L’IRA
DIVINA
GLI ANGELI CHE
COMBATTONO I DEMONI
UN UNICO SOLDATO
RICHIAMATO DALLA MORTE PER COMBATTERE UNA GUERRA SENZA PRECEDENTI
Aprì
gli occhi alla luce del
sole: rimase abbagliato quasi subito, allora si fece ombra con la mano.
Il
vento gli scompigliò i capelli, tirò i suoi
vestiti, lo rinvigorì leggermente.
Avevano assegnatogli un bersaglio: colui a cui dava la caccia era un
boss
malavitoso russo. Secondo la sua fonte – una che non
sbagliava mai, in nessun
caso -, il crimine di cui si era macchiato era uno dei peggiori:
traffico,
vendita e scambio di esseri umani. Represse una smorfia di disgusto ed
osservò
il luogo nel quale si trovava; la Francia, d’inverno, era
davvero incantevole,
specialmente la capitale di Parigi. Questo, almeno, avrebbe pensato se
non
fosse stato in missione. Aggrottò le sopracciglia; il Sonno
che seguiva il Lancio
lo aveva un po’
stordito, ma non era nulla che gli avrebbe impedito di eliminare il
nemico.
Con
un grugnito, si tirò su a
sedere.
La
neve copriva l’intero
paesaggio, rallegrandolo almeno un po’. Si
stropicciò gli occhi e, nel
frattempo, qualcosa si mosse, alla sua destra; scattò subito
in piedi, la
pistola snudata, pronto ad uccidere chiunque lo avesse scoperto.
Tuttavia, il
suo allarme fu inutile, una volta che si fu reso conto di chi stesse
guardando:
era una bellissima ragazza di ventitré anni. Aveva lunghi
capelli biondi
ondulati, sopracciglia sottili e ben curate, ed occhi, come sapeva,
nonostante
fossero chiusi, di un blu profondo. Egli stesso li paragonava al
più bello
degli oceani. Indossava una divisa militare bianca –
giubbotto antiproiettile,
giacca da incursione, pantaloni dello stesso materiale e stivali di
cuoio nero
-, mentre, alla cintura, portava appeso un binocolo potenziato.
Si
mosse, gemendo. Pochi istanti
dopo, le sue palpebre si sollevarono. Lo vide, subito dopo aver
sbadigliato con
forza. « Siamo arrivati…? »
mugugnò, condensa che già si formava dalla sua
bocca. Il suo viso, che ricordava quello di una bambina, era
dolcissimo, ma non
bisognava farsi ingannare dall’apparenza: se la si provocava,
o la si trovava
di pessimo umore, poteva far rimpiangere a un veterano di guerra il
giorno in
cui era nato.
Lui,
però, non l’ascoltava. Le
aveva volto le spalle ed ora stava esaminando l’ora che stava
allungandosi. «
Dormito bene? » gracchiò in risposta; la
soldatessa annuì, poi si alzò in piedi
e lo raggiunse. « Siamo arrivati? »
ripeté. Il suo compagno rispose di sì.
« Il
bersaglio dovrebbe passare per la strada a cinquecento metri dalla
nostra
posizione… in quella direzione… » -
puntò il dito verso sud-est, dove poteva
essere vista la famosa Tour Eiffél - «
…si sposterà su una Cadillac, modello
“CTS-V
SEDAN”, nera, targata “K825MH” numero
settantotto, da una delle strade a est
del monumento »; colei che lo accompagnava
agguantò il proprio binocolo,
sondando poi tutte le possibili vie dalle quali l’uomo che
stavano cercando
sarebbe dovuto o potuto arrivare con occhio esperto. « Se il
vento è
favorevole, potresti sfruttare la stabilità del fucile per
piazzare un colpo in
mezzo alla torre, oltrepassarla ed abbattere il bersaglio »
propose, sbirciando
attraverso le inferriate della Eiffèl. Si trovavano
sull’attico di un edificio
alto venti piani. « Vero » ammise lui, «
ma su al Santuario
dicono che ci
sarà una
tormenta, tra circa un quarto d’ora: il vento
soffierà a cinquanta chilometri
orari da est e la visuale sarà molto ridotta. »
Ella sibilò
un’imprecazione, non appena notò che il
soldato aveva ragione. Dunque chiese: « chi è lo
sfortunato? »
« Aalin Smirnov »
lo presentò l’altro. « Trentaquattro
anni, corporatura media, nato a San Pietroburgo e – udite,
udite – laureato
alla New York University in Legge »; il suo tono si
aggravò. « E’ l’attuale
boss di un gruppo mafioso russo. La sua fedina penale è
totalmente pulita, ma i
suoi crimini vanno dal rapimento, all’omicidio di primo
grado, al traffico di
umani, attività alla quale si è dedicato
ultimamente. »
« Un trafficante di schiavi?
