Hell's Road.

di KH4
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Sulle orme del tradimento


ameliè maschera

Hell’s Road.

24 / Sulle orme del tradimento.

Il fetore che si respirava era nauseante, una calura insopportabile che riduceva il semplice inspirare a una minuscola serie di singhiozzi soffocati dal palmo della mano premuto con forza sulla bocca. L’anidride carbonica scoperchiata bruciava gli occhi di Amèlie, la stantia oscurità smorzata dalla flebile luce emanata da Timcampi arretrava all’avanzare dei suoi passi cauti a ogni singolo rumore vagamente sospetto; un tale fetore non lo aveva mai sperimentato neppure quando sua nonna l’aveva spedita a calci nelle paludi di Vasyugan, in Russia, dove la noncuranza dei suoi movimenti aveva permesso al pantano e al gelo siberiano di inghiottirla e risputarla come fosse stato un boccone di peli mal digerito. Fra quel ricordo e l’attuale sporcizia che turbinava in tanti riccioli incolori, il punzecchiare della polvere arrotolatasi nei polmoni e il cerchio che ne tormentava le tempie sapevano quasi di balsamo, per il suo povero olfatto. Le dita inguantate tranciavano intere tende di ragnatele man mano che si inoltrava nel lungo rettangolo buio, l’onnisciente sensazione di starsi allontanando sempre di più dal mondo che conosceva ne caricava la spina dorsale di presentimenti poco chiari, eppure tutti accomunati dall’essere silenziosamente intensi, nella loro intermittenza. Il brillante alone giallastro emesso dal tenero boccino schiariva la sua miseria con il solo gesto di accostarne le tenebre contro le pareti ammobiliate. Della passata esteticità rimanevano pezzi grossolani, chiodi sporgenti, dipinti scoloriti e assi sbriciolate che accompagnavano cocci anneriti di oggetti scagliati contro il pavimento. Non caduti, gettati. Colpiti da un’irruenza la cui essenza vibrò sotto i polpastrelli della francese, mentre sfiorava delicatamente gli opachi cristalli di un lampadario infrantosi su un cassettone miracolosamente rimasto in piedi. 
- Che succede? – Amèlie distolse l’attenzione sul caos aleggiante per poterla riporre su Timcampi, svolazzatole vivacemente davanti al viso.
Un’enorme specchio sbarrava loro il passaggio occupando tutto lo spazio presente e dalla sommità prigioniera fra tenebre penzolanti dal soffitto. L’anomala lucidità messa in risalto dal corpino luminescente del golem dorato regalò alla donna un’ingloriosa immagine di sé, malconcia, sospettosa dal dare confidenza a qualcosa che per anni era rimasto celato a occhi indiscreti e al tempo stesso forte nel saper essere stata mandata lì per un motivo che, forse, comprendeva più di quanto fosse stato previsto. L’estrema limpidezza della lastra aveva rifiutato ogni genere di corrosione e ornamenti, abbracciando una semplicità che oscurava la ragione per cui fosse stata piazzata lì. Tuttavia, la ragione c’era e increspò le labbra di Amèlie nell’instante in cui fece combaciare il palmo destro con la superficie cristallina, avvertendo una calda elettricità solleticarle l’epidermide coperta dalla stoffa. Dove c'è una chiave c'è una serratura. E dove c'è una serratura c'è una porta.
Parole incomprensibili vennero poi sussurrate al vetro e la successiva reazione ne allargò gli occhi d’onice d’arrogante soddisfazione. Un debole luce violacea pulsò a intermittenza lungo tutta la sua superficie, concentrandosi da prima al centro e poi spartendosi ai rispettivi lati in parti uguali.
-  
L’Alchimia è cosa per pochi, Chibi-chan, e un cervello fuori dalla norma non sempre è il suo requisito fondamentale. -
