TITOLO:
L’eroe da salvare
AUTORE:
Akane
SERIE:
Numb3rs
GENERE:
sentimentale, azione
TIPO:
slash, leggero What if diciamo…
RATING:
rosso/NC17
PARTI:
5 o 6 capitoli
PERSONAGGI:
DonXColby(ma anche ColbyXDon direi…)
AMBIENTAZIONE:
quarta serie, nessun punto specifico
DISCLAMAIRS:
I personaggi non sono miei ma degli autori che ne detengono ogni
diritto…sig!
NOTE:
La piccola clausula che fa di questa fanfic una leggera What if
è
che Don, qua, non sta con nessuna donna (non ricordo il nome della
sua donna della quarta serie). E vi spiego perché questa
cosa
mi esce solo ora: non mi sono mai persa nessuna puntata di Numb3rs
tranne tipo le ultimissime della terza stagione, circa le ultime 4 o
5 probabilmente… avevo visto che Don aveva una relazione con
quest’agente, però non mi pareva che avessero
approfondito
oltre nelle altre puntate e che quindi fosse una cosa rimasta
lì,
così ho dimenticato la sua esistenza ed ho sempre pensato
che
Don fosse single e che si vedesse solo con qualcuna ogni tanto per i
classici istinti maschili… poi mi hanno detto che specie
nella
seconda puntata della quarta serie (che non sono ancora riuscita a
vedere ma spero di rimediare presto) tornano a mostrare quei due
più
fidanzati che mai! Proprio stasera, inoltre, mi è capitato
di
vedere una di quelle puntate della terza stagione che mi ero persa e
proprio in quella fanno vedere che stanno insieme, anche se non
è
poi tanto approfondito come rapporto. Così mi devo
correggere
e specificare che qua quei due non stanno insieme, punto e basta.
È
che Don non è come Charlie che una volta che si accorge di
essere innamorato diventa svenevolmente appiccicoso e romantico e
mostra in continuazione che sta con quella… Don è
molto
riservato in campo sentimentale, non vive molto alla luce le sue
relazioni così mi aveva tratto in inganno facendomi
dimenticare di quella donna… pazienza, succede.
Ora che
ho ampiamente spiegato i miei giri mentali, spiego anche di cosa
tratta la fic a grandi linee:
Don è
sempre quello che salva tutti, l’eroe della situazione che si
butta
a capofitto in tutti i rischi per salvare cani e porci (mentre Colby
è comunque quello che ci rimette sempre più di
tutti!),
ma se la cava sempre perché lui è troppo bravo e
furbo
per rimanere fregato e vedersela male male male. Ma se una volta
dovesse succedere? Se nemmeno tutta la sua prontezza di riflessi e la
sua bravura bastasse a salvarsi il fondoschiena bellissimo che si
ritrova? Eh già… per una volta sarebbe
l’eroe a dover
essere salvato. Quindi ora sapete anche su cosa è improntata
questa fanfic che non durerà tantissimo e che è
in mio
perfetto stile!
Dopo
questa premessa lunghissimissima, passo ad augurarvi buona lettura!
Baci
Akane
DEDICHE:
a Parsifal che le piace questa coppia… e a chi
l’apprezza
nonostante tutto (e per tutto dico le coppie ufficiali e/o altre
coppie preferite…).
RINGRAZIAMENTI:
A tutti quelli che leggeranno e commenteranno.
L'EROE
DA SALVARE
CAPITOLO
I:
TRA
CAPO E COLLO
/Tell
me it's not over - Starsailor/
Quando
il responsabile dell'FBI in persona giunse con passo sostenuto negli
uffici della squadra di Don e non lo trovò lì
insieme a
Megan e David, il suo viso articolato e tutto d'un pezzo assunse
stranamente un espressione che non fu facile interpretare se non
fosse che quello era proprio il lavoro di Megan. Nella frazione di
secondo che intercorse fra quell'espressione e la sua voce, la donna
seduta alla scrivania a sbrigare qualche cartella arretrata, si tolse
gli occhiali aguzzando lo sguardo capendo in un lampo che quella era
preoccupazione bella e buona. Non facile da interpretare come tale ma
lo era, non ebbe dubbi.
Così
si alzò subito per ascoltare la voce prorompente e
diplomatica
del gran capo in persona rivolgerle la parola e dire:
-
L'agente Eppes dov'è? - Chiese subito senza perdere tempo a
spiegarsi ulteriormente.
