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Titolo:
“La macchia”
Autore:
Nia
Personaggi:
Levi Ackerman, Erwin Smith, Hanji Zoe
Rating:
Giallo
Genere:
Drammatico, Malinconico, Introspettivo
Avvertimenti:
what if? - one shot
Prompt
scelto:
“Speranza”
Introduzione:
“Odiava
lo sporco, odiava la polvere così come qualsiasi tipo di macchia.
Ma
questa, questa era la più lurida, fetida e schifosa macchia con cui
avesse mai avuto a che fare.”
N.d.A.
(se ci sono):
La storia si colloca in un momento imprecisato del manga senza tenere
conto degli ultimi avvenimenti.
La
Macchia
Si fermò davanti alla porta di casa, stringeva le chiavi
in mano con dita che tremavano appena. Deglutì cercando di mandare
giù un senso di inquietudine che ormai lo accompagnava
perennemente.
Cosa avrebbero detto i suoi uomini se avessero visto
il loro Capitano così spaventato dalla solo idea di entrare in
casa?
Sospirò, chiuse gli occhi un istante e infilò le chiavi
nella serratura.
Fu la prima cosa che vide: quella dannata e
schifosissima macchia sul muro era rimasta lì ad
aspettarlo.
Assottigliò lo sguardo decisamente irritato, varcò
la soglia chiudendo la porta alle sue spalle e buttò la giacca sul
divano. Gesto decisamente inappropriato per uno come lui: un tempo si
sarebbe premurato di riporla con cura sull'attaccappani
all'ingresso.
“Erwin?”
La sua voce risuonò nel
corridoio vuoto senza ricevere alcuna risposta.
Sospirò
infastidito da quel silenzio.
Si rimboccò le maniche con
decisione, recuperò i prodotti per la pulizia più potenti che
avesse a disposizione e si preparò ad affrontare quell'orribile
alone sul muro.
Strofinò per un tempo infinito, probabilmente
per ore, si staccò dalla parete solo per mera stanchezza, non certo
per il raggiungimento di un risultato soddisfacente.
Era furioso,
tanto che sbattè con violenza il panno a terra con forza prima di
andare a buttarsi sul divano.
Se ci fosse stato qualcuno lì con
lui, di certo avrebbe affermato di non aver mai visto il Capitano
Levi comportarsi in un modo simile.
Fissò il panno e il
sapone abbandonati sul pavimento. Lentamente sollevò poi lo sguardo
sulla macchia.
Quella stronza non era nemmeno sbiadita.
Era
colmo di rabbia, ma aveva bisogno di calmarsi. Chiuse gli occhi e
inspirò profondamente, per poi abbandonarsi completamente fino a
ritrovarsi sdraiato sul divano.
Gli ritornò alla mente l'idea di
coprirla, magari con un quadro o uno specchio, ma non sarebbe servito
a niente. Lui sapeva
che c'era.
Quel lurido errore doveva sparire dalla sua
esistenza.
Finì con l'addormentarsi mentre ancora serrava i
pugni su uno dei cuscini del divano.
Si risvegliò sentendo un
lieve calore tra i capelli. Assonnato, con gli occhi ancora chiusi,
quasi gli venne da sorridere.
Riconobbe subito il calore della
mano di Erwin che gli sfiorava la testa.
Bastò quella sensazione
a rilassarlo, a farlo ricadere subito nel sonno, un sonno totalmente
differente rispetto a quello di poco prima.
Era calmo, la macchia
era sparita e lui finalmente stava riposando.
Avrebbe
dovuto alzarsi, andare in camera da letto dove avrebbe trovato Erwin
ad aspettarlo. Avrebbero fatto l'amore, cancellando ogni cosa dalla
loro mente, rifugiandosi uno nell'altro.
Solo Erwin.
Solo
Erwin.
Ora c'era solo Erwin nella sua testa, nel suo corpo, nel
suo cuore.
Oh sì, decisamente avrebbe dovuto alzarsi e andare a
fare l'amore con lui.
Aprì gli occhi, la consapevolezza
della realtà arrivò fin troppo presto.
Si alzò dal divano, si
stirò la schiena.
Non guardò verso il muro, passò davanti a
quell'abominio cercando di calmarsi e di concentrarsi solo sulle cose
da fare durante la giornata.
Passò davanti alla porta chiusa
della camera da letto, pensando per un attimo che avrebbe dovuto
svegliare Erwin: entrambi sarebbero dovuti uscire presto.
Si fece
una doccia veloce, si mise la sua divisa e preparò poi la colazione
per entrambi, guardando impaziente l'orologio.