L’infamia di Marian Cross non si era mai fatta scrupoli nel minimizzare il potenziale delle persone affinché la loro utilità fosse pari a quella di un paio di marionette facilmente malleabili alle sue dita incuranti dei pensieri altrui. Con lei, le comunanze erano giunte a un numero dannatamente vicino al suo, troppo, perché potesse anche soltanto ignorare il suo temperamento egocentrico, l’ambizione smisurata, il cinismo e la cieca devozione volta unicamente alla propria realizzazione. Per questo le aveva offerto la possibilità di vantare i suoi stessi mezzi, interessato a scoprire fino a che punto quella bambina d’acciaio, di cruda moralità, potesse trasformare un comune desiderio in autentico potere. Decisa, Amèlie estrasse dalla tasca destra della gonna il foglietto datole dal piccolo golem dorato. Le Chiavi Alchemiche non erano materia adatta a dei sempliciotti incapaci di manipolarne senza la corretta preparazione: perché il concetto fosse chiaro ai meno esperti, equivalevano a una combinazione per aprire una determinata cassaforte, con la differenza che, se si inserivano i simboli nell’ordine sbagliato – o si dosava male la potenza -, si correva il rischio di convivere per il resto della vista con un paio di arti in meno. E ciò accadeva solo nei migliori casi. Occorrevano impeccabili capacità di controllo e una profonda conoscenza del linguaggio antico per districare gli enigmi e i segreti che l’Alchimia proteggeva, un equilibrio mentale e fisico rasentate una finezza priva di qualsiasi tremolio. L’orgoglio della Chevalier e la costante aspirazione nel volersi differenziare dalla massa l’aveva spinta ad attingere dalla sua ambizione tutto l’impegno necessario per eccellere in quella sfida disseminata di ostacoli e sacrifici fusisi in un trionfo che subito si era consumato d’innanzi al suo volere di più, alla consapevolezza di poter assimilare più potere e dare vita a qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto rubarle o copiarle.
Come era accaduto allora, la gloria si dissolse in pochi istanti, ridimensionandosi fino a evaporare nel nulla. Tre file orizzontali composte da quattro simboli ciascuno, ma disposti in ordine diverso. Lo schema era di tipo basilare, ma la scrittura non si ricollegava ad alcun alfabeto a lei noto, i caratteri avevano tutti i requisiti per appartenere a una lingua nata con il mondo, così squisitamente congeniata da impedirle di trovare un solo riscontro con le lettere attuali. Il medesimo impiccio vedeva implicati anche i simboli comparsi sullo specchio, dopo che la luce irradiata da esso, nel dividersi, aveva acquisito una forma visibilmente più definita. Erano gli stessi di quelli trascritti sul pezzetto di carta, disposti in modo tale da comporre un perfetto quadrato inaccessibile a chiunque non ne conoscesse la reale funzione.
-
Le combinazioni trascritte sono tre, quindi si tratta di una Triplice Porta Alchemica… -, pensierosa, fece scorrere le dita sui contorni di un simbolo qualunque, schioccando poi le iridi assottigliate in direzione di Timcampi, il quale le si accoccolò sulla sua spalla in cerca di carezze – Ma anche disponendo di una vasta conoscenza alchemica, nessuno avrebbe mai potuto aprire il passaggio segreto della libreria senza il tuo aiuto. Dico bene, mon petit*? Ecco perché quel dannato ti ha lasciato a me.
Non ci fu risposta da parte della creaturina, se non un muto sguardo che ricambiò quello scuro della donna solo per una manciata di secondi, prima di ostentare un’indifferenza tradita dal sottile tremolio del suo stesso corpicino. Cosa frullasse in quella testolina, che di infantile aveva tutto, Amèlie preferì delegarlo in un angolo della mente, concentrandosi sullo specchio. Conviveva ormai con la sensazione che tutte le risposte fossero intrecciate a quel luogo e l’esuberanza di Timcampi nel celare il proprio coinvolgimento ne macchiava i tentativi di errori impazienza. Con la prima sequenza ben a fuoco, la Maitresse della Rosa Nera toccò con le punte dell’indice e del medio il simbolo in alto a sinistra, trascinandolo al centro del riquadro. Seguì quello in basso a destra, poi quello a sinistra, e infine l’ultimo in alto a destra.
-  
גילה* –, ordinò dopo aver appoggiato il palmo nuovamente al centro, ruotando il polso di novanta gradi a destra.
All’illuminarsi dei quattro caratteri sovrapposti, l’immagine di lei riflessa allo specchio si distorse, mischiando contorni e colori fino a indietreggiare di un metro e solidificarsi nuovamente, con i quattro simboli pronti a essere disposti in un nuovo ordine. Inserite le due combinazioni successive, al congiungere l’ultimo disegno, lo specchio produsse un scintillio violento, che lo infiammò da capo a collo di cupe lingue violacee, divampanti aria bollente. Comparve per pochi istanti, inaspettato e dai contorni bianchi.

