La
Vera Storia Della Volte A Nove Code.
La Leggenda Della Dea
Tanti secoli or sono, quando umanità, divinità e
demoni, si, anche demoni, perché un tempo i demoni erano
diversi da come li conosciamo, vivevano tutti sotto lo stesso cielo per
difendere il proprio mondo dal vero male. Un giorno, un uomo accecato
dall’ira decise che avrebbe fatto suo il potere degli dei,
trasformando in male ciò che era bene. Trasformando in
demoni maligni gli angeli portatori di pace.
Creando il caos.
Creando … La distruzione …
Fuoco.
Fiamme.
Fiamme ardenti che creano, che proteggono. Figlie di una dea che veniva
in terra sotto varie sembianze.
Donna.
Demone.
Volpe. Il suo potere era tanto grande che nessuno avrebbe potuto
contrastarla. Soltanto suo padre. E tutti i suoi fratelli e sorelle
messi insieme.
Figlia della terra, nata dalle fiamme degli inferi e dei cieli. Fiamme
alimentate dal respiro di vita del loro dio creatore. Lei, la
più potente delle nove divinità protettrici. Dea
del fuoco. Nata per proteggere quel paese per cui famiglia ed affetti
stavano sopra a tutto. Un po’ come per lei. Madre amorevole,
fedele e dolce, ma anche vendicativa, furiosa ed iraconda.
Imprevedibile. Come la sua forza. Come avrebbe reagito, se avesse
saputo che un giorno avrebbe fatto quello che ora noi
conosciamo….
Era estate, il sole caldo risplendeva alto nel cielo. Un tempio, poco
distante dal villaggio della foglia, risplendeva tra le fiamme eterne
che mai avrebbero bruciato. Una sacerdotessa inferiore, una Ho,
richiamò a se la dea. La informò dei fatti
avvenuti nell’ultimo anno. Di morti e di nascite. Ma questo
era il suo compito. Anche se era molto noioso.
“grazie sacerdotessa….”
La donna dai lunghi capelli neri si dileguò, lasciando che
la divinità potesse mostrarsi al mondo per 40 giorni e 40
notti, per vegliare sul suo paese tanto amato e rispettato ogni dove.
Una volpe attraversò veloce i campi, la vie, i paesi e le
città. Un tempo era simbolo di prosperità,
simbolo che un nuovo anno per la dea era trascorso. Ora, rappresenta la
massima sventura.
Comunque, la volpe attraversò per giorni e giorni tutto lo
stato.
Attraversò quel luogo che la venerava e la rispettava.
In sembianze di volpe.
Per molti giorni. E molte notti.
Venti per l’esattezza.
Raggiunse un’oasi, come era solita fare durante quei quaranta
giorni permessole di vivere sulla terra.
Si trasformò.
Divenne una donna bellissima.
Capelli rossi come l fiamme che l’avevano generata.
Occhi carmini, come la lava che scorreva sotto ai suoi piedi.
Pelle scura, ma non troppo. Come il terreno bruciato dalle fiamme e dal
sole.
Un sorriso smagliante le si dipinse sul volto.
“Madre mia, madre terra, sono tornata.”
Quell’anno sembrava che il suo mondo fosse diventato ancora
più prospero. Chissà come se la cavavano i suoi
fratelli e le sue sorelle.
Si guardò in torno, indecisa sul da farsi.
“Quest’anno…. Cosa posso
essere?”
Un anno era stata la figlia di un mercante.
Un altro una garzona.
Un altro ancora era stata un normale ragazza.
Ora voleva provare ad essere una ninja.
Con i suoi poteri cambiò le sue vesti divine in abiti da
lotta.
Veloce, come un fulmine a ciel sereno, si diresse verso il villaggio.
Era bello attraversarlo.
Pace e prosperità.
Bellezza ed armonia.
Ecco cosa regnava in quel luogo.
Degno di lei.
Degno di ogni creatura che aveva messo piede sulla terra.
