Der Geist des Sturmes- Il fantasma della bufera
Allora… La storia
è
idealmente ambientata in un punto imprecisato della Germania di fine
Ottocento.
Nonostante tutto, dal mio
punto di vista Neji e Sasuke sono abbastanza IC: innanzitutto
perché, come
abbiamo visto in qualche flashback, da bambini erano molto diversi, e
poi per
altri motivi. Ad esempio, Neji si comporta come un bambino
“normale” perché non
è un ninja e non ha alcun motivo di risentimento verso il
resto della famiglia,
dato che qui il problema della divisione delle casate non
c’è.
Ciò non toglie che ciascuno
di noi abbia, alla fine, la propria visione di un dato personaggio,
specialmente per quel che riguarda il “non detto”:
io li interpreto così,
qualcun altro potrebbe farlo in maniera diversa.
Detto questo, vi lascio alla
lettura e vi invito a commentare.
Der
Geist des Sturmes- Il fantasma della bufera
Con questo tempo,
in
questa bufera,
mai avrei fatto uscire i bambini
Li hanno portati fuori
Io non riuscii a dir nulla
-
Eccolo di nuovo –
mormorò il mugnaio mentre
si accingeva a chiudere per bene le finestre del suo mulino. Il vento
stava
aumentando, sospingendo nuvole scure, cariche di pioggia, che si
facevano ogni
momento più vicine.
-
Papà – chiamò
timidamente una bambina
dai corti capelli neri e gli occhi chiarissimi, il respiro un
po’ trafelato per
la corsa – La mamma mi ha mandato a chiederti se puoi venire
a casa, dice che è
preoccupata…
-
E ha ragione – disse
l’uomo, chiudendo
bene ogni fessura per evitare che l’acqua entrasse e bagnasse
la preziosa
farina – Riprenderò domani, è comunque
tardi…
Impegnato a sistemare ogni cosa, l’uomo non si era
accorto che la figlioletta, una bambina di sette anni, si era voltata
verso la
foresta poco distante senza più dire una parola. Gli occhi
assenti, sembrava
quasi in uno stato di trance, attentissima a percepire qualcosa che le
era
parso molto strano…
-
Hinata! – la scrollò il
padre, con
fare severo – Che stai facendo?
La bambina sussultò, lo sguardo quasi colpevole di
chi sta facendo qualcosa che non dovrebbe.
-
Io… - mormorò, per poi
sbattere
nuovamente le palpebre e farsi ancora più attenta
– Papà… non senti qualcosa
anche tu?
-
Certo – fece l’uomo,
stringendo gli
occhi circospetto – Il vento. Si sta facendo sempre
più forte.
In qualunque altra circostanza la piccola si
sarebbe ben guardata dal contraddire apertamente il padre, ma un
ulteriore
soffio di vento la rese più sicura, e disse piano:
-
Non è il
vento. Non lo senti… c’è
qualcuno… qualcuno che sta
cantando…
Hiashi Hyuuga afferrò la mano della figlia e la
trascinò deciso verso casa. Qualunque altra bambina avrebbe
protestato
vivacemente, invece Hinata si sentì subito in colpa, anche
se non aveva capito
che cosa avesse detto di sbagliato per far arrabbiare così
il padre. Non
sapendo come rimediare, non trovò niente di meglio da fare
che starsene zitta e
buona fino a casa.
-
Aniki! –
chiamò un bambino dal colorito estremamente pallido,
quasi bluastro, cercando con gli occhi il fratello – Aniki,
aspettami!
Fra
i tronchi e le fronde degli alberi migliaia di ombre avrebbero potuto
essere la
sua, qualunque crepitio del sottobosco avrebbe potuto essere stato
provocato da
un suo passo. Il bambino si fermò, non sapendo
più da che parte voltarsi.
Preferendo quindi aspettarlo.
E
non dovette attendere molto, perché una mano giunse subito a
stringere la sua.
-
Ogni
volta la stessa storia,
otouto – gli rispose una voce che avrebbe voluto essere di rimprovero, ma che suonò
piuttosto
come uno sbuffo rassegnato – Adesso vedi di muovere quelle
gambette corte che ti
ritrovi, d’accordo?
In
un’altra circostanza il bambino avrebbe gonfiato le guance e
messo il broncio
per quel commento rivolto alle sue “gambette
corte”, ma in quel momento annuì
vigorosamente.
