Nick:
Kei_Saiyu
Titolo:
Heartbeat lost
Disclaimer: I
personaggi non sono miei ma di Masashi Kishimoto; la storia non è scritta a
scope di lucro e la canzone è degli aventi di diritto.
Personaggi: Iruka
Umino, Temari, Naruto Uzumaki, Gaara
Genere: Drammatico;
Introspettivo
Raiting: Arancione
(Pg-13)
Avvertimenti: Song fic; What if…?; One-shot
Note dell’autrice: Ispirazione
malefica venuta all’improvviso e scritta anche abbastanza di getto.
Non so sinceramente come
catalogarla, so solo che mi fa stare male dall’inizio alla fine.
Non ho mai trattato né di
Iruka, né di Temari, ma li ho adorati. Veramente.
A mio avviso sono anche
riuscita a mantenerli abbastanza IC, specialmente Temari.
Non so che altro dire
sinceramente. È una storia triste ed è un “What if” riguardante uno pseudo
passato dei personaggi. Penso basti.
Note finali dell’autrice:
Bene, dopo un mese e più, i risultati sono finalmente usciti.
Non ne sono soddisfatta, ovviamente.
Dannazione Reki! Sempre per
mezzo punto mi batti >O<.
Escludendo i miei scleri
sulla sua vincita per un dannatissimo mezzo punto, sclero per l’IC dei
personaggi. IC. Punto. Per. Me. Lo. Sono. E. Mi. Vanto. Di. Averli. Fatti. Così.
Ora, Iruka è super attaccato
a Naruto.
Naruto è un credulone tutto
contento che qualcuno lo voglia portare a divertirsi in giro.
Gaara ha il suo
orsacchiotto.
Temari è astuta, furba,
forte… per me è Temari. È la prima volta che la tratto e forse per gli altri è
OOC, ma mi fido del mio giudizio e di quello di Rekichan che conferma che sì,
Temari è la più IC qui dentro XD.
Forse qualcuno può dire di
no perché si sa che Temari ha un po’ il timore di Gaara, ma c’è un motivo che spero
capirete leggendo.
Spero in un vostro commento
ù_ù/
A presto,
Kei
Heartbeat
lost
I suoi
occhi non avrebbero più riflesso il turchese del cielo.
Le sue
labbra non sarebbero più state baciate dai caldi raggi solari.
La sua
pelle non sarebbe più stata illuminata dalla luna.
Le sue
mani, piccole e calde, non si sarebbero più mosse per salutarlo freneticamente.
Le sue
gambette agili non avrebbero più saltellato sul suolo terrestre.
Il suo
sorriso non gli avrebbe più infuso quella gioia calda nel suo cuore.
Nulla di tutto
questo si sarebbe più potuto avverare e lui, uomo di appena vent’anni, piangeva
la scomparsa di quello che ormai considerava un figlio.
I suoi occhi non avrebbero più riflesso il colore dell’acqua di
fiume.
Le sue labbra non sarebbero più state baciate dalla sabbia che
tanto amava.
La sua pelle non sarebbe più stata illuminata dalla luna.
Le sue mani, piccole ma già sporche di sangue, non si sarebbero
più mosse per stringerle impercettibilmente le dita.
Le sue gambette agili non avrebbero più calpestato un sassolino
che lo infastidiva.
Il suo piccolo broncio non le avrebbe più disteso i lineamenti
infantili del volto.
Nulla di tutto questo si sarebbe più potuto avverare e lei,
bambina di appena undici anni, costretta a diventare donna, piangeva la scomparsa
di quello che era il suo fratellino minore e figlio.
Con questo tempo, in questa bufera,
mai avrei fatto uscire i bambini.
Li hanno portati fuori.
Io non riuscii a dir nulla.
Iruka
Umino, ragazzo di vent’anni dai corti capelli castani e dalla strana cicatrice
sul naso, fissava con angoscia il cielo plumbeo.
Non un solo
raggio di sole, riusciva a fuoriuscire dalla coltre di nubi nerastre che
opprimevano la volta celeste.
Il vento
soffiava imperioso ed i corvi gracchiavano in continuazione, rendendo l’aria
sempre più soffocante e gelida.
