snk pearl harbor
Salve a tutti e buon anno nuovo!
Inauguro questo 2016 con questa idea, che non so
quanto successo potrà riscuotere, ma che penso almeno di dovere a me stesso
visto da quanto tempo ce l’ho in mente! Dovete sapere che adoro alla follia il
film Pearl Harbor di Michael Bay, e Attacco dei Giganti non è in realtà la
prima serie con cui ho sognato di incrociare le più belle scene del film:
avendo trovato dei collegamenti abbastanza azzeccati tra scene e personaggi
però, stavolta ho deciso di darmi da fare! Perciò ecco calati i nostri
ammazza-giganti nei tragici giorni della Seconda Guerra Mondiale, nel bel mezzo
dell’attacco a sorpresa condotto alla base di Pearl Harbor. Quali saranno i
loro ruoli, e come se la caveranno in questa situazione drammatica? Per
scoprirlo, vi basta leggere!
Il primo capitolo tratterà di Eren e Levi: buona
lettura a tutti!
Per Info: https://it.wikipedia.org/wiki/Attacco_di_Pearl_Harbor
Il caporale Eren Jaeger dei Marines si era fatto
conoscere, persino in tempi di pace, come quelli finiti quello stesso giorno,
per la testa calda e l’animo sprezzante e, nelle simulazioni, per un coraggio
ammirevole quanto a dir poco suicidario.
Solo da lui ci si poteva aspettare gesti come
abbandonare il proprio riparo nel pieno di un attacco nemico.
“Thomas!”
Corse verso il corpo dell’amico riverso a terra:
lo chiamò ancora più forte, scuotendolo per le spalle, ma era solo una sciocca
illusione, la sua, che potesse ancora rispondergli.
Aveva gli occhi sbarrati, la sua testa penzolava flaccida
sul corpo martoriato dai proiettili sparati dai mortali caccia Zero, che lo
avevano trapassato da parte a parte in più punti.
Col fiato corto per il dolore e per la rabbia,
montante come una marea, Eren alzò lo sguardo dal compagno d’addestramento al
caos che si svolgeva intorno: le sue orecchie si sturarono al suono delle
raffiche di mitragliatrice, i suoi occhi si accecarono nei lampi infuocati
delle deflagrazioni.
La rada di Pearl Harbor, il paradiso in terra in
cui avevano vissuto spensierati fino a ieri, fino a quello stesso mattino, si
era tramutata in un inferno.
Davanti quegli stessi pontili, solo il giorno
prima, lui e Thomas, e gli altri bravi ragazzi del suo battaglione, erano
passati per recarsi in caserma, parlando di scommesse sul baseball e discutendo
su quale delle infermiere fosse la più bella, e ora le loro bianche e imponenti
navi, il loro orgoglio, vomitavano nell’aria pezzi di lamiera e corpi umani
ogni volta che venivano centrate dalle decine di bombe che piovevano dal cielo,
scagliate dalle centinaia di mosconi che assordavano l’aere col loro ronzio
portatore di morte e distruzione.
Perché? Come poteva star accedendo?
<< Perché?
>> -chiese affondando le unghie nel cadavere che ancora stringeva tra le
braccia.
La corazzata California, dinanzi a sé, sussultò,
come non fosse stata fatta d’acciaio ma di carne e le avessero appena tirato un
pugno allo stomaco, mentre la sua fiancata saltava in aria colpita da un
siluro. E mentre l’intera flotta veniva fatta a pezzi, raffiche su raffiche si
abbattevano senza pietà sui marinai gettatisi disperatamente in acqua e quelli
che da bordo o da terra provavano a reagire o cercare riparo: cadevano tutti, a
detti stretti o in lacrime, urlanti o gementi, col fucile in mano o le gambe
all’aria.
<< Perché
ci fate questo? Perché ci attaccate?
