Alfheim? No, Wonderland! di Miki89 (/viewuser.php?uid=37402)
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Alfheim? No, Wonderland
Avvertenze: probabilmente
solo i pochi che hanno letto - o almeno dato
una sbirciatina - al mio "Deus Ex Machina" riusciranno a capire
qualcosa di quanto segue. A tutti quelli che, pur non avendolo fatto,
volessero eventualmente continuare la lettura, rivolgo i miei
più
sentiti auguri di buona fortuna
Alfheim?
No,
Wonderland
!
Tutto cominciò in
un’assolata e bizzarra giornata
invernale. Dico bizzarra perché dopo tutta la neve che
inspiegabilmente aveva continuato a fioccare per giorni e giorni, il
sole appariva come un’entità quasi dimenticata e,
per l’appunto, bizzarra.
In ogni modo, in questa assolata e bizzarra giornata, Amber aveva
deciso di recarsi al parco approffittando del temporaneo tepore che
aveva avvolto la città raffreddata.
Era da parecchio che non camminava un po’ tra gli alberi del
parco, e quello le sembrava il momento adatto.
Probabilmente, se avesse continuato a nevicare, Amber non sarebbe
uscita di
casa né avrebbe pensato di andare al parco, e non le sarebbe
mai capitato tutto ciò che sto per narrarvi.
Ma tant’è che c’era il sole, lei era
uscita di casa e si era avviata verso il parco. Quindi il problema non
si pone e io posso andare avanti a raccontare.
Fu proprio mentre stava percorrendo uno dei tanti sentieri che
costeggiavano gli alberi, che Amber venne superata di corsa da una
persona alquanto familiare.
Di sicuro giacca e panciotto non collimavano con il cappotto e la
camicia nera che solitamente indossava, ma Amber lo avrebbe
riconosciuto anche ad occhi chiusi.
«Ed? Che ci fai qui?» domandò
quindi, stupita. «Conciato in questo modo, poi!»
Fermandosi di colpo, il giovane si voltò verso di lei, un
sopracciglio elegantemente inarcato.
«Prego? Sta dicendo a me, per caso?»
«Certo che sì.» rispose lei,
sorpresa da quello strano atteggiamento.
Come se Ed non l’avesse riconosciuta.
«Ebbene, non conosco nessun Ed, mi
spiace.» asserì l’altro con aria
virtuosa. «Io sono Edward Lionel Walker, Araldo della Regina
di Cuori, nonché custode di Wonderland; deve essersi
sbagliata.»
Amber corrugò la fronte.
Checché ne dicesse, quello era sicuramente Ed.
Probabilmente impazzito, ma pur sempre Ed.
Certo, l’ultima volta che l’aveva visto dalla
testa non gli spuntavano due candide orecchie da coniglio,
tuttavia…
Senza degnarla ulteriormente di uno sguardo, Edward tirò
fuori dal panciotto un orologio da tasca d’oro e gli diede
un'occhiata.
Con un sobbalzo lo rimise al suo posto, cominciando a
correre.
«Ehi!» Amber si affrettò a
seguirlo, sempre più disorientata.
«E’ tardi! È tardi!»
esclamava Edward continuando a correre. «Devo scappare!
Presto, presto!»
«Smettila di correre!»
protestò Amber, standogli dietro a fatica.
A quelle parole Edward si adirò.
«Non posso! È tardi! Devo scappare!
Impossibile! Non posso fermarmi!» continuava a gridare.
«Non mi seguire! Non è una buona idea. Torna
indietro!»
«E perché dovrei farlo?»
domandò la ragazza bellicosa.
«Perché non puoi venire!»
«E perché no?»
«Perché no! Presto, presto.»
Qualunque altra persona, di fronte ad un atteggiamento così
platealmente astioso avrebbe di certo alzato le spalle, borbottato
qualche imprecazione magari, e sarebbe poi tornato ai suoi affari.
Ma qui si sta parlando di Amber Laidlaw, signori, e la parola
“rinunciare”
non era presente nel suo vocabolario e
mai lo sarà. Inoltre era determinata a scoprire
perché mai Ed fosse stato colpito dalla sindrome del
Bianconiglio…
Mentre la parola "curiosità",
al contrario, era scritta a caratteri cubitali da tutte le parti,
sottolineata tre volte.