Megan
rimase calma imponendosi di non fasciarsi la testa prima di averla
rotta solo perché la presenza di quell'uomo lì
era
insolita.
-
Non è ancora arrivato, immagino sarà qui a
momenti. -
La sua voce non tradiva agitazione, era brava nel suo lavoro ma la
sensazione che ebbe nel dirlo non le piacque, come non le piacque lo
sguardo che ebbe l'uomo davanti a sé che strinse appena le
labbra contrariato.
-
Rintraccialo e digli che venga subito qua! -
-
Ma è successo qualcosa? - “Questo
ordine sa tanto di protezione nei confronti di Don, non è
normale.” Pensò
infatti.
-
Si. Hilton Johnson è evaso dal carcere ed ora è a
piede
libero per la città! Tutte le forze dell'ordine lo stanno
cercando ma finché non lo troveranno Eppes non è
al
sicuro. Fallo venire subito qua e che si prenda una scorta! Questo
è
un ordine! -
Non
aggiunse altro, se ne andò subito senza ascoltare probabili
domande o reazioni incredule dell'agente speciale con cui aveva
appena parlato.
-
Oh accidenti! - Imprecò diplomaticamente la donna sgranando
gli occhi e ricordandosi in un flash il politico incastrato con
fatica da Don, a cui lui in special modo aveva rovinato la vita e la
carriera incarcerandolo non solo per omicidio ma per un sacco di
altri affari sporchi di corruzione e traffici illeciti che aveva in
piedi.
-
Gliel'aveva giurata, quando è stato messo dentro! -
Ringhiò
David preoccupato per l'amico nonché capo guardando la
collega
prendere il cellulare e chiamarlo subito.
-
Dannazione, è spento! - Fece quindi chiudendo la
comunicazione
mai partita con un gesto di stizza. – Non è da
lui! Sarà
in un posto in cui non prende... - aggiunse poi guardando nervosa la
direzione da cui sperava di vederlo arrivare come ogni mattina.
-
Non l'avrà già trovato e comunque sa difendersi.
-
Cercò di rincuorarla David stringendo le mani sui fianchi
indicando che quello più ansioso era proprio lui!
-
Spero che sia così. - Disse solamente ancor più
in
pensiero Megan aggrottando le sopracciglia sapendo che tutto quello
che poteva fare, per ora, era mettersi subito al lavoro.
La
folla che di prima mattina si muoveva per le vie della
città,
non era trascurabile e già si faticava a camminare senza
essere spintonati.
I
due uomini, tuttavia, non venivano nemmeno sfiorati tanto imponenti
erano anche solo mentre camminavano per il marciapiede.
Colby
e Don dopo aver bevuto un caffé insieme al bar di fronte
all'edificio dell'FBI, si apprestavano a dirigersi a lavoro.
Come
ogni mattina che eseguivano quella routine sia che dormissero
insieme, sia che non lo facessero, tenevano entrambi il cellulare
spento. Avevano imparato a farlo solo nel tempo che correva nella
loro colazione insieme, anche se entrambi avevano fatto fatica ad
abituarsi visto che erano persone che preferivano essere sempre
rintracciabili per essere pronte in qualsiasi momento a qualsiasi
cosa.
Tuttavia
quella mezz’oretta che si concedevano ogni giorno prima di
iniziare
il lavoro, era così piacevole che non faceva avere rimpianti
a
nessuno dei due.
Fino
a quel momento, probabilmente.
Si
erano messi insieme dopo il ritorno di Colby, quando bene o male si
erano snodati tutti i dubbi sul suo ruolo e sulla sua
veridicità.
Del
resto dare la propria vita in cambio della loro salvezza era un atto
che da solo bastava a convincere tutti. Con David l’aveva
avuta più
dura ma lentamente le cose si stavano sistemando, mentre dopo un
primo screzio con Don per la sensazione che lo facesse controllare,
tutto era andato a posto. Del resto Don oltre ad essere il suo uomo
era anche il suo capo, come lo era di altri agenti, ma non solo, era
lui stesso un sottoposto e doveva fare il suo lavoro, eseguire ordini
e rispondere a certe aspettative seguendo le regole sia ufficiali che
ufficiose. Era normale che uno dal passato di Colby, tornato in
squadra, dovesse essere un minimo seguito e controllato.