Mordendosi
le labbra con forza, resistette alla voglia di entrare in casa a prendere una
giacca pesante e rimase lì ad aspettare, pensando che mai avrebbe fatto uscire
un bambino con quel tempo, ma non aveva potuto dire niente.
Era rimasto
in silenzio ad osservare quei ninja che invitavano il suo piccolo Naruto ad
uscire, con la promessa di portarlo con loro a vedere l’accademia.
E non aveva
mai visto il volto del bambino così allegro!
Nessuno gli
si avvicinava e la popolazione lo denigrava e isolava in continuazione,
lasciandolo da solo a giocare al parco, non permettendo ai loro figli di fare
amicizia con lui.
Così aveva
sempre visto i suoi grandi occhi azzurri adombrarsi per la tristezza, ma mai piangere.
Non di fronte a lui, perlomeno.
Quindi,
vedendo il suo volto risplendere di gioia alla richiesta di quei ninja, aveva
soprasseduto sul tempo che minacciava pioggia e vento fin dai primi minuti
dell’alba.
Temari, bambina di undici anni dai corti capelli biondo cenere e
dai piccoli occhi verdi, fissava ansiosa il cielo plumbeo sopra di lei.
Anche impegnandosi con tutta se stessa, non riusciva a vedere un
solo raggio di sole penetrare lo scudo che le nubi avevano creato quel giorno.
Il vento soffiava forte, creando con la sabbia piccoli mulinelli
simili a vortici.
Pericolosi.
Non osservata, strinse forte i pugni, reprimendo la voglia di
prendere un mantello ed andare alla ricerca di Gaara, il suo fratellino di
sette anni, che mai avrebbe lasciato uscire con quel tempo.
Ripensò a quando il loro padre, il Kazegake, era venuto da loro,
circa quattro ore prima, per prendere il bambino dicendo che lo avrebbe portato
a vedere il loro paese: Suna.
Non aveva detto nulla, limitandosi ad osservare gli occhi
spalancati, color verde acqua, del fratellino.
Mai lo aveva visto così… vivo e allora lo aveva lasciato
uscire con quel tempo che già dai primi momenti del giorno, sembrava promettere
tuoni e fulmini.
Con questo tempo, in questo nubifragio,
mai avrei lasciato uscire i bambini:
avrei temuto che si ammalassero.
Ma più il
tempo passava e più Iruka era in pensiero.
Erano già
trascorse sei ore da quando Naruto era uscito e di lui e dei ninja, nemmeno una
piccola traccia.
Una fredda
goccia d’acqua, cadutagli proprio sulla punta del naso, lo fece sobbalzare.
Non si era
accorto che stava piovendo e questo lo mise ancora più in ansia.
Si strofinò
le mani tentando di scaldarsi almeno un poco, ma nulla sembrava donare calore
al suo corpo ancora leggermente acerbo e la preoccupazione saliva sempre più.
Tentò di
calmarsi ripetendosi che, magari, gli accompagnatori del suo Naruto si erano
fermati assieme al bambino a mangiare qualcosa al caldo, aspettando che
spiovesse, ma un pensiero continuava a tormentarlo e non poteva far altro che
pensare che mai avrebbe lasciato un bambino uscire con quel tempo; si sarebbe
potuto ammalare.
I minuti scorrevano lenti ed inesorabili, eppure allo stesso tempo
correvano veloci, facendole in breve capire che era già passata mezza giornata
da quando il padre aveva portato fuori Gaara.
Osservò insofferente le prime gocce di una pioggia che, ne era
sicura, non sarebbe cessata presto.
Il vento continuava a far vorticare la sabbia in un gioco che non
capiva pienamente, ma che sapeva essere pericoloso.
Alcuni granelli le entrarono in un occhio, facendola gemere
debolmente di dolore.
Strofinandoselo con vigore, si disse che probabilmente, il padre
ed il fratello ora stavano al riparo in qualche piccolo negozietto, magari a
bere un tè caldo.
Ma non ci credeva nemmeno lei e si chiese perché, d’un tratto ed
in un giorno così brutto, il Kazegake avesse infine deciso di dedicare qualche
attenzione al figlio che, lo sentiva nelle piccole ossa, odiava con tutto il
cuore.