E così, corri e ri-corri, e i due erano finiti in una strada
secondaria, un vicolo sporco senza uscita che un normale cittadino
avrebbe evitato come e più della peste.
Con un ultimo «E’ tardi!», Edward
scomparve oltre uno spesso muro di mattoni.
Perché mai tutto questo mi suona
così familiare?!
Comunque, tornando ad Amber, la ragazza si era fermata in mezzo al
vicolo, cercando di riprendere fiato.
Quel dannato correva come una lepre!
O come un coniglio? Ah, ah, ah. Molto divertente.
Ora la giovane fanciulla si stava chiedendo se fosse il caso di seguire
o meno Edward oltre il muro che, tra l’altro, sembrava
pericolosamente solido e ben piazzato. Oltretutto il giovane le aveva
espressamente vietato di seguirlo…
«Ma quando mai io faccio quello che mi dice
Ed?» si chiese Amber ad alta voce.
Mai, per l’appunto. Ecco la risposta.
Attraversò il muro.
Tutto questo continua a sembrarmi dannatamente familiare!
Dall’altra parte del muro, il Nulla attendeva Amber.
La ragazza non fece neanche in tempo a gridare, che stava
già precipitando con impegno nel buio più
completo. Riuscì a scorgere librerie su librerie che
tappezzavano le pareti di quello che doveva essere un pozzo –
che diavolo ci faceva un pozzo dietro ad un muro non si sapeva
– prima di toccare terra.
E incredibilmente non mi sono schiantata al suolo,
pensò
Amber guardandosi intorno. Se
non è fortuna
questa…
Neanche il tempo di riprendersi, ed ecco svanire Edward dietro ad un
angolo!
Ma che aveva tanto da correre, santo cielo?!
Dato che fino a lì ci era già arrivata, tanto
valeva andare avanti. Anche perché, di tornare indietro da
dove era arrivata, non se ne parlava neanche.
Che cos'era lei, una scimmia arrampicatrice, forse? Nossignore!
Amber corse quindi dietro al giovane, giungendo in una sala decisamente
meglio
illuminata, piena di porte di certo non a misura d’uomo.
E se non ci passo io, mi chiedo come possa pensare di passarci
Edward…
Ma di lui nessuna traccia nella stanza.
C’era invece un tavolino dall’aspetto delicato e
un’ampolla con un cartellino su cui c’era scritto:
Drink me.
Più esplicito di così…
Ora, se Amber fosse stata uguale ad una certa Alice – che io
vi assicuro non ho mai e poi mai sentito nominare prima d’ora
– avrebbe bevuto dalla bottiglietta senza aver prima preso la
piccola chiave d’oro atta ad aprire l’altrettanto
minuscola porticina; al che sarebbe seguito un mare di lacrime che
personalmente preferirei evitare, la scoperta di un pasticcino che fa
crescere oltremisura, uno sproloquio relativo ai suoi piedi persi di
vista data l’altezza e il successivo rimpicciolimento.
No, grazie.
Poiché Amber non è Alice, e Alice non
è Amber e due cose non avvengono mai alla stessa maniera,
Amber prima
prenderà molto saggiamente la chiave
d’oro mettendola in tasca e poi
berrà dalla
piccola ampolla.
Il problema è in questo modo felicemente risolto.
E poiché non c’era mai stato e mai ci
sarà lo Stagno di Lacrime, Amber non ebbe modo di incontrare
il Topo e di sapere come quest’ultimo detestasse con tutto il
suo cuore i gatti. (E a questa conclusione, vi giuro sul mio onore, da
sola non ci sarei mai arrivata!)
Né Amber partecipò, se era per quello,
all’allegra Corsa Scompigliata – ingaggiata da
un’altrettanto allegro gruppo di animaletti tra i
più svariati: non essendosi bagnata, non aveva alcun
bisogno
di asciugarsi; né ebbe modo di ascoltare la lunga e triste
storia con la coda del sopraccitato Topo.
E se qualcuno dovesse per caso risentirsi per queste mancanze, ebbene
si metta il cuore in pace, perché così va la
vicenda e io mi limito semplicemente a raccontarla.
Superato quindi il problema dell’altezza, Amber
oltrepassò la soglia giusto in tempo per vedere Edward
correre qua e là alla ricerca di qualcosa.