Il
punto era che mentre tutti pensavano Don l’avesse fatto per
dovere
e sospetto naturale, lui l’aveva fatto, in realtà,
per
assicurarsi che si ambientasse di nuovo e fosse aiutato in tutti i
modi potesse aver bisogno.
Un
po’ lui, un po’ altri agenti della sua squadra, non
l’avevano
più fatto agire da solo.
Chiarito
in privato anche questa questione, i due erano andati via via sempre
più rafforzando il loro legame che come era naturale, aveva
i
soliti alti e bassi e le solite difficoltà. La loro, poi,
era
una relazione davvero difficile: non solo erano entrambi due uomini,
ma erano un capo squadra dell’FBI ed un suo sottoposto e,
ultimo ma
non ultimo, avevano dei caratteri davvero complessi. Nessuno dei due
era troppo incline a dimostrare normalmente i propri sentimenti e
vivere una storia come la maggior parte faceva, esternando almeno in
privato ciò che provavano. Non facevano fatica a tenere
nascosta la loro storia ed ancora non si erano detti di amarsi,
avevano solo ammesso di provare attrazione e di stare ancora
innamorandosi. Era una cosa diversa.
Nessuno
avrebbe mai capito cos’erano a meno che qualcosa non avesse
dato
una certa spinta.
L’unico
a conoscenza della loro relazione era Charlie il quale
l’aveva
capito da solo grazie alla sua mente analitica che applicava teorie
matematiche a qualunque situazione alla velocità della luce.
Non
erano rari i momenti in cui Don e Colby litigavano e poi sparivano
dalla circolazione per far pace, riapparendo magicamente allegri come
raramente li si poteva vedere, specie Don. Colby un minimo di
serenità o ironia in ciò che faceva riusciva a
mettercela, Don era molto più trattenuto e cupo, di norma.
Però
avevano quei momenti in cui si trasformavano diventando come
più
luminosi e questo apparentemente senza ragione, per chi gli stava
intorno.
A
loro non importava, era comunque impossibile capire che avessero una
relazione ed essere due agenti che di norma scoprivano i segreti
degli altri, li aiutava molto a riuscire a mantenere i loro.
Del
resto della missione di Colby nessuno era mai venuto a conoscenza,
né
aveva sospettato!
Quella
mattina avevano appena finito di bere il solito caffè
insieme
nel solito bar e come di consueto a quell’ora si apprestavano
ad
attraversare la strada abbondantemente trafficata per entrare in
ufficio ed iniziare il lavoro.
Arrivati
davanti al semaforo rosso per i pedoni, si fermarono insieme ad altre
persone pronti per ripartire appena avessero avuto il verde.
Immersi
nei loro discorsi che variavano fra i più disparati,
facevano
poco caso ai veicoli che sfrecciavano davanti a loro alzando aria che
andava a scostare la giacca primaverile di Colby. Il suo
abbigliamento trasandato da strada da fuggiasco era solo un ricordo,
ormai, visto che per l’FBI era tornato un agente serio,
ordinato e
perfetto.
Entrambi
dritti con i piedi ben piantati sul marciapiede, le mani nelle tasche
dei pantaloni stretti, jeans per Don, occhiali da sole ed espressione
distesa.
Quando
erano insieme in quel particolare istante della giornata riuscivano
ancora ad esternarsi dal resto del mondo che rimaneva fuori,
facendosi assorbire completamente dal compagno accanto che non ancora
stressato per qualche caso che avrebbero affrontato di lì a
poco, si concedeva diventando intimo per i loro standard.
Non
accadde nulla di eclatante, nulla che con maggiore attenzione si
sarebbe potuto evitare.
Semplicemente
successe.
Mentre
loro due erano immersi nella loro conversazione e nel sentire il
profumo dell’altro che veniva brevemente sovrapposto a quello
di
uno dietro di loro, fu come un battito d’ali di farfalla, una
folata di vento troppo veloce per essere prevista, un lampo a ciel
sereno.
Quel
profumo che per un istante sentirono entrambi esplose contro di loro
e da che Don era lì accanto a Colby a parlare come nulla
fosse, a che si trovò pesantemente spintonato in maniera
imprevedibile ed improvvisa, il cuore dei due agenti smise di battere
per un istante.
Mancò
un battito ma quello di Colby nello specifico parve proprio
paralizzarsi insieme alla sua mente che smetteva di ragionare vedendo
il suo uomo spinto inaspettatamente in avanti, in strada, proprio la
frazione di secondo prima che un camion sopraggiungesse ad una
velocità più che sostenuta, come tutti gli altri
veicoli.
