Come Fuoco di Camino
Nello
stesso momento in cui l’orologio a muro della cucina
segnò
le quattro e mezza di pomeriggio, Emiliano si avvicinò al
forno
e, sedendosi sui talloni, sbirciò all’interno,
per verificare il grado di cottura della sua creazione. Poi, soddisfatto dell’aspetto rigonfio e brunito della torta,
aprì lo sportello e, con l’aiuto di un guantone
imbottito,
tirò fuori la pirofila, ammirando compiaciuto il risultato di
parecchie ore di lavoro: era la prima volta che riusciva a fare un
dolce senza combinare un disastro.
Infatti, nonostante fosse altamente
versato nella preparazione di piatti salati, la
pasticceria non era mai stata nelle sue corde, rimanendo sempre una
prerogativa di Flavia.
Quella volta, però, era accaduto davvero un piccolo miracolo, tanto
che il ragazzo ritenne si trattasse di un fortuito caso
isolato.
Tuttavia, se così fosse stato, non gli sarebbe comunque dispiaciuto
più di tanto, giacché, dopo aver raggiunto lo
scopo per
il quale si era così impegnato, sarebbe tornato
volentieri a destreggiarsi tra risotti e soufflé.
Con delicatezza, poggiò la torta sul piano da lavoro e, dopo
aver
spento
il forno, si affacciò in salotto per constatare a che punto
fosse la decorazione della casa e scorse Flavia, intenta ad agganciare
le palline all’imponente finto abete posto accanto al camino
scoppiettante.
«Manca davvero poco» considerò lui,
appoggiandosi allo stipite della porta a vetro.
La ragazza smise di canticchiare Rockin’
Around the Christmas Tree, che aveva intonato con il suo accento irlandese, e si spostò una
ciocca di capelli rossicci dietro l’orecchio,
osservando
critica il suo operato.
«Ho quasi finito. Per la stella, però, vale lo
stesso
discorso delle palline più in alto: dovrai metterla tu in
cima,
perché io non ci arrivo».
«Nonostante oggi ti sia messa i tacchi, resti sempre molto...
minuta» commentò Emiliano, incrociando le braccia
sul petto.
Lei interruppe la ricerca di una ramo vuoto dove appendere
l’ultima decorazione e si voltò a guardarlo, assumendo
un’espressione alquanto stizzita.
«Non tutti abbiamo la fortuna di essere alti un metro e
ottanta, sai?»
Il ragazzo incurvò le labbra in un sorriso compiaciuto, non
riuscendo a nascondere quanto lo divertisse punzecchiarla. Poi, si
avvicinò all’abete e lo ammirò, non potendo
negare che era
venuto davvero molto bene, tutto colorato di rosso
e d’argento com’era.
«Allora, dov’è questa stella?»
chiese,
guardandosi intorno e cercandola con lo sguardo, in mezzo a tutte le
scatole degli addobbi.
«L’ho messa sul tavolo per evitare che si
rompesse,
essendo di vetro» spiegò la giovane.
«Comunque, puoi
prendertela da solo, hai l’altezza e la prestanza fisica
necessaria» aggiunse poco dopo con una punta di acidità
nella
voce, mostrandogli la lingua.
Emiliano scosse la testa, abituato alle risposte piccate di lei, per
fare poi come gli era stato indicato e, procedendo a zig-zag tra gli
scatoloni abbandonati sul pavimento, raggiungere il tavolo.
Successivamente, dopo aver preso delicatamente tra le mani la stella di
vetro dorato e venature
ramate, alzò istintivamente la testa e, per un attimo,
rimase
sorpreso, perché, da quella prospettiva più
lontana, l’angolo opposto del suo salotto era appena
riconoscibile: l’albero, le
candele
poggiate sulla mensola del camino, la ghirlanda di rami di pino e pigne
che sfiorava appena il parafuoco lo rendevano un ambiente
decisamente diverso.
Dietro quella rimessa a nuovo sapeva esserci la mano di Flavia, che in quel momento
stava mettendo batuffoli di ovatta, per simulare la neve, sul ramo
più alto che riuscisse a raggiungere, in perfetto equilibrio sulle sue
décolleté color avorio.
Il ragazzo pensò che era piuttosto raro vederla indossare abiti
femminili,
poiché non amava particolarmente
imbellettarsi; ciononostante, quando lo faceva, era come se mostrasse
la sua vera essenza: una bella ragazza che non aveva bisogno di
nascondersi dietro felpone di gruppi Irish-folk o metal a lui
sconosciuti
e occhi cerchiati di matita nera.
Nonostante Emiliano l’apprezzasse in tutte le versioni, in cuor suo la preferiva nella sua veste più semplice e naturale,
anche se, per timore di farle pensare che a lui non piacesse quello che
era o non sapesse
rispettare le sue scelte, non aveva mai insistito più di
tanto nel dirglielo, rispettando la sua libertà di espressione.