«Dannazione!» borbottava, guardando da
tutte le parti. «Dove saranno finiti quei guanti? Sono anche
in ritardo! Non c’è tempo, non
c’è tempo! La Regina mi ammazza se non arrivo in
orario! E con tutto quello che c’è da fare non
posso assolutamente permettermelo.»
Quando scorse Amber, parve adirarsi nuovamente.
«Che ci fai tu qui?! Ti avevo detto di non
seguirmi! Se solo avessi più tempo ti cancellerei la
memoria. Ma non ho tempo! Il Tempo è l’unica cosa
che mi manca, oltre a quei guanti! Dove saranno finiti?»
E con questo, corse di nuovo via.
A Ed deve essere andato di volta il cervello,
pensò Amber
seguendolo. Tutta colpa
dello stress…
Prendendo il vialetto imboccato da Edward, la ragazza giunse in vista
di una casettina, con una piastra d’ottone
sull’uscio che diceva: W.
Rabbit.
La porta era aperta e Amber percorse di volata la scala che portava al
piano superiore, mostrando così ben poco riguardo per la
privacy del proprietario.
La camera in cui entrò era occupata quasi interamente da un
grande letto a castello; su una delle pareti tappezzate spiccava un
grosso e curioso orologio rigorosamente d’oro che sembrava
segnare tutto tranne le ore. Davanti al letto c’era una
piccola scrivania su cui erano posati dei guanti bianchi e alcuni
ventagli,
sormontata da uno specchio ovale; vicino ad una finestra, infine, un
tavolino di cristallo ospitava un’altra bottiglietta.
Poiché Amber, contrariamente a Ed in quel momento, poteva
ancora dire di saper usare la testa, decise di non bere
dall’ampolla.
Visto quello che era successo l’ultima volta che aveva bevuto
da una bottiglia a dir poco sospetta, pensò bene di non
sfidare ulteriormente la fortuna.
Mossa saggia e previdente!
In quel modo Amber evitò di crescere talmente tanto da
occupare l’intera casa, cosa che avrebbe provocato un attacco
isterico al Bianconiglio e costretto il povero Guglielmo a calarsi
giù dal camino contro la sua volontà.
Evitati in questo modo un altro po’ di guai, tornò
quindi sui suoi passi, ricominciando a camminare tra erba e fiori alti
quanto lei e domandandosi chi potesse vivere in un posto
così strano.
Ben presto scorse una seconda casa, circondata da un bellissimo
giardino curato amorevolmente.
Stava quindi pensando di entrare per cercare qualcuno in grado di
spiegarle dove fosse capitata seguendo Edward, quando
l’abitazione venne sommerso da una nuvola nera proveniente
dalle finestre aperte.
Ben presto, urla disperate di un bambino e varie grida si levarono
dall’edificio, intervallati da sonori starnuti che non
lasciavano tregua. A quel concerto si aggiunsero rumori di piatti e
stoviglie infrante, come se qualcuno si stesse divertendo a lanciarli
per terra. Il tutto non incoraggiava di certo ad una visita di cortesia!
«Meglio non entrare.» commentò
Amber, trattenendosi dallo starnutire a sua volta. «Troppa
confusione. E usano troppo pepe, per i miei gusti.»
«Cosa c’è di male in un
po’ di pepe?» domandò una voce
impertinente dall’alto. «O siamo forse troppo
delicate, per sapori così forti?»
Alzando di scatto la testa, Amber scorse un giovane seduto su un ramo
d’albero poco distante da lei.
«Edward?!» domandò sorpresa,
non del tutto certa di chi si trovasse di fronte. Quello sembrava
Edward a dir la verità, ma le orecchie da coniglio erano
scomparse, lasciando il posto a due orecchie nere da gatto, completate
dalla relativa coda.
«Edward? Temo tu sia in errore.»
ribatté l’altro, senza sembrare particolarmente
dispiaciuto. «Io sono Ed. Non conosco nessun
Edward.»
Fra poco comincerò ad impazzire anch’io.
«Soffri di disturbi da personalità
multiple, per caso?» domandò lei, irritata dal
tono sarcastico del giovane.