Perché ci uccidete? Che cosa vi abbiamo mai fatto? >> - domandò
disperato al rosso sole imperiale nipponico, dipinto sulla fiancata dei caccia
che balenavano, cabravano e scendevano in picchiata davanti i suoi occhi sconvolti.
<< Non
siamo in guerra con voi, non siamo in guerra con nessuno! Non vi abbiamo mai
fatto del male! Che diavolo state
facendo? >>
La guerra era lontana, in Europa, non doveva
essere lì, in quel posto magnifico di sole, mare e spiagge, dove quasi sembrava
di stare in vacanza che sotto le armi. Perché allora i giapponesi li
attaccavano? Come potevano venire lì, improvvisi e furibondi, a ucciderli, mentre
si addestravano e si esercitavano, mentre ascoltavano musica alla radio, mentre
sognavano ragazze carine da invitare a ballare alla prossima serata di licenza,
mentre svolgevano il loro dovere con impegno per il loro paese… Venivano lì, a
spezzare le loro vite e i loro sogni che li aspettavano nelle loro case lontane
a cui sarebbero tornati una volta finita la ferma.
Non capiva, non riusciva a capire.
<< Perché?
Ditemi il perché, brutti figli di puttana! >>
Thomas era morto, e chissà quanti altri dei suoi
amici erano morti o stavano morendo mentre stava fermo lì a pensare.
Una fortissima esplosione richiamò il suo sguardo
verso sinistra: quale allettante, provvidenziale coincidenza notare, tra le
nubi di fumo nero, una mitragliatrice contraerea mobile Browning. I soldati che
la stavano manovrando giacevano crivellati intorno ad essa.
Eren poggiò con rispetto il corpo di Thomas a
terra e, ali ai piedi, tra boati e sventagliate di proiettili, raggiunse
l’arma, scostò un paio di cadaveri e innestò la cartucciera.
Acquattatosi tra i sacchi di sabbia, afferrò i due
manici dell’arma e alzò il tiro, guardando attraverso il mirino circolare,
smanioso di inquadrare uno degli aerei di quel popolo che a malapena sapeva
identificare sulla carta geografica, ma che in un lampo per lui, e negli anni a
venire, sarebbero divenuti gli odiati “musi gialli”. Ma erano troppo veloci, e
lui, neanche addestrato a usare quell’arma, non riusciva a seguirli.
“DOVE SIETE, BASTARDI?!” –diede voce ai suoi
pensieri con tanta forza da fargli bruciare la gola.
Quasi l’avesse sentito, uno degli Zero compì una
virata proprio davanti a lui per dirigersi nella sua direzione, finendo in tal
modo proprio al centro del suo mirino.
“CREPATE!”
Prese a riversargli addosso tutto il piombo che
poteva, tenendo premuto il grilletto con goduriosa ira: sparare era diventato,
in quegli attimi di accecamento, la sua ragione di vivere, tempestare di colpi
quel moscone fino ad abbatterlo e far sì fosse solo il primo di una lunga
serie.
“VI AMMAZZERÒ TUTTI! TUTTI! GIURO CHE VI UCCIDERÒ
DAL PRIMO ALL’ULTIMO, MALEDETTISSIMI ASSASSINI! CREPATE! CREPATE! CREPATE!”
Le sue urla non si erano ancora spente, che una
fumata nera dalla carlinga del caccia preso di mira ne preannunciò la fine:
rollando vorticosamente su sé stesso, si schiantò sul freddo cemento del molo,
tra i rottami fumanti di quelle che erano state due loro cacciatorpediniere.
Per nulla pago nei suoi propositi genocidi, senza
un grido o un liberatorio gesto di esultanza, Eren tornò a scrutare il cielo,
frenetico, folle. Solo lo scatto senza mordente dell’arma ormai scarica riuscì
a riportarlo alla realtà: nella sua frenesia aveva consumato tutti i colpi.