Tuttavia, quando, qualche ora prima, aveva aperto la porta e se l’era
trovata davanti in leggings, maglioncino lungo, trucco leggero e -
addirittura! - tacchi, non era riuscito a celare la sua sorpresa e ammirazione,
fissandola come un ebete per un minuto buono.
Invece, la ragazza, che doveva avere intuito il perché di tale
reazione,
si era limitata a fare spallucce, rispondendogli semplicemente:
«Oggi è l’otto dicembre, è
festa».
Quella frase, però, gli era sembrata strana, stonata, dato che aveva festeggiato il suo ultimo
Natale a cinque anni, passando poi i successivi ventuno ad ignorare
qualsiasi cosa ad esso collegato, perché per lui era diventata una festa priva di
qualsiasi significato, anzi, se si soffermava a pensarci, le uniche
emozioni che gli suscitava erano rancore e odio.
Ogni anno, infatti, contemporaneamente al comparire dei primi addobbi
in strada o nei negozi, Emiliano cominciava ad
avvertire un gelo strisciargli infido nel
cuore e che, man mano che passavano i giorni e dicembre entrava nel
vivo,
si cristallizzava, aprendo crepe sempre più profonde.
Così, il freddo che gli intorpidiva tutti i buoni sentimenti,
entrava in netto
contrasto con il calore delle luci che vedeva brillare intorno a
sé, che fossero le lucine di un albero o il fuoco di un
camino; pian piano,
era diventato insensibile ai colori e alle melodie delle carole, come
se stesse vivendo in un vecchio film muto in bianco e nero.
Detestava persino le allegre famigliole che correvano qua e là, alla
ricerca di regali e provviste per il cenone della Vigilia o per il
pranzo del giorno dopo, trovando i loro sorrisi gioiosi snervanti quanto l’essere costretto a ricambiare tutti gli
auguri
che riceveva, non volendo rivelare il vero motivo per
cui, per lui, non esisteva il Natale.
Addirittura, quando frequentava le scuole elementari, riusciva puntalmente a farsi
venire un febbrone da cavallo la sera prima della recita di classe,
urlando che non voleva parteciparvi e costringendo il padre ad
assecondarlo, facendolo rimanere a casa.
Inoltre, aveva smesso di credere in Babbo Natale già in tenera
età e, una volta, aveva anche preso una punizione a scuola
perché aveva fatto piangere un suo compagno di classe,
sostenendo con veemenza che non esisteva nessun signore con la barba
bianca e
vestito di rosso che portava regali ai bambini buoni.
In seguito, quando era
cresciuto, la situazione era migliorata, poiché non era
più
stato
costretto a partecipare ad attività collettive natalizie,
potendo considerare quel periodo solo come un’occasione per
riposarsi dallo studio prima e
dal lavoro poi.
Addirittura, nei due anni in cui aveva avuto una relazione con
Lucrezia, aveva evaso una volta l’invito al pranzo, inscenando di
esser stato contagiato da un batterio molto pericoloso e quasi letale,
mentre
l’altra, aveva fatto finta di perdere la coincidenza del treno che avrebbe
dovuto riportarlo a casa
da
un viaggio per affari. Effettivamente, non si era
perso granché, dato che i
genitori di lei l’avevano invitato solo perché
temevano
che lasciasse quella libertina della loro figlia. Cosa che, per altro,
era accaduta qualche tempo dopo, anche se ancora non gli erano del
tutto chiare le dinamiche, poiché molti aspetti di quella triste
parentesi erano rimasti senza una spiegazione e lui stesso si biasimava
per averla tirata per le lunghe.
Disgustato da quel ricordo improvviso ed indesiderato, il ragazzo scrollò la testa come per
cercare di
allontanarlo anche fisicamente, per poi avvicinarsi
nuovamente all’albero, ormai decorato
di tutto
punto.
«Eccoti, finalmente!» esclamò la
ragazza, voltandosi
verso di lui. «Su, su, sbrigati a mettere questa stella,
ché dobbiamo
ancora accendere sia luci che le candele che mi hanno mandato da Dublino!»
Il giovane annuì e si protese per sistemare la decorazione,
sorridendo al pensiero che, proprio l’ultima volta che aveva
fatto
l’albero, suo padre se l’era messo sulle spalle e
gli aveva
fatto mettere in cima una stella molto simile a quella che lui e Flavia
avevano comprato qualche giorno prima e che ora lui aveva messo al suo
posto.
«A te l’onore!» esclamò la ragazza, facendolo ritornare bruscamente alla realtà.
Emiliano, allora, girò la testa verso di lei e vide che gli tendeva
la spina elettrica delle luminarie.
«Dopo tutti questi anni in cui non hai festeggiato il Natale,
mi
sembra il minimo lasciare a te questo compito!» gli
spiegò lei, che doveva aver notato la sua espressione, regalandogli uno di quei sorrisi dolci e partecipi
che
gli piacevano tanto.
