NB: non mi
pento di niente! XD
A NEW HOPE
“Tornerò
presto. Il mio soggiorno su Coruscant ha i giorni
contati.”- l’ologramma
sfarfallò per alcuni secondi, distorcendo
l’immagine della donna che parlava “Credo
d’aver trovato una cura, Anna, richiederà grandi
sacrifici, ma sarai salva.
Potrai lasciare Tatooine ed esplorare la galassia come hai sempre
desiderato.
Spero solo che funzioni.” l’immagine rimase statica
per il tempo di un respiro,
l’unica cosa in moto erano i granelli di polvere che
danzavano nell’aria
fendendo la figura impalpabile. La donna strinse i pugni: “Te
lo prometto, farò
di tutto purché funzioni.”
L’ologramma
vibrò nell’aria ancora per poco e poi scomparve,
spegnendosi con la luce del piccolo droide che proiettava il messaggio.
“Di
nuovo, Olaf. Voglio guardarlo ancora una volta.”
“Tornerò
presto. Il mio soggiorno su…” Era la trentesima
volta quel giorno che guardava quel messaggio. Da quando era arrivato
quasi un
anno prima, non riusciva a smettere: era l’ultimo contatto
che aveva avuto con
sua sorella, prima che la loro corrispondenza cessasse senza motivo
apparente.
Lì su Tatooine non aveva niente che gliela ricordasse, solo
quell’ologramma
instabile che le rammentava come fosse fatta. A volte aveva paura di
dimenticare che aspetto e che voce avesse, allora chiamava Olaf e gli
faceva
riprodurre quel messaggio decine di volte, analizzando le espressioni
del viso
di Elsa, il movimento delle mani, il tono della voce che si spezzava
sulle
parole grandi sacrifici (chissà
poi a
cosa si riferiva), lo sguardo
freddo
rivolto chissà a chi o a cosa, prima che la comunicazione si
interrompesse.
Aveva
cercato innumerevoli volte di mettersi in contatto con
lei, ma i suoi messaggi non avevano mai ricevuto risposta. Ma,
nonostante la
situazione sembrasse senza via d’uscita, non si era data
ancora per vinta:
continuava ad inoltrare messaggi su messaggi verso il droide che
accompagnava
sempre Elsa, allargando lo spettro di emissione di Olaf così
che anche se la
sorella non fosse stata più su Coruscant, il suo messaggio
l’avrebbe comunque
raggiunta dovunque nella galassia.
L’ologramma
di Elsa si spense per l’ultima volta quel
giorno, lasciandola nel silenzio più assoluto. La sensazione
di solitudine che
le premeva sul petto, forte come non mai. E anche l’ultimo
raggio di luce del
secondo sole di Tatooine abbandonò la sua piccola abitazione.
Beep.
Beep.
“Si
, Olaf. So che odi il buio, siamo in due.” Rispose
all’affermazione del droide premendo il tasto del sistema di
illuminazione, che
si attivò con un ronzio insistente. Quella catapecchia che
aveva imparato a
chiamare casa cadeva a pezzi, ed era sicura che un giorno o
l’altro le
insistenti tempeste di sabbia che spazzavano la regione,
l’avrebbero portata
via.
Beep.
Bip. Beep.
“Già,
hai ragione: l’onda d’oro sta arrivando. Meglio
sbrigarsi, altrimenti soffocheremo nella sabbia.” Si
affrettò a chiudere le
imposte delle finestrelle rotonde. Fuori il vento stava imperversando,
alzando
grossi vortici di sabbia mista a pietrisco: quella notte non avrebbe di
certo
chiuso occhio con la grande tempesta che si stava approntando.
Odiava
quel pianeta disperso nelle più remote propaggini
della Repubblica, dove l’unica compagnia erano grossi ratti
marroni bruciati
dal sistema di stelle binarie che brillava nel cielo terso e i bantha,
enormi
caproni pelosi e maleodoranti.