Sperò che forse si era deciso a volergli bene, o ad accettarlo
almeno, ma il presentimento negativo che aveva avvertito quel giorno non
l’abbandonava ed un pensiero la martellava incessantemente: mai avrebbe
lasciato un bambino uscire con quel tempo; si sarebbe potuto ammalare.
Ma questi ora sono solo pensieri inutili.
Con questo tempo, un tempo spaventoso,
mai avrei lasciato uscire i bambini:
avrei detto: Potrebbero morire!
Ma non vale più darsi pena per questo.
Iruka non
sapeva di preciso che ore fossero, aveva smesso già da molto di guardare
l’orologio, ma sapeva che era tardi.
Troppo
tardi.
Muoveva gli
occhi da una parte all’altra per tentare di scorgere, fra le poche persone che
ancora si attardavano nel viale, Naruto.
Guardando
ancora una volta il cielo, si rese infine conto che la sera aveva preso il
posto del giorno. Era difficile in realtà notarlo, con le nubi non si riusciva
a vedere la posizione del sole, ma si era fatto più freddo e scuro ed i negozi
stavano chiudendo.
Tentò
malamente di tranquillizzarsi dicendosi, a voce alta, che magari non era ancora
arrivata la sera; che il cielo era così scuro che rendeva tutto buio, ma quando
l’occhio gli cadde sull’orologio che portava al polso, quasi urlò.
Non era
sera. Era notte e questo era anche peggio.
Entrò come
una furia in casa, prendendo due giacche pesanti e dirigendosi velocemente in
piazza.
Iruka non
sapeva esattamente dove andare a cercarli, ma in quel momento non importava.
Doveva trovare Naruto e avrebbe girato tutta Konoha pur di riuscire a trovarlo.
Non lo
sfiorò nemmeno per un momento che il bambino si sarebbe potuto trovare in
Accademia, a quell’ora era chiusa e nessuno ci poteva entrare, quindi, avrebbe
girovagato per i vari negozi e chiesto informazioni.
Nel vederlo
correre in quel modo forsennato, la gente si voltava a fissarlo o additarlo, ma
non ci faceva caso.
Nessuno gli
prestava mai molta attenzione, era solo un uomo come tanti. Senza capacità
speciali o altro, ma lo conoscevano bene comunque e non in maniera positiva.
Lui era l’amico
del mostro.
Passò in
fretta due signore anziane che spettegolavano, ignorando i loro poco carini
commenti sul suo stato.
Non doveva
essere un bello spettacolo bagnato come un pulcino, col fiatone, che correva
come un pazzo con una giacca fra le braccia e con gli occhi spalancati.
Sorpassò
due chioschi ancora aperti, guardando velocemente al loro interno per tentare
di scorgere i ninja che avevano preso Naruto e fu per fortuna che, mentre
osservava un locale di alcolici, andò a sbattere contro uno dei ninja che
cercava.
Si piegò
ansimante sulle ginocchia, chiedendogli dove fosse Naruto.
E non gli
piacque per niente il sorrisetto ironico che quello aveva sulle labbra.
Rimase per
qualche istante ad aspettare che rispondesse e si chiese perché quell’uomo
continuasse a fissarlo con quell’irritante sorrisino stampato in volto.
Senza
aspettare ancora lo domandò di nuovo, supplichevole e quello rispose.
Iruka si
raddrizzò debolmente sulla schiena. Gli occhi di un caldo color castagna, si
erano misteriosamente trasformati in due polle di vetro marrone.
Le labbra
socchiuse non lasciavano andare alcun respiro e le labbra, prima rosse a causa
dell’affanno, avevano assunto uno strano colorito cinereo.
La mente
era totalmente sgombera da ogni pensiero e fu solo nel sentire la risata
stridula dell’uomo che si riprese un poco.
Almeno il
tempo di tirargli un pugno in pieno sterno.
Osservandolo
con il fiato mozzato di colpo, pensò che non gli importava se lo avesse ucciso.
Che se lo
meritava per quello che aveva fatto e questo pensiero gli diede nuova forza.
Lo fissò
con rabbia, notando come quello tentasse di non soffocare e allora pensò di
nuovo che non avrebbe mai lasciato uscire un bambino con quel tempo così
spaventoso.
