Capitolo
2 : Questo è l’inferno
Del sangue prese
a scivolare lungo il braccio del cacciatore.
Il coltellino da lancio si era piantato sulla spalla destra, a pochi
centimetri
dal collo. Con un grugnito degno di un orso inferocito, si
voltò non curante
della lama penetrata nella carne e puntò, senza ombra di
indecisione, la
balestra all’altezza del cespuglio. Stava per premere il
grilletto, il dito era
contatto dalla tensione, ma di colpo si arrestò, mollando la
presa. Daryl non
si aspettava certo di essere attaccato da una bambina, da uno
scricciolo moro
coi capelli tutti arruffati e le lacrime agli occhi, ma non volle
comunque
abbassare la guardia, anche se ne andava del proprio orgoglio. Si
avventò su di
ella, afferrandole un braccio e tirandola fuori di forza dal cespuglio,
sollevandola quasi fosse uno dei tanti scoiattoli cacciati. Ovviamente,
quella
gridò, indicando la gamba compulsivamente. Fu allora che
l’arciere lasciò
andare la presa, facendola cadere di chiappe da una bassa altezza.
Allungò il
braccio ed estrasse il coltello, soffocando un lamento. La piccola si
tappò gli
occhi, pronta ad essere uccisa, ma Daryl sbuffò e si
accucciò su di lei,
osservando la ferita minuziosamente. Intanto la bambina continuava a
piangere e
singhiozzare.
-Non voglio
farti del male. – borbottò sbrigativo –
Quindi smettila
con questa scenata.
Non aveva idea
di quale atteggiamento o tono assumere, non
era mai stato bravo con i marmocchi, anzi, non li aveva mai tollerati.
Erano un
seccatura, si cacciavano sempre nei guai, non obbediscono ad un solo
ordine e
fanno sempre i capricci. Ora poi, nel mondo marcio che si era creato,
erano
ancora di più un peso. Deboli, inutili, cibo assicurato per
i vaganti. Era
questo quello che l’arciere pensava di fronte a quella
bambina ferita. D’altro
canto, sebbene la spalla gli dolesse da far schifo, aveva apprezzato
che quella
piagnucolona avesse provato ad attaccarlo. Almeno del coraggio lo
aveva. La
trappola per orsi si era conficcata con ingordigia nelle membra bianche
come
porcellana della malcapitata, spezzandole la tibia quasi fosse burro.
Per
fortuna la frattura era praticamente netta, i denti metallici avevano
soltanto
scalfito altri punti, lasciando l’osso in buone
possibilità di guarigione.
Prima di spezzare quell’ammasso di ferraglia,
lanciò uno sguardo fugace alla
bambina, cercando di apprenderne il temperamento e il carattere. Era un
buon
osservatore, ma un pessimo oratore. Non sapeva esprimersi, o meglio,
l’approccio
diretto con le persone lo mandavano in tilt, diciamo. La bambina
allargò le
dita, in modo tale da poter guardare l’uomo attraverso le
fessure di queste, ma
subito le serrò nuovamente non appena si accorse di essere
anch’essa scrutata. Daryl
scosse la testa, abbozzando un sorriso. Dopotutto, era solo
un’innocente
bambina. I capelli erano di un nero petrolio lucente, corti
all’altezza del
mento, leggermente mossi ed arricchiti da una frangetta oramai troppo
lunga.
Aveva qualche lentiggine sulle gote, quasi impercettibili, e sebbene
avesse potuto
constatare il colore delle iridi per un fugace istante, avrebbe giurato
di averle
viste grigie. Tralasciando il suo aspetto fisico, poggiò le
mani sulla
trappola, inspirando con cura. Voleva aprirla al primo colpo, evitare
di dare
altra ingiusta sofferenza alla piccola.
-Farà
male. – disse secco.
Lei si morse il
labbro, aspettandosi la vampata di dolore,
sempre restando con le mani di fronte agli occhi. Detto fatto, Daryl
allargò le
tenaglie, sforzando la cerniera fino a romperla. Gettò
lontano la trappola ed
osservò da vicino la ferita affatto di
bell’aspetto. Prese il proprio coltello seghettato
con l’intenzione di strappare parte del jeans e medicare la
lesione in modo approssimativo,
ma efficace, quando però toccò la caviglia, lei
lo spinse gridando.
-Non mi toccare!