Una
velocità mortale per una persona caduta accidentalmente in
strada.
No,
davvero non ci fu tempo per nulla, nessun pensiero coerente, nessun
rendersi conto di qualcosa, nessuna prontezza se non quella dei
riflessi di Colby che, appunto perché non riuscì
a
pensare, agì istintivamente senza riflettere prendendo il
suo
uomo per il braccio, tirandolo poi verso di sé con forza
proprio mentre il camion sfrecciava davanti a loro col clacson che
suonava.
Don
e Colby quindi si trovarono sbilanciati all’indietro ma
ancora in
piedi, col cuore in gola che aveva ripreso vorticosamente a battere e
le braccia di uno che stringevano decise e spaventate la vita e la
schiena dell’altro, aggrappato a sua volta a lui e alle sue
spalle
larghe e robuste poiché nessuna riflessione logica aveva
potuto farlo agire diversamente.
La
sensazione di vedersi la vita, per l’ennesima volta, davanti
agli
occhi non gli piacque a Don, ma questa sgradevole emozione
l’avrebbe
affrontata dopo che con rapidità si era raddrizzato e
staccato
da Colby per girarsi a guardare chi l’aveva spinto in quel
modo
apparentemente casuale ma proprio nel momento più sbagliato.
Un
incidente terribile, tutti avrebbero pensato così se lui con
l’istinto di chi diffidava di tutti tranne che della sua
squadra,
non avrebbe cercato un colpevole volontario.
-
Ma che diavolo… - Borbottò col sudore freddo che
già
cominciava a scendergli lungo la schiena insieme
all’adrenalina che
gli scorreva a fiumi in circolo. Era pronto all’azione
nonostante
la morte appena guardata in viso e come lui Colby che, messo da parte
il suo spavento, aveva trovato il responsabile che svelto e furtivo
si allontanava cercando di non farsi notare.
L’istinto
di seguirlo l’ebbero ma quando il rosso diventò
verde e la
folla intorno a loro iniziò a camminare, dovettero desistere
dal loro intento perdendolo di vista.
-
Ma quello… - Mormorò allora Don togliendosi gli
occhiali
scuri, tendendosi come una corda di violino e aggrottando le
sopracciglia in direzione dell’uomo appena intravisto, ormai
sparito. Una sensazione sgradevole lo invase e il sangue si
raggelò
nelle vene immobilizzandolo senza dargli la forza di emettere alcun
suono.
-
Cosa? – Chiese Colby capendo subito che c’era
qualcos'altro che
non andava. Lo guardò con attenzione e impazienza, quello
sguardo così accigliato non diceva nulla di buono, ormai lo
conosceva. – Sembra che hai visto un fantasma. – In
effetti senza
saperlo indovinò, in un certo senso.
-
Già… anche a me… - Rispose quindi vago
Don sperando di
rivedere quello che gli era parso un fantasma. Non poteva essere lui,
era in prigione da un po’, l’aveva messo dentro lui
stesso. Era
stato uno dei suoi nemici più ostici ma ci era riuscito e
con
enorme soddisfazione, rischiando nemmeno poco. Non era di certo lui
quello che aveva intravisto andarsene in fretta.
-
Lo conosci? – Chiese infatti Colby capendo subito di cosa
poteva
trattarsi, lasciando che la paura per averlo quasi perso scemasse da
sola senza essere riconsiderata. Soffermarsi troppo tempo su certi
sentimenti non era mai bene, si doveva avere la prontezza per andare
subito avanti. Non l’aveva perso, l’aveva salvato.
Ora era ancora
lì con lui a fissare stralunato un punto ormai riempito da
un
sacco di persone sconosciute. Pensarci troppo significava richiamare
una sensazione sgradevole e lui non voleva affatto. Aveva rischiato
grosso ma non era successo nulla, questo contava. Ora bisognava
andare avanti.
Don
semplicemente se ne dimenticò subito a causa di
ciò che
gli era parso di vedere, qualcosa di decisamente impossibile ma
abbastanza forte da fargli scordare la vita che aveva appena
rischiato, come molte altre volte del resto. Abituarsi a sfiorare la
morte non era proprio la cosa migliore, significava che la vedeva
troppe volte e che presto sarebbe anche potuto succedere davvero.