 

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Un blasone articolato, dalla grandezza uguale a due mani messe insieme, strappò da Amèlie un’espressione corrucciata, che ne osservò il lento avvolgersi fra i veli roventi fino a scomparire nel vuoto, lasciando la via libera. Sul fondo nero e dall’eco gorgogliante mostruosità impensabili, un chiarore minuscolo quanto un granello di sabbia la invitò ad avanzare. Un’uscita o, molto più probabilmente, l’epicentro di tutta l’assurda faccenda. Compì giusto un passo prima che un fiotto d’aria ne solleticasse la schiena nuda con dita gelide e pungenti, marcando una presenza incorporea già percepita in precedenza, ma rimasta a osservare i suoi progressi svettando giusto un briciolo di vitalità malsana a incupirne l’animo.
- Tsk! Non mi stupirei affatto se questo tugurio infernale includesse anche gli spiriti –, rimbrottò fra sé e sé, scrollando la lunga chioma prima di avanzare.
 Il suo buon gusto si rifiutava di apprezzare anche solo un centimetro di quel postaccio, sgradevole da qualsiasi prospettiva lo si esaminasse. Lo slungarsi del punticino fissato in un porta da cui fuoriusciva un’ombrosità tinta di contorni bluastri e un pavimento a scacchiera concentrò i suoi passi su una linea retta che si arrestò ad appena una decina di passi dalla sua soglia. Su entrambe le pareti, arcuate in una mezzaluna panciuta, erano appesi dei quadri, tutta della stessa dimensione.
Amèlie ci avrebbe anche sorvolato sopra, se soltanto
l’accanimento con cui le teste dei rispettivi soggetti non l’avessero indotta a supporre che una simile opera non poteva essere stata casuale. L’essenza della follia evaporava dai segni raffreddatisi, i colori essiccatisi in briciole cenerine per volere di colpi insofferenti. Gli strappi che sollevò per constatare il sudiciume delle tele orribilmente sfilacciate appartenevano a mani premuratesi di calcare bene a fondo affinché l’irragionevole furia scatenata contro quei volti non si esaurisse mai. Era ancora percepibile, un sottile calore insito fra i pezzi delle cornici che penzolavano verso il basso, ferite divenute fredde cicatrici; lo spettro iracondo che l’aveva accompagnata silente per tutto il tempo, aveva raggiunto l’apice in quel punto, aggredendo lo spazio con impietosa animalità, i visi di quelle persone d’identità irriconoscibile e i nomi incisi su una placchetta d’oro fusa insieme al legno decorativo. Le unghie avevano graffiato via il nome senza preoccuparsi di scorticarsi la pelle fino all’osso; i polpastrelli della donna ne tracciarono i solchi scavati nel metallo, con piccole macchie scure colate dai bordi sfregiati.  
-  
Tried…Feedra…Bondom… - La corvina potè leggerne solo alcuni, mentre ne teneva a mente il numero – Uno…Cinque…Dodici… -
Il conto si arrestò bruscamente, lasciando un vuoto identico a quello che segnava la parete sinistra dopo l’ultimo dipinto. L’intonaco non dava segno di essere mai stato impalata da chiodi o deturpato da eventuali contorni disegnati dalla sporcizia che si depositava alla base dei quadri. Niente che lasciasse intuire la presenza di un altro quadro che avrebbe dovuto trovarsi lì.
-
Dodici dipinti…Qui i conti non tornano. - Amelìe pose la mano sinistra sul fianco, sbuffando pesantemente a occhi chiusi prima di spalancarli e schioccare l’ennesimo sguardo furente alle tenebre rannicchiatesi attorno al chiarore circolare che Timcampi emetteva attorno a lei, innocenti nel loro silenzio - Oh, sì: davvero molto divertente. – 
Un altro sospiro di aria ghiacciata le aveva alitato contro, stavolta all’altezza delle spalle. Un soffio delicato come l’irriverenza di una risata gongolante
Mancava soltanto che si lasciasse dallo spettro di qualche Noah morto dalla troppa noia per completare in bellezza quell’interminabile notte, ma un minimo di comprensione l’avrebbe pretesa chiunque: salire sull’Arca Bianca – vascello personale del più grande male contro cui il mondo si fosse ritrovato a fare i conti – e frugare fra l’intimità dei suoi segreti avrebbe messo a dura prova i nervi del più fermo degli uomini e, sotto lo spesso strato di nivea passività, quelli di Amèlie fremevano in un unico fascio pronto a scoppiettare al minimo segno di cedimento. A ogni tentativo di districare la matassa capitatale fra le mani era costretta a ritornare sui suoi passi, ad aggiungere o addirittura cancellare quel poco che riusciva ad estrapolare fra mille difficoltà. Davanti a lei c’erano dodici quadri, dodici, e sicché quei nomi non potevano che appartenere alle tredici essenze maligne nemiche dell’Ordine Oscuro, i conti non tornavano. Tuttavia, la cosa più giusta da pensare era chi, fra i Noah ritratti, mancasse all’appello.
-  
Dovevi nutrire parecchio risentimento nei loro confronti per non sopportarne nemmeno la vista, chiunque tu fossi… -
Non le restava altro da fare che proseguire e augurarsi di riesumare qualcosa che valesse tutti i rischi corsi - il che includeva anche la meravigliosa prospettiva della testaccia rossa di Sua Megalomania Marian Cross sotto la suola del suo stivale mentre lo strangolava con la frusta del Generale Cloud Nyne perché facesse ammenda di tutte le bravate compiute. -. 
Varcò la soglia sondando immediatamente l’ambiente con il dito arricciato in una ciocca d’ebano, il volto inclinato su di un lato e l’altra mano impegnata a sorreggere il gomito opposto.