Diede un pugno stizzato al paramento di sacchi e
poi si alzò in piedi, cercando con lo sguardo i commilitoni che aveva lasciato,
al sicuro come conigli in gabbia, dietro l’angolo di un edificio.
“Tutti ai propri posti! Cercate delle armi e
contrattaccate! Muovetevi!” –ordinò, perentorio da riuscire a farli muovere
malgrado lo sgomento che ancora li attanagliava dall’inizio di quel vile
attacco.
Eren guardò il cielo sereno, macchiato dalle ampie
sagome degli aerei giapponesi. Non gli avrebbe permesso di portarsi via i suoi
compagni, i suoi amici, sua sorella, senza combattere, anche in quelle
condizioni così impari e disperate.
“Vi fermerò! Dovessi buttarvi giù dal primo
all’ultimo!”
Per molte cose il capitano Levi Ackerman era
famoso lì alla base. Certamente per l’essere uno dei migliori piloti dell’aviazione
militare statunitense, per la sua passione per l’ordine e la pulizia, cui
facevano spesso le spese i suoi sottoposti, costretti a pulire uffici e
camerate fino a tardi, per il fatto che avesse una tale scopa su per il culo
che nessuno della truppa o degli altri ufficiali potesse affermare di averlo
mai visto sorridere…
“VI VOGLIO GIÙ DALLE BRANDE IN QUESTO FOTTUTO
ISTANTE! NON È UNA CAZZO DI ESERCITAZIONE QUESTA! SE NON VI VEDO IN PISTA TRA
DIECI SECONDI VI FICCHERÒ LA PUNTA DEI MIEI STIVALI SU PER IL CULO, DANNAZIONE!”
… e per il linguaggio talora parecchio colorito.
Di solito questo si esprimeva attraverso il suo solito modo di parlare
flemmatico e un po’ monotono, ma nessuno ebbe da ridire sull’inusuale volume
spaccatimpani raggiunto dalla sua voce, date le circostanze. Il sonno leggero e
l’intuito fine gli avevano permesso di attivarsi e reagire prima degli altri, e
anche adesso, dietro le urla furibonde con cui dava il primo buongiorno di
guerra agli altri piloti del dormitorio, conservava il suo sangue freddo. Non
lo perse neppure quando una bomba esplose a qualche metro dall’edificio,
mandando in frantumi un intera fila di finestre: fu lui il primo a rialzarsi in
piedi, scuotersi di dosso le schegge, e a scrutare con occhi di ghiaccio gli
altri rannicchiati in terra e a intimare l’ordine con voce tesa.
“Agli aerei… Ora!”
Qualche istante dopo, la torma di uomini usciva
allo scoperto nel campo di volo, lanciata in una corsa folle lungo la pista per
raggiungere gli hangar. Lo scenario non era incoraggiante: sagome nere
sfrecciavano velocissime e letali sulle loro teste, una jeep era in fiamme, e
dall’altro lato della pista l’altro dormitorio era stato centrato in pieno
dalle bombe. Alcuni postazioni circolari di sacchi di sabbia stavano abbozzando
una timida difesa, insieme ad alcuni fucilieri saliti sulla torre di controllo,
ma non sarebbe bastata: dovevano arrivare ai loro aerei, affrontarli ad armi
pari.
“Correte! Avanti!” –incitò i suoi.
“Capitano!” –sentì la voce di Eld alle sue spalle,
ma non ebbe bisogno di voltarsi: il rumore in crescendo dell’aereo che piombava
su di loro, bersagli facili, parlava oltremodo chiaro.
“Più veloci!”
Con uno scatto, il piccolo capitano staccò tutti i
suoi e con un agile salto in avanti, atterrò con una capriola oltre la muraglia
di sacchi, ma fu l’unico. Si alzò su un ginocchio e vide con orrore gli effetti
devastanti che avevano avuto le mitragliatrici del caccia giapponese: aveva
falciato i suoi uomini come grano maturo, massacrati come pecore al macello.