-
Questa volta ce la faremo,
non è vero aniki? – chiese fiducioso.
-
Sì,
questa volta ce la faremo – ripeté il
più grande, in tono
tutt’altro che ottimista – Ce la faremo, otouto.
Con questo tempo, in
questo nubifragio,
mai avrei lasciato uscire i bambini:
avrei temuto che si ammalassero.
Ma questi ora sono solo pensieri inutili.
-
Siamo a casa –
annunciò Hiashi non
appena rientrarono, giusto in tempo prima che violenti scrosci
d’acqua
iniziassero ad abbattersi contro la casa.
-
Oh, grazie al cielo!
– fece la
moglie, distogliendo gli occhi dal latte che bolliva e recuperando una
Hanabi
di due anni che stava pericolosamente cercando di arrampicarsi su una
sedia un
po’ traballante – Scusami se ho mandato Hinata a
chiamarti, ma quando ci sono
questi temporali…
-
Non devi preoccuparti,
sarebbe stato
comunque impossibile lavorare, visti il vento e la pioggia…
-
Sei strana,
cos’hai?
-
Se ti dico una cosa,
prometti di non rivelarla a mio padre?
-
Manterrò il
segreto, tranquilla.
-
Non senti la canzone del
vento?
-
… cosa?
-
Ehi, voi due, cosa state
confabulando?
– chiese Hiashi con voce fintamente severa alla figlia e al
nipote, per poi
aggrottare le sopracciglia quando notò gli sguardi colpevoli
che i bambini gli
avevano rivolto – Hinata, cosa stavi dicendo a tuo cugino?
-
Ecco, io… -
cominciò la piccola, in
evidente difficoltà.
-
Non mi stava raccontando
niente di
importante – le venne in aiuto l’altro, di un anno
più grande – Solo che non
aveva mai visto un temporale così, e ha un po’ di
paura.
L’uomo lo guardò, distendendo la fronte.
-
Menti bene quasi quanto tuo
padre,
Neji. Ma con me non funziona, i suoi trucchi li conoscevo tutti.
Il bambino abbassò la testa, non sapendo che dire,
come ogni volta che qualcuno menzionava per caso suo padre. Nonostante
fosse
morto da qualche anno, parlare di lui lo stordiva ancora un
po’, come i primi
tempi in cui non c’era più.
Hinata se ne accorse, e questo le diede un po’ di
coraggio.
-
Mamma, io l’ho
sentita – disse, quasi
supplichevole, all’indirizzo della madre – Qualcuno
stava cantando, riuscivo a
sentire anche qualche parola…
La donna non sembrò considerare neppure per un
momento che quella potesse essere l’innocente fantasia di un
bambino, e domandò
subito guardinga:
-
Chi cantava, Hinata?
-
Era la voce di una donna
– continuò
la bambina – Una voce molto dolce, ma tristissima. Sembrava
quasi che stesse
piangendo, ma ho sentito qualche parola come
“bufera” e “bambini”…
Hinata si bloccò subito, spaventata
dall’espressione di paura che era improvvisamente comparsa
sul volto della
madre.
-
Mamma…
cosa…? – non fece in tempo a
chiedere, che la donna le prese il viso tra le mani, guardandola fisso
negli
occhi.
-
Non devi ascoltarla, Hinata,
hai
capito? – disse, cercando di contenere l’agitazione
nella voce, ma ottenendo
solo di spaventare ancor più la bambina – Quella
voce… non è niente di buono,
d’accordo?
La piccola annuì, gli occhi sbarrati, sgomenta per
il comportamento della madre.
-
Adesso calmati –
fece la voce
profonda di suo padre, poggiando una mano sulla spalla della donna
– Non è
successo niente. Sono in casa, al sicuro.
La donna assentì, lasciando andare la piccola con
un sospiro.
Fu la voce di Neji a rompere il silenzio che si era
venuto a creare:
-
Perché non
dovremmo essere al sicuro?
– chiese, non riuscendo a reprimere la curiosità.
Per un istante temette di aver osato davvero
troppo, vista l’occhiata penetrante che lo zio gli
lanciò, ma tirò mentalmente
un sospiro di sollievo quando quest’ultimo si
voltò verso la moglie.
