Tom faceva scivolare le lunghe e
pallide dita sopra il medaglione.
Lo portò più vicino al
viso e prese a scrutare l'oggetto con un guizzo quasi animalesco
negli occhi scuri.
La luce del fuoco accarezzava la S
argentea e faceva brillare gli smeraldi incastonati.
Quel medaglione era appartenuto al
fondatore Salazar Serpeverde e poi era passato di mano in mano, per
secoli, nelle innumerevoli generazioni della sua famiglia.
“E in quelle di mia madre”
pensò di sfuggita Tom, stringendo l'oggetto
impercettibilmente.
Tutti morti.
Tutti loro.
Ognuno di quegli uomini e donne giacevano
inermi sotto metri e metri di terra, inutili.
“Non io” si convinse quasi
con rabbia alzandosi per avvicinarsi al camino.
“Non farò la loro fine,
non di certo”
Sette passi avrebbe fatto per
allontanarsi da lei e dalla sua falce.
Sette uccisioni per creare una vita
immortale.
Dopotutto, il prezzo da pagare era
nulla, assolutamente niente, in confronto.
Sette vite di sette inutili esseri.
“Che sarebbero comunque morti
senza aver lasciato nulla in questo mondo” pensò con
convinzione crescente Tom mentre osservava il fuoco danzare
frenetico.
E di sfuggita pensò a quanto
quell'immagine fosse evocativa.
Lui si sentiva esattamente come quelle
lingue infuocate, che per crescere maestose avevano bisogno di
divorare, spezzare e incenerire quegli inutili pezzi di legno.
Sette passi e sarebbe stato libero
finalmente, da l'unico nemico che era in grado di muovere in lui
un'emozione che non acccettava di provare: la paura.
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