Nessuno faceva caso a lei, una giovane fanciulla che camminava per le
strade, incuriosita, affascinata da quella miriade di colori, profumi,
suoni. Era un anno che non sentiva più il vento sulla pelle,
tra i capelli mossi e spettinati. Con il suo sorriso faceva arrossire
anche gli animi più audaci. Con il suo sguardo sembrava che
potesse leggerti dentro.
Era bello il suo adorato villaggio, che esaminato dall’alto
della sua dimora era completamente diverso da come lo viveva
in prima persona, osservare da vicino le persone che lo
abitavano, poter vedere i bambini giocare, sentire le loro risate,
conoscere le loro stesse emozioni. Era bello sentirsi umana per quel
breve lasso di tempo.
“Ehi, signorina…” la dea
sentì che qualcuno stava tirando le sue vesti, incerto. Un
bimbo, dai limpidi occhi chiari e dai capelli biondi le sorrideva. Si
chinò verso di lui.
“Cosa c’è piccolo?”
“potresti aiutarmi a recuperare il mio giocattolo?”
chiese, indicando l’aquilone finito su
quell’albero.
Kyuubi sorrise.
“certo, aspetta un secondo…”
Si arrampicò sull’albero, agile e scattante.
Preso l’aquilone, glielo porse, gentile come sempre.
“Grazie signorina!” esclamò il bambino
abbracciandola felice.
“Prego.” Rispose lei. “Come ti
chiami?”
“Mi chiamo Arashi. E da grande voglio fare il ninja come
te.”
A quella esclamazione la dea rimase un po’ interdetta. Rise.
Aveva il coprifronte del villaggio. Se ne era completamente dimenticata.
“Perché vuoi diventare ninja?”
“Per proteggere il villaggio e difendere le persone a me
care.”
A quelle parole il suo volto si raddolcì. Tutta la sua
bontà, la bontà d’animo di quel bambino
l’aveva colpita.
“Sarai un grande ninja.”
Trascorsero parecchio tempo insieme. Tutta la giornata.
Il sole stava calando.
Era il tempo di andare.
“Ora devo lasciarti piccolo.”
“Perché?”
“Devo tornare dai miei fratelli e le mie sorelle.”
“Ci rivedremo?”
I suoi occhi brillavano speranzosi.
“Certo. Forse tra qualche tempo.” Si
voltò verso di lui. “Fa che la speranza vivi
sempre nel tuo cuore. E che la luce della dea viva sempre dentro di
te.”
“Di Kyuubi?”
“Si.”
“Lo dice sempre anche la mia mamma. E se lo dici anche tu
allora lo farò.”
“A presto piccolo Arashi.”
“A presto signorina.”
Passarono gli anni e la dea ed il fanciullo continuarono a vedersi,
anno dopo anno. Arashi divenne un uomo forte e stimato in tutto il
villaggio. Con l’aiuto della dea, che avveniva soltanto un
mese all’anno, la sua abilità nelle arti ninja
crebbe, facendolo diventare forse il ninja più forte del
villaggio.
Ma….
Con la sua forza crebbe anche un sentimento che gli era proibito.
Almeno verso la dea.
Dentro di lui crebbe sempre più forte e prorompente
l’amore per la donna che in tanti anni non era mai cambiata,
per la donna che non gli aveva mai rivelato il suo vero nome.
Voleva fasi chiamare Hi, fiamma.
E questo lui non lo comprendeva.
“Hi…”
“Che c’è Arashi?”
“Perché non vuoi dirmi il tuo vero nome?”
“…”
“Hi…”
“Ti prego Arashi….”
“Ho capito… lasciamo stare….”
Abbassò il volto. Era triste. Ed abbattuto.
“Arashi…”
Gli prese il viso tra le mani.
“ti prego, non guardarmi
così…”
Non poteva ricambiare il suo amore. Lei era la dea protettrice del suo
villaggio. Le era proibito amare un mortale. Avrebbe voluto piangere.
Odiava questa stupidissima regola. Poi si ricordò le parole
di suo padre: ama la tua gente come una donna ama il suo
sposo… come una madre ama i suoi figli….
Lei gli rispondeva con un classico: padre non capisco.
E lui le ripeteva, ogni volta, capirai.
Chiuse gli occhi.