A quel punto, il ragazzo annuì, rimanendo per qualche istante a fissare
l’abete che aveva di fronte, incerto. Non sapeva che reazione
avrebbe avuto, se sarebbe riaffiorato o no l’antico
astio
che aveva per il Natale e se un suo eventuale, ostinato rifiuto avrebbe
ferito Flavia, che si era tanto adoperata per aiutarlo a mettere gli
addobbi.
Infatti, non voleva farle del male, come era capitato in passato, per poi pentirsi amaramente e chiederle scusa per i
suoi eccessi. Tuttavia, ricordava molto bene di essere stato lui stesso
a chiederle di dargli una mano con la decorazione natalizia della casa,
avendo trovato, quell’anno, lo spirito giusto per farlo, pertanto non
avrebbe potuto manifestare rabbia o stizza. Altrimenti, per una volta,
la giovane avrebbe avuto ragione nel dargli del bipolare, come faceva
scherzosamente di solito, quando lui cambiava improvvisamente atteggiamento
verso qualcosa o qualcuno.
Inspirò profondamente e mise la spina nella presa,
attendendo
che quelle minuscole lampadine si accendessero. Fu questione di istanti: lentamente, la
fila di lucine assunse una brillante colorazione bianca dai toni caldi,
la stessa tonalità che vedeva sempre quando andava sotto Natale a casa di
Giancarlo.
L’abete che veniva addobbato dalla madre di lui, infatti, era
l’unico
con cui avesse avuto negli ultimi anni un contatto più o meno ravvicinato,
se si
escludevano gli alberi che abbellivano i centri commerciali, dai quali
si manteneva prudentemente alla larga da fine novembre a
metà
gennaio.
Inoltre, il suo migliore amico era l’unico che sapeva perché odiasse così tanto il Natale
ed il
solo a non cercare di forzarlo a prendere parte alle feste che venivano
date in quel periodo dai colleghi dell’università.
Non gli
faceva nemmeno gli auguri, sapendo perfettamente che non li gradiva.
E così, mentre gli altri si riunivano in famiglia
per festeggiare, Emiliano si sentiva sollevato proprio per il fatto di
non
avere parenti prossimi che lo avrebbero costretto a farlo: suo padre
Lorenzo era figlio unico e le sorelle di sua madre, Gabriela, non avevano
mai lasciato la Colombia, limitandosi a mandargli ogni anno variopinti biglietti
di auguri.
Ad essere sincero, il suo odio verso questa festività ruotava proprio intorno al
concetto di famiglia,
poiché, se per la maggior parte della gente essa coincideva con un’occasione di
raccoglimento e di
ritrovo, per lui rappresentava il momento dell’anno in cui si
sentiva più solo. Il dramma che aveva vissuto quella rigida
sera
di fine novembre di ventuno anni prima, tornava a perseguitarlo ogni
notte nei sogni, facendogli rivivere sadicamente ogni singolo istante della tragedia che aveva
cambiato la sua vita per sempre: aver visto
morire sua madre sotto i suoi occhi.
Dal quel momento, aveva perso fiducia nel mondo, permettendo a se
stesso di affezionarsi solo a poche persone altamente selezionate.
Tuttavia, era stato facile voler bene a Giancarlo, che poteva capirlo
perché aveva perso il suo adorato nonno qualche mese dopo la
scomparsa di Gabriela, mentre non si era mai fidato completamente di
Lucrezia, forse perché aveva capito che non sarebbe mai
stata un’anima affine alla sua.
E poi, era arrivata Flavia, alla quale non aveva saputo dire di no,
lasciandola entrare nella sua vita, nonostante
all’inizio pensasse che fosse esattamente il suo opposto, senza
possibilità di trovare un punto in comune. Mai si era sbagliato
così clamorosamente e mai era stato così contento
di averlo fatto.
«Ci vorrebbero proprio dei pacchetti sotto
quest’albero, per renderlo più bello!»
notò la ragazza, interrompendo la sua lunga catena di
pensieri. «A casa di Madison e Patrick ne mettevamo addirittura qualcuno finto, per fare scena».
«Qualcosa dovrebbe arrivare, perciò li metterò man mano
che li riceverò».
«Il mio te lo darò il ventiquattro sera, però, perché mi piace
rispettare la tradizione».
«Se è così, allora, anche io farò lo
stesso con il mio» replicò lui, togliendole un batuffolo di
ovatta dai capelli: si era lasciata così coinvolgere dallo
spirito natalizio, che non doveva aver fatto attenzione a dove stesse
finendo la neve finta. Era tipico di lei e questo suo entusiasmo era la
ragione per cui, alla fine, Emiliano si era lasciato persuadere
dall’idea di riaprire, almeno parzialmente, il suo animo al
Natale.