Che avrebbe
dovuto impedire che il suo piccolo Naruto uscisse, gli sarebbe potuto succedere
qualcosa… Sarebbe potuto morire!
Corse più
in fretta che poté verso la foresta, pregando ogni Kami che conosceva di
aiutarlo nella sua ricerca disperata.
Supplicò le
gambe di reggerlo ancora un po’, incurante del vento che gli gelava il volto,
aprendo di nuovo le ferite che si era fatto mordendosi le labbra.
Pregò che
la milza cessasse di fare male, non aveva tempo per riposarsi o per
preoccuparsi che la pioggia lo stava rallentando nella sua folle corsa.
Inoltrandosi
più profondamente nella foresta, tentò con ogni sua forza di trovare un segno
del suo passaggio o di avvertire il chakra del bambino.
Nulla.
Il tempo
sembrava essergli sempre più nemico ed infine, quando trovò Naruto sdraiato al
suolo, desiderò ardentemente di non averlo lasciato andare.
Ma quelli,
capì, ora erano solo pensieri inutili.
Temari non sapeva di preciso che ore fossero.
Non aveva mai prestato attenzione agli orologi, preferiva basarsi
sulla posizione degli astri, ma per quella volta, desiderava ardentemente
averne uno.
Con falsa noncuranza, osservò gli abitanti di Suna che passavano
di fronte a lei, tentando di scorgere sui loro polsi un orologio o qualcosa che
le desse una vaga idea di che ore fossero.
Sbuffò infastidita nel notare che nessuno le era d’aiuto e
continuò così ad osservare i passanti alternando gli sguardi al cielo scuro.
Stringendo un lembo del vestito che indossava, si accorse che era
bagnato, come il resto di sé, ma non se ne curò molto.
Lasciando le dita a giocherellare con la stoffa, si accorse
all’improvviso che il chiacchiericcio delle persone era troppo debole.
Volse lo sguardo verso il centro del paese, accorgendosi così che
molti negozi erano chiusi.
Assottigliò gli occhi per un breve istante, prestando maggiore
attenzione alle voci che le arrivavano.
Aveva sentito qualcosa che non le piaceva.
Facendo finta di sgranchirsi le gambe, si avvicinò maggiormente
alle due signore che stavano discutendo in un sussurro e rabbrividì nel sentire
cosa si stavano dicendo: suo padre, il Kazegake, era tornato molte ore fa da
una “passeggiata” nel deserto ed era così contento che era andato in un chiosco
a bere del sakè.
Stringendo spasmodicamente i pugni, si diresse nuovamente alla sua
postazione, ma la superò ed entrò in caso, vagando nella sua camera alla
ricerca di due mantelli.
Prese un ombrello, qualche kunai, per ogni evenienza, e con
eleganza uscì, salutando l’altro fratellino, Kankuro, che stava giocando con la
sua marionetta.
Si mise il mantello sulle spalle e aperto l’ombrello viola, si
diresse incurante verso il deserto.
Se le voci erano vere, Gaara si trovava per forza lì.
Temari non era mai andata da sola nel deserto, non le piaceva
molto e ne aveva anche un po’ paura.
Non sai mai cosa aspettarti dalla sabbia e questo non lo
sopportava.
Lei era una persona decisa e sicura di ciò che voleva e non avere
qualcosa sottocontrollo la rendeva furiosa e angosciata.
Pensò che anche su Gaara non aveva controllo e che lui e la
sabbia erano molto simili. Troppo.
Per questo lui non le piaceva molto, ne aveva paura, ma gli voleva
comunque bene.
E lo aveva dovuto crescere quindi, anche se era ancora una
bambina, aveva sviluppato una sorta di protezione materna verso i fratelli.
Attraversò a passo svelto i mulinelli di sabbia e pioggia che
sembravano volerla inghiottire, incurante della pioggia che ancora cadeva e del
vento gelido che la soffocava.
Doveva trovare Gaara ad ogni costo, perché nonostante tutto, si
era ripromessa di crescerlo al meglio delle sue forze.
Di farlo cambiare.
Di fargli capire che il mondo, nonostante facesse schifo, alle volte
valeva la pena di viverlo almeno un poco.