-
Sembra Johnson, un politico criminale che ho catturato diverso tempo
fa, rovinandogli la vita e la carriera. Me l’aveva giurata
più
di molti altri che ho messo dentro. – A parlare di lui
entrambi
sentirono dei brividi lungo il corpo, come a confermare che avevano
indovinato.
Ma
preferirono accantonare anche questa sgradevole sensazione senza
fasciarsi la testa prima di romperla.
Era
stata un impressione, era in carcere quel tipo, no?
Così
come la sua quasi morte… era vivo, ora, no?
Questo
contava.
Riprendendosi,
senza troppa convinzione, Don si rimise gli occhiali scuri addosso
quindi girandosi verso il suo uomo si concesse un breve
sbilanciamento con un: - Oh, grazie, eh? – appena udibile.
Più
un borbottio che altro. Colby sorrise tornando apparentemente in
sé,
senza però riuscire a cacciare del tutto quella strana
sensazione.
Qualcosa
non andava. La giornata era iniziata male e sarebbe anche potuta
finire peggio.
Di
norma non avevano quei pensieri ma lì, stranamente, li
ebbero
entrambi.
Tuttavia
non li avrebbero mai detti nemmeno sotto tortura.
-
Non potevo mica lasciarti diventare una frittella… - Disse
quindi
battendogli una mano sul braccio, ricambiando il suo sguardo da
dietro le lenti scure. – Chi mi avrebbe pagato, poi, la
colazione
ogni giorno? – Concluse con ironia che fece distendere per un
attimo entrambi in un sorriso divertito.
-
Mi sembrava una cosa simile… - Commentò su un
tono
fintamente offeso che al contrario stava perfettamente allo scherzo.
Gli scoccò un’ultima occhiata nascosta come per
ringraziarlo
anche per quel sdrammatizzare, per quel non permettergli di pensare a
ciò che sarebbe potuto essere, a cosa sarebbe quindi stato
fra
loro facendo di conseguenza partire un pesante e svenevole scambio di
miele che comunque non sarebbe mai stato da loro.
Ogni
giorno rischiavano di morire, non potevano mica pensare alla loro
separazione in tragedia ogni volta… era come uccidere il
loro
rapporto così singolare...
Andava
bene così, senza romanticherie e frasi del tipo
‘non potrei
mai vivere senza di te’ che gli avrebbero fatto venire il
diabete.
Erano
adulti ed onesti, sapevano a cosa correvano incontro stando insieme e
facendo quel lavoro.
Bisognava
sempre andare avanti e dimenticare la morte sfiorata. Alla fine ne
contava solo una, quella decisiva. Ma non era ancora il momento.
Quando
Colby e Don giunsero al loro piano si videro venire incontro Megan e
David tutti trapelati ed agitati.
Era
successo qualcosa e sommando quella consapevolezza con quanto appena
accaduto ed alla sensazione istintiva di entrambi, specie quella di
Don, furono sicuri di sapere già tutto.
-
Don! Ti abbiamo chiamato ma hai il cellulare spento! Non arrivavi
e…
- Megan cominciò pensando che lui già sapesse
tutto,
sapendo che comunque non poteva essere così
perché la
notizia era rimasta interna all’FBI per il momento e anche se
lui
era Don e di norma sapeva le cose prima di loro, non era certo un
mago.
-
Cosa è successo? – Chiese l’uomo
togliendosi di nuovo gli
occhiali scuri imitato da Colby che la guardò allo stesso
modo
del compagno, accigliato e con urgenza di sapere.
-
Hilton Johnson… - E bastò quello per avere la
conferma di
tutto.
Nuovamente
il flash lo colpì dall’ultimo scontro con lui per
giungere
veloce fino al primo, a quando si erano giurati odio. Gli
sembrò
di finire per un attimo in un altro mondo, non sentì nessuno
ma già sapeva che cosa stava dicendo Megan, gli
bastò
sentire il suo nome dopo che l’aveva visto giù in
strada ed
aveva tentato di spingerlo sotto un camion.
Azione
ingenua, tutto sommato, quasi sciocca e poco organizzata. Non da lui.
Ma forse non l’aveva nemmeno progettata. Se l’era
trovato
fortunatamente davanti e ci aveva provato senza considerare la
presenza di Colby che pronto l’aveva salvato.