«Comunque, a proposito di regali, cosa posso portare ai tuoi
zii, per ringraziarli dell’invito a pranzo?» le
domandò, ricordandosi che non aveva ancora deciso cosa
comprare per Vittoria e Gerardo. Erano stati
davvero gentili ad includere anche Lorenzo nell’invito e, in
particolare, la zia di Flavia, che aveva dimostrato di avere la stessa
indole dolce e spontanea della nipote. Infatti, quando
Emiliano le aveva detto “Non
festeggio, perché non credo nel Natale”,
lei gli aveva risposto “Non
importa. Il Natale è anche
un’occasione per riflettere sul fatto che nessuno dovrebbe rimanere da solo, in nessuna stagione dell’anno”.
La ragazza, sorpresa dalla sua domanda, scosse la testa: «Oh, no, non
è necessario portare un regalo agli zii, non ce ne è bisogno. A loro basta che tu e tuo
papà abbiate deciso di venire» gli
spiegò, con un sorriso. «Al massimo, puoi
portare un pensierino a Fabio, che è ancora un
bambino».
Il giovane pensò che fosse un’ottima idea,
giacché il fratello di Flavia era ancora in
un’età in cui meritava
l’opportunità di vivere le festività
secondo la tradizione. Quel ragazzino aveva avuto una vita difficile e gli ricordava
molto se stesso qualche anno prima, pertanto, se avesse potuto fare qualcosa per evitargli
qualche sofferenza, l’avrebbe fatta senza esitazioni.
«Se non sbaglio è un piccolo fan di Star Wars, vero?
Pensi che potrebbe piacergli una scatola di Lego a tema?»
«Così poi ci giochi tu?» commentò lei, con un
sorrisetto, ed Emiliano socchiuse appena gli occhi, indispettito.
«Ah-ha, molto spiritosa» replicò, serio.
«Dai, non essere permaloso, ho detto la
verità!» si difese Flavia, ridacchiando.
«Però credo
che sia un’ottima idea e sicuramente dopo ti chiederà di
aiutarlo a montare i pezzi. È sempre molto contento, quando
gli proponi di fare qualcosa insieme».
«Allora, provvederò al più
presto» fece lui, contento di aver avuto una buona
intuizione, nonostante per lui fare regali natalizi fosse
un’esperienza completamente nuova.
Flavia annuì e cominciò a radunare gli scatoloni,
spostandoli verso la porta che dava sull’ingresso della
villa, ed
Emiliano le dette subito una mano, così da liberare lo spazio di
fronte al camino.
«Mentre finisco di mettere a posto e accendo le candele, puoi
andare a mettere sul fuoco l’acqua per il
tè» propose la ragazza, dopo qualche minuto, richiudendo la scatola
delle palline ormai vuota.
«Ah, giusto, dobbiamo ancora mangiare il dolce!»
esclamò lui, che si era quasi dimenticato della sorpresa che
aveva preparato.
Lasciò all’istante la scatola che aveva in mano e
tornò in cucina, dove ebbe modo di rendersi conto che la
torta si era perfettamente raffreddata e che era pronta per essere
rimossa dallo stampo.
Così, prese un piatto da portata e, dopo averla estratta dalla pirofila, ve
l’adagiò sopra: fortunatamente, non si afflosciò, anzi, emanava un
ottimo profumo, entrambi dettagli che rincuorarono parecchio il suo lato
di pasticcere comprovatamente fallimentare.
Poi, dopo aver messo sul fornello un pentolino con l’acqua,
preparò il vassoio con le tazze, i cucchiaini e la
zuccheriera, sperando che tutto andasse secondo i suoi piani. In quel momento, quasi
inconsciamente, si voltò verso la fotografia di Gabriela, che
lo guardava dalla mensola accanto al balcone, sorridendo gioiosa: quel
volto dalla pelle olivastra, incorniciato da lunghi capelli mossi
e castani, con espressivi occhi nocciola, era stato per lui, in molte
occasioni, motivo di conforto.
Non di rado, infatti, si era ritrovato ad avere vere e proprie conversazioni con quel ritratto - che gli
ricordava quanto le somigliasse fisicamente -, specialmente quando era
arrabbiato o aveva dei dubbi. Era incredibile come, subito dopo essersi
sfogato con lei, si sentisse meglio, come se fosse stata
lì ad ascoltarlo. Anche se non poteva rispondergli, però, era
certo che sua madre gli fosse vicina e che sapesse ogni cosa che lo
riguardava.
In quel momento, in particolare le chiese tacitamente di far sì che il dolce fosse davvero ben
riuscito, prima che l’acqua in ebollizione richiamasse la sua attenzione. Allora, Emiliano prese da
un’anta della credenza la teiera di ceramica ed i filtri di
tè bianco, il preferito di Flavia, e finì di preparare il tutto. Poi, dopo aver preso un bel
respiro, tornò in salotto.