Scorse, tra i corpi riversi, quelli di Eld e Gunther, e fu dura non vacillare
neanche in quel momento.
Si girò, e vide i soldati che cercavano di
rispondere agli zero con un paio di mitragliatrici, e una inconfondibile tipa
col codino con addosso una tuta sporca d’olio per motori che dava una mano con
un fucile a pompa.
“Che cazzo stai facendo qui, Angy?”
“Do una mano!” –rispose lei col suo brevettato sorrisetto
sbarazzino, prima di sparare un altro colpo.
Angy Zoe era probabilmente, anzi, certamente, l’unica
donna meccanico al servizio dell’U.S. Air Force: davanti alla sua competenza
sconfinata in motori e aerovelivoli, e alla sua conoscenza personale con l’ammiraglio
Erwin Smith, non c’era stato sesso che tenesse. E poi, obiettivamente, Levi
sapeva che era più in gamba di mille uomini messi assieme, alla faccia di chi
pensava che infermiera e segretaria fossero gli unici ruoli per le donne sotto
le armi.
“Angy, mi serve un aereo!” –gridò per farsi
sentire oltre il rumore degli spari- “Quanti sono pronti?”
“Pochi!” –rispose lei perentoria, come d’altro
canto si era aspettato dato che non c’era stata alcuna minaccia all’orizzonte
per cui mantenerli operativi- “Ma il problema più grosso non è questo! Il
problema è…”
Entrambi sobbalzarono al suono di un esplosione
più forte: i loro stomaci si torsero all’unisono vedendo, lontano sulla destra,
un paio di hangar avvolti in fiamme e fumo.
“Il problema è che questi bastardi ce li fanno
saltare ancora prima che proviamo a metterli in pista, cazzo!” –imprecò togliendosi
gli occhialoni per pulirli da fuliggine e detriti, mentre anche alcuni fusti di
carburante avevano preso a saltare in aria uno dopo l’altro come petardi troppo
cresciuti.
Levi vide uno degli uomini sulla torre cadere giù,
colpito, e poi notò l’hangar accanto ad essa, e le eliche dell’aereo al suo
interno in funzione.
“Quello è Bossard!” –gridò Angy, buttando via il
fucile scarico- “Deve essere pronto al decollo!”
“Muovetevi, muovetevi! Non ho tempo da perdere!” –scalpitava
il pilota, battendo la mano sulla carlinga, come un fantino batte il proprio
cavallo col suo frustino.
“Stiamo facendo più in fretta che possiamo!” –ribatté
costernato il meccanico intento a finire di caricare le armi al suo caccia P-40.
“Al diavolo!” –si morse la lingua per contenere il
nervosismo- “Contatto!”
Il motore ruggì e Oluo Bossard, secondo, a suo
dire, miglior pilota sulla piazza, uscì col naso del proprio aereo fuori dall’hangar,
come una volpe dalla tana, e lo indirizzò verso la pista di decollo.
“Andiamo! Andiamo!” –sapeva benissimo che spronare
e minacciare l’aereo per fargli prendere di velocità non sarebbe servito a
nulla, se non a distrarlo dal pensiero che non poteva attardarsi neanche un
solo istante. Le ruote del monoposto avevano appena iniziato a sentire l’aria
sotto di sé, quando un brivido dietro il collo lo colse, come un sesto senso.
Levi, che stava assistendo alla scena, strinse i
pugni: “Prendi quota! Prendi quota, Oluo! Muoviti!”
Tirò la cloche verso di sé, ma a quella velocità ancora
troppo bassa non poteva forzare l’aereo a decollare, e due zero erano già sopra
di lui. Sentì il rombo delle mitragliatrici farsi vicino, sempre più vicino, e
i proiettili trapassare il metallo del velivolo come lame nel burro.
Chiuse gli occhi, e, rassegnato, il suo ultimo
pensiero fu per l’amata Petra.