-
È giusto
– disse – Meglio che lo
sappiano, una volta per tutte.
La donna annuì, prendendo fra le braccia la piccola
Hanabi, lo sguardo vagamente assente.
Quindi Hiashi si voltò verso gli altri due, facendo
loro cenno di seguirlo e cominciando a salire la scala a chiocciola che
portava
al piano superiore, in realtà poco più di un
sottotetto in cui si trovavano,
tutti assieme, i vari letti.
-
Sedetevi qui –
fece, sistemandosi sul
letto matrimoniale che condividevano lui e la moglie. I bambini,
ammutoliti per
la gravità della sua voce, non se lo fecero ripetere due
volte.
-
E adesso ascoltatemi bene.
Quella che
sto per raccontare non è una storia inventata per
spaventarvi. È successa
davvero.
-
Aniki, la sento! –
esclamò il bambino più piccolo, sorridendo.
Il fratello notò come quel sorriso luminoso contrastasse in
modo terribile con il
colorito delle guance, in una combinazione decisamente macabra.
Tuttavia cercò
di non darlo a vedere, mentre il piccolo si dondolava
felice, abbarbicato a lui.
-
Sì, la sento
anch’io – rispose senza scomporsi.
-
Ma non sei contento?
– insistette l’altro, incredulo che il
fratello maggiore ostentasse tanta freddezza.
-
Certo che lo sono.
Però… otouto, non credi che fermarsi qui a
ripetermi la tua felicità serva a gran poco? Non dovremmo
continuare a
camminare?
Il
bambino si bloccò, colpito dall’assoluta
verità di quelle parole. Non avevano
un minuto da perdere e rischiavano di non farcela, per colpa sua.
-
Allora mettiamoci a correre
– propose, supplichevole – Così
recupereremo il tempo perduto e arriveremo prima.
-
Non c’è
alcuna fretta, otouto – rispose il fratello prendendolo
nuovamente per mano e ricominciando a camminare – Abbiamo
tutto il tempo che
vogliamo.
-
Davvero? – chiese
il piccolo, speranzoso. Allora non rischiavano
di far tardi per colpa sua?
-
Tutto il tempo del
mondo… - mormorò di nuovo il ragazzo
più
grande, in un sussurro che dalle sue labbra blu andò ad
aggiungersi al fischio
del vento, e al canto che stavano seguendo.
Con questo tempo, un tempo spaventoso,
mai avrei lasciato uscire i bambini:
avrei detto: Potrebbero morire!
Ma non vale più darsi pena per questo.
-
Ma è terribile
– mormorò Hinata con
le lacrime agli occhi, visibilmente scossa – E
perché li avevano lasciati
andare fuori?
-
Sembra che il padre volesse
a tutti i
costi terminare il lavoro e sistemare l’ultimo carico
d’orzo al sicuro nel
granaio, così portò con sé i due figli
perché lo aiutassero a trasportarlo.
Tuttavia il ponte non tenne…
-
Perché no?
– saltò fuori Neji, che
fino a quel momento non aveva detto una parola.
-
Era molto vecchio, e tutta
la pioggia
caduta in quei giorni aveva fatto marcire ancor di più il
legno – rispose
Hiashi - Oltretutto il carico era decisamente pesante, e sommato al
peso di tre
persone- anche se due erano solo un ragazzo e un bambino- dovette
essere la
goccia che fece traboccare il vaso. Il ponte non resse e
crollò, trascinando
via con sé padre e figli.
-
Ma prima hai detto che
l’uomo si
salvò… - ricordò Neji.
-
Sì, lui
riuscì a salvarsi – annuì lo
zio – Ma gli altri due furono trascinati via dalla corrente
del fiume in piena,
e non ci fu più nulla da fare. Vennero ritrovati soltanto
qualche giorno dopo,
ma era troppo tardi.
-
Erano annegati? –
chiese ancora il bambino.
-
Esatto – fece
Hiashi, per poi fermarsi
un istante. Si chiese se fosse stata effettivamente una buona idea
quella di
raccontare ad entrambi quella storia, vista la natura impressionabile
di Hinata
e quella fin troppo propensa al macabro di Neji… ma ormai la
frittata era
fatta, tanto valeva concludere.
