Maggio
era alle porte, il mondo intorno rifioriva.
Era
una delle nostre domeniche all’alba, il momento
più
dolce dell’intera settimana. André non doveva
correre al lavoro dai suoi
piccoli allievi, tutto poteva scorrere più lentamente; e
l’amore non aveva da
essere rubato all’urgenza, potevamo cullarlo e viverlo nel
tempo diluito del
mattino.
Un
gallo vicino chiamò il sole. Doveva essere Coque,
così
battezzato dai tre giovani Van Damme.
André
dormiva alle mie spalle. Aveva abbandonato, come
sempre, una mano sul mio grembo; diceva di dormire meglio
così, tenendomi
abbracciata da dietro. Anche io amavo quel nostro modo di restare
abbracciati.
Era come avere uno scudo potente alle spalle: mi sentivo perfettamente
al
sicuro, con il mio segreto ben protetto nel mio corpo (enorme, ormai, a
mio
sentire) e nel nostro abbraccio.
Posai
una mano su quella di André, sul grembo, e abbandonai
l’altra sul cuscino, accanto al mio viso. Il respiro caldo di
mio marito mi
lambiva una spalla; russava pure, in modo buffo e accennato. Mi sarebbe
piaciuto
voltarmi e osservarlo, ma non volevo svegliarlo: sapevo quanto fosse
stanco
dalla settimana. Guardai il fuoco, piuttosto, e me ne feci incantare
per un
poco. Non pensai a niente, solo alla vivace danza delle fiamme.
D’un
tratto, André si mosse piano, stringendosi di più
a me.
Percepii la dolcezza della sua mano calda muoversi sul mio fianco,
insidiare la
stoffa della camicia da notte, giungere direttamente sulla mia pelle;
audace,
si impossessò di uno dei miei seni,
avendo cura di
palpeggiarlo lentamente, gentilmente, fino ad aguzzarne la punta
incastrandola
tra due dita. Poi scese ancora sul mio grembo, allargò il
palmo e lo fece
scorrere sulla sua forma rotonda. Alimentò in silenzio la
gioia di quelle
carezze, e mi accorsi che non c’era sensualità nel
suo toccare. Non era ancora un
invito d’amore, solo un muto cercarmi, un ritrovarmi
all’alba della notte. Si
stava svegliando…
Chiusi
gli occhi in un sorriso deliziato. Gli restituii la carezza
accompagnando i suoi movimenti, la mano sul dorso della sua. Per alcuni
istanti
ci donammo la nostra pelle, solo quella, il suo petto contro la mia
schiena, le
sue gambe a imprigionare le mie, i nostri misteri a sfiorarsi.
Poi
accadde, come uno squarcio di sole in un mosaico di cumuli
bianchi.
Il
bambino si mosse, tutto in un colpo. Me lo figurai,
minuscolo, a sferrare un calcio con tutte le sue forze piccine. Ne risi
intimamente. E non si limitò a quello: nuotò
ancora, il mio piccolo pesce, in
un nuovo guizzo di vivacità.
–
André… – sussurrai, pensando che, come
le altre volte, non
gli fosse possibile percepirlo, invece
–
Lo sento. – mi interruppe. La sua voce tremò.
– Lo sento…
Mi
attirò a sé, mi accompagnò con le
carezze fino a farmi
sdraiare supina. Il suo sguardo vibrava di commozione,
brillò verso di me, mi
inondò di tenerezza. André mi spogliò
cauto delle lenzuola, mi sollevò la
camicia da notte fino ai seni. Appoggiò il viso sul mio
grembo, mi abbracciò i
fianchi lentamente, avvolgendomi di calore. Si pose in attesa,
immobile,
guardandomi il viso con stupore complice. Aspettava un altro
movimento… e
questo arrivò, un’altra volta, più
forte di prima. André sussultò, mi
fissò e
rimase nei miei occhi, annientato.
Accarezzai
i capelli di mio marito e la sua guancia ispida
di notte, dolcemente. Sapevo quanto fosse strano e terribile,
riconoscere la
Vita radicata in me. Gli lasciai il tempo necessario, né lo
affrettai.
–
Tuo figlio ti ha salutato, Signor Padre… –
ridacchiai alla
fine, quando mi sembrò che il piccolo tornasse quieto.
– Non gli dici nulla?
Il
cuore di André batteva forte.
–
Non so… – sussurrò,
l’emozione gli divorava parole e
respiro – … non so… cosa
dire.
Mi
parve addolorato, ma io non mi allarmai: sapevo che la somma
gioia somiglia alla somma infelicità, così come
la notte si lega al giorno
attraverso la stessa alba, o una moneta cela una faccia dietro
l’altra, o la
luce si accompagna all’ombra. Non c’era pace, per
le anime nostre baciate dal
fuoco della felicità. E noi non volevamo pace. Volevamo
ridere e soffrire la
gioia e ansimare d’amore, e farci lievissimi come piume e
stelle, o possenti
come gli alberi che trattengono il fiume nel suo letto. Intensi come il
fuoco
affamato di legna, umidi di vita come i semi di un temporale,
vivi!, creature e creatori, cielo e natura! Tutto questo era
sufficiente per gridare, danzare ed esistere allo stremo delle forze.
Per
onorare la benedizione di Essere. E piangerne amorosi…
Lui
era così dentro di me, ormai, che versai io le lacrime che
gli rimasero incastrate tra le ciglia. Fu quando sollevò il
viso e osservò il
mio grembo con sguardo amante, e teneramente vi posò le
labbra, chiuse gli
occhi e disse, con voce di nebbia:
–
Che Dio ti benedica, amore.
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Angolo
dell’autrice.
- Non ho grandissima
simpatia per i passaggi d’anno, lo
confesso, mi trovo spesso a fare gli auguri di Buon Anno in modo
meccanico,
senza approfondire. Amo pensare che ogni anno abbia il suo valore, che
nessuno,
nemmeno i peggiori, siano da rinnegare. Trovo preziose le esperienze
belle come
quelle brutte, e non voglio mai dimenticare niente di quanto mi
succede. Ecco
perché ho pensato di cogliere questo pezzettino del futuro
ormai prossimo di
Oscar e André, come li vedo io in Rivoluzione.
Non una nascita, ma un segno di vita. Il mio augurio è avere
sempre la
coscienza del seme che cresce sottoterra, della vita pronta a
esplodere; per
poter accompagnare il sorgere di ogni nuova esperienza, che
avverrà in una data
non definibile a priori. Siamo noi a dare valore a ciò che
viviamo, non
viceversa: è una cosa in cui credo fermamente.
Questa storia
è dedicata a chi, da più di un anno e mezzo,
mi ha donato pillole d’affetto costanti, anche senza
conoscermi, fidandosi di
quello che con la fantasia ho condiviso: chi mi scrive a ogni capitolo,
chi lo
fa ogni tanto, chi in silenzio mi dedica un pensiero contento o un
pensiero di
disaccordo.
Un abbraccio grande,
una Vita ricchissima a tutti voi!
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