Poi l’esplosione lo avvolse.
Il muso del P-40, dopo aver futilmente puntato il
cielo, piombò mesto a terra, fracassandosi e spezzando l’elica.
“……” -la mano di Levi si dischiuse: come un saluto,
come la coscienza che pur stretta si era lasciata scappare un altro pezzo
importante della propria vita. Non aveva potuto fare niente per lui: non lì appiedato
e impotente, non senza ali.
Angy a quella vista si era coperta la bocca con le
mani ed era crollata a sedere: anche la sua tremenda forza d’animo stava
venendo meno. Ma lui non l’avrebbe permesso.
Le prese le spalle e la scosse: “Angy! Angy,
guardami! Guardami!”
“Eh?!” –sospirò lei, riemergendo alla tremenda
realtà.
La guardò dritta negli occhi, come da questo
dipendesse che restasse sveglia e concentrata: “Mi serve un aereo… Mi serve un
dannato aereo, Angy!”
Angy aggrottò le ciglia: alzarsi in volo da lì era
impossibile, avrebbe fatto la stessa fine di Oluo e degli altri piloti che ci
avevano provato.
“Ho quello che ti occorre!” –rispose, mentre il
fuoco le si riaccendeva nello sguardo.
Si protese oltre il riparo e puntò, come un cane
da caccia, una jeep parcheggiata vicino un silos.
“Seguimi!”
Seguirla con gli Zero a pisciar piombo sulle loro
teste era una follia, ma se sapeva una cosa per certo, era che quella tipa era
la regina della follia: sapeva di potersi affidare a lei. Rapidi, saltarono sui
sedili, Angy al posto di guida, la quale sgommò con tanta foga che a Levi
scappò di mano la cintura di sicurezza che aveva cercato di indossare!
Confidando che i giapponesi dessero più peso alla distruzione dell’aereoporto
piuttosto che a una jeep di fuggiaschi, Angy lanciò la vettura a manetta sullo
sterrato.
“Dove stiamo andando?” –chiese Levi con una nota
di preoccupazione, reggendosi più saldamente che poteva al cruscotto e allo
sportello, cercando di non farsi sbalzare fuori! Il suo stile di guida era
davvero quello di una matta!
“C’è una piccola pista a un paio di chilometri da
qui, ci ho portato un apparecchio per delle riparazioni l’altro ieri: ha il
serbatoio pieno e le armi in canna, un’ultima aggiustatina ed è tutto tuo!”
“Sei grande, quattrocchi!”
“Ah ah ah! Lo so!”
Levi guardò all’orizzonte, oltre un basso crinale,
la baia: le loro navi erano come prede succulente su cui quegli avvoltoi si
lanciavano uno dopo l’altro, la sorpresa aveva impedito loro di organizzarsi in
un’efficace difesa.
Doveva far presto. Il miglior pilota di Pearl
Harbor doveva entrare in azione.
Finalmente ce l’ho fatta: ho iniziato a scrivere
un crossover con Pearl Harbor *__* Come sono contento! E sarò ancora più
contento se piacerà anche a voi!
Quanto all’episodio di Eren, diciamo che in
effetti qualche buon motivo per attaccare gli americani i giapponesi l’avevano
in realtà: le due superpotenze erano infatti rivali per il dominio sul pacifico
e gli Stati Uniti gli avevano appioppato un bell’embargo sul petrolio… È stato
abbastanza facile con lui, è bastato sostituire i titani con i giapponesi… XD
Quanto alla coppia Levi-aviatore ed
Hanji-meccanico… è stato il mio spirito LeviHan a guidarmi, mi dichiaro
colpevole XD Però il risultato mi piace un sacco, sono troppo fighi!
Mi sono preso la libertà di “inglesizzare” un po’
il nome di Hanji, spero non vi sia dispiaciuta come idea ^__^
Al prossimo capitolo!
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