– ripeteva, tirando dei pugni sul braccio
dell’arciere, sporcandolo di sangue – Non mi
toccare!
Intanto egli la
guardava senza reagire, sperando che la
smettesse una volta affaticata.
-Non mi toccare.
– continuò balbettando.
-Non ti sto
toccando. – grugnì in un sibilo.
La bambina si
rilassò, smise di colpirlo e si sdraiò a terra,
fissando i rami intrecciati degli alberi. Nel frattempo le lacrime
proseguivano
il proprio percorso, scivolando lungo le guance fino a dissolversi nel
terreno.
Daryl si passò una mano fra i capelli, evitando di sbuffare
ulteriormente.
-Come ti chiami?
– domandò, sforzandosi di essere gentile.
Nessuna risposta.
-Posso medicarti
almeno?
Nessuna risposta.
-Bene.
– esclamò l’arciere alzandosi.
– Allora me ne vado,
non ho intenzione di perdere altro tempo inutilmente.
Lanciò
il coltello sporco del proprio sangue vicino al viso
della bambina, come per ricordargli che era stato ferito, e si
incamminò
lasciandosela alle spalle. Ad ogni passo, sentiva crescere il senso di
colpa
nel proprio petto, ma non voleva stare al gioco della piccola. Doveva
essere
lei a chiamarlo, lui era stato fin troppo gentile. Dopo poco,
però, udendo il
pianto di quella creatura, tornò indietro.
[
POV Daryl ]
Quei lamenti e
singhiozzi mi davano la nausea, continuavano a
rimbombarmi in testa senza sosta. Oltretutto per colpa di quella
scimmia ero
costretto a portare la balestra sull’altra spalla. Camminavo
velocemente,
sperando di zittire in fretta quella cosa.
-La vuoi
piantare? – brontolai, una volta trovata.
Non si era mossa
di un centimetro.
-Perché
sei tornato? – urlò.
-Perché
sei fastidiosa.
-Allora vattene!
Sospirai
avvilito, lasciando cadere a terra la balestra. Mi
avvicinai alla bambina, intenzionato a sbrigare in un batter
d’occhio la cosa.
L’avrei rammendata e tanti saluti, ognuno sulla propria
strada. Non ero
scappato da Alexandria per trovarmi un’altra persona
d’accudire, una marmocchia
soprattutto.
-Ascoltami bene.
Adesso ti medico, guai a te se fiati. Intesi?
– parlai pacato – Poi ti lascio qua e me ne vado.
Può andare?
Tirò
su col naso, non aprendo bocca. Continuava a fissare le
fronde senza degnarmi di uno sguardo. Che ingrata. Mi sedetti a terra,
riprendendo fra le mani il mio coltello. Tagliai una porzione del
jeans,
lasciandogli la gamba lesa scoperta fino al ginocchio.
L’unica cosa da fare era
fasciare la ferita e provare a steccare il polpaccio. Notai qualche
livido.
Strappai una manica dalla mia camicia e cercai di stringerla alla
lesione
delicatamente, per quanto mi fosse possibile. Pregavo, sebbene non
credessi in
niente, che la scimmia non si mettesse a piangere o a strillare. Fui
sorpreso
di vedere quanto fosse silenziosa. Non batteva ciglio.
-Adesso devo
solo steccarla. – la informai.
Spezzai due
robusti ramoscelli nella giusta misura e li legai
utilizzando la stessa porzione di jeans asportata. Il tutto sembrava
ben saldo.
Non era un lavoro pulitissimo, ma poteva andare bene. Asciugai le mani
sudate
sulle cosce e ripresi la balestra.
-Adesso te ne
vai? – chiese quasi sussurrando.
-Come stabilito.
– mentii.
La frattura era
troppo grave, non avrebbe potuto camminare.
Ero costretto a tornare indietro, a portarla ad Alexandria.
Lì si sarebbero
presi cura di lei. Anche se mi sembrava che il fato volesse prendersi
gioco di
me.
-Beh allora
vergognati. – disse, facendomi la linguaccia.
Si
tirò su, incrociando le braccia al petto indispettita.
-Come scusa?
-Dovresti
vergognarti. Lasciare una bambina indifesa in mezzo
al nulla così. Andrai all’inferno per questo.
Quella scimmia
era davvero fastidiosa.
-Sveglia
mocciosa, questo è l’inferno.