Capiva cosa voleva dire suo padre. Forse l’aveva capito prima
di lei questo suo sentimento che ogni anno le nasceva dentro.
“Arashi…”
Avvicinò il suo volto sempre di più verso quello
del suo amato.
“Hi…” disse lui, prima che i loro
respiri si intrecciassero in un unico sapore…
Un uomo osservava la scena.
I suoi occhi neri li fissavano maligni.
Per anni il suo odio era cresciuto verso quegli dei che accusava di
avergli portato via le persone che amava. Voleva il loro potere. Voleva
la loro forza. Per far inginocchiare quegli stolti di ogni
villaggio ninja. Voleva creare la sua utopia. Voleva creare il caos
assoluto. Un caos dove lui sarebbe stato il signore e padrone del mondo.
Avrebbe fatto pentire gli dei per il loro affronto.
Avrebbe fatto pentire gli uomini per aver assassinato coloro che amava.
Ma non avrebbe mai capito che a fare tutto questo non era stato altri
che lui, dopo che il seme del male era germogliato dentro al suo cuore.
Dopo che l’oscurità del caos assoluto aveva preso
il sopravvento dentro di sé.
Così facendo, credendo alle voci che gli rimbombavano in
testa, non avrebbe mai compreso quanta sofferenza avrebbe causato,
facendo soffrire inutilmente creature innocenti. Facendo soffrire i
protettori di quel mondo. Facendo soffrire il padre di ogni creatura.
Kyuubi osservò il corpo del suo amato a terra, privo di
vita.
Un solo colore le si imprimeva nella memoria, un colore che non
l’abbandonava mai.
Rosso.
Come il colore dei suoi occhi.
Rosso.
Come la lava che si trova al centro della terra.
Rosso.
Come il sangue che ricopriva interamente il suo amato Arashi.
Urla strazianti percorsero la sua gola.
Lacrime taglienti attraversavano le sue guance rosse per un pianto
disperato.
Il dolore spezzò il suo cuore in mille frammenti, come un
cristallo caduto dalle mani del suo proprietario.
I singhiozzi scuotevano il suo corpo apparentemente fragile e delicato.
Nel suo cuore l’amore per la sua terra, per le persone che
amava, la sua gente, i suoi fratelli, le sue sorelle, svanì
come una bolla di sapone.
Le sue pupille, sempre serene e distese, ora erano strette e
trasmettevano un sentimento che non aveva mai fatto breccia nel cuore
della dea.
Odio.
Un fruscio alle sue spalle la fece voltare
“Chi sei tu?” chiese con voce roca la
dea. La rabbia ora albergava nel suo cuore. Niente e nessuno
l’avrebbero potuta cancellare. E di questo l’uomo,
che non aveva più nulla di umano, era consapevole. Arashi
era il suo ostacolo per arrivare a lei, per raggiungere i suoi scopi.
Con un sorriso maligno la fissò per un istante.
“Vuoi vendicare la persona che hai amato?”
Lei stette in silenzio. Osservò i suoi occhi malvagi carichi
di desiderio di potenza.
Il Chakra della volpe era tangibile e carminio come il sangue che la
circondava.
“Sai…. Io ho visto tutto….
L’hanno ucciso loro, coloro che tanto amavi e proteggevi.
Posso aiutarti se me lo permetterai….”
A quelle parole la sua anima esplose. Si sentì ferita due
volte. Tutti i buoni sentimenti che aveva imparato a conoscere nel
corso dei secoli grazie all’umanità vennero
spazzati vai. Il suo sorriso dolce e bellissimo si trasformò
in un ghigno malvagio, carico di furia.
“So cosa pensi…. Vieni con me….
Vendichiamoci di coloro che ci hanno portato via le persone a noi
care…. Vieni con me…. Ed avrai la forza per
distruggerli tutti….”
Lei gli porse la mano.
E con lui strinse un patto.
Che l’avrebbe cambiata per sempre.
Che avrebbe cancellato i buoni sentimenti nel cuore della dea.
Villaggio della foglia…. Molti anni dopo….
“Signor Hokage! La volpe a nove code sta attaccando il
villaggio!”