L’aroma di zenzero e noce moscata proveniente dalle candele
lo investì non appena oltrepassò la porta,
riportandolo al giorno in cui, per la prima volta, aveva messo piede
nello Shannon’s. All’epoca ancora non lo sapeva, ovviamente, ma
stava per iniziare uno dei capitoli più belli e attesi della
sua vita: quello in cui si sarebbe innamorato sul serio.
«Gingerbread1?»
domandò, appoggiando il
vassoio sul tavolino accanto al parafuoco.
«Esatto. Ho pensato che questa fragranza fosse molto
natalizia, ti piace?» rispose lei, accomodandosi su uno degli
enormi e soffici cuscini porpora poggiati sul tappeto.
«Mi ricorda la sala da tè dove lavoravi»
commentò Emiliano, sedendosi di
fronte
a lei.
«Be’, Madison ama riempire il bancone di dolci
speziati, perché fanno parte della nostra tradizione».
«Ha ragione» confermò lui, mettendo i
filtri in
infusione all’interno della teiera. Poi vi rimise il coperchio ed
attese che il tè fosse pronto, spostando lo sguardo verso le candele ed
il
camino, perdendosi nei movimenti flessuosi delle fiamme dentro
quest’ultimo, che instillarono in lui un inatteso senso di
serenità.
«Non ti convincono le candele?» gli
domandò Flavia, vedendolo particolarmente
assorto.
«No, anzi, mi piace vedere le loro fiamme e quelle del
camino, sembra che danzino. Fanno molto inverno».
«L’anno scorso sei stato a Copenaghen fino alla fine di
febbraio, perciò non c’è stato modo di festeggiare alcun
che» gli fece notare lei, con voce triste. Il ragazzo, allora, la guardò e vide i suoi begli occhi verdi
velarsi di malinconia, poiché sapeva che aveva sofferto molto quando se ne era
andato, soprattutto perché era successo quando si erano
appena
ritrovati.
«Purtroppo, l’università aveva
organizzato solo quello stage, perciò, anche se a malincuore,
sono dovuto partire» le sussurrò dolce, cercando di
tranquillizzarla. Anche lui era stato male e l’unica cosa che
l’aveva sostenuto in quei mesi era stata la certezza che
quella
lontananza fosse solo temporanea.
«Su, non fare quella faccia,
quest’anno abbiamo recuperato, non trovi?» aggiunse dopo un
po’ e, allora, la ragazza abbandonò lentamente la sua
espressione
malinconica per convertirla in un accenno di sorriso. Poi, si
sistemò meglio sul cuscino e si avvicinò al
tavolo,
osservando incuriosita la torta.
«L’aspetto è invitante, anche se...
aspetta un attimo, è un Barm
Brack2?!»
domandò, seriamente colpita. «Ma è un
dolce autunnale, non
natalizio. Ti sei forse confuso?»
«No, semplicemente, è adatto al mio scopo e non è
particolarmente difficile da fare» le spiegò lui,
mentre lo
tagliava a fettine non troppo sottili. «Sai molto bene che sono
negato per la pasticceria. Eppure, ti dirò, ho trovato molto
più
semplice seguire questa ricetta che pronunciare il tuo nome irlandese3».
«Oh, ma non è così
impossibile!» ribattè lei.
«Per te, forse, ma non per me» insistette lui, disponendo le
fette
nei piattini. Se aveva fatto bene i suoi conti, a lei sarebbe capitata
esattamente quella che le aveva destinato.
Flavia roteò gli occhi e poi sospirò, poggiando
una mano sul tavolino.
«Su, assaggiamo questo Barm Brack, allora. Per ora non ho niente da
dire, anzi! Almeno non è esploso niente...»
«Che esagerata che sei! Nemmeno avessi usato nitroglicerina
al
posto della farina!» rispose lui, offeso, gesticolando
nervosamente con il coltello ancora in mano.
«In questo caso, avresti anticipato Capodanno, perché
sarebbe stata
una torta con il botto!» continuò lei,
scoppiando in una fragorosa risata.
Emiliano inarcò appena le sopracciglia: gli piaceva vederla
ridere e amava il fatto che avesse la battuta sempre pronta e che
sapesse essere così spigliata, perché erano caratteristiche che lui,
non
senza rammarico, non possedeva. Per fortuna, c’era lei a
mitigare il suo essere costantemente metodico e serio, a dare una
scossa al suo ordine sempre uguale a se stesso.
«È bello vederti sempre così fiduciosa
nei miei
confronti» la riprese, cercando di rimanere sulle sue. Cosa non facile quando lei rideva in quel modo
meraviglioso.
«Dai, come sei serio, lo sai che non è
vero!»
cercò di blandirlo la giovane, inclinando la testa da un
lato e
stringendo le spalle. «Ti stavo prendendo un po’ in
giro, senza cattiveria».
«Tu non potresti essere cattiva nemmeno se lo
volessi» le
rispose di getto il ragazzo e quella schiuse appena le labbra in
un’espressione di stupore, arrossendo all’istante.