Se
non fosse stata costretta a rimanerci per motivi più
grandi di lei, l’avrebbe lasciato con il primo mercantile
disponibile. Forse
l’avrebbe fatto un giorno o l’altro, sarebbe
tornata a casa a rischio di
lasciarci la pelle, oppure avrebbe cercato di raggiungere
Elsa…ovunque si
trovasse.
Beep. Beep.
Beeep.
“Che
domande! Facciamo quello che facciamo tutte le sere:
cerchiamo di contattare
la tua costruttrice. Cos’altro c’è da
fare qui, mmh?” si legò meglio i capelli,
stringendoli in due trecce intricate “Sei pronto a
registrare?” Beep. “Bene, si
va in scena.”
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Di
solito era il caldo opprimente a svegliarla, il muggito
insistente dei bantha o il rombo di qualche navetta in atterraggio al
non
lontano porto interspaziale di Mos Eisley. Quella mattina invece, fu la
voce del suo compagno di sventura.
L’agitato beep proveniente dal piccolo droide le
scrollò di dosso quell’ultimo
velo di ottenebramento che la notte e l’afa portavano con
sé, facendola tornare
bruscamente al presente, strappandola al mondo dei suoi sogni, popolato
di
fresche brezze e giornate in compagnia.
“Sono
sveglia, sono sveglia!” si lamentò, strofinandosi
gli
occhi “Cosa c’è ti tanto
urgente?”
Beep. Bop.
Bop. Beep. Bop. Biiiip.
“Un
messaggio in arrivo? Da chi?” ora il droide aveva la sua
totale attenzione. Biiiip. “Elsa? Perché non
l’hai detto prima?!” urlò fuori di
sé, scendendo di corsa dal suo giaciglio, evitando per un
soffio di cadere su
Olaf, che continuava a muoversi a destra e a sinistra
“Riproduci, svelto!”
La
piccola unità si fermò di colpo. La luce
dell’ologramma
si attivò e entro un secondo apparve un’immagine:
non sembrava Elsa, ma sarebbe
stato difficile dire di chi si trattasse dato il cappuccio del mantello
calato
fin sugli occhi.
“Elsa?”
“Ciao,
Anna.”
“Elsa!
Sei sparita per più di un anno ed è
così che mi
saluti?” Anna scattò verso il droide, facendolo
indietreggiare, impaurito dalla
sua reazione.
“Mi
dispiace essere scomparsa per così tanto tempo. Forze in
gioco più grandi di me mi hanno trattenuta e contattarti
avrebbe significato
metterti in pericolo.”
“In
pericolo? Ma di cosa stai parlando?”
“Ho
abbandonato il tempio, non sono più su Coruscant.”
“Cosa?
Perché?”
“I
jedi non hanno voluto aiutarmi, Anna. Ti hanno condannata
a morte, senza nemmeno provare a salvarti.”
Il tono di voce della sorella era duro e tagliente; se non
l’avesse
conosciuta bene avrebbe detto che fosse preda della rabbia.
Il
respiro le si bloccò in gola: tutto quel tempo passato su
Tatooine non era servito a niente, sarebbe comunque morta alla fine.
Abbassò lo
sguardo, incapace di reggere quella notizia. “Quindi…è
finita.”
“No,
Anna!” il cappuccio le scivolò giù
dalla testa, scoprendo
il suo viso, contratto in una smorfia indecifrabile “Io non
posso tornare su
Tatooine ma ho trovato comunque un modo per guarirti.”
Anna
rimase in silenzio, con il cuore pronto ad aggrapparsi
a qualsiasi speranza “Come?”
“Ho
intrapreso vie della Forza a cui nessun jedi si è mai
avvicinato, sono più forte di quanto sarei mai potuta
diventare se fossi
rimasta al tempio su Coruscant. Il mio nuovo maestro tiene alla tua
sorte e mi
ha promesso che insieme riusciremo a salvarti.” Non riusciva
a credere a quelle
parole, pronunciate da una voce che non era certo quella della sorella.