-
… e così è evaso di prigione. Il capo
vuole che ti
prendi una scorta. Sei fra i più a rischio. –
Concluse
quindi riportandolo alla realtà.
-
Cosa?! – Esclamò incredulo fissandola come avrebbe
fatto con
un alieno. L’aria sempre più stralunata.
– Non se ne
parla, non mi serve… - Cominciò a protestare come
era nella
sua natura davanti ad una cosa simile.
-
Come no! Ma se ti ha quasi ucciso, ora! – Intervenne quindi
scettico e deciso Colby allarmando immediatamente tutti gli altri che
li guardarono interrogativi ed ansiosi chiedendo spiegazione. Don lo
guardò immediatamente ed in breve si intavolò un
duello
di sguardi molto sfrontato, nessuno dei due avrebbe ceduto ma non
servirono parole, si capirono subito. Cosa che non accadde per David
e Megan che invece volevano capire eccome.
-
Stavamo attraversando la strada, eravamo fermi al semaforo e qualcuno
ha pensato bene di spingerlo proprio mentre passava un camion,
è
stato per un soffio che l’ho riportato di qua! –
Spiegò
con aria di rimprovero beccandosi per questo uno sguardo assassino
dal suo capo, a poca distanza da lui.
-
Quando ti ho chiesto se lo conoscevi mi hai detto che ti era sembrato
Johnson! Guarda che coincidenza! – Esclamò quindi
sempre più
sul piede di guerra. Sapeva di avere ragione ad insistere
così,
con Don era necessario o come sempre avrebbe fatto di testa sua senza
proteggersi. E le conseguenze sarebbero state ovvie!
-
Era lui! – Fece sconcertato ed agitato David partendo
già
per la tangente con quella di setacciare subito tutta la zona intorno
all’edificio dell’FBI!
-
Non era un consiglio, quello del capo, Don. Era un ordine. Devi
prenderti qualcuno che ti guardi costantemente le spalle! Scegli chi
vuoi ma io sono d’accordo! Quello che è appena
successo è
la conferma che ne hai bisogno! Gli hai rovinato la vita, Don, te
l’ha giurata. Devi prendere le giuste misure! – Lo
rimproverò
Megan come una mamma arrabbiata per l’incoscienza ripetuta
del
figlio.
Don
l’ascoltò con metà cervello mentre con
l’altra
pensava a come prenderlo e a chi mandare dove. Non ci pensava
minimamente a stare in panchina a guardare altri che si facevano
sfuggire il suo nemico giurato!
Se
pensava di spaventarlo e metterlo fuori gioco si sbagliava di grosso!
-
Va bene, va bene… non girerò mai da solo. Ho
capito! Ora
però iniziamo la caccia all’uomo prima di perdere
altro
tempo! – Accettò solo per zittirla ed iniziare le
indagini,
senza pensare davvero di attuare quanto detto. Voleva agire
liberamente senza essere legato agli ordini di protezione di un
altro, ma prima di tutto voleva sbrigarsi e trovare quel dannato che
aveva osato sfuggirgli di nuovo!
-
Scegli chi ti farà da scorta fissa! –
Riattaccò
quindi di nuovo, conoscendo l’amico e collega.
-
Che? – Chiese quindi pensando di aver capito male, con
l’aria
perenne da ‘che cazzo dici?!’.
-
Avanti, decidi chi sarà la tua scorta o decido io!
–
-
Ma… - Provò di nuovo a protestare in perfetto
disaccordo,
come fosse un bambino, quindi a quel punto lo interruppe Colby stesso
che subentrò più deciso che mai.
-
Lo farò io. – Sparò
nell’immediato senza averci
riflettuto molto. Gli altri lo guardarono straniti della sua scelta,
quindi corresse il tiro con aria più diligente: - Se vi va
bene. – ricordandosi che loro due stavano insieme ma doveva
rimanere una cosa privata!
Don
sospirò insofferente girandosi dall’altra parte,
quindi
Megan parlò per lui prendendo le redini come tendeva a fare
in
sua assenza:
-
Ve bene. Non devi mai staccarti da lui, nemmeno la notte! Speriamo
comunque di prenderlo subito. –
“Non
sarà un dispiacere!” Riuscì
anche a pensare con una certa malizia ben mascherata mentre guardava
Don scrollare le spalle e grugnire un vago ‘si’ di
assenso. Non
che avesse avuto molta scelta in effetti.