» lo interruppe. « Sai
quanti ce ne sono, sulla Terra? Perché dobbiamo tirar
giù proprio questo? »; «
è riservato » rispose lui, acido.
Passarono dieci minuti e la tormenta
prevista arrivò in
tutta la sua furia. Entrambi i soldati indossarono i passamontagna
– lei con
qualche difficoltà, a causa dei capelli -, per poi tornare a
sorvegliare le
strade. Lui si inginocchiò, incominciando a recitare una
preghiera al Padre
Eterno, in modo da mandare un messaggio al Santuario:
mio Signore, siamo giunti a destinazione
ed attendiamo il bersaglio della tua ira. Il tempo stimato di arrivo
è di tre
minuti e quarantasette secondi. Richiediamo sgancio
d’equipaggiamento primario W.I.N.G.
[ Warfare,
Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear ] alle
coordinate del Lancio numero
“zero-nove-otto-uno” delle nove-zero-due di
stamattina. Il codice di rilascio è
“HALORING”.
Si
rialzò in piedi. Scrollò le
mani e le spalle, già infreddolite. Non stava ancora
accadendo nulla, dopo la
sua richiesta alla base. La sua compagna non mostrava segni di soffrire
il
freddo: continuava a squadrare il punto d’arrivo attraverso
le lenti del binocolo,
imperturbabile. Certe volte si chiedeva sul serio se quella donna non
fosse
fatta di pietra, nonostante quell’aspetto fragile tipico di
una giovane. Lui,
al contrario, non sopportava temperature così rigide; quello
che sapeva fare
meglio era uccidere da distanze inimmaginabili. Mentre
l’altra aveva una vista
talmente acuta che, un giorno, riuscì a dirgli: « hai esattamente due milioni e settecento peli della
barba che sono
cresciuti di un micrometro di troppo. Ti consiglio di raderti con
più cura! »
Forse
era per queste loro abilità
fuori dal comune, che erano stati scelti per prender parte al Progetto.
Sospirò
e si coprì il volto con una mano, per schermarla dalla neve.
Il
secondo dopo, qualcosa prese a
materializzarsi dinanzi a loro: come se venisse disegnata da un pittore
fuori
dal mondo con una matita dalla mina d’oro, una cassa per
armamenti apparve ai
loro piedi. Era lunga più di un metro e larga almeno
quaranta centimetri. In
altezza vantava altri venti centimetri. Sul fronte, portava uno strano
lucchetto, con un minuscolo ago nel foro dove sarebbe dovuta essere
inserita la
chiave, anch’esso con una forma bizzarra: era ovoidale ed
aveva le dimensioni
di un polpastrello. Il materiale del contenitore era oro, ma placche di
carbonio erano state montate in diversi punti come il coperchio e le
maniglie,
al fine di alleggerirne la già considerevole mole. Il
soldato sogghignò: era
arrivato. Si avvicinò all’equipaggiamento; si
calò su un ginocchio,
concentrando l’attenzione sul lucchetto. Infilò
l’indice nel foro e si inflisse
una microscopica ferita, dunque lasciò cadere tre gocce di
sangue sul metallo,
per poi ritrarsi e attendere. Proprio davanti ai suoi occhi, il
prezioso che
teneva chiuso il contenitore, si sciolse in una pozza di materiale
fuso, che
subito prese a colare sul cemento del tetto.
Una
volta che agire fu sicuro, si
avvicinò nuovamente ed afferrò saldamente il
coperchio; in un deciso strattone,
spalancò. Sorrise: poggiato su un cuscino rosso imbottito,
vi era un DAN .338
ad azione bolt; un fucile di precisione così, a quanto ne
sapeva, era assegnato
esclusivamente ai tiratori scelti
di
alcuni eserciti e agli agenti di polizia. Sulla Terra, però.