Emiliano, quindi, prese la teiera e cominciò a versare il
tè,
lanciandole nel frattempo occhiate di sottecchi e godendosi quella timidezza
che
sapeva far parte della personalità più nascosta
di lei, ma
che lui, ormai, sapeva intercettare e decifrare.
Passò qualche istante di silenzio, poi Flavia
esclamò, ancora un po’ imbarazzata:
«Be’, lo vogliamo assaggiare o no questo Barm
Brack?»
Lui sorrise e le porse il piattino con la fettina che le aveva
destinato. Se il suo tentativo era riuscito, ciò che le aveva
nascosto nel dolce si trovava
esattamente a metà della fettina che le aveva dato, perciò
non
avrebbe dovuto faticare troppo per trovarlo, giacché sarebbe
bastato che lo spezzasse a metà.
Di solito, faceva bocconi molto piccoli, pertanto era altamente
probabile che si sarebbe accorta della sorpresa ancor prima di mettere
in bocca un pezzetto della torta.
Quindi, si servì anche lui e attese, seguendo
ogni singolo movimento di lei: stava proprio per portarsi un pezzetto
di dolce alle labbra, quando corrugò lievemente la fronte, come
se avesse
notato qualcosa di strano. Infatti, subito dopo prese con due dita
qualcosa dal piatto e
sollevò un involto di alluminio fin davanti agli occhi,
così da poterlo osservare meglio.
«E questo cosa sarebbe? Stavi cercando di farmi strozzare,
per
caso?» domandò, con un misto di sorpresa,
preoccupazione e,
perfino, irritazione.
«Farti strozzare? Dovresti sapere meglio di me che
all’interno dei Barm Brack ci possono essere degli
oggettini» replicò lui, incrociando le braccia sul
tavolino, senza scomporsi.
In risposta, la giovane gli lanciò un’occhiata sussiegosa,
inarcando
appena un sopracciglio, per poi tornare a guardare
l’involto.
«Puoi aprirlo tranquillamente, ti garantisco che non
esploderà» fece lui, sfoderando un sorriso furbetto.
Lei sospirò e cominciò a scartarlo,
facendo infine scivolare il suo contenuto sul palmo della mano aperta.
Poco dopo, l’espressione che apparve sul suo viso
fece capire ad
Emiliano che la sua sorpresa era perfettamente riuscita.
«Ma questo è un... charm»
sussurrò la ragazza, meravigliata.
«Che funzionerà da anello fino alla fine del
pomeriggio».
Ancor più sorpresa, Flavia fissò prima lui e poi di nuovo il piccolo
trifoglio di oro bianco e smeraldi che le brillava tra le dita,
illuminato dai riflessi del fuoco, mentre con l’altra mano
sfiorava il pezzo di spago legato intorno ad esso e chiuso ad anello con un nodino.
Il ragazzo sapeva che quella rozza cordicella stonava con la bellezza
di quella creazione d’oreficeria artigianale, ma non pensava
che
fosse importante. D’altra parte, lo spago sarebbe stato
tagliato
via presto e non era certo quell’insieme di fibre che
li avrebbe
legati.
«So che non ti separerai mai dal Claddagh Ring4
di tua madre
ed è giusto che sia così, ma volevo comunque regalarti qualcosa di
simbolico» le spiegò, consapevole che lei avesse
già un anello. Sinceramente, non gli importava che non
glielo
avesse regalato lui, perché era consapevole che la loro
affinità prescindeva da tutti i simboli convenzionali. La
loro
relazione era stata particolare fin da subito e le aveva
regalato un
trifoglio, simbolo della sua amata Irlanda, proprio per farle capire che amava
sia lei, che tutto ciò che la riguardava, a partire dal profondo
senso di appartenenza che la ragazza provava verso la sua terra natia.
«Non avevo capito che avresti anticipato lo scambio dei
regali ad
oggi!» fece Flavia, allarmata, sussultando. «Il tuo
è
ancora a casa!»
Emiliano scosse la testa e, scansando i cuscini, si avvicinò
a
lei, prendendole la mano con il ciondolo e chiudendola tra le sue.
«Stai tranquilla, questo non è il mio regalo di
Natale. Quello te lo darò la notte del ventiquattro» la
rassicurò. «Questo è solo un modo per
dirti grazie».
«Grazie?»
«Grazie per essere rimasta e per non esserti lasciata
spaventare dalle mie ombre».
Flavia arrossì di nuovo, anche se questa volta non perché
particolarmente imbarazzata, quanto più in preda ad un
turbinio di forti emozioni.
«Abbiamo tutti delle ombre» gli
sussurrò, intenerita, accarezzandogli la guancia e i capelli.
Il giovane, allora, le prese la mano libera e le baciò il palmo:
quelle
parole e quel gesto non avevano fatto altro che confermargli quanto
avesse
bisogno della sua dolcezza e della sua imprevedibilità.