-No questo
è il purgatorio. – sbeffeggiò con tono
semi
solenne – Ma se ti comporti così sarai dannato per
l’eternità.
Decisi di stare
a questo strano gioco. Se prendermi in giro
era l’unico modo per parlare, mi andava bene. Tanto, oramai,
tutto lo sforzo
che avevo fatto per allontanarmi da quella dannata comunità
era stato del tutto
inutile. Ore
buttate nel cesso.
-Se vogliamo
essere puntigliosi, signorina, io sono venuto qua
perché hai iniziato ad urlare in richiesta
d’aiuto. Per darti una mano, mi sono
beccato una coltellata e tu mi vuoi dannare all’inferno? Tu
che non hai nemmeno
ringraziato.
Mi fece il
verso, scimmiottandomi. L’appellativo scimmia le
se addiceva molto.
-Ancora parli?
– obiettò – Mi sembrava di aver capito
che non
avevi tempo da perdere.
Bene, era anche
molto simpatica. L’unica
cosa che mi tirava su il morale, era
la consapevolezza che, una volta lasciata ai cancelli, non ne avrei
avuto più a
che fare.
-Per colpa tua
ho perso un’intera giornata di cammino, se
proprio vuoi saperlo. – affermai per farla sentire colpa.
Ma non ottenni
nulla.
-Facciamo un
accordo? – proposi.
Abbozzò
un sorriso. Sebbene si mostrasse tranquilla, era
sempre sulla difensiva. Non era certa di fidarsi di me e non le davo
tutti i
torti. Il mio aspetto non era dei migliori.
-Ti ascolto.
– rispose curiosa.
-Conosco un
posto sicuro, è da lì che vengo. –
spiegai – Il patto
consiste nel portartici, ma per tutto il tragitto non devi aprire bocca.
Ci
pensò su, provando di tanto intanto ad alzare la gamba.
Osservandone
gli abiti, non capivo perché indossasse una felpa a cerniera
con tutto questo
caldo.
-Se è
un posto sicuro.. – commentò dubbiosa –
Allora perché te
ne sei andato?
-Questi non sono
affari tuoi, mocciosa. – risposi secco – Ci
stai o no?
Mi
scrutò socchiudendo gli occhi, come per analizzarmi.
Mostrai la mia espressione più seria. Non ero affatto bravo
con i bambini, ad
essere sincero, mi sentivo a disagio.
-Affare fatto,
cacciatore. – disse, mostrandomi il pollice in
alto.
Avrei tanto
voluto crederle. Mi avvicinai, cercando di capire
come poterla trasportare. L’unico modo era metterla sulle
spalle. Se l’avessi retta
sulla schiena, avrei dovuto tenerla per le gambe. Il che sarebbe stato
un
problema sia per la ferita, sia per la balestra, dato che non avrei
potuto
impugnarla. Avevo bisogno di lasciare le mani libere per
l’arma, in modo da
poterci difendere. Dopotutto la marmocchia era magra, non avrebbe
gravato
troppo sulle spalle, anche se una bruciava assiduamente, e in questo
modo si
sarebbe retta da sola.
-Solo una cosa.
– dissi, una volta caricata sulle spalle – Puoi
dirmi il tuo nome?
-Zoe.
uaE’ EE ffff[ POV Zoe ]
Un vagante si
accasciò con un dardo in fronte, cadendo sulle
proprie gambe marce. Sembrava un vecchietto tutto rugoso. Il cacciatore
si
inclinò appena temendo di farmi cadere e raccolse la
freccia. Era noioso stare
in silenzio, cominciavo a non poterne più. E poi, anche se
le sue spalle erano
larghe, essendo muscolose non erano affatto comode. Ogni tanto guardavo
in giù
per parlare con Jen, ma questa mi faceva segno di stare zitta. Non
voleva che
le parlassi in sua presenza. Lei però poteva chiacchierare,
mentre io mi
limitavo a farle cenni con la testa. Per tutto il tempo Jennifer non si
era
risparmiata commenti negativi sull’uomo: puzza, sembra un
selvaggio, che
capelli strani, ha gli occhi piccoli, poveri scoiattoli, cose
così. Alla fine
non aveva torto, puzzare puzzava, ma sicuramente anch’io non
ero da meno.