-
Il padre riuscì a
tornare a casa,
sano e salvo, e dopo qualche tempo riprese il proprio lavoro. Ma la
moglie
impazzì, incapace di accettare la morte dei suoi figli.
Tanto che alla fine…
-
Morì di dolore?
– chiese Hinata,
ormai prossima ai singhiozzi.
Hiashi stava per dire che si suicidò, ma forse due
bambini di sette e otto anni non avrebbero dovuto sentire la
realtà di certe
cose fino in fondo, e decise di modificare un po’ la
verità.
-
Sì,
morì di dolore. Ma si dice che
qualche giorno prima avesse composto una canzone, una canzone che
raccoglieva
tutto il suo dolore. La cantava notte e giorno, sicura che i suoi
bambini
sarebbero riusciti a sentirla al di sopra del vento e, guidati da essa,
sarebbero tornati a casa. Continuò a cantarla fino al
momento della morte.
-
Quindi… la voce
che Hinata ha sentito
era la sua, mentre cantava la sua canzone! –
esclamò Neji su di giri, per poi
raccogliersi meditabondo e voltarsi verso la cugina: - … ma
perché l’hai
sentita solo tu?
Non sapendo che rispondere, Hinata guardò
interrogativa il padre.
-
Si dice che solo i bambini
possano
udirla, durante le tempeste più violente – riprese
quest’ultimo.
I due cugini pendevano dalle sue labbra.
-
Ed è appunto per
questo che tua
madre- tua zia - puntualizzò, rivolto a
Neji - ha
tanta paura: a Blattburg (*) si dice
che tale canto abbia il potere di attirare i bambini, facendo loro
perdere ogni
orientamento, fino a portarli lontani da casa.
Finché…
-
… muoiono
– concluse trionfante Neji.
-
Esatto, quando il canto
finisce. Si
ha paura che sia proprio quello che è capitato al piccolo
Konohamaru, il nipote
del mastro…
-
Non l’hanno
più trovato? – pigolò
Hinata.
-
No – concluse il
padre, per poi
alzarsi e dirigersi verso le scale – E adesso voi rimanete
qui, mentre vado a
vedere come sta tua madre, Hinata.
Neji annuì, ma la piccola non rispose. Il cugino si
voltò interrogativo verso di lei, e la trovò
intenta ad osservare
distrattamente la coperta, guardando di tanto in tanto fuori dalla
finestra,
dove infuriava la tempesta.
-
Che cos’hai?
– domandò, dato che
sembrava immersa in chissà quali pensieri.
La bambina lo guardò, gli occhi liberi dalle
lacrime e resi ancora più chiari da chissà quale
nuova consapevolezza.
-
Secondo me lo spirito della
madre dei
due fratelli annegati non ha ancora trovato la pace – disse
limpidamente – Ma forse
potremmo aiutarla noi.
-
Sai
aniki, mi sembra un secolo che non vediamo la mamma – disse
piano il bambino,
senza smettere di camminare o lasciare la mano del fratello –
Faccio quasi
fatica a ricordarne il viso… ma quanto manca ancora?
-
Non
molto – tagliò corto il più grande
– Piuttosto, cosa stavi dicendo a proposito
della mamma?
- Che
mi ricordo sempre meno di lei – ripeté il piccolo
con un tono talmente mortificato
che il fratello quasi si pentì di averglielo chiesto
– Cioè, lo so che ha i
capelli e gli occhi neri come te e me… e che sorride spesso,
ha gli occhi
gentili e un buon profumo…
Nel dire
questo, il bambino aveva inconsciamente chiuso gli occhi, respirando a
fondo
come se potesse sentire di nuovo la fragranza materna.
-
…
ma i suoi lineamenti si fanno sempre più confusi, sempre di
più…
-
Otouto…
- cominciò il più grande, subito interrotto dal
fratellino.
-
Ma
non devo preoccuparmi, giusto? Perché fra poco la rivedremo,
finalmente!
Stavolta il
ragazzo prese impercettibilmente fiato, prima di rispondere con un fil
di voce:
-
Sì.
Fra poco la rivedremo…
Con questo tempo, in questa bufera,
essi riposano a casa, come dalla mamma:
più nessuna tempesta li atterrisce,
e la mano di Dio li protegge.
Se Hiashi
pensava che suo nipote avesse uno strano senso del macabro,
si sarebbe stupito non poco nell’udire l’ingegnoso
quanto ingenuo piano della
figlia, che aveva coinvolto anche il cugino nel proprio progetto.