Camminò a passo sostenuto per quelle che le sembravano ore, ma non
importava, era abituata al movimento fisico e non la infastidiva.
Se non fosse stato per la sabbia.
Quella non le piaceva, se lo era ripetuto tante volte.
Bollente di giorno e gelida di notte.
Veloce come un serpente ed infida come un ragno che tesse la sua
tela, pronto a catturare un’ingenua farfalla.
Ma lei non era ingenua né farfalla, era solo Temari.
Solo questo.
Vide in lontananza qualcosa di rosso che veniva sommerso dalla
sabbia ed il suo cuore perse un battito.
Tentò di accelerare il passo; non poteva correre o sarebbe
incappata in qualche tranello che, sapeva, il deserto tendeva a formare per i
poveri sprovveduti.
Si fermò d’improvviso e ciò che vide le fece sgranare gli occhi.
Inginocchiandosi senza forze a terra, pensò che non avrebbe dovuto
lasciare andare il suo fratellino.
Che con un tempo così spaventoso sarebbe potuto morire.
Nell’accarezzare la gelida guancia del bambino davanti a sé, si
disse che ora, quelli erano pensieri inutili.
Con questo tempo, in questa bufera,
essi riposano a casa, come dalla mamma:
più nessuna tempesta li atterrisce,
e la mano di Dio li protegge.
Iruka
osservò il corpicino esamine di Naruto davanti a lui.
Gli occhi
sgranati non riuscivano a rimanere fermi sul cadavere e quindi si muovevano in
ogni direzione, sperando che tutto fosse solo un brutto sogno e che presto si
sarebbe svegliato.
Accarezzò
titubante le fredde guancie del bambino, non capacitandosi di trovarle così
gelide al tatto.
Quasi
inconsciamente, mise la giacca che si era portato appresso su Naruto, quasi
speranzoso che così si sarebbe svegliato.
Che le sue
labbra aperte in quello che sembrava un grido di terrore si schiudessero in un
sorriso.
Che i suoi
occhi addolorati divenissero pregni di gioia nel vederlo.
Lo prese
fra le braccia cullandolo dolcemente, donando a quel piccolo volto contratto
tanti piccoli baci, mentre con una mano gli accarezzava i capelli.
Continuò a
cullarlo avanti e indietro senza sosta, incapace di accettare che il suo
bambino era morto.
Che non
sarebbe più tornato da lui.
Che i suoi
occhi non avrebbero più riflesso il turchese del cielo.
Che le sue
labbra non sarebbero più state baciate dai caldi raggi solari.
Che la sua
pelle non sarebbe più stata illuminata dalla luna.
Che le sue
mani, piccole e calde, non si sarebbero più mosse per salutarlo freneticamente.
Che le sue
gambette agili non avrebbero più saltellato sul suolo terrestre.
Che il suo
sorriso non gli avrebbe più infuso quella gioia calda nel suo cuore.
Che nulla
di tutto quello si sarebbe più potuto avverare.
Con dita
tremanti gli chiuse le palpebre e le labbra, tentando invano di incurvarle in
un sorriso.
I
singhiozzi, lentamente, iniziarono a scuotere il suo corpo.
Tentò
ancora di piegare quelle piccole labbra verso l’alto, ma Naruto non aveva più
nulla per cui sorridere.
Abbracciandolo forte,
lasciando scorrere le sue lacrime assieme alla pioggia, si ricordò che la vita
non aveva dato nulla a quel piccolo bambino che spandeva sorrisi innocenti a
tutti, donando alla sua vita quella piccola gioia che ancora non aveva provato.
Se lo strinse forte al
petto, desideroso solo di donare un po’ di calore umano che quel bambino non
aveva mai conosciuto.
Temari
osservò il corpo esanime di Gaara.
Se
lo era aspettato.
Il
deserto non è magnanimo con nessuno, specialmente di notte.
Seduta
elegantemente sulle ginocchia, non sapeva cosa fare.
Non
sarebbe mai riuscita a portarlo a Suna, era troppo piccola per fare il tragitto
all’indietro, di notte, con un cadavere sulle spalle.
Anche
se questo cadavere era un bimbo magrissimo di sette anni.