Del
resto Colby era quello più indicato, fra tutti
l’uomo più
d’azione insieme a Don stesso, quello che nei guai riusciva a
cacciarsi anche senza impegnarsi troppo e che aveva il dono di
vedersela sempre peggio degli altri. Salvato ogni volta in corner da
Don. Comunque un agente molto valido che nell'azione pericolosa ci si
buttava a capofitto senza esitazione.
Era
giusto che per una volta fosse lui a ricambiare i favori e lo
proteggesse come si doveva.
Una
serie di sensazioni lo percorsero fra cui anche una certa incosciente
contentezza per potergli stare ufficialmente attaccato senza
risultare strano ed anomalo.
Quando
dopo di quello un cellulare cominciò a suonare tutti
guardarono in direzione della tasca di Don dal momento che pareva
venire proprio da lì, quindi il primo a stranirsi della cosa
fu lui.
-
Che c’è? – Gli chiesero vedendolo poco
convinto che il suo
cellulare potesse squillargli.
-
Non è il mio, è ancora spento! – Fece
quindi senza
perdere poi tempo e tirando fuori l’oggetto pieghevole
sconosciuto
che suonava ancora lampeggiando sul display la parola ‘numero
privato’.
-
Ecco a cosa è servito il contatto di prima, non ad
uccidermi,
sapeva che non sarebbe stato facile. Era per mettermi in tasca
questo! – Asserì mettendo immediatamente in moto
la sua
mente da agente federale, gli ci volle un millesimo di secondo per
entrare nell’ottica giusta e trovare il suo sangue freddo,
quindi
con attenzione maniacale rispose alla chiamata con gli occhi ansiosi
di tutti puntati addosso, specie quelli già sul piede di
guerra di Colby.
-
Agente Eppes! – Disse la voce al di là della linea
telefonica. Una voce familiare che Don non avrebbe mai potuto
dimenticare. – Da quanto tempo! –
Continuò poi con ironia
e finta allegria.
-
Johnson! – Borbottò invece Don, breve e conciso
come al
solito. E rabbioso.
-
Sono lieto di vedere che non hai dimenticato il mio nome. Sai,
nemmeno io ho dimenticato il tuo, così come non ho
dimenticato
il tuo viso e tutto quello che hai fatto per me. – Di secondo
in
secondo la sua voce cominciava ad assumere un tono sempre
più
teso e tagliente per diventare via via più sgradevole e
velenoso, pieno di odio.
-
Io invece sono riuscito a fare sonni tranquilli, in tutti questi
anni. Grazie al fatto che ti sapevo a marcire in prigione! –
Disse
quindi Don incisivo e sferzante consapevole che comunque quella
chiamata sarebbe stata irrintracciabile, naturalmente.
-
Lieto di saperlo. Ancora più lieto di farti sapere,
però,
che da ora i tuoi sonni diverranno pieni di incubi poiché
sono
di nuovo libero e come ormai già sai, ti sto cercando.
Voglio
ringraziarti di persona ed in modo speciale per come mi hai rovinato.
Ci tenevo a fartelo sapere perché gli ospiti più
graditi sono quelli attesi! –
-
Ma che gentile. – Fece allora Don scurendo ulteriormente il
suo
viso, poi assunse un espressione profondamente buia e risoluta, quasi
agghiacciante, che fece rabbrividire tutti quelli che lo videro e
ascoltarono la sua voce sussurrare basso e penetrante: - Visto che lo
sei voglio ricambiare anche io dicendoti che puoi fare quello che
vuoi, figlio di puttana, ma ovunque tu andrai e qualunque cosa tu
farai ti prenderò di nuovo e sarò sempre io a
rovinarti, dopo di ché ti farò visita ogni giorno
per
ricordarti a chi devi l’Inferno che passerai per la seconda
volta!
–
Questo
probabilmente non piacque a Johnson il quale dall’altro capo
del
telefono, dopo una breve pausa in cui si poté solo
immaginare
la sua espressione furente, sibilò a denti stretti
somigliando
ad un serpente:
-
Sei morto, Don Eppes. –
Infine
la comunicazione fu interrotta con quella che era non solo una
promessa ma un vero e proprio giuramento solenne da parte di
entrambi.
La
caccia all’uomo era partita, capitando a tutti
inaspettatamente tra
capo e collo, come una manna pericolosa che gravava sulla vita di
Don. Una manna pronta a cadergli addosso e portarselo via da un
momento all’altro.
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