Schiantavo con questa felpa addosso. La gamba era gonfissima, ma la
steccatura
mi dava sollievo. Il cacciatore camminava abbastanza velocemente, i
passi erano
decisi ma controllava davvero tutto. Ero sicura che lui non sarebbe mai
caduto
in quella trappola per orsi. Guardai le sue braccia scoperte e i
capelli troppo
lunghi per un maschio.
-Signor
cacciatore, perché sei sbracciato? E perché non
ti
tagli i capelli? – domandai curiosa.
-Perché
è stupido. – rispose subito Jennifer, ridacchiando.
Ma
l’uomo non mi considerò.
-Signor
cacciatore, rispondi!
-Avevamo fatto
un patto. – grugnì.
Era antipatico.
-Ma io ho
incrociato le dita dietro la schiena.
Sbuffò.
Era divertente dargli fastidio. Si vedeva quanto
fosse poco paziente. Forse a Jen non piaceva perché avevano
lo stesso
caratterino. Ecco, probabilmente, perché mi ero fidata.
Erano due gocce d’acqua.
-Jen dice sempre
che non bisogna avere braccia o gambe
scoperte, altrimenti se gli azzannatori ti mordono non
c’è più niente da fare.
Invece, se indossi una felpa spessa come la mia, è possibile
che i denti non
raggiungano la carne. Capisci?
-E i capelli che
c’entrano? – sbiascicò, partecipando
alla
conversazione di malavoglia.
-Se li hai
lunghi ti possono afferrare più facilmente. Sia
loro che le persone.
-Mh. –
mugolò – I tuoi non sono poi così corti.
Mi accarezzai i
capelli, liberandoli di qualche nodo. Era da
tempo che non li scorciavo, ma ero stanca di sembrare un maschietto.
-Perché
lui non si è visto? – brontolò Jen
– Sembra un emo.
Ridacchiai in
silenzio.
-Tutte queste
cose.. – domandò – Te le ha insegnate
Jen?
-Ovvio che
gliele ho insegnate io, l’ha detto prima. –
borbottava Jennifer – Lo vedi che è scemo?
Menomale che dopo ci molla.
-Sì!
– risposi, ignorandola.
Non mi chiese
chi fosse Jen, né cosa potesse essere successo
o dove potesse trovarsi, forse già lo immaginava, o forse
voleva semplicemente
evitare di parlarne per non ferirmi o toccare argomenti delicati. In
fondo, era
una brava persona anche se faceva lo scorbutico.
-Beh, allora
perché stai sbracciato? – insistetti.
-Perché
fa caldo.
Non era una
buona risposta.
-Ma è
pericoloso. Anch’io ho caldo, ma resisto.
-Ascolta,
scimmietta. So badare a me stesso, non preoccuparti.
– rassicurò con tono simile al gentile –
Per quanto riguarda te, fai bene a
stare attenta.
-Come si
permette? – si arrabbiò Jen – Prima
marmocchia, poi
mocciosa, adesso scimmietta!? Lo odio.
Le feci segno di
lasciar perdere, tutto sommato, quel soprannome
mi piaceva.
[ POV Daryl ]
D’improvviso,
mi abbracciò, o meglio, strinse le sue braccia
intorno alla mia testa. Mi dava fastidio, riducendomi la visuale, ma in
qualche
modo, per qualche strano motivo, ne ero felice. Forse era semplicemente
stanca,
o forse, essere chiamata scimmietta le era sembrata una mossa dolce.
Per mia
fortuna smise di parlare, sebbene mancasse davvero poco ormai ad
Alexandria.
Più mi avvicinavo, più la morsa allo stomaco si
faceva dolorosa. Era un’agonia
tornare di fronte ai suoi cancelli, temevo di essere visto, di dover
dare
spiegazioni. C’era bisogno di spiegare a Zoe di non dover
parlare con nessuno
di quanto accaduto, di omettermi nel suo racconto. Scorsi le mura.
-Zoe, siamo
praticamente arrivati.
Sciolse
l’abbraccio, sporgendosi in avanti col busto per
vedere qualcosa.
-Vedo un
campanile, c’è un chiesa! – disse
allegra.
Ero sicuro che
il posto le sarebbe piaciuto. C’era tanto
verde, persone fidate, altri bambini con cui giocare. Non avrebbe
più dovuto
temere la morte, lì avrebbe trovato protezione e sicurezza.
Notai parecchi
vaganti a terra, in mezzo alle auto. Spencer doveva essersi divertito.
