La fame di Camilla.

di IpswichMyrtle
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I
 


 

Le strade deserte, illuminate solo da pochi lampioni
e di macchine ce n'erano altrettanto poche, 

proprio come piaceva a lei.

Finestrini abbassati e la musica soffusa.

Canticchiava, Camilla, con la gamba sinistra in allerta
e la destra piegata, ché la quarta mica le bastava e di marce poteva sceglierne altre due.

Guidava quella notte, da sola, come piaceva a lei, 
con mille sogni caldi sulla pelle
e negli occhi altrettante stelle.

La fame non la sentiva, s'era saziata di sorrisi e birra, 
ma l'emicrania le faceva pesare gli occhi
e a casa non ci voleva tornare.

Guidava, Camilla, e intanto cantava anche se nessuno la sentiva.

Cantava d'un amore bello,
 d'uno andato perso,

e di un terzo morto sul nascere.

Camilla cantava e le chiavi tintinnavano sul sedile del passeggero.

No, a casa non l'aspettava nessuno e non ci voleva tornare. 

Sarebbe andata a letto da sola, niente carezze, niente baci sulla fronte, niente buonanotte sussurrati.

A Camilla mancava l'amore.

Guidava ancora e alla fine tornò a casa.

L'Aulin non le era mai parso così buono e il cuscino mai così soffice.

Si perse Camilla,
tra un sogno e l'altro, 

perse la strada e non tornò finché il sole non le scaldò le gambe nude.

E pianse, 
l'amore che voleva di giorno non c'era.

Sorgeva il sole e lui se ne andava





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