-
Secondo me
la tua idea non ha né capo né coda –
aveva inizialmente commentato Neji.
-
Perché? –
gli aveva candidamente chiesto la bambina.
-
Innanzitutto
perché ci hanno espressamente
vietato
di uscire, e poi come puoi sperare di placare uno spirito in pena con
dei fiori
e una preghiera?
-
Potrebbero
darle la pace – rispose Hinata - Scommetto che nessuno
è mai stato gentile con
lei, e poi a catechismo non ci dicono sempre che qualunque anima
troverà
conforto in Dio?
Neji, che
ascoltava altrettanto diligentemente le lezioni domenicali,
annuì.
-
Beh,
effettivamente hai ragione… - esitò, per poi
esclamare: – La sai una cosa? Mi
hai convinto!
Il vento seguitava
ad ululare con impeto, gli scrosci di pioggia erano sempre
più forti e qualche
imposta aveva iniziato a sbattere violentemente. Con un tale baccano,
per i due
cugini fu uno scherzo sgattaiolare fuori di casa senza che nessuno se
ne
accorgesse, mentre i genitori e la sorellina di Hinata erano impegnati
in
cucina: Hiashi intento a controllare il conto dei vari clienti,
appurando
quanti non l’avessero ancora saldato; la moglie a bollire
delle patate per la
cena.
Forse convinti
che i bambini stessero giocando di sopra, o che si fossero
addormentati, non si
erano nemmeno presi la briga di chiamarli dabbasso. Cosa di cui si
sarebbero
pentiti per tutta la vita.
Fu abbastanza
difficoltoso per i due bambini preparare un dignitoso mazzo di fiori,
scegliendoli tra quelli di campo sferzati dalla tempesta, e dirigersi
verso il
limitare della foresta.
Quando
arrivarono, riparandosi sotto il primo albero frondoso che trovarono,
erano
bagnati fradici.
-
Perché qui?
– chiese Hinata al cugino, che dopo un primo momento di
scetticismo aveva
addirittura scelto il luogo in cui avrebbero dovuto compiere la loro
missione.
-
Perché siamo
a metà tra i campi coltivati e la foresta, tra
ciò che conosciamo e quello che
invece ci viene sempre proibito. Mio padre mi raccontava che
è in questi “posti
a metà” che si trovano gli spiriti…
– a questo punto Neji fece una pausa a
effetto – … perché loro sono proprio a
metà tra la vita e la morte.
Hinata lo guardò
ammirata, convintissima che avesse ragione.
-
Allora
cominciamo? – chiese.
Il cugino annuì. Poi
entrambi assunsero un’ espressione di raccoglimento e
iniziarono a recitare quella
che secondo Hinata era la preghiera più adatta al fantasma
di una mamma che
aveva amato moltissimo i propri bambini:
-
Gegrüßet
seist du, Maria, voll der Gnade, der Herr ist mit dir… (**)
Gli occhi
color pece del bambino si
spalancarono per un istante, sorpresi.
-
Aniki, hai
sentito? – esclamò.
-
Che
cosa? Il vento? – chiese l’altro.
-
No,
ascolta… è la stessa preghiera che
ci faceva recitare la mamma prima di andare a dormire!
Il ragazzo più grande aggrottò le
sopracciglia, in ascolto. Per il momento il canto sembrava essersi
quietato, ed
effettivamente nel fischio del vento gli sembrava di udire alcune
parole…
-
Du
bist gebenedeit unter den Frauen, und gebenedeit ist die Frucht deines
Leibes,
Jesus...
Il minore dei due si staccò dalla mano
del fratello e iniziò a correre.
L’altro rimase a guardarlo per un momento,
serio, per poi seguirlo con calma.
-
Le preghiere
della sera… - commentò tra
sé, quasi divertito – Come se ormai servissero a
qualcosa…
Neji e Hinata
avevano preso molto sul serio quel loro compito, enunciando ogni parola
con
tutta la devozione di cui erano capaci, arrivando finalmente
all’ultima frase:
-
Heilige
Maria, Mutter Gottes, bitte für uns Sünder jetzt und
in der Stunde… unseres
Todes.