Poi, le prese il trifoglio dalle dita e glielo infilò
lentamente all’anulare destro, così che
lo indossasse in modo speculare rispetto all’anello lasciatole da Caitlín.
«Se rimuovi lo spago, puoi metterlo dove vuoi».
Lei ammirò quel piccolo gioiello e, con gli occhi che le
scintillavano
dalla felicità, disse: «Farà parte del bracciale che mi hanno
regalato
Madison e Patrick quando ho lasciato casa loro. Il suo posto
è
lì».
Emiliano le prese il mento con delicatezza e le voltò il
viso
verso il proprio: «Devo forse dedurre che lascerai anche
me,
un giorno?»
«Don’t
be silly5!»
esclamò la ragazza, esprimendosi nella sua lingua natale,
come
faceva ogni qualvolta fosse in preda ad una forte emozione.
«Intendevo dire che, agganciandovi anche il ciondolo, il
bracciale rappresenterà tutte le persone che mi hanno
salvata da
me stessa» aggiunse, abbassando la testa e prendendo il
braccialetto con due dita, per poi farlo ruotare nervosamente
intorno al polso. «Ricordati che tu, per me, hai fatto
più di chiunque altro».
Il giovane, che non aveva mai lasciato la presa sul volto di lei, ancora una volta la
indirizzò dolcemente nella sua direzione, riportandola
nuovamente a guardarlo negli occhi.
«Almeno in questo siamo pari» le
sussurrò,
passandole l’altro braccio intorno alla vita e cominciando a
sfiorarle la schiena.
Flavia si protese lentamente verso di lui ad occhi socchiusi, ma non
avvicinò subito le sue labbra a quelle di lui, facendogli
avvertire la stessa fitta di desiderio che aveva provato
quando
l’aveva conosciuta e che lo aveva portato a baciarla, solo
qualche giorno dopo, quando era ancora praticamente
un’estranea.
Emiliano, quindi, rinsaldò la presa, facendole scivolare anche
l’altra mano lungo il suo fianco, mentre la giovane gli poggiava
una
mano sulla spalla e con l’altra cominciava ad accarezzargli
il ciuffo di capelli che gli ricadeva sulla
nuca, suscitandogli una piacevole sensazione di calma e tranquillità. Il ragazzo chiuse
gli occhi a sua volta, lasciandosi baciare, e per un po’ la
lasciò fare, fino a quando non cominciò a
desiderare
qualcosa di più intenso e si decise a ricambiare il bacio
con
più passione.
Se avesse potuto, avrebbe passato tutto il pomeriggio a scambiarsi
coccole con
lei sui cuscini davanti al camino, ma i pensieri del dolce, frutto
delle sue fatiche, e del fatto che lei dovesse riprendere a studiare
per l’esame imminente lo indussero poco dopo a staccarsi da Flavia,
anche
se a malincuore.
«Tra un po’ devo riaccompagnarti a casa»
le disse, dandole un ultimo bacio sui capelli.
«In realtà, mi sono portata dietro i libri, perciò posso
mettermi a
studiare anche qui in salotto» rivelò lei, lisciandogli
le
pieghe del maglione blu scuro. «La prossima settimana ci
vedremo poco o niente, quindi preferisco approfittare di questi momenti
per stare con te».
Il giovane sorrise, dandole un buffetto sulla guancia, e si
avvicinò nuovamente al tavolino, subito imitato dalla
ragazza;
per qualche istante, non ebbero bisogno di scambiarsi altre parole e
rimasero entrambi in ascolto del crepitio delle fiamme, un suono che,
nella serenità della circostanza, ad Emiliano
sembrò
quasi ipnotico. Il Natale non era solo dolore, dopotutto.
Una
volta che si furono ricomposti e riaccomodati sui cuscini scarlatti,
l’uno accanto all’altra, presero i piattini con le
fettine
di Barm Brack.
«Alla
fine, questa torta ha fatto sul serio il botto!»
notò
quasi timidamente Flavia, mentre si spostava i capelli dalla fronte,
alludendo al regalo e a quello che era successo poco prima.
«Anche senza nitroglicerina» commentò
lui, sorridendole malandrino.
«Cretino!»
fece la giovane, cercando di fare la sostenuta. Poi, prese un pezzetto
di dolce, se lo portò alla bocca ed iniziò ad assaporarlo
lentamente,
ad
occhi chiusi.
Invece lui, che ancora non aveva avuto il coraggio di assaggiarlo,
aspettò che lei pronunciasse il suo giudizio per farlo, trattenendo il
respiro. E se si fosse rovinato proprio sul finale, proponendole un
impasto insipido, crudo o gommoso?
«È venuto molto buono. Sei stato davvero bravo
questa
volta» lo rassicurò lei dopo pochi secondi, accoccolandosi tra le sue
braccia.