In aria. Ecco la definizione perfetta per quella stanza dal soffitto a cupola, dove un’innaturale luce azzurrina ne irradiava il centro con un fascio a forma di cono. Non un singolo centimetro era stato risparmiato dalla violenza assaggiata nel corridoio: carte, libri, candelabri, cassetti…Qualunque cosa giaceva fuori posto o a pezzi sul pavimento, scoperto giusto per dare mostra di un tappeto ormai irrecuperabile.
-  
Per la miseria…Che diavolo è passato qui? – Amèlie dovette letteralmente calciare i cumoli di disordine per crearsi un passaggio.
La forma circolare della stanza ricordava uno studio di modeste dimensioni, con un’unica libreria a coprirne le pareti. Il materiale, riverso a terra, accerchiava una scrivania d’acero verso cui Amèlie puntò direttamente senza offrire a Timcampi il tempo di svolazzarci sopra. La sua inconsueta integrità ne aveva destato la curiosità quanto il contenuto ammucchiato sulla sinistra, in un polverosa piramide sporca di cera. Il tavolo da lavoro è sempre il primo posto dove cercare o quanto meno per capire cosa cercare.
Tutto, attorno a lei, gridava all’artificiosità di quel disordine scoperchiato dopo secoli di isolamento, esigeva attenzione per i livelli stratificati che nascondevano ricordi proibiti, una voce che tentava di divincolarsi fra le nebbie del tempo. L’avvertì come non mai, vivida e strusciante contro la sua carotide scoperta. La sensazione di non essere sola, di essere in qualche modo osservata, spiata in ogni sua mossa. Nauseante, ma pur sempre un’illusione di purezza smontabile, l’insensato frutto di una forte soggezione scaturita da un posto ricolmo di odio e risentimento che ancora crepitava flebilmente, rilucente fra volumi consunti, cartacce e i fogli pieni di cancellature che traboccavano perfino dalla bocca dello splendido camino di marmo, un onorevole tributo allo stile barocco tristemente degradatosi insieme al divanetto cardinalizio dalle spigolose imbottiture. Cominciò a rovistare fra il ciarpame, ossessivamente cosciente che le intenzioni di Cross nei suoi riguardi fosse più mirate di quanto il suo fare contorto desse a vedere, passando successivamente al mobile. Doveva soltanto capire dove lui la volesse indirizzare, cosa dovesse cercare in mezzo a tante pagine di latino e formule chimiche. Non occorse che una mezzoretta scarsa prima che le sue nocche riscontrassero un vuoto dietro l’ultimo cassetto. Tolto il fondo, le dita di Amèlie frugarono in un piccolo scompartimento segreto, da cui estrasse un taccuino di pelle nera dai bordi dorati, tenuto chiuso da un laccio di pelle ben stretto.
- Genesis Niger. Noah, Saecularis Legatum* -, lesse attentamente. Nel far scattare la fibbia, lo aprì con delicatezza, rivelando un contenuto ingiallito e straordinariamente leggibile: il lavoro personale di un ricercatore.

