9
Marzo 2035
Consulto
la
cartina.
Poi
impartisco
ordini al taxista.
“Al
prossimo
incrocio giri a destra.” Il taxista esegue. “Vada
avanti cento metri.”
Guardo
il
cartello sulla via e lo confronto con l’indirizzo che ho su
un foglio: “Si
fermi.”
Perfetto.
Ci
siamo, sono
arrivata.
“Aspetti
qui,
per favore.”
Il
taxista
cingalese annuisce, un po’ perplesso. Abbiamo sbagliato
strada tre volte e
forse non è convinto nemmeno adesso di avermi portato nel
posto giusto.
Scendo,
a
fatica, con un fascio di rose rosse a gambo lungo strette al braccio
destro. I
fiori emanano un debole profumo e il cellophan trasparente rumoreggia
sotto le
mie dita.
Mi
guardo un
attimo intorno, poi mi avvio lentamente lungo il marciapiede, lungo il
viale
alberato, sostenendomi con una stampella al braccio sinistro.
Respiro
profondamente ma non sono agitata, ho provato una specie di discorso
centinaia
di volte e poi non ho più l’età per
vergognarmi di qualcosa.
Adesso
non
sono più né bella né brutta, ma solo
vecchia, con le mie rughe e i capelli
bianchi di ordinanza, e posso tranquillamente fare a meno di
vergognarmi del
mio aspetto come in passato, quando ero giovane e comunque non potevo
competere
in nessun modo con le brune di cui ti circondavi, modelle, attrici o
zoccole
che fossero.
Ora
non me ne
frega più nulla.
Ormai
è troppo
tardi per vergognarsi.
In
realtà è
troppo tardi per tutto.
I
medici mi
hanno dato al massimo due mesi di vita.
Quindi
vuol
dire che sono quasi morta.
Sono
senza
speranza.
Non
che sia
preoccupata.
Anzi.
Sono
del
parere che questo era il mio destino, non si scappa. Non ho paura della
morte.
Il mio percorso in questa dimensione l’ho fatto, ora devo
solo cambiare
dimensione, passare da un’altra parte, abbandonare il corpo
fisico, e quindi
sono ormai rassegnata, ma non abbattuta, anzi. E’ un periodo
in cui, medicinali
permettendo, faccio quello che mi piace e che non ho mai avuto il
coraggio di
fare prima. Sono totalmente e finalmente libera, come non sono mai
stata.
Tant’è
vero
che oggi sono qui.
Devo
fare
quest’ultima cosa.
DEVO.
Ecco.
Sono
arrivata
davanti al selciato che conduce alla porta di casa tua.
Sono
certa che
è questa.
L’informazione
mi è costata un occhio della testa, ma l’agenzia
investigativa ha lavorato bene
e nel giro di poco tempo ho
avuto il tuo
indirizzo.
Seguo
il
sentiero lastricato in mezzo al giardino ben tenuto e alla fine salgo i
pochi
gradini del portico. Mi fermo un attimo a prendere fiato, mentre guardo
i
rampicanti ai lati della porta. Poi suono il campanello, non guardo
nemmeno il
nome.
So
che sei qui
e ci sei.
Dopo
un attimo
che mi pare eterno, mi apre la porta un ragazzo. Ha poco più
di vent’anni e ti
assomiglia: ha i tuoi occhi, ma i suoi lineamenti non sono del tutto
occidentali. E’ ovvio, visto che hai sposato una donna di
origini giapponesi,
tanti anni fa. Mi domanda chi cerco, sorridendo, in modo gentile,
mentre scruta
la mia stampella, le rose e mi fissa incuriosito.
Saluto
e gli
chiedo se sei in casa, rispondendo al sorriso.
Risponde
affermativamente. “Certo. Vuole accomodarsi,
signora?”
Scuoto
la
testa: “No, grazie. Ho… il taxi che aspetta. Non
posso farlo attendere.”
Il
ragazzo mi
sorride e si congeda: “D’accordo, come vuole.
Glielo chiamo. Arrivederci.”
Lascia
aperta
la porta e rientra. Non mi muovo, ma sbircio un attimo dentro.
E’ una casa
normale, come tante lungo quella via, tutte bianche e di legno,
semplici ed
accoglienti. Vedo una piccola entrata, un salotto, dei vasi di fiori.
Poi
vedo
un’ombra arrivare lungo il corridoio.
E
sei tu.
Compari
sul
portico, un po’ timidamente, mi pare.
E
sei
bellissimo.
Un
colpo al
cuore.
Sei
invecchiato, certo, hai i capelli sale e pepe e la barba grigia, ma
invecchi
bene, come faceva Sean Connery.
Sei
in blue
jeans e felpa nera e sei tutto spettinato, come se ti fossi appena
alzato,
anche se è metà pomeriggio. Il tuo viso ha sempre
la stessa espressione e i
tuoi occhi hanno la stessa magia che ho visto in tante foto.
“Salve.”
Mi
dici, sorridendo, le rughe ai lati degli occhi che improvvisamente si
evidenziano. “Desidera?”
Sorrido
pure
io.
Oddio,
sono
venticinque anni che aspetto questo momento.
Non
credevo
che sarebbe mai arrivato.
E
invece ora
sono qui, davanti a te.
Ti
porgo le
rose: “Buon compleanno, Shannon.”