“È
ancora lì vero?”
Sgranò gli occhi, non si voltò
subito. Dovette persino stare attento a non far cadere la tazzina di
caffè che teneva in mano.
La voce di Erwin sembrò entrargli fin
dentro le ossa.
Si voltò di scatto, gli sembrò di vederlo
sorridere. Un sorriso triste, arrendevole, il sorriso di qualcuno che
non può cambiare le cose anche se vorrebbe.
Un'espressione,
talmente priva di speranza, che mai avrebbe pensato di vedere sul
volto del Comandante Smith.
“Forse dovresti stare a casa
oggi. Forse dovresti cercare di risolvere il problema, non
trovi?”
Rimase immobile
ancora una volta, senza rispondere abbassò lo sguardo verso la
tazzina di caffè che ancora teneva in mano. Si voltò posandola nel
lavello distogliendo lo sguardo da lui.
Chiuse gli occhi, inspirò
profondamente, mentre nella sua mente rimaneva stampato quel sorriso
straziante.
Quando si rivoltò, di Erwin non c'era più traccia.
Si ricordò di aver sentito poco prima la porta chiudersi, se n'era
andato senza aspettarlo.
Si tolse la giacca della divisa; lo
straccio che aveva abbandonato sul pavimento la sera prima era ancora
lì.
Ancora una volta si rimboccò le maniche e ricominciò a
strofinare.
Odiava lo sporco, odiava la polvere così come
qualsiasi tipo di macchia.
Ma questa, questa era la più lurida,
fetida e schifosa macchia con cui avesse mai avuto a che fare.
Hanji
gli aveva persino consigliato di cambiare casa. Che assurdità!
Quella
era casa sua e di Erwin. Il loro spazio, che dopo tanta sofferenza,
segreti e bugie, erano finalmente riusciti a conquistarsi.
Erano
riusciti a trovare il loro posto, il loro rifugio, costruito su
promesse pregne di speranza per un loro futuro insieme.
Avrebbe
dovuto lasciare tutto quanto?
“No. Mai.”
Strofinò più
forte, molto più forte, tanto che sentì le dita fargli male.
Era
ormai pomeriggio inoltrato quanto sentì bussare alla porta.
Si
fermò voltandosi sorpreso.
“Erwin...?” sussurrò tra sé e
sé, preso per un attimo da un senso di smarrimento.
No. Non
poteva essere Erwin, quindi chiunque ci fosse dietro quella porta non
aveva importanza.
Si rivoltò e, come se non avesse sentito
niente, ricominciò a strofinare con ancora più forza di prima.
Il
sapone contro la parete aveva prodotto un po' di schiuma che gli
riempiva le mani colando fino ai suoi polsi.
“Levi?”
Si
voltò di scatto spaventato e corrucciò lo sguardo quando vide Hanji
a solo mezzo metro da lui.
“Che vuoi? Che ci fai qui, come sei
entrata?” chiese brusco, ridandole subito le spalle e riprendendo a
strofinare.
“La porta era aperta...”
Il suo tono di voce
lo irritava da morire, continuò il suo lavoro sperando che decidesse
da sola di tornarsene da dove era venuta.
“Levi... oggi non sei
venuto, non hai avvisato nessuno, e così... ci siamo un po'
preoccupati.”
Parlava come una persona pronta a camminare sui
carboni ardenti.
“Sì beh, come vedi ho da fare!”
Si fermò
ad immergere lo straccio in altra acqua e sapone, mentre sentiva lo
sguardo di Hanji addosso a lui.
“C'è... ehm... c'è qualcosa
che non va in quella parete?”
Non poteva crederci che l'avesse
chiesto davvero, si stava prendendo gioco di lui? Si voltò irritato
da morire, la fissò negli occhi con sguardo truce.
“Mi stai
prendendo per il culo Hanji?”
“Levi
ascolta....”
“VATTENE!”
Urlò di colpo, nemmeno si
accorse di averlo fatto. Era diventato incontrollabile, instabile.
Hanji non si mosse di un passo, anzi, si avvicinò e gli strappò
di mano lo straccio fradicio che teneva tra le mani.
“Adesso
basta Levi.” disse seria, dura, concreta. “Quella macchia non c'è
più! E se la vedi ancora allora forse è meglio che te ne vada da
qui, da questa casa.”
Silenzio. Il silenzio riempì ogni
cosa dopo quelle parole.