Emiliano sospirò e, sollevato, la strinse a sé,
affondando il viso nei suoi capelli, profumati di vaniglia e limone.
Infine, si
decise a prendere anche lui un
pezzo del Barm Brack e ad assaggiarlo, rimanendo piacevolmente sorpreso dalla perfetta
armonia che dava al palato, tanto che si ritrovò a
pensare
che non gli sarebbe importato niente se quella squisitezza fosse
rimasta l’unica prova di pasticceria riuscita nella sua vita,
poiché l’obiettivo per cui si era messo in gioco
era stato
ampiamente raggiunto.
Poi, mentre se ne stavano abbracciati, beandosi del contatto fisico
reciproco, si sorprese a guardare l’albero,
sfavillante per via delle luci e dei riflessi delle fiamme che ardevano, riscaldando l’ambiente.
Ancora non sapeva se credere o meno nel Natale e nella sua magia,
giacché non avrebbe mai potuto dimenticare le profonde crepe
che il gelo aveva aperto nel suo animo, anche se ora erano contrastate
dal calore che era in grado di trasmettergli Flavia, balsamico e
perfino più vivo di quello del fuoco di un camino.
Probabilmente, quelle ferite non si sarebbero mai rimarginate del
tutto, ma, per la prima volta, avvertì che il gelo di
dicembre
cominciava finalmente a sciogliersi.
***
Per la revisione ringrazio Lady
Viviana
per la sua gentile collaborazione; la grafica del titolo
è, come di consueto,
opera mia.
Grazie di cuore alla mia Anto, che legge sempre in anteprima e mi assiste con viva partecipazione.
***
[N.d.A]
1. Gingerbread: pan di
zenzero, tipico dolce natalizio diffuso nei paesi di matrice
anglosassone e scandinava. Qui, Emiliano fa riferimento alla fragranza
tipica spigionata dalle spezie che caratterizzano tale dolce (zenzero,
chiodi di garofano, noce moscata e cannella) esprimendosi in inglese,
perché, quando lo ha conosciuto la prima volta, l’ha
sentito con questo nome;
2. Barm Brack: in gaelico “bairín breac”, è
un
dolce tipico irlandese, a base di uva passa, canditi e spezie,
generalmente associato
ad Halloween. Al suo
interno, si possono trovare alcuni oggettini che dovrebbero dare
presagi sul futuro. Ad esempio, si dice che chi trova una moneta
sarà
ricco, invece, chi trova un anello si sposerà entro un
anno;
3. nome irlandese:
avrete notato che Flavia è un nome italiano, nonostante sia
in parte irlandese, ma non è un becero errore. Di fatto,
Flavia ha due
nomi, avendo padre italiano e madre irlandese. Il suo secondo nome
è Flannait,
dal gaelico antico, che significa “dai capelli
rossi”
e si pronuncia Flòn-it. Ulteriori informazioni
verrano date nel corso della storia principale;
4. Claddagh Ring:
è
un anello di fidanzamento irlandese, di origini antiche, sul quale si
trovano due mani, una corona e un cuore (simboli, rispettivamente,
dell’amicizia, della lealtà e
dell’amore, ovvero
tutti i sentimenti sui quali dovrebbe fondarsi una coppia). In base al
verso e alla mano alla quale si indossa, acquisisce un diverso
significato.
Flavia ha ricevuto il suo in eredità dalla madre, ma, anche
in questo caso, sarà spiegato tutto a tempo debito.
Mi dispiace lasciare tante cose in sospeso, ma approfondirle
così (quando, invece, all’interno della storia
hanno un
valore ben preciso), non avrebbe senso;
5. Don’t be silly!: “Non essere sciocco!”
***
Questo
racconto natalizio era stato scritto per un contest indetto su facebook, ma, alla fine, i dubbi hanno avuto la meglio e mi sono
ritirata.
Tuttavia, ho deciso di pubblicarlo comunque, perché sono molto legata a questi due personaggi.
Ad essere onesta, mai avrei pensato di anticipare il
loro debutto con una one-shot, ambientata nel
post-scriptum della loro vicenda (alla quale lavoro da poco più di quattro anni), ma così è andata.
Di fatto, questa storia è un missing-moment dal taglio fortemente introspettivo,
anche se, a mio parere, è leggibile indipendentemente dalla
storia principale, fermo restando che alcune cose saranno pienamente
comprensibili solo dopo aver letto l’intero racconto (per questo
ho scritto delle note, sperando che possano essere di aiuto).
Nonostante tutto, spero che questo piccolo lavoro vi sia piaciuto e, se volete sapere di
più
su Emiliano e Flavia o sulla long a loro dedicata, potete dare un’occhiatina alla mia pagina
facebook.
Ringrazio chi ha letto, chi è arrivato fin qui,
chi mi vorrà lasciare un commento.
Auguri di buon inizio 2016.
Halley
S.C.
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