In origine ci fu il Ragnarok. Caos partorito da Caos. 
I Tomi delle Notti Illuni narrano non di uno, ma di Tredici Agnelli recanti corone di stigmate sulle fronti, divenuti padri e madri degli uomini all’acquietarsi del cielo e della terra. Al Primo, Adam, i restanti dodici avevano promesso amore e fedeltà, speranza di risorgere per vincere il Cuore che lo aveva costretto alla resa e per questo confidarono nell’intera umanità, loro progenie, e nei loro geni, affinché una nuova famiglia sorgesse a suo fianco e lo aiutasse.
 
Le antiche scritture e i testi conservati nella biblioteca parlano chiaro: Adam è il Conte del Millennio. E’ il Primo, capostipite della famiglia Noah, un nome diventato anche mio, seppur in circostanze del tutto inaspettate. Il segreto che si cela dietro la sua storia è nascosto nella Memory, quanto di più vicino ci sia a un potere in grado di far ascendere un semplice essere umano a un Dio in terra. In veste di discendente di uno dei dodici, ciascun uomo è un potenziale Noah, ma è la Memory in sé che sceglie in chi risvegliarsi.  

     -  Dunque è così che stanno le cose… – Amèlie leccò la punta del dito indice inguantato per proseguire, balzando da una pagina all’altra nell’atto di estrapolarne il succo. Il tempo per lo studio minuzioso lo avrebbe riservato una volta uscita di lì. Arrivata a poco meno della metà, profondi segni di cancellatura velocizzarono la prima lettura, portandola a un ultimo lungo appunto.

Con la morte di un Noah, alla Memory occorre un po’ di tempo perché origini un nuovo depositario. 
Una volta impiantatasi nel soggetto più idoneo, ne invade gradualmente il corpo e la mente attraverso un processo di durata variabile a seconda della resistenza fisica e psicologica del prescelto. L’ego umano viene in qualche modo assuefatto dai poteri della Memory, seppur la personalità apparentemente non ne risenta: la Memory non contiene i ricordi o lo spirito del Noah precedente, ma può reagire a percezioni già sperimentate in passato, scatenando una sorta di nostalgia. La pulsione nei confronti degli Esorcisti e il dovere secolare di affiancare il Conte del Millennio rappresentano obblighi inscindibili che la Memory protegge e trasmette a ogni nuova generazione. Tuttavia, è bene ricordare che le Memory Noah sono diverse fra loro e quindi può esserci il rischio della totale sottomissione, in caso questa sia particolarmente violenta, ma fortuna vuole che questo non sia il mio caso. Sono nuovo, diverso dagli altri, anche se il guardarmi allo specchio mi ricorda le similitudini che mi legano indissolubilmente a questa famiglia. Rimarrà qualcosa di me alla fine? Vorrei poter dire di non saperlo, ma ho commesso lo stupido errore di spingermi laddove non ero sufficientemente pronto. Ciò nonostante, non ho motivo di preoccuparmi di loro: questa stanza è sicura, neppure il Conte è al corrente della sua esistenza. Solo conoscendo le Password della Triplice Porta Alchemica è possibile accedervi, ma se anche riuscissero a carpirle, non potrebbero fare nulla senza la chiave che sblocca il passaggio segreto nella biblioteca. Timcampi obbedisce solamente a me.

 - Qu'est-ce…?* - Le dita di Amèlie ammorbidirono la presa sul taccuino, lasciandolo flettere verso il basso mentre il mento si levava con gesto meccanico. Timcampi rispose alla sua espressione stranita svolazzando a poco più di un metro da lei, ignaro o forse consapevole del significato di quelle parole, della soddisfazione reclamante su di lui una possessione che per la francese fu semplicemente inconcepibile, in quanto il golem dorato era una creazione esclusiva di Marian Cross. Tuttavia, il suo non fu che un pensiero successivo al contorcersi delle proprie viscere.