«Non so di cosa tu stia parlando.»
asserì l’altro, appoggiandosi comodamente contro
il tronco dell’albero, una gamba penzoloni.
Ed effettivamente era parecchio diverso
dall’Edward/Bianconiglio incontrato poco prima dalla ragazza,
sia per l’atteggiamento più strafottente, sia per
il modo di vestire: giacca e panciotto erano scomparsi, lasciando il
posto a più sobri abiti neri.
«Stavi andando da qualche parte?»
domandò Ed, guardandola dall’alto con un sorriso
che pareva più un ghigno.
«Non saprei.» rispose Amber, cominciando
a chiedersi dove potesse trovare una via d’uscita.
«Dovrei forse andare da qualche parte?»
«Potresti andare dalla Lepre di Marzo. Abita in una
casa qualche cespuglio più in là. Ma farei
attenzione fossi in te: è completamente matta.»
commentò Ed, come se l’idea lo divertisse.
«Tuttavia dubito che la troveresti, in questo momento. Di
sicuro
sarà dal Cappellaio Matto. Si tengono compagnia a vicenda.
È l’ora del thé…
è sempre l’ora del thé da quelle
parti.»
«Che strada devo prendere per raggiungere il
Cappellaio?» domandò Amber, trovando il nuovo Ed
sempre più strano.
«Chi lo sa?» rispose l’altro,
con un altro dei suoi sorrisi ironici. «Ogni strada porta da
qualche parte. Dipende tutto da dove vuoi andare. Queste portano in
Tutte le Direzioni. Probabilmente dovrai solo camminare e arriverai
dove vuoi… forse. Se sei fortunata, ovviamente. Altrimenti
rischi di finire da Nessuna Parte.»
Amber tentò con tutte le sue forze di non irritarsi.
«D’accordo. Ma qual è la direzione
giusta?!»
«Non importa la direzione.» rispose Ed,
il ghigno
sempre più largo. «Ciò che davvero
importante
è il percorso che si fa.»
«Smettila di parlare come se fossi un bigliettino
della
fortuna!» si alterò la ragazza. «Da che
parte devo
andare, insomma? E gradirei una risposta un po’
più sul
concreto. Terra-terra, se non ti dispiace.»
«Di là.» fu la risposta
annoiata del giovane,
mentre indicava un sentiero semi-nascosto. «Sono stato
abbastanza
concreto? Ma che noia tutta questa regolarità!»
Detto questo, scomparve.
Che razza di incontri,
pensò Amber,
trovando
l’Ed/Stregatto ancora più irritante
dell’Edward/Bianconiglio.
Guardò nuovamente su e vide che il giovane era ricomparso.
«A proposito,» disse. «andrai
dalla Regina a giocare a croquet?»
«Potrei farci un salto.» rispose lei,
simulando indifferenza.
Il sorriso di Ed si allargò ulteriormente.
«Beh, se ci vieni ci rivedremo là. Ma
stai attenta, la Regina ha un pessimo carattere: adora tagliare la
testa alla gente. Anche senza un valido motivo. Probabilmente
è ancora più matta del Cappellaio
Matto… ma ognuno è matto a modo suo, in fin dei
conti. Siamo tutti un po’ matti.»
«Dunque anche tu sei matto.»
constatò la ragazza con tono neutro.
«Indubbiamente!» rispose
l’altro per nulla turbato. «Non ci vedo nulla di
male. Un po’ di follia non può fare che bene:
tutto sta nell’avere la giusta misura. E comunque, non si
può certo dire che tu non lo sia.»
«Che io sia che cosa?»
«Matta ovviamente!» rispose Ed,
mettendosi a ridere come se trovasse la cosa divertente.
«Piano con le offese!»
protestò lei, irritata da quel comportamento.
«Ma è la verità.»
commentò il giovane. «Lo sei, altrimenti non
saresti arrivata qui. Solo un matto può pensare di seguire
qualcuno con le orecchie da coniglio passando attraverso un solido muro
di mattoni. Oltretutto dopo che gli era stato espressamente
proibito.» rise di nuovo, senza riuscire a trattenersi.
«Gli Uomini sono le creature più matte e strane
che io abbia mai visto.»
Scomparve una seconda volta, lasciandosi dietro di sé
l’eco della sua risata.