“Presto, portami dove sta avvenendo lo scontro!
Sbrigati!”
Veloce, sempre più veloce. Volarono quasi su quegli alberi
per raggiungere i loro compagni che stavano già combattendo.
Quando giunsero sul luogo la videro.
Nove code, ognuna per ogni sentimento cancellato dal suo cuore.
Nove code, per ricordare il patto fatto con il male.
Nove code, per richiamare a se la malasorte.
Nove code, per poter ricordare gli anni di sofferenze per cancellare il
ricordo della sua famiglia. Ogni coda dieci anni. Novant’anni
di dolore e solitudine.
Gli occhi rossi che gridavano la sofferenza.
Gli occhi rossi che agli uomini che non capivano apparivano soltanto
carichi d’odio.
Gli occhi di una dea diventata un demone distruttore.
Gli occhi di una donna ferita nel profondo.
L’hokage non esitò. Era quello il suo compito.
Evocò il suo fidato rospo gigante, Gamabunta, pronto per
difendere il suo villaggio.
“ah, ah, ah! Cosa credi di fare sciocco umano?”
“Voglio fermarti.”
“Ah, davvero? Perché vorresti fermarmi, sentiamo?
Per salvare la tua stupida vita?”
“Per salvare le persone che amo. Sono proto a morire per
salvarle. È questo in cui credo.”
La volpe osservò per un istante quell’essere
insignificante che si trovava davanti a lei.
Quegli occhi chiari, fieri e sicuri.
Quei capelli, giallo grano.
Quella fierezza nel portamento.
Quella sua sicurezza…
Gli ricordavano spaventosamente lui.
“Dimmi, inutile essere umano, qualcuno ti ha insegnato questi
valori? Oppure sono parole buttate lì al vento?”
“Mio padre. È stato mio padre ad insegnarmeli ed a
sua volta ha ricevuto gli insegnamenti da suo padre. Ti
distruggerò in nome della dea che hai cacciato da questa
terra! da quando sei arrivata tu, ella non è più
comparsa. Ti ricaccerò negli inferi da dove sei
venuta.”
Quegli occhi….
Era impossibile.
La volpe rise, sicura di sé. No, non poteva essere lui. Non
poteva essere nemmeno suo nonno la persona che gli aveva insegnato quei
valori. Lui era morto…. La morte non risparmiava nessuno. E
dal suo abbraccio freddo ed eterno nessuno poteva sfuggire.
“Che credi di fare? Ti consiglio di fuggire,
finché sei in tempo. Non è un bene farmi
arrabbiare.”
“Io non fuggo mai.”
“sai, mi piaci umano. Nonostante tutto in quel tuo insulso
cuoricino c’è qualche sentimento. Ma comunque sei
un umano, e come tale sei un traditore della tua stessa
specie.”
La battaglia iniziò.
Graffi.
Calci.
Parate.
Pugni ben assestati.
Chakra che circondava altro chakra.
Potere contro potere.
Entrambe le parti erano sfinite. Ma la furia causata da un cuore ferito
è più forte di quel veleno che ti attanaglia.
Quel veleno che si chiama stanchezza.
L’uomo non capiva il motivo di tanta furia, di tanta rabbia
covata dentro a quell’anima che ogni istante di
più sembrava diventare sempre più nera.
“Spiegami.” Le chiese lui stupito per tanto
rancore. “Perché odi tutti gli uomini?”
A quelle parole Kyuubi lo fissò con i suoi occhietti
cattivi. Per un istante credette di vedere tanta tristezza in quei
occhi rosso sangue.
“Un tempo io vivevo per proteggere gli uomini….
Vivevo per vedere un sorriso di un bambino. Vivevo per vedere la
prosperità del mio popolo. Ma un giorno feci
l’errore di innamorarmi di un essere
umano….” L’ultima parola detta
con disgusto misto ad amore. I suoi occhi da maligni e demoniaci si
raddolcirono diventando buoni e pieni di malinconia. Ma tutto questo
sparì in un attimo.
“Ma….” Tutta la rabbia che covava dentro
stava per esplodere. “Voi umani, voi, i suoi simili, me lo
avete portato via! ME LO AVETE PORTATO VIA!”