Temari
non sapeva cosa fare e questo la impauriva.
Lei
sapeva sempre che cosa fare.
Avrebbe
voluto avere vicino qualcuno che le permettesse, almeno per pochi minuti, di
mostrarsi la bambina che era.
Ma
Temari non era più una bambina e una volta tornata a Suna, avrebbe dovuto
occuparsi di Kankuro più di quanto avesse mai fatto.
Osservò
titubante gli occhi vuoti di Gaara e le venne da vomitare.
Stranamente,
notò, erano tristi.
Temari
sapeva che il fratello era sempre stato odiato e che ne soffriva, ma non lo
dava a vedere.
Infantilmente,
aveva sempre pensato che prima o poi sarebbe riuscita a scorgere nei suoi occhi
qualcosa di vivo.
Non
avrebbe mai immaginato, però, di vederlo nella morte.
Prese
una mano fredda del bambino fra le sue e la strinse forte.
Si
pentì quasi subito di averlo fatto, ricordandosi che mai in vita lo aveva
stretto.
Qualche
volta aveva tentato di abbracciarlo, ma lui l’aveva sempre allontanata.
Pensò
che quelle volte avrebbe dovuto insistere maggiormente, non lasciandosi andare
all’amarezza di non essere voluta.
Una
lacrima superò la difesa delle sue ciglia, infrangendosi sul dorso della mano
del fratellino.
Un’altra
calda goccia s’infranse invece sul muso di stoffa dell’orsacchiotto che Gaara
portava sempre con sé.
Chinando
il volto per non mostrare nemmeno al cielo il suo dolore, seppe che almeno non
era morto da solo.
Che
aveva portato con sé il suo migliore amico in quell’ultimo viaggio.
Con
un sorriso amaro in volto, si chinò a dare un bacio sulla fronte del bambino.
Bambino
a cui non era mai riuscita dirgli un: ti voglio bene.
Bambino
che non avrebbe visto crescere.
Che
non avrebbe più potuto accudire.
Che
non avrebbe più avuto al suo fianco.
Comprese duramente che i suoi occhi non avrebbero più riflesso il
colore dell’acqua di fiume.
Che le sue labbra non sarebbero più state baciate dalla sabbia che
tanto amava.
Che la sua pelle non sarebbe più stata illuminata dalla luna.
Che le sue mani, piccole ma già sporche di sangue, non si
sarebbero più mosse per stringerle impercettibilmente le dita.
Che le sue gambette agili non avrebbero più calpestato un
sassolino che lo infastidiva.
Che il suo piccolo broncio non le avrebbe più disteso i lineamenti
infantili del volto.
Che nulla di tutto quello si sarebbe più potuto avverare.
Senza stare ancora a riflettere, decise che gli avrebbe concesso
almeno un ultimo regalo d’addio.
Lo avrebbe donato a lui e a se stessa.
Piegandosi
con il volto verso il corpo esanime, si accoccolò sul piccolo petto che non si
alzava e abbassava più per respirare.
Aumentò
la stretta sulla mano di Gaara, concedendosi un unico e basso lamento di dolore
che racchiudeva in un sussurro il suo regalo.
Quella
sola parola che nessuno gli aveva mai donato, nemmeno lei.
Ti
voglio bene.
Owary
Tanto per, metto il mio
risultato:
2°
Classificata
Heartbeat lost di Kei_Saiyu
Grammatica e Lessico: 10 punti
IC dei personaggi: 8.5 punti
Originalità: 9 punti
Attinenza al tema dato: 10 punti
Opinione dei Giudici: 5 punti
Totale: 42.545
Questa fict
ci è piaciuta particolarmente. Semplice, le descrizioni sono veloci, ma con
poche parole sei riuscita a trasmettere benissimo il tuo messaggio. Questi due
bambini, mai stati amati, in realtà avevano avuto qualcuno acanto in quel
cammino tortuoso che è la vita. È commovente, da leggere tutta d’un fiato. La
grammatica è ottima, non abbiamo trovato un’imprecisione né un discorso
sconnesso. Si lega tutto perfettamente e perciò è piacevole da leggere. Sei
stata assolutamente attinente al tema. Temari era in effetti u po’ OOC, questo
l’ha un po’ penalizzata.