Frammenti di una notte d'inverno
Titolo:
Frammenti di una notte d'inverno
Fandom:
Originale
Coppia:
Het
Rating:
Giallo
Set In Time:
oggi, 2016
Disclaimer:
finalmente la soddisfazione di poter dire che i personaggi sono MIEI!
Anche se nessuno mi sta pagando.
E poi ci fu quella volta in cui
lui si trovò a dormire nella loro casa senza di lei.
Era una brutta storia, in
verità.
Qualche giorno prima, un ex
fidanzato si era invitato a casa loro con una scusa banale, sapendo che lei,
quel pomeriggio sarebbe stata sola. Ora, lei tutto poteva immaginarsi ma non che
lui, ben nascosto sotto il giaccone, avesse un lungo coltello da macellaio. Ora,
lui tutto poteva immaginarsi ma non che lei, spinta da un possente istinto di
sopravvivenza, riuscisse in qualche modo a difendersi ed a limitare, quindi, la
gravità delle ferite. Ma tant'è. Lei era stata ricoverata in ospedale e lì
aspettava che il suo corpo guarisse e le permettesse di tornare alla loro vita
insieme.
Lui era in casa per la prima
volta da quando era avvenuto il fattaccio, dopo che la polizia aveva finalmente
chiuso il caso e decretato che il loro appartamento non era più una terribile e
sanguinolenta scena del crimine. Un sollievo, onestamente. Ma, nel frattempo,
lui era lì, a cercare di dare un senso alle cose di lei abbandonate negli
angoli.
Che, di solito, il suo
disordine lo faceva imbestialire, questo va detto, il suo dimenticare in giro
giacche appese alle sedie, ed i guanti spaiati, uno sul tavolo e
l'altro sulla credenza, e le sue scarpe con i tacchi abbandonate sul
tappeto, che lui ci si inciampava sempre. Sempre.
Ma quella sera guardò
le tracce di lei disseminate in casa con un groppo alla gola ed un sorriso triste ed
appannato.
Era
fugacemente entrato anche in
salotto. L'impresa di pulizie aveva fatto un lavoro molto più accurato di quello
che lei era mai riuscita a fare in tutti i loro anni insieme; stranamente,
la stanza gli era sembrata troppo fredda ed impersonale. E no, sul ricordo
del sangue che fino a poco prima aveva imbrattato il pavimento si era soffermato
solo qualche secondo... va bene, solo qualche minuto... uff, okay, quasi
un'ora.
Ma poi, finalmente, si era
convinto ad andare a letto e la camera era giusta, era lei sparsa qua e là ed
aveva, di nuovo, sentito familiarità ed appartenenza.
Si era infilato sotto le
coperte, sprofondando nell'abbraccio caldo del piumone che avevano scelto
insieme quando avevano deciso di andare a vivere sotto lo stesso tetto. Quando
ex con coltelli e pavimenti rosso sangue non erano nemmeno ipotesi immaginarie.
Avrebbe voluto dire qualcosa a mezza voce, bisbigliare qualcosa a lei, che non
era lì, ovvio, ma era certo che potesse sentirlo. Ma si era trattenuto, troppo
imbrigliato nel suo aspetto serio di uomo che non crede alla magia ed alle
sciocche romanticherie. Un aspetto di lui che lei prendeva in giro con tenerezza
e dolcezza. Sospirando, chiuse gli occhi e si mise su un fianco, la solita
posizione che assumeva per addormentarsi. Dopo qualche minuto si girò sulla
schiena e poi sull'altro fianco e di nuovo sulla schiena. Nulla, il sonno
tardava ad arrivare. E la cosa buffa era che non si sentiva nemmeno stanco. Il
problema - beh, problema - era lei. Lei ovunque. Dietro i suoi occhi chiusi,
nelle sue orecchie, sulle sue labbra, a profumare le lenzuola.
Si mise a sedere di scatto,
come un pupazzetto a molla, ed accese la luce della lampada. La stanza fu subito
rischiarata dal caldo bagliore, ma a lui sembrava di vedere troppe ombre, troppi
spazi neri e minacciosi. Le sue braccia si coprirono di pelle d'oca e si passò
le mani sulle maniche del pigiama per scaldarsi. Era nervoso, col cuore in gola.
