂
Dal
rapporto che il
viceammiraglio Smoker aveva sotto gli occhi saltava fuori che ad
acquisire i
poteri del frutto Foco Foco, dopo la morte di Anne, era stato Sabo, il
secondo
in comando dell’armata dei rivoluzionari. Smoker conosceva
quel nome oltre il
titolo che portava: dunque la volontà di Anne era passata
nelle mani del terzo
fratello? Si trattava solo di un caso di omonimia? Dopotutto, Pugno di
Fuoco
stessa aveva detto, una sola volta e a bassa voce, che Sabo era morto
quando erano ancora piccoli.
Avendo
avuto a che
fare sia con Cappello di Paglia che con Pugno di Fuoco, Smoker era
quasi certa
che non potesse trattarsi di un caso: era lo stesso Sabo
dell’infanzia di Anne ed era l’ultimo fratello,
quello scomparso per un
decennio. La volontà di Anne era stata raccolta e, come un
fuoco di calce viva,
avrebbe resistito a tutta l’acqua del
mondo—finché non fosse finito l’ossigeno.
Non
ci fu gioia:
solo uno strano sentimento di timore, o qualcosa del genere, e non
perché ad
avere quei poteri fosse uno dell’armata dei rivoluzionari. Se
questo Sabo di cui si parlava nel
rapporto fosse stato davvero quel
Sabo di cui Anne aveva raccontato piccole cose due anni prima, Smoker
non
avrebbe mai voluto misurarsi con lui – né in un
duello, né in un discorso.
Rivedere Cappello di Paglia non era stato esattamente piacevole: negli
occhi di
Rufy rivedeva Anne e benché non avesse mai provato nulla,
per lei, al di fuori
del rispetto e del fuoco (del fuoco del calore delle mani—),
le memorie si eran
fatte più nitide quando aveva rivisto quel ragazzino a Punk
Hazard.
Ricordate
il
periodo di transizione in cui Anne si era ritrovata, quella mattina in
cui
sparì dalla vita dell’allora commodoro? Ecco,
Smoker (ora viceammiraglio) era
caduta in una condizione simile. Era riuscita a disintossicarsi in un
periodo
di due anni, si era tuffata nel proprio lavoro come se potesse ancora
nuotare
nell’acqua: dopo tutti questi sforzi era finita con un doppio
pericolo di
fronte. Sabo e Foco Foco sarebbero stati la sua nuova rovina, se non
fosse
stata cauta.
Smoker
avrebbe
voluto ridere per l’ironia della sorte: sperò di
non incontrar mai il secondo
di Dragon.
Qualcuno,
lassù o
laggiù, doveva odiare Smoker profondamente: il
viceammiraglio si trovò davanti
a Sabo per una serie di sfortunate coincidenze (ma il caso non poteva
esistere,
davvero) e furono costretti allo
scontro. Inutile dire che, quando fuoco e fumo si scontrarono, fu come
rivivere
Alabasta – ma Smoker era invecchiata così
tanto, in trenta mesi, e Sabo non era Anne. La sensazione non
era stata la stessa: Smoker era piuttosto brava a discernere i propri
sentimenti e quello non era esattamente ciò che il fuoco di
Anne le aveva
comunicato.
Anne
e Sabo
avevano un dolore affine, non identico: nel corso di dieci anni avevano
ricevuto un’educazione diversa l’uno
dall’altra e forse la diversa raffinazione
era una delle chiavi per identificare più precisamente le
loro sofferenze.
Smoker capì facilmente che alla base di tutto
c’erano esperienze che Anne e
Sabo, da piccoli, avevano condiviso, ma un decennio intero li aveva
separati, senza
possibilità di rimedio.
Il
fuoco
trasmetteva rimorso in entrambi i casi, ma mentre Anne lo aveva tenuto
nascosto, Sabo sembrava disposto a combatterlo a viso aperto. Sabo si
malediceva per non essere stato al fianco di Rufy e Anne quando ce
n’era stato
bisogno, ma si rivestiva di quel sentimento come se fosse stato
un’armatura di
Ambizione. Quello di Anne era stato un dolore completamente privato:
solo dopo
molto tempo e molte pressioni lo aveva mostrato a Smoker (e non glielo
aveva
celato solo perché quella era un commodoro della Marina, ma
soprattutto perché
era un’altra persona, un altro io). La sofferenza di Sabo era
personale, ma comprensibile a chi avesse deciso di osservarlo
attentamente – o
a chi avesse messo fumo sul suo fuoco.