Meglio per
noi, la strada era pulita. Mi fermai.
-Perché
ti sei bloccato? – domandò sorpresa, inclinandosi
fino a guardarmi negli occhi – Qualcosa non va?
-Dobbiamo
parlare. Devo spiegarti alcune cose.
Vidi che
guardò di lato, con un’espressione attenta e
triste,
quasi stesse ascoltando qualcuno. Non era la prima volta che lo faceva,
l’avevo
notato più volte durante il cammino. Aspettai che terminasse
la conversazione
con questa presenza, amica immaginaria o fantasma che fosse, anche se
era
abbasta inquietante se non ridicolo.
-Era una bugia,
vero? – balbettò – Là non ci
sono brave
persone, mi picchieranno e uccideranno.
Rimasi
interdetto. Speravo in cuor mio che non le fosse
capitato qualcosa del genere. Anche se a giudicare da quei pochi
ematomi che
avevo potuto osservare, non ero certo che fossero stati causati da
semplici
cadute o inciampate varie. La adagiai su un ramo, in modo che fossimo
alla
stessa altezza.
-Ti giuro, non
è così. Là ci sono delle persone
fantastiche,
hai la mia parola. Il fatto è un altro, non voglio essere
visto né voglio che
tu parli di me.
Sembrò
credermi, tranquillizzarsi.
-Posso farti una
domanda? – chiese con gli occhi lucidi.
Annuii.
-Prometti di
rispondere?
Annuii
nuovamente.
-Se sono
così fantastiche, perché vuoi così
tanto starne alla
larga?
Non sapevo bene
cosa dirle, né potevo spiegarle come mi
sentissi. La questione era complicata persino per me.
-Non si tratta
tanto di loro. Il posto.. boh, mi sta stretto.
Capisci?
-Ma non gli
mancherai? – domandò innocentemente.
Sospirai.
-Si abitueranno.
Mi
guardò triste ed annuì, affermando che avrebbe
modificato
la storia, escludendomi. La ripresi in collo e mi diressi al cancello.
Spencer
non era di vedetta, forse si era preso una pausa. Meglio per me. La
adagiai a
terra. Zoe si resse sulla gamba sana, aggrappandosi alla lamiera delle
mura.
Bussai forte al cancello. Questione di un minuto e qualcuno sarebbe
accorso ad
aprire. Dovevo svignarmela in fretta.
-Addio,
scimmietta.
Ma ella mi
afferrò un braccio, costringendomi a guardarla.
Piangeva in silenzio e il mento le tremava.
-Ti prego, non
andartene. – pregò.
Udii alcuni
passi, qualcuno era vicino.
-Non posso, mi
dispiace.
Cercai di
tirare, ma ella si aggrappò con entrambi le mani.
Rischiavo di farla cadere.
-Tutti, tutti mi
abbandonano.
-Loro non lo
faranno, fidati.
Le lacrime
scivolarono fino a schiantarsi sull’asfalto
ardente, pronte ad evaporare e non lasciare traccia alcuna.
-Lo fanno tutti,
sempre.
Il cancello
vibrò, stava per aprirsi. Potevo ancora farcela,
potevo riuscirci.
-Lasciami
andare. – insistetti brusco.
Ma lei si
aggrappò con più forza.
-Allora portami
con te. – latrò – Fammi essere la tua
scimmietta.
Clank.
E il cancello si
aprì.
Angolo autrice
'Sera a tutti! Miracolo, vero?
Ebbene sì, ho aggiornato prestissimo.
* si inchina al suono degli applausi *
A parte gli scherzi, spero vivamente che la storia vi piaccia e che vi
incuriosisca. Come dicevo nel primo capitolo, questa sarà
una storia affatto romantica, ma incentrata sulla crescita emotiva di
Daryl e sul futuro rapporto che si creerà con questa bambina
abbastanza problematica. Ovviamente i dettagli li vedrete nel corso
della trama, per il momento spero di aver stuzzicato la vostra
curiosità. Prometto che a breve aggiornerò anche
l'altra ff, 'Una nuova vita'. Già ringrazio
SaraLincoln, Dixon23 e Matildeb, per l'appoggio e i positivi commenti
lasciati, gentilissimi *^* Comunque, mando un bacio a tutti. Ci
sentiamo nelle recensioni, non siate timidi :3
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