“Purtroppo queste mie nuove abilità hanno
richiesto la mia totale devozione al
mio maestro, Lord Sinéad, e non posso allontanarmi, ma tu
puoi raggiungermi. So
che è chiederti molto ma almeno saremo di nuovo insieme. Ho
inoltrato le
coordinate di viaggio alla memoria di Olaf.” Una mappa
stellare apparve al
posto dell’ologramma della sorella: il luogo da raggiungere
era dall’altra
parte della galassia, nel sistema di Kongeriget.
“Elsa,
no! Non ti ho mai chiesto di voltare le spalle alla
luce per me.” Anna afferrò Olaf e lo scosse, come
se davanti avesse la sorella
e non il piccolo droide.
“Ho
dovuto. Come avrei potuto continuare a vivere sapendo di
non aver fatto il possibile per salvarti?”
Elsa
tacque per un istante e il suo sguardo sembrò cercare
nell’obiettivo del suo droide gli occhi di Anna
“Spero di rivederti presto.” E
la comunicazione si interruppe con quell’ultima frase,
lasciandola senza
parole.
Rimase
immobile, incapace di creare una frase di senso
compiuto: troppi pensieri le si agitavano in mente per dare voce ad uno
solo.
Lasciò andare Olaf e si coprì gli occhi. Non
avrebbe pianto, ormai ne era quasi
incapace, ma le sarebbe servito dare sfogo a quello che le si agitava
dentro.
Cosa
era diventata Elsa per colpa sua?
Bip. Bip.
Bep.
“N-no. Come
posso star bene?” Si passò una mano tra i capelli
e fece alcuni passi verso
l’uscita della sua piccola dimora “Devo prendere un
po’ d’aria.” Raccolse la
sua palandrana e uscì nella luce accecante dei due soli.
Di
certo l’aria afosa e terrosa del deserto di Tatooine non
era quello di cui aveva bisogno in quel momento, ma aveva bisogno di un
luogo
aperto per schiarirsi le
idee. Le parole
di Elsa le avevano instillato un senso di oppressione crescente che
sembrava
non volerla abbandonare: non solo la sorella non l’avrebbe
mai raggiunta su
quel pianeta come le aveva promesso, ma era anche diventata allieva di
chissà
chi per salvarla, sottomettendosi al lato oscuro. Di
quest’ultima cosa non era totalmente
certa, ma le parole di Elsa lasciavano ben poco spazio a dubbi.
Doveva
andarsene da lì. Doveva trovarla e riportarla sulla
retta via. Era arrivato finalmente il momento di abbandonare quel
pianeta,
lasciarsi dietro tutta quella sabbia e quel caldo insopportabile. E se
mettersi
in viaggio per raggiungerla significava morire, allora sarebbe morta
provandoci.
Anche
se fosse rimasta, quale futuro avrebbe avuto lì su
Tatooine dopotutto? Meglio finire i suoi giorni
nell’infinità dello spazio siderale
che morire per quel calore che il
suo corpo anelava ma che non riusciva a sopportare.
Rientrò
svelta in casa e cominciò a racimolare le poche cose
che poteva portare con sé.
Bop.
Bip.
“Si
Olaf, ce ne andiamo. Controlla che l’airspeeder sia
pronto e con il pieno: non vorremo di certo rimanere di nuovo a secco
nella
desolazione dello Jundland.” Il droide emise un breve fischio
e sparì fuori,
mentre Anna armeggiava ancora con la sua sacca cercando di farci
entrare quanta
più roba possibile. Prima di uscire prese un ultimo oggetto
e lo ficcò sul
fondo della borsa, sperando di non doverlo usare, poi raggiunse Olaf
fuori.
Caricò con non poca fatica il droide a bordo e
partì alla volta di Mos Eisley.
Era
molto che non metteva piede in quella città: di solito
preferiva Mos Espa o Mos Gamos per i suoi rifornimenti di viveri, ma in
quell’occasione non c’era altro posto dove andare.