Sono nuovo, diverso dagli altri.

La frase svettò di brillante risolutezza, parole scritte con l’anima, vive e intense esattamente come l’ombra che le danzava attorno, amara e imperlata di un furore risvegliatosi all’apertura di quel luogo tanto caro e segreto. Poteva davvero essere? Non che non lo avesse ipotizzato, ma non si era mai permessa di affermarlo senza una prova effettiva a supportarne le ipotesi. Ora, invece, era così assurdamente reale, da indurla a ridere incredula e al tempo stesso estasiata per la meravigliosa indefinibilità che l’intera situazione aveva appena assunto. Immaginò le sue mani grigie distruggere ogni traccia di sé, gli occhi d’ocra saettare mentre le unghie affondavano nei volti di coloro a cui si era dovuto legare con costrizione, aggredendo il solo angolo sicuro a sua disposizione perché diventasse un guscio senz’anima, non dando peso alla fretta e alla sapienza che pochi resti messi insieme potevano sortire.
Ora, Marian Cross non si avvicinava minimamente all’essere un buon esempio di virtù e moralità, ma nell’essere un uomo di mondo aveva imparato a inquadrare le persone e i loro interessi, a leggere fra le righe dei loro sentimenti come se avesse effettivamente il potere di scandagliarne le menti. Dio non volesse che lei, Amèlie Chevalier, fosse una di quelle sciacquette scostumate che il suddetto fedifrago frequentava in mancanza di donne passionali pronte a essere ammaliate dal suo fascino; un miserabile contentino per i suoi incommensurabili servigi non poteva appagare la raffinatezza dei suoi gusti o segnare una riga sulle migliaia di fatture che ancora attendevano il dovuto pagamento, aveva sempre preteso dagli altri e da se stessa prezzi inagibili a comuni esseri umani e lui lo sapeva, eccome se lo sapeva.

Ecco perchè le aveva regalato la stanza segreta del Quattordicesimo.

 

Note di fine capitolo:

 1*: Piccolo mio (Francese).
2*Rivelati (Ebraico).
3*: Genesi Nera. Noah, l’eredità secolare  (Latino).
4*: Che cosa…? (Francese).
Salve…Come andiamo? Ormai posso affermare in tutta sicurezza di aver abbracciato la filosofia del “ aggiorno quando me ne ricordo”. Odiatemi pure, penso di meritarmelo dopo questo epocale ritardo, ma spero ugualmente che la mia rivisitazione della saga dell’Arca vi stia piacendo. Si incomincia a intravvedere qualcosa, seppur piccolo e confusionario, ma il bello di D Gray Man è che le cose non sono mai come sembrano: il tempo di scoprire qualcosa di assolutamente impensabile e subito ne salta fuori un’altra ancor più assurda e il tutto condito da un generale alone di mistero che, nello svelare un pezzettino di storia, fa sorgere nuovi quesiti che devono attendere secoli prima di essere risolti. La faccenda del Quattordicesimo non ha poi bisogno di essere spiegata, il suo fascino è ineccepibile, quanto ad Amèlie, ho deciso di mettere in risalto qualche sua capacità alchemica per marcare la sua presenza lì ancor più necessaria. Ho intenzione di evidenziarle ancora più avanti, questo è certo, ma ogni tanto è giusto dare spazio alle qualità che rendono i personaggi tali. Ora, prima di lasciarvi, ci tenevo a informare, anche se lo avrete notato, che ho pubblicato il primo capitolo di “Chimera”, uno spin off di Hell’s Road dedicato a Pierre. Fino a qui non gli è stata dedicata molta attenzione, ma più avanti comparirà, seppur per breve tempo; la ragione di questa piccola parentesi è che mi frullava da tempo di scrivere sul suo legame con Amèlie, rasentante un rapporto servo-padrona piuttosto particolare. Se mi mettessi a descriverlo qui, nei minimi particolari, correrei il rischio di non finire più. Un saluto a tutti quanti, a presto!!!

 





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