L’hokage non poteva credere alle sue orecchie….
Allora lei non era altri….
“Quando vidi il suo corpo privo di vita feci un patto,
ciò che mi ha reso quella che ora sono…. ED ORA
VENDICHERO’ LA PERSONA CHE HO AMATO! LUI CREDEVA NEL SUO
POPOLO MA VOI LO AVETE UCCISO! ME LA PAGHERETE TUTTI
QUANTI!” la rabbia emerse nuovamente. Lo
fissò scura e vendicativa. Mostrò tutti i suoi
denti bianchissimi che un tempo, quando ancora era una dea, avrebbero
attirato qualunque uomo.
“Fosse l’ultima cosa che faccio.”
Con un ruggito terribile si preparò ad attaccare.
“Smettila….” Bisbigliava
l’uomo al demone che evocava tutta la sua furia distruttiva.
“Smettila…. Hi….”
Quell’ultimo suono, quell’ultima parola fecero
breccia nel cuore del demone a nove code.
“Tu…. Come fai a sapere il nome che usavo in
terra…?”
L’uomo stette in silenzio. La fissò con i suoi
occhi cerulei, fieri come lo erano i suoi…. Come quelli di
lui….
“Tu chi sei umano?”
“Il mio nome è Arashi…. Sono il nipote
di colui che amasti….”
Sentimenti contrastanti vagavano nel suo cuore.
Amore.
Odio.
Amore.
Odio.
In quel momento, solo in quel momento si rese conto del male che stava
facendo…. Della distruzione che stava portando in
terra.
La voce di colui che l’aveva plagiata, che l’aveva
trasformata però continuava ad echeggiare nella sua
testa… Uccidili, uccidili tutti! Eliminali, eliminali
tutti….
No. Si ripeteva. No, continuava ad urlare disperata a quella voce.
No. Disse.
Non ucciderò Arashi un’altra volta.
Ne ora ne mai.
L’Hokage rimase interdetto vedendo l’anima della
dea uscire dal corpo del demone.
Arashi…. Ti prego…. Annientami….
Cosicché non possa ferire più
nessuno…. Prima che il male prenda nuovamente il
sopravvento….
Ma come poteva uccidere colei che aveva per secoli protetto il suo
villaggio?
Come poteva uccidere colei che suo nonno aveva amato più
della sua stessa vita?
“Non posso….” Lacrime scesero dal suo
volto.
“Dimmi….” Chiese lei per un momento.
“Che fine ha fatto tuo nonno?”
“Venne ritrovato dalla tua sacerdotessa e lo curò
come meglio potè. Per anni ti ha cercata,
inutilmente…. Prima di morire mi ha chiesto di dirti, se ti
avessi mai incontrata, che lo sapeva. Sapeva chi eri. Ma non
gli era mai importato….”
Calde lacrime scesero dagli occhi della dea volpe.
Lacrime amare.
Lacrime aspre.
Lacrime taglienti.
“Ti prego distruggimi.”
Ma sapeva che non avrebbe mai potuto farlo.
Nemmeno il suo fratello più potente ci sarebbe riuscito.
Con movimenti veloci delle mani l’hokage richiamò
a sé una tecnica di sigillo proibita.
“Non posso ucciderti. Ma posso sigillarti.”
“Non lo fare! Così morirai!”
“Addio mia dea! SIGILLO DEL DIAVOLO!”
Poco prima che il sigillo potesse avere effetto osservo il corpo senza
vita del nipote del suo amato cadere a terra. Ma la
malvagità che aveva imprigionato la dea tornò a
galla. Maledì l’uomo che l’aveva
sconfitta. Maledì se stessa per essere stata debole.
Ma una lacrima solitaria scese sul muso della volpe che
inconsapevolmente fece una promessa. Avrebbe protetto colui in cui
sarebbe rimasta sigillata. E quando la dea delle reliquie sarebbe
comparsa le avrebbe permesso di liberare la sua luce.
Per se stessa. E per Arashi.
“Amore mio…. Aspettami.”
Fine.
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