Temeva
quel posto frequentato solo da banditi, mercanti e
furfanti, ma arrivare ad Anchorhead, la capitale del pianeta, avrebbe
richiesto
più tempo e lì non era certa di poter trovare una
nave disposta a prenderla a
bordo. Al porto spaziale di Mos Eisley invece avrebbe di certo trovato
un
passaggio su una nave cargo e ad un prezzo più che
ragionevole. A meno che
qualcuno non avesse tentato di truffarla, in quel caso forse
l’oggetto nascosto
sul fondo della sacca le sarebbe tornato utile.
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La
cantina di Mos Eisley era proprio come se la ricordava:
una bettola puzzolente pullulante di razze provenienti da ogni sistema
conosciuto. Una sera del suo primo anno sul pianeta, la solitudine si
era fatta
sentire più forte delle altre volte e lasciando indietro
Olaf aveva osato
avventurarsi nella città più vicina. Era entrata
nella cantina con le ultime
luci prima della sera e ne era uscita la mattina successiva senza un
soldo e
ubriaca. Fortuna che non aveva fatto gola a nessuno degli avventori del
malfamato locale. Dopo quella volta si era ripromessa di non tornarci
mai più.
Eppure
eccola lì sulla soglia di quel posto.
Quando
entrò la cacofonia di un centinaio di idiomi alieni
le ferì le orecchie, così abituate al silenzio
del deserto. Se doveva cercare
un passaggio quello era il luogo adatto per trovarlo. Non solo gli
avventori
avrebbero trasportato di tutto in cambio di una bella somma di denaro,
ma
l’alcool inibiva i loro sensi facendoli diventare meno
inclini ad un rifiuto.
Si
avvicinò al bancone e chiese un boccale di Ardis,
l’unica
cosa che riuscisse a reggere senza che le gambe le diventassero di
gomma.
Scrutò il locale alla ricerca di un volto quantomeno
rassicurante a cui
chiedere. Diversi clienti attirarono la sua attenzione, ma non era
sicura che
l’avrebbero compresa. In quel momento rimpianse il droide
protocollare che suo
padre si portava sempre dietro: se fosse uscita viva da quella storia
ne
avrebbe di sicuro acquistato uno.
In
un angolo del locale c’era un gruppo di Advoze che
chiacchierava animatamente e sembrava parlare il galattico.
Dall’altro lato un
bothan e un weequay erano intenti a giocare a dadi e la partita non
sembrava
volgere a favore del primo, che sembrava alterarsi ad ogni secondo che
passava.
Meglio scegliere qualcosa di più tranquillo come il roonan
solitario che
sorseggiava la sua bevanda al bancone o il wookiee e l’umano
seduti proprio di fronte
a lei.
Si,
avrebbe cominciato con qualcosa di facile. Prese un
sorso dal suo bicchiere e si avvicinò al tavolo dei due.
“Salve,
io…”
“No
grazie, non siamo interessati.” Rispose l’umano
senza
nemmeno degnarla di uno sguardo, tenendo gli occhi puntati
sull’ingresso della
cantina.
“Ma
io volevo solo…”
“Ho
detto no, grazie.”
L’uomo aveva le mani strette sul tavolo e la fronte
aggrottata: era in attesa
di qualcosa, poteva decifrarlo dalla posizione tesa con cui sedeva e
dalla
gamba destra che tamburellava in terra, pronto a scattare in piedi.
“Non
sai nemmeno quello che voglio chiederti.”
“Non
mi interessa.” La liquidò con un gesto della mano.
“Potresti
cortesemente degnarmi della tua attenzione?” forse
aveva valutato male le sue possibili scelte: non aveva cominciato
proprio con
quella più semplice. Comunque non avrebbe ceduto
così facilemente.
“Senti,
qualsiasi cosa tu voglia io non posso dartela.”
Finalmente l’uomo la guardò e la
osservò da capo a piedi “O forse si.”
Sorrise
sornione, rilassandosi. Il wookiee al suo fianco emise un verso
scocciato e
colpì l’uomo in testa. “Sentiamo, in
cosa posso esserti utile.”