Sobbalzi,
sei
sorpreso, prendi i fiori, tentennando un attimo, sì forse
non è un regalo dei
più adatti da fare ad un uomo, ma così mi
sentivo. “G-grazie…”, mi dici e poi
sorridi, proprio con quel tuo sorriso schietto e vero che ho sognato
milioni di
volte di vedere sul tuo viso, quando anche i tuoi occhi brillano. Non
te
l’aspettavi, vero? “Io…
oddio… come lo sa del mio compleanno?”
Mi
schernisco,
ma non riesco a smettere di sorridere, sono contenta: “Lo so
e… basta.”
Mangi
subito
la foglia, inarchi un sopracciglio e mi scruti: “Lei era una
echelon?”
“Non nel vero
senso della parola, ma… boh…”
E’
una domanda che non mi aspettavo, ad essere sincera.
All’epoca non me la
sentivo di far parte di quel gruppo, ma ai tuoi concerti sono sempre
venuta.
Quindi… non so se ero una echelon o no, forse sì,
non lo so, davvero. “Una
fan dei 30 Seconds to Mars, diciamo…” Ma
milioni di anni fa comunque, prima che vi scioglieste, prima che tuo
fratello
tornasse a fare l’attore e tu sparissi dalla circolazione.
Tanti
anni fa…
Ma
nonostante
tutti questi anni trascorsi, io non ti ho mai scordato, Shannon.
MAI.
Ho
pensato
continuamente a te, mi sono chiesta migliaia di volte che fine avessi
fatto, se
fossi felice con tua moglie, se la tua vita avesse un senso anche senza
i 30
Seconds To Mars.
“Grazie,
erano
anni che nessuno si ricordava di me.”
Sorrido
ancora.
Sì, lo immagino. Da un giorno all’altro diventi un
perfetto sconosciuto o balzi
sulle prime pagine dei giornali. “Di nulla.” Sposto
la stampella, faccio per
andare via, dicendo un debole “Arrivederci.”
“Aspetti,
lei…
tu… non sei americana, vero?”
Scuoto
la
testa: “No.”
“Europea?”
“Sì.
Italiana.”
Mi
guardi ad
occhi spalancati: “E sei venuta fino a qui per…
per il mio compleanno?”
Sorrido
un po’
intimidita, ma convinta: “Sì.”
“Perché?”
Per
tanti
motivi, te ne dico uno: “Perchè…
perchè mi andava di farlo. Io… io al tempo dei
30 Seconds to Mars non ti avevo mai visto da vicino, sono sempre stata
sfortunata, e allora… beh, ho pensato che adesso fosse una
buona occasione…”
Prima di andare al creatore, sì. Una delle ultime cose che
faccio prima di
morire. Deglutisco un po’ imbarazzata e spero che tu non mi
chieda di che
occasione sto parlando, non saprei come dirtelo. Improvvisamente mi
accorgo che
questa cosa comincia a diventare difficile e straziante, non
è così indolore
come credevo.
“E’…
è un
pensiero molto gentile… Grazie ancora.” Indichi la
porta dietro di te: “Vuoi
entrare?”
“No,
no. Devo
andare.” Ho l’aereo tra due ore, la mia
è una toccata e fuga, non sono qui per
restare. “Devo proprio andare.”
“Ma
un
momento, dai…”
“Grazie
comunque, ma no… davvero non posso.” Meglio di no.
Mi sto commuovendo, in
realtà, e rischierei di piangerti addosso. Perché
poi…
Ti
direi che
ti ho amato e che ancora ti amo.
Ti
direi che
cosa sei e cosa sei stato per me.
Ti direi di come hai cambiato la mia
vita, in peggio o
meglio ancora non ho capito.
Ti
direi di
quante lacrime ho pianto perché non ti potevo avere.
Ti
direi di
quante fanfiction cretine ho scritto su di te solo per averti per un
momento,
nella mia mente.
Ti
direi…
Insomma,
rischierei di mettere a nudo la mia anima di fronte a te e non voglio.
NON
VOGLIO.
E’
passato
troppo tempo.
Non
ha più
senso.
“Addio,
Shannon.” Ti porgo la mano destra e tu me la stringi.
“Addio…”
lasci
la frase in sospeso. “Ma… come ti
chiami?”
Te
lo dico, e
tu aggiungi il mio nome alla parola ‘Addio’.
Ho
sempre
odiato quel nome che mi ha dato mia mamma tanti anni fa, ma detto da te
ha
tutto un altro suono, sembra quasi bello. Peccato sentirtelo dire una
volta
soltanto.
Ti
giro le
spalle e inizio a scendere piano i gradini, arrivo in strada e comincio
a
camminare di nuovo lungo il viale, verso il taxi. Mi giro un attimo per
guardarti. Sei ancora sul portico e mi saluti alzando la mano.
Ricambio,
sorridendo, e poi non mi giro più.
Addio,
Shannon.
Ho
chiuso una
porta, e nessuna lama di luce passa da sotto…
Ho
messo la
parola fine, il libro è finito…
Ho
tirato le
somme, e tutti i conti tornano…
Ho
scritto i
titoli di coda, il film è terminato…
Ma
fa un male
cane.
Risalgo
in
taxi.
“All’aeroporto.”
Addio,
Shannon.
Addio.
E
buon
compleanno…
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