Smoker
capì il suo
dolore quando lottarono. Sabo, dal canto proprio, avvertì
verso il fumo di
quella donna una forte spinta che non riusciva a spiegarsi. O che non voleva spiegarsi, visto che quella era
una marine. Che cosa diavolo aveva combinato Anne con una del genere?
Quante
cose Sabo non poteva capire della sua sorellona, neanche dopo aver
ottenuto il
fuoco che era stato suo?
Sabo
aveva
raccolto la volontà di Anne, però molto di lei
era andato perduto. Era desiderio
e compito dei due fratelli rimasti sostenere quello che lei aveva
cominciato. Dunque
qual era il pezzetto della vita di Anne che questo viceammiraglio
teneva
stretto tra le mani?
«Ho
conosciuto
Anne,» disse Smoker, dopo aver contenuto le fiamme di un
pugno di fuoco, «sono
stata la compagna dei morti. Tra i suoi morti c’eri anche
tu.»
«Lei
ora è tra i
miei.» Rispose Sabo. Aveva un’espressione rigida in
viso. «Non chiederò i
dettagli, ma—»
«Ti
ho detto tutto
quello che volevo dirti. Rispetta la decisione di chi ha dovuto
intercedere tra
morti e vivi.»
«Solo
una
domanda,» e un pugno ambizioso di Sabo colpì
Smoker nello stomaco, spezzandole
il fiato, «quanto di Anne è morto con
te?»
Il
respiro prima
del balzo.
«Non
molto. Ma ora
che hai questo potere tra le mani, potrai capire
com’è vivere senza poter più
sentire fumo e fuoco uno contro l’altro.» La voce
di Smoker era sottile, perché
il duello le infiacchiva le ossa e un po’ anche il cuore, o
forse la testa, i
ricordi, quel lavoro ingrato di traghettatrice tra i mondi e di
scassinatrice
di memorie chiuse come in una cassaforte. Non ci sarebbe stata una
seconda
volta. «Sarò sincera: l’incubo peggiore
che mi ero ripromessa di non vivere era
quello di combattere contro il successore di quel
potere.»
In
uno scatto
Smoker evitò l’ennesimo colpo di Sabo e lo stese a
terra con un calcio; il
sigaro che il viceammiraglio stava fumando cadde e si spense sotto il
tacco del
suo anfibio.
«So
che tu non
sarai così vile da chiedermi di mediare tra aldiqua e
aldilà.»
Il
manganello di
Smoker era puntato sullo stomaco di Sabo, che non poteva non respirare
debolmente a causa dell’agalmatolite. «Anne non era
vile!» Disse, in un sibilo.
«Lo
è stata. Una
volta sola.»
«Non
ti credo!»
«Credi
quello che
vuoi. Mi ha dimostrato di essere una brava persona, prima di essere una
stupida
criminale.»
Sabo,
infuriato,
strinse la punta del manganello con entrambe le mani e si
sforzò di resistere
all’impulso di vomitare intestino, cervello e anima. Con
enorme impegno riuscì
a sollevare l’arma dal proprio stomaco e a spostarla di
fianco, dove quella non
l’avrebbe raggiunto. Smoker non aveva tentato resistenze,
perché stava soltanto
studiando il ragazzino. I risultati della sua rapida analisi erano
contrastanti: da un lato riconosceva a Sabo una forza fuori dal comune
– per la
tenacia con cui sopportava le sofferenze e il rimorso, piuttosto che
per
l’essersi opposto al potere dell’agalmatolite
–, dall’altro questa volontà
ferrea avrebbe procurato alla Marina diversi problemi.