“Io
e il mio droide necessitiamo di un passaggio per andare
via da questo posto. Ho sentito dire che la tua nave è la
più veloce del
sistema.” Disse Anna, tormentandosi il labbro inferiore,
sperando che le
lusinghe potessero portarla da qualche parte.
L’uomo
la guardò di sottecchi “E chi ti ha parlato della
mia
nave?”
“Beh…io,
veramente…al bancone ho origliato la conversazione
tra…”
“Tu
non hai mai sentito parlare della mia nave.”sbuffò
l’uomo.
“Si,
hai ragione! Ho tirato ad indovinare.” Le sue doti
persuasive avevano sempre fatto cilecca e non era mai stata brava a
raccontare
bugie, quindi non si meravigliò che l’uomo
l’avesse scoperta subito “È solo che
i miei dialetti sono un po’ arrugginiti e ho chiesto a te
perché sai…tra
umani.” Cercò di spiegare.
Il
wookiee latrò qualcosa scuotendo il capo peloso.
“Già.”
Gli rispose l’uomo “Suona molto razzista.”
“Oh,
no.” Ribatté subito Anna “Io sono per la
parità tra le
razze. Quando abitavo su Coruscant avevo amici provenienti dai
più disparati
sistemi stellari!”
“Non se ne
parla.”
Tornò teso. “Vedi quel nautolano
laggiù? Chiedi a lui se ha un posto per te
sulla sua nave.” Le indicò un alieno dalla pelle
verdognola dall’altro lato
della cantina.
“E
se parlassimo di un prezzo? Mi sembri uno che bada al
soldo.” Lo stuzzicò Anna, sedendosi di fronte a
lui, tormentandosi le mani.
Il
wookiee emise un lungo verso e annuì vigorosamente.
“Non
mi sembra il caso di parlarne qui, Sven. Però
ripensandoci.” Poi si rivolse
alla ragazza “Dove devi arrivare?”
“Sistema
di Kongeriget.”
“Dovremo
allungare di un bel po’ la nostra rotta e rimandare
il nostro viaggetto su Nogard.” Valutò
l’uomo, rivolgendosi al compagno peloso,
che emise un verso gutturale. Anna si domandò come facesse a
capirlo, mentre i
due continuavano la loro conversazione, incuranti della sua presenza.
“Già,
ci farebbero comodo… d’accordo, 15.000
sull’unghia.”
“15.000?!
Non ti sembra un po’ troppo?”
“Il
sistema di cui parli si trova dall’altra parte della
galassia, per non parlare del tempo che impiegheremo a raggiungerlo.
Prendere o
lasciare.”
Anna
ci pensò su: quanto tempo le restava?
“Va bene. Ma ti pagherò solo la
metà per ora,
al nostro arrivo avrai il resto. Prendere o lasciare.” Lo
rimbeccò.
L’uomo
fece una smorfia scocciata “D’accordo.”
“Quanto
ci vorrà per arrivare a destinazione?”
“Non
saprei. Nonostante la mia sia davvero
la nave più veloce del sistema, dovremo anche fermarci su
alcuni altri pianeti per alcuni affari e…”
“La
tua nave ha un sistema di riscaldamento?” lo interruppe
Anna, sull’orlo di una crisi di nervi: la
possibilità di non rivedere Elsa era
molto più reale di quanto non pensasse.
Il
wookiee annuì e l’uomo scoppiò a ridere
“Certo che sì!
Cos’è, credi ti mancherà
l’aria irrespirabile di Tatooine?”
“Già.”
Soffiò fuori con una risatina nervosa: se l’uomo
avesse scoperto la sua reale situazione, di certo non avrebbe
acconsentito a
portarla con sé. Doveva tenerla segreta per il maggior tempo
possibile.
L’uomo
osservò la sua reazione e scambiò uno sguardo
d’intesa con il suo compagno. Il wookiee le tese la mano e
lei la strinse senza
pensarci due volte, sorridendogli affabile.