(***)
Tuttavia non
fecero in tempo a pronunciare l’ “Amen”
finale, perchè una voce sconosciuta
giunse inaspettata ad interromperli:
-
E voi chi
siete? – chiese, in un misto
d’incredulità e sospetto.
I due cugini
alzarono gli occhi, stupefatti, per ritrovarsi davanti un bambino
altrettanto
sconosciuto e non meno bizzarro. Erano sicuri che non fosse del paese,
non l’avevano
mai visto prima d’ora. Oltretutto se lo sarebbero ricordato:
quella zazzera
spettinata non doveva passare inosservata, e ancor meno quel colorito
così
strano. Anche loro avevano la pelle chiara, ma il viso di quel bambino
andava
oltre qualunque definizione di
“pallore”… sembrava assumere perfino una
nota
bluastra, quasi inquietante. Oltretutto la pelle della faccia e delle
braccia
aveva un’aria flaccida, molliccia… come una spugna
troppo imbevuta d’acqua.
Per tutta
risposta alla domanda posta dal bambino, Neji lo squadrò
diffidente, mentre
Hinata, dopo un primo momento di sorpresa e timidezza,
ricordò le buone
maniere:
-
Ecco… io mi
chiamo Hinata, e lui Neji. Viviamo qui vicino…
-
Siete
fratelli? – chiese inaspettatamente l’altro.
Stavolta fu Neji
a rispondere:
-
No, cugini.
Ti sembriamo fratelli?
-
Beh, vi
somigliate parecchio – fece il bambino a mo’ di
scusa – Io invece ho un
fratello, vero ani… - si guardò intorno, un
po’ disorientato – Aniki, dove sei?
-
Qui –
rispose una voce un po’ più matura, spuntando dal
sottobosco – Se scappi via come
un forsennato come puoi pretendere che sia sempre nei paraggi, otouto?
-
Scusa, è
solo che…
-
E tu chi
sei? – saltò fuori Neji, per nulla contento che
fosse spuntato un altro
estraneo, oltretutto più grande di loro.
-
Suo fratello,
mi sembra te l’abbia appena detto –
tagliò corto il ragazzo.
-
E lui chi
è? – fece di nuovo il bambino
dai grandi occhi chiari, per nulla intenzionato a mollare.
-
Io mi
chiamo… - cominciò l’interpellato,
quando un’ulteriore folata di vento portò
con sé alcune note che immobilizzarono tutti i presenti.
-
È lei… -
mormorò Hinata, contemporaneamente all’altro
bambino che si aggrappò al braccio
del fratello, scrollandolo fuori di sé. E gridando:
-
Hai sentito,
aniki? Hai sentito?
Anche Neji era in
ascolto, completamente concentrato su quella voce, cercando di
percepirne le
parole confuse nel vento:
-
Con
questo tempo… in questa bufera…
Era una voce
dolcissima,
Hinata aveva ragione, ma che gli faceva anche correre i brividi lungo
la
schiena. Tuttavia non poteva fare a meno di ascoltarla, il respiro
leggero che
fuoriusciva dalla bocca semiaperta…
A quel punto
qualcosa lo distolse dallo stato di trance in cui stava cadendo. Un
pensiero
strano, che l’aveva colpito come una stilettata. Si era
concentrato un momento
sul proprio respiro, e un dubbio orribile si era fatto strada in un
attimo.
Molto lentamente,
corrugando la fronte, si voltò verso i due fratelli
sconosciuti. Il più grande
aveva detto che il suo “otouto” era scappato via
come un forsennato, eppure
quando era arrivato da loro non aveva la minima traccia di
fiatone…
Ora li osservò
attentamente, mentre erano tutti assorti nel guardare un punto
imprecisato
dell’orizzonte, nella direzione da cui proveniva il vento. Li
guardò bene,
scrutandone il naso, la bocca e il torace, e quello che vide- o meglio,
che non vide- lo
terrorizzò.
- … essi riposano a
casa…
Non si muovevano.
Né la bocca, né
le narici, né il torace. Non
prendevano
aria.
Prima che il
terrore glaciale che sentiva serpeggiare lungo la spina dorsale lo
bloccasse
del tutto, allungò la mano alla cieca, incontrando il polso
di Hinata.
La bambina si
voltò, sorpresa, chiedendogli con gli occhi quale fosse il
problema.