E solo. Lei avrebbe probabilmente riso prima di tranquillizzarlo accarezzandogli
il lobo delle orecchie. Ma lei non c'era.
Si alzò, non riuscendo più a
stare fermo. Cominciò a marciare per tutto il perimetro della stanza, sentendo
le dita delle mani formicolare, elettriche. Muovendosi, afferrava oggetti,
liibri e vestiti e li riposizionava in un ordine - o meglio, disordine - nuovo.
Dopo qualche istante afferrò il cappotto che aveva messo anche quel giorno e
cominciò a rovistare nelle tasche. Era un'altra abitudine delle sue, una di
quelle che aveva per controllare l'ansia, una di quelle che lei conosceva bene e
che aveva imparato ad amare. Nella tasca interna non c'erano che un paio di
monetine. Poca cosa, quelle che gli davano di resto al bar e che lui detestava.
La tasca destra celava una carta di caramella mezza stropicciata. Erano le sue
preferite, quelle alla menta senza zucchero. Eh già, perché lui persino nei
gusti delle caramelle era banale e monotono e scontato. Caramelle alla menta. E
senza zucchero. Cosa che quando lei l'aveva scoperto aveva riso fino alle
lacrime, lei che adorava tutte le cose più strane ed imprevedibili, lei che, di
tanto in tanto, mangiava le patatine col gelato. E lì sì che ci sarebbe stato da
ridere, obiettivamente, ma lui la trovava adorabile.
Infilò la mano nella tasca
sinistra, pronto a trovare altre tracce della sua scontatezza, ma aggrottò la
fronte quando le sue dita sfiorarono un pezzo di carta ripiegata. Era un foglio
bianco, semplice, probabilmente strappato da un blocco. E non gli diceva
assolutamente nulla. Si sedette sul letto, curioso, e lo aprì. Lacrime improvvise
gli sfuocarono la scrittura che il suo cervello aveva riconosciuto
immediatamente: era quella di lei. Più tremolante del solito, un po' affrettata
e sbavata, ma la sua, con quel suo modo tipico di arrotondare le "g". Gli tornò
in mente quel pomeriggio appena passato: lei aveva insistito che lui andasse in
mensa a mangiare qualcosa e lui, più che altro per farla contenta, aveva
accettato. Aveva il portafoglio nei pantaloni, e quindi il cappotto era rimasto
nella camera con lei. Lei che gli aveva sorriso sorniona, salutandolo, lei che
aveva trovato un foglio di carta ed una penna, lei che aveva un piano da
attuare. Un piano per lui, evidentemente. Perché era lei quella forte, anche se
non ne avevano mai parlato per non schiacciare il suo ego.
Poche righe, ma le righe
giuste. Le sue righe.
"Ti vedo che non riesci a
dormire.
Ti vedo che controlli la stanza
e tutta la casa e non la senti tua, ma la senti estranea, lontana.
Magari stai pensando di uscire
ed andare a dormire in un hotel anonimo.
Non farlo, per piacere.
Questa è la nostra casa, il
nostro letto. Il nostro tutto. Devi restare per rivendicarla, per allontanare
per sempre la presenza malsana dell'altro, le sue luride mani, il terribile
coltello. Rivendica casa nostra anche per me. Solo tu puoi farlo e voglio che
sia tu a farlo. Pecrhé tu ci conosci e sai chi siamo e cosa abbiamo.
Ma soprattutto: chi, se non tu,
il mio adorabile orsacchiotto umano, può scaldare il letto in attesa del mio
ritorno?
A domani, amore
mio."
Passò le dita sulle parole di
lei, sul suo coraggio. Sul suo amore. Pensò che erano fortunati. Baciò il foglio
e le sussurrò "Ti amo", fregandose se era una sciocca romanticheria da
innamorati sdolcinati. Si rimise sotto le coperte, e - c'è bisogno di dirlo? -
si addormentò.
--
NdA: Lo so, la notte dovrei
dormire...
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