La osservò senza fiatare. Sembrava
dispiaciuta e probabilmente si sentiva persino colpevole, ma sapeva
che non si sarebbe rimangiata niente.
“Erwin... lui, mi ha
detto che devo togliere quella macchia. Mi ha detto lui di mandarla
via, e... non ci riesco. Non riesco a mandarla via.”
Hanji lo
fissò allibita, visibilmente in dubbio su cosa fare, su come
comportarsi.
“Levi...”
“Non ci riesco! E lui non mi è di
nessun aiuto! Come pensa che possa farcela senza di lui?!”
Si
ritrovò tra le braccia di Hanji senza nemmeno accorgersene. Da
quando la conosceva era ben sicuro che tra loro non ci fosse mai
stato un simile contatto.
Fu una sensazione strana e...
sgradevole. L'unico contatto umano che avesse mai realmente tollerato
avveniva solo da parte di Erwin e quello invece significava qualcosa
che non poteva accettare.
“Levi, lascialo andare.”
Le
parole di Hanji furono appena sussurrate, ma colpirono Levi
ferocemente.
“Devi uscire da questa casa, devi andartene da
questo posto.”
Sentì Hanji continuare a parlare, ma l'unica
cosa che lui riusciva a sentire era la voce di Erwin.
“Ti
prometto che le cose andranno meglio.”
gli
diceva.
“Succedono un mare di cose terribili in questo
mondo, nel nostro mondo, ma adesso ho un vero posto in cui
tornare.”
Sentì un magone
incontrollabile salire fino alla gola.
“So che ti
irritano queste cose Levi, ma qualsiasi cosa succeda ti prometto che
tornerò da te. Quindi promettimelo anche tu per favore, ho bisogno
di sentirtelo dire per continuare a combattere.”
Sentì
la presa di Hanji farsi più forte intorno alle sue spalle, lui era
semplicemente immobile mentre cercava di mantenere un respiro
regolare, cosa che gli stava comportando un notevole sforzo.
“Ti
amo Levi.”
Le lacrime
uscirono senza che riuscisse a controllarsi. La vista divenne
appannata, e l'unica cosa che percepiva davvero era una rabbia
smodata, incontenibile, atroce, tanto che per un istante pensò
persino di colpire Hanji e allontanarla da sé.
Non c'era
nessuna mano di Erwin ad accarezzarlo mentre dormiva.
Non c'era
la sua voce a parlargli.
Non c'era la sua divisa sul letto.
Non
c'era più niente di Erwin.
Solo quella fottutissima,
maledettissima macchia sulla parete.
Il Comandante Smith non
aveva nemmeno avuto l'onore di cadere in combattimento: il fratello
di uno dei suoi uomini, morti durante una missione, l'aveva seguito
fino a casa, entrato con l'inganno aveva fatto saltare le cervella di
Erwin sulla parete.
Così. Semplicemente e brutalmente così.
Sul
muro della loro casa.
Provocando un'orribile macchia che per quasi
un mese Levi fu costretto a trovarsi davanti.
Sempre lì, quella
stronza, a guardarlo e sbattergli violentemente in faccia la
realtà.
La guardava e ogni speranza di rivederlo gli veniva
prosciugata via.
La vedeva e ogni speranza di poter di nuovo stare
bene svaniva nel nulla.
Levi non aveva più niente, se non una
dannatissima macchia sulla parete.
Una macchia che odiava, che
detestava, ma era l'unica cosa che gli restava. Era l'unica cosa che
gli ricordava dove fosse, con chi fosse.
Chi non ci fosse.
Era
l'unica cosa che gli ricordava di essere diventato un fottuto pazzo
che sentiva le voci, che aveva allucinazioni, che ancora credeva di
vivere con una persona che in realtà non sarebbe mai più
tornata.
Osservò la parete, e forse solo adesso tra le
braccia di Hanji si rese conto di quale fosse la realtà.
La
macchia su quel muro non c'era più da tempo, lavata via con forza e
terrore subito dopo quell'incubo.
Ma era rimasta fervida nella sua
mente, e mai più se ne sarebbe andata, portando via da lui ogni
speranza di rivedere l'unica persona che avesse mai amato senza
riserve.
Hanji osservò inerme le due tazze sul tavolo
della cucina. Una delle tue tazze era ancora piena di caffè.
Due
toast con marmellata riposti in due piattini.
Osservò Levi
rimettersi a strofinare il muro, un muro senza ormai alcun segno, se
non quello dell'acqua e del sapone.
Ma quella macchia, quella
era l'unica macchia che Levi non sarebbe mai riuscito a pulire
via.
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