Sul Santuario la
situazione era ben diversa: lui era il
tiratore più abile, tra tutti i soldati presenti
lì, di conseguenza aveva
bisogno di un’arma degna di questa fama. Il calcio era
composito e presentava
un grip di stabilizzazione verticale; il corpo era sottile ma robusto,
dove vi
era anche una lunga maniglietta contrassegnante il sistema di eiezione
del
bossolo; la parte inferiore della canna era dentellata ed alleggerita,
in modo
da limitarne l’inerzia e il rinculo; la parte superiore,
invece, era molto
sottile, con un dispersore piatto sulla punta. Il caricatore
trasportava
esattamente otto colpi “LAPUA” .338. Il mirino,
infine, aveva un semplice zoom
da otto livelli, su sua rigorosa richiesta. La colorazione
dell’intera arma era
bianca, in corrispondenza del corpo e del calcio, poi, avvicinandosi
via via
alla canna, sfumava in un bel rosso sangue. Annuì,
soddisfatto: gli piaceva
molto. Guardando da più vicino, si notava incisa la parola
“Goldfeather”,
sulla canna.
«
Quella che vedi è la fase uno del
fucile che hai richiesto »
squillò la sua radio, « è
il
“Goldfeather”…
uno-punto-zero…? »
Il
tiratore rise di gusto. « Ti
ringrazio, Oracle!
E’ perfetto! » imbracciò
l’arma, controllandone subito le munizioni.
Tornò
serio di colpo. Strattonò
la testa, in modo da far scricchiolare il collo; dunque si mise in
ginocchio,
poggiò la canna del fucile al parapetto e si
preparò a far fuoco. Per un po’
regnò il silenzio, con i due soldati che si concentravano e
osservavano, studiavano,
pianificavano nelle loro menti. Passarono due minuti. Fece guizzare il
mirino
tra le strade, stranamente insicuro: aveva un brutto presentimento.
Nessuno si
mosse, salvo per tutte le persone che si ritrovavano indaffarate nelle
vie di
Parigi… finché: « contatto! »
Appena
sentì la compagna
strillare, migliorò la presa sul grilletto e lo
stabilizzatore. « A ore undici!
Stanno correndo! »; aggrottò le sopracciglia. Alle
coordinate indicategli,
individuò subito un’auto che corrispondeva
perfettamente alla descrizione:
andavano velocissimi, come se fossero in fuga da qualcuno.
Aguzzò la vista,
identificando due persone, conducente e bersaglio. Prese fiato un paio
di
volte, poi non respirò più; si
concentrò. Il vento lo preoccupava, mentre la
neve non migliorava di certo la visuale. A lui, però, non
importava. Non faceva
alcuna differenza. Qualcuno sarebbe morto, quel giorno, e sapeva
perfettamente
chi. Attese l’ordine della soldatessa. L’auto, ora,
li fronteggiava, e lui
perse la visuale col bersaglio, nascosto dal conducente.
Questo
lo fece arrabbiare non
poco. Scoccò un’occhiataccia alla ragazza,
digrignando i denti, dunque tornò a
guardare nel mirino.
«
Non puoi sparare. Non possiamo
permetterci altre vittime! » sibilò lei.
Ma
lui non l’ascoltava più: allineò
il bersaglio al punto ottimale, tirò la maniglietta del
fucile per espellere il
primo proiettile… e tirò il grilletto…
Giovani, un saluto a tutti dal vostro Silvio Shine
di fiducia!
Ebbene, ecco il capitolo 0 della mia nuova serie
originale, Sniper: Il
Tiratore dei Cieli!
Come avete visto, alcune parole sono evidenziate;
questo perché ho
voluto mettere in risalto alcuni termini dell’universo di
Sniper che sono
parecchio importanti a livello di trama. Vi assicuro che sono molto
emozionato
di iniziare una nuova serie di punto in bianco, senza ispirazioni prese
da
qualsiasi fonte oppure crossover confusionari!
Spero vi piaccia il contesto che ho desiderato
proporre: soldati
ultraterreni che combattono per riportare la pace, sia contro comuni
mortali
con in mano un potere incredibile, oppure creature divine o demoniache
che
minacciano la vita come è conosciuta.
Chi sono i soldati che hanno ricevuto
l’ordine di eliminare un boss
russo, colpevole di traffico di esseri umani? Qual è la loro
storia? Chi
saranno i prossimi bersagli? Cos’è il misterioso
Progetto sul quale rifletteva
il nostro protagonista?
La trama si farà ancor più
complessa, nel prossimo capitolo: “Bersaglio
abbattuto”!
Ricordate di recensire!
KEEP IT UP!
- Silvio Shine
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