“Benvenuta
a bordo, io sono Kristoff Bjorgman, comandante
della Starsleigh, e lui è Sven, il mio copilota. Partiamo
tra due ore, molo 9,
non tardare.”
“Due
ore, molo 9.” Ripeté sotto voce Anna
“Non mancherò.”
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
Un’ora
e mezza più tardi, dopo aver venduto il suo mezzo di
trasporto, era al posto dell’appuntamento, con Olaf al
seguito.
“Mi
sembra molto difficile credere che questa sia la nave
più veloce del sistema.” Osservò,
guardando il vecchio mercantile davanti a
loro.
Bip.
Bop. Bop.
“Già,
ferraglia.” Concordò con il droide.
“Come
sarebbe a dire? Questa nave ha fatto la rotta del Nord
in meno di dodici parsec!” dichiarò una voce
offesa alle loro spalle.
“Capitano,
nessuna offesa, ma il mio airspeeder sembra molto
più veloce.” Argomentò Anna, voltandosi
a fronteggiare l’uomo.
“Beh,
questo pezzo di ferraglia ti stupirà.”
Affermò,
sorpassandola e dirigendosi verso l’entrata della nave
“Sven vedi che tutto sia
a posto per la partenza.”
Anna
lo seguì a bordo.
“Puoi
mettere la tua roba lì.” Kristoff le
indicò uno dei
pochi angoli liberi dello spazio interno della nave “Puoi
sederti dove ti pare,
ma durante i salti nell’iperspazio dovrai stare nella cabina
di pilotaggio.”
“Afferrato.”
Beeeeep.
Urlò Olaf, andando a sbattere contro le gambe
pelose di Sven. Il wookiee ringhiò qualcosa prendendo il
droide e spostandolo
di peso, con non molta grazia.
“Ehi!
Sta attento!” Anna si avvicinò al piccolo robot.
“E
un’altra cosa: tieni a bada il tuo droide!”
Kristoff le
puntò un dito contro.
“Si
chiama O-1216 ed è un droide da compagnia.”
Brontolò la
ragazza controllando Olaf “Tutto bene, piccoletto?”
Bip.
Bip.
“Cosa
ti aspettavi da due così? Li ho trovati nella cantina
di Mos Eisley non ad una riunione del senato.”
“Quando
voi due avete finito là dietro, noi saremmo pronti
per partire. Lega la tua unità con quelle cinghie altrimenti
ci capiterà tra i
piedi durante il volo.”
“Mi
dispiace Olaf, hai sentito il capitano.” Si scusò
mentre
lo agganciava alla parete di metallo “Puoi anche andare in
modalità risparmio
energetico per il momento.”
Con
un ultimo beep il droide si spense.
Anna
raggiunse i due piloti e prese posto nel sedile dietro
Sven, allacciandosi la cintura. “Angola i deflettori e
abbassa gli scudi,
mentre io calcolo le coordinate per il salto a velocità
luce.”
La
nave prese vita, sollevandosi velocemente da terra: più
saliva verso la stratosfera, più l’orizzonte si
allargava e il panorama
cambiava. L’oro accecante della sabbia del pianeta
lasciò posto al buio delle
immensità spaziali.
Poco
prima di saltare nell’iperspazio diede un’ultima
occhiata a Tatooine: sapeva in cuor suo che sarebbe stata
l’ultima volta che
avrebbe posato lo sguardo sulle sue dune sinuose e i suoi sconfinati
deserti.
Ma francamente sapeva anche che non le sarebbe mancato.
Casa
non era su quel pianeta arido ai confini della
repubblica, ma in un sistema stellare dall’altra parte della
galassia.
Nda: nuova fissa, nuova AU, non
ho da aggiungere nulla. Se
avete domande, dubbi, incertezze o volete semplicemente ammazzarmi per
la
blasfemia che ho scritto, lasciatemi un messaggio in questo spazio
bianco qua
sotto e premete invio. Sarò lieta di rispondere alle vostre
minacce di morte
mentre sorseggio il mio quindicesimo caffè giornaliero.
Che la forza sia con voi!
:)
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