Sabo
inspirò
profondamente, si rialzò con un colpo di reni e
scagliò subito un destro
ambizioso contro Smoker. Pugno contro pugno, rimasero stretti in quella
posizione per alcuni secondi, sufficienti perché parlassero
ancora.
«I
nostri poteri
sono alla pari.»
«Hai
paura a
combattere contro di me?»
«Non
è paura, è
economia,» ribatté Smoker, con convinzione.
«Non
dicevi che
uno scontro con me sarebbe stato un incubo?»
«Non
ho paura di
te, ma voglio evitare di stare a contatto con il potere che ora tu possiedi.»
Sabo
finalmente
guardò Smoker – oltre
Smoker. Un
ricciolo di fuoco che si disegnò sui suoi capelli biondi
prese il volo e si
scontrò con un viticcio di fumo nato dalle ciglia di Smoker.
La scintilla venne
stroncata dopo qualche istante. Anche senza contatto tra i corpi, fumo
e fuoco
reagivano automaticamente e trascinavano con loro tutta una serie di
sensazioni—e a Smoker ricordavano così tanto Anne,
ma così tanto, il pensiero
la torturava con la nostalgia—
«Finiamola
qui.»
Dissero all’unisono. I loro pugni, ancora uno contro
l’altro, persero
l’Ambizione e scivolarono sui loro fianchi. Sabo e Smoker
erano diritti in
piedi, si fissavano, in silenzio.
«Niente
altro da
dire?» Domandò Sabo.
«Non
potrò
continuare a evitarlo. Prima o poi troverò la forza di
affrontarti.»
«Ci
conto,
Cacciatrice.»
Avere
debolezze
non le era mai sembrato così giustificabile.
Note Autrice:
Avevo
detto, da
qualche parte, che mi sarei soffermata sulla questione fuoco/fumo in
chiave
SmoAce. Leggere gli Ossi di seppia
di
Montale è stata l’ispirazione che ha portato a
questa shot. Sono in
genderbender perché in OP il genderbender è una
cosa magnifica. Giuro che prima
o poi scriverò SmoAce senza renderli donne. Forse. E magari
parlerò anche del passato what-if? appena accennato di
Smokie (ma sinceramente, sarebbe what-if? Perché Oda ancora
non ha detto niente? Lo dirà mai? Rivoglio lui, Tash e Hina
in scena, mannaggia...), se mai lo svilupperò decentemente.
Si
tratta di una
storia scritta soprattutto a ore assurde (incredibile la
quantità di
riferimenti mitologici e religiosi della prima stesura, la notte mi fa
uno
strano effetto) e in momenti intensi dal punto di vista emotivo: ho
cercato di
risistemare le contraddizioni nel testo in modo tale che fossero solo
dei
personaggi, e non della storia, lol.
La
canzone che mi ha accompagnato e che accompagna questa storia
è Disloyal
Order Of Water Buffaloes, della band Fall Out Boy.
Ci
sono molti
riferimenti a poesie di Montale della raccolta Ossi
di seppia (di sotto ne ho segnalati soltanto un paio per
spiegare
due cose che mi stanno a cuore). Se qualcuno volesse conoscere tutti i
rimandi
agli Ossi, sarebbe sufficiente
scrivermi, glieli spiegherei senza problemi. Non li scrivo qui
perché
altrimenti le note diventano seriamente infinite, e poi
perché magari qualcuno
vuole cercarli – esiste qualcuno con questi hobby? Io mi
diverto a seminare
indizi, ma mi chiedo se non ci sia qualcuno disposto a raccoglierli.
Di
seguito alcune note che credo possano tornare utili.
il
segnale di un
altro ordine › È il
segno di un’altra
orbita: tu seguilo. (Arsenio,
Ossi di seppia, E. Montale) Segnale,
in semiotica, è un segno motivato naturalmente, ma
intenzionale.
ordine
› si
intenda il cosmo (dal greco kòsmos,
che
vuol dire proprio ordine). Anche
un’altra dimensione, se rende meglio l’idea. Si
riferisce anche all’entropia di
cui si parla poco dopo.
protette
del
Diavolo › si riferisce al fatto che hanno entrambe poteri
derivati da Frutti
del Diavolo. Non so, è una perifrasi che mi sono inventata e
che mi piace un
sacco.
forma
Rogia ›
quando uno dei protetti del Diavolo che ha mangiato un frutto del tipo
Rogia si
trasforma nel proprio elemento. Mi chiedo spesso che caspita si provi
ad essere
un po’ di fuoco e un po’ di carne... Diciamo che
non voglio darmi fuoco per
scoprirlo, comunque.