-
…
come dalla mamma…
Un lampo
d’intuizione attraversò la mente di Neji.
Cercò di far capire alla cugina che
dovevano andarsene all’istante, quando il bambino dai capelli
neri saltò fuori
all’improvviso, senza più riuscire a contenersi:
-
Sapete,
questa è la voce della nostra mamma! È da un
sacco di tempo che non la vediamo,
ma oggi finalmente ci riusciremo!
Lo sguardo che
gli rivolse Hinata rivelò a Neji che la cugina aveva appena
compreso tutto, e
che ogni spiegazione sarebbe stata inutile.
-
La vostra
mamma… - mormorò, sconvolta.
-
Più
nessuna tempesta…
La bufera si fece
d’un tratto più violenta, il vento più
impetuoso.
Il ragazzo più
grande li guardò, negli occhi scuri un guizzo divertito.
-
Tutto bene?
Non ditemi che avete paura di un po’ di pioggia…
-
...
li atterrisce…
Neji strinse più
forte il polso della cugina, strattonandola.
-
Andiamo via
– disse, col cuore in gola – La canzone non
è finita, siamo ancora in tempo!
L’altro bambino
scelse proprio quel momento per voltarsi verso di loro, allungando la
mano:
-
Ah, scusate,
non vi ho ancora detto il mio nome. Io mi chiamo Sasuke, e ho sette
anni.
-
E
la mano di Dio…
E Hinata, forse
stordita dal fischio della tempesta, fradicia dalla testa ai piedi, con
Neji al
proprio fianco, mormorò lentamente:
-
Anch’io ho
sette anni…
-
…
li protegge.
*
*
*
-
Non l’hai ancora chiamato? Che cosa aspetti? –
gridò furibonda una donna
dall’aria minacciosa al marito appena
rientrato.
-
Dai,
Yoshino, cerca di capire – cercò di giustificarsi
quest’ultimo – Lo sai che
quando è col suo amico Choji perde la cognizione del
tempo… sono sicuro che arriverà
da un momento all’altro…
-
Vado a
cercarlo – fece risoluta la donna, aprendo
l’armadio in cerca del mantello.
-
Ma tesoro…
-
Sono a casa
– annunciò una voce annoiata, anche se
inequivocabilmente infantile.
-
Shikamaru! –
esclamò la donna, precipitandosi ad abbracciare il figlio.
Il bambino rimase
dapprima stupefatto, poi cercò di respingerla:
-
Mamma… così
mi soffochi… - si lamentò.
-
Ah, scusa
tesoro… – fece gentilmente la donna, per poi
riprendere il solito piglio e
scrollare il figlio per le spalle – Si può sapere
dov’eri finito? Quante volte
te lo devo ripetere che quando il cielo si rannuvola in questo modo
devi
tornare a casa di corsa, qualunque cosa tu stia facendo?
L’aria
indifferente del bambino la portò sull’orlo di una
crisi di nervi:
-
È
pericoloso, Shikamaru! – gridò – Te lo
ricordi cos’è successo al nipote del
mastro e ai due cugini Hyuuga, vero? Vuoi fare la stessa fine?
Per un fugace
istante il piccolo Nara ponderò che l’essere
portato via dal fantasma di una
tempesta potesse rappresentare una via allettante per sfuggire a quella
madre
isterica, ma quando vide gli occhi della donna riempirsi di lacrime si
vergognò
profondamente di quello che aveva appena pensato.
-
Andiamo,
cara, non c’è motivo di prenderla così
– intervenne il padre, cercando di
salvare il figlio dalla morsa dell’abbraccio materno
– Shikamaru è qui a casa,
non devi preoccuparti.
Ancora
singhiozzante, Yoshino riuscì a dire soltanto:
-
Sì, ma
quelle povere madri… i loro bambini…
Shikaku la prese
gentilmente per le spalle e la fece alzare, conducendola in cucina.
-
Shikamaru –
chiamò, voltandosi verso il figlio –
Vieni…
Ancora un po’
scosso, il bambino li seguì.
Fuori, un
nubifragio spaventoso seguitava ad abbattersi sul paese, sui campi e
sulla
foresta.
(*) In tedesco
“Blatt” significa “foglia”
(**) Sono le parole dell’Ave Maria in tedesco
(***) E nell’ora…
della nostra morte.
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