ASNNE
d’inchiostro › il tatuaggio di Ace è ASCE: col Genderbender, andava ovviamente cambiato. È comunque sul braccio sinistro.
Satch
› è il nome
ufficiale in italiano. È Thatch (versione che preferisco, in
realtà) nell’edizione inglese.
cinigia
› cenere
ancora calda, con braci accese. È il colore degli occhi di
Smoker – grigi, ma
che ricordano gli occhi di bragia di Caron dimonio.
epifania
›
manifestazione, tipicamente degli dei in epoca classica.
Ma’at
› l’ordine
cosmico nella religione egizia: dopo la morte, il cuore del defunto
veniva
pesato su una bilancia. Sull’altro piatto della bilancia
c’era una piuma di
Ma’at. Se il cuore del defunto fosse stato più
pesante della piuma, gli sarebbe
stato proibito entrare nei campi Iaru – per quello che ne so,
questi erano in
pratica (?) come i Campi Elisi, chiamiamoli così per
esigenze di tempo e spazio.
Ma’at rappresenta anche la Verità.
demone/demonio
›
ho recuperato il significato del termine greco: vale come genio sovrumano.
Atena
glaucopide ›
Atena dagli occhi azzurri. Nell’Antica Grecia gli occhi
chiari non erano molto
apprezzati: in effetti, Venere aveva gli occhi scuri. Gli occhi grigi
spesso sono
scambiati per azzurri (per esperienza personale, almeno).
cuore
che perde
l’accordo › il vento
[...] / suonasse te pure stasera / scordato strumento, / cuore.
(da Corno inglese, Ossi di Seppia,
E. Montale)
scrigno
di Davy
Jones › il fondale degli oceani.
vecchie
idee o
vecchi sentimenti › uno è infanzia = periodo
meraviglioso della vita, l’altro è
contraddizione di: tenero ricordo di momenti felici + dolore nel
pensare che
ormai sono trascorsi e non torneranno più.
bussola
che indica
ciò che più si vuole al mondo ›
citazione da Pirati dei Caraibi.
trenta
mesi › Anne
muore a Marineford: due anni dopo Rufy incontra Sabo a Dressrosa. Ho
ipotizzato
un intervallo di tempo di alcuni mesi tra la fine della saga di
Dressrosa e
questo momento vago (in stile what-if?) in cui Smoker e Sabo
combattono: ecco
come torna il conto di trenta mesi a partire dalla guerra di Marineford.
pugno
ambizioso ›
pugno sferrato dopo averlo ricoperto di Ambizione
dell’armatura (o Bososhoku
Haki).
piuttosto
che per l'essersi opposto al potere dell'agalmatolite ›
vale come invece di...
Il
simbolo ⁂ utilizzato a un certo punto è lì
perché è
una sorta di spartiacque: è chiaro che le due parti in cui
la shot è divisa
sono molto diverse, sia per lunghezza che per contenuti e modi. Dal
momento che
questa storia è nata come una shot, ho deciso di mantenerla
tale e di postarla
tutta in una volta sola. Sappiate che è stata una decisione
molto sofferta che
mi sta facendo andare fuori di testa. Nella mia testa la separazione
è più
forte rispetto a come è stata risolta in questa
pubblicazione, ma è meno forte
della divisione in capitoli.
Le
note erano
infinite, e sarebbero state molto più lunghe se avessi
aggiunto anche quelle
riferite a tutte le poesie degli Ossi
che ho preso in considerazione. Se siete riusciti ad arrivare fino a
qui, mamma
mia! Siete molto coraggiosi e molto testardi. Vi ringrazio per questo.
C:
Grazie
per aver
letto!
claws_Jo
Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di
Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno
scopo di lucro.
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