Beh, se non lo era già prima, di certo matto Ed lo
è diventato adesso, pensò Amber,
vedendo che
l’altro più non compariva. Deve essergli proprio
andato di volta il cervello.
«E comunque io non sono assolutamente
matta!» protestò a gran voce, imboccando il primo
sentiero a destra, costeggiato da fiori e fusti più alti di
lei.
Proseguì senza incontrare anima viva, fino a che non vide
una terza casetta dal tetto di paglia levarsi fra enormi cespugli.
Attirata dalla musica che proveniva da qualche parte oltre un
cancelletto di ferro, Amber seguì un vialetto affiancato da
alcune siepi mal curate arrivando infine ad un grande albero.
Sotto l’albero, una tavola apparecchiata.
Intorno alla tavola, due persone intente a saltellare qua e
là con aria contenta, ed una terza con la testa appoggiata
sul tavolo apparentemente indifferente alla confusione che la
circondava.
Amber si passò una mano davanti agli occhi, non del tutto
certa di quello che stava vedendo.
Eppure la visione non scompariva; anzi, si ripresentava in tutta la
sua insensatezza.
Cosa diavolo stava facendo Jack con una teiera in mano, saltellando
come un coniglio a pasqua? E perché stava cantando
“Buon
non-compleanno a me”?!»
Buon Dio, era impazzito pure lui!
Amber si avvicinò, sempre più stupefatta.
Quando Jack la scorse, fece un gran salto spruzzando thé da
tutte le parti.
Indossava un completo con giacca, pantaloni e quello che molto tempo
addietro poteva essere stato considerato un panciotto; una sciarpa
azzurra
copriva in parte uno sgargiante farfallino sgualcito e in testa portava
un enorme cilindro.
«Che ci fai qui?» domandò
indignato. «Nessuno ti ha mai detto che non è
buona educazione sedersi quando non si è stati espressamente
invitati?»
«Ancora del thé!!»
esclamò una voce allegra dietro di lui, prima che Amber
potesse anche solo tentare di rispondere.
Qualche istante più tardi ci rinunciò del tutto.
«Karim?!»
Già, perché la figura svolazzante nascosta fino a
poco prima dietro Jack, assomigliava terribilmente a Karim. Con
l’unica differenza che Karim non aveva mai avuto orecchie
da… lepre.
Né tanto meno andava in giro con una tazzina di
thé in mano.
«Un po’ più di
thé!» esclamò di nuovo, versando gran
parte della bevanda addosso alla terza figura, praticamente sdraiata
sul tavolo.
Quest’ultima non se ne avvide, intenta com’era a
dormire profondamente.
Il ragazzo si limitò a girare la testa dall’altra
parte, gli occhiali dalla montatura rotonda e dorata storti sul viso.
Della serie, non c’è mai limite al peggio.
«Peter?!»
esclamò la ragazza,
rinunciando ormai a sentirsi sorpresa.
«Non ci badare.» commentò
Karim, svolazzandole accanto. «Dorme sempre. Ma non
c’è da preoccuparsi. S’è per
quello, parla anche mentre dorme. Altro thé?»
«No, grazie. Che intendi dire con “parla
anche mentre dorme”?»
«Intende dire esattamente quello che ha
detto.» intervenne Jack, incominciando a versare del
thé in tutte le tazzine disposte disordinatamente sul
tavolo. «Tu forse dici una cosa per intenderne
un’altra? Non mi sembra corretto.»
«Scorrettissimo.» aggiunse Peter, senza
aprire gli occhi. Pareva stesse ancora dormendo.
«No, io… in
realtà…» balbettò Amber,
sempre più confusa, osservando Jack versare nelle tazzine il
thé, che sembrava non finire mai.
«Piuttosto,» la interruppe
Jack, correndo dall’altra parte del tavolo per imburrare
alcune fette di pane. «Sai perché un corvo
somiglia ad uno scrittoio?»
«Non ne ho idea.» rispose Amber,
iniziando a sentirsi un po’ sconsolata. Accanto a lei, Karim
volava a testa in giù canticchiando “Un buon
non-compleanno a me e a te”.
«Neanche io!» esclamò
Jack agitando le braccia e spargendo in giro ancora più
thé di prima. «Allora che senso ha fare la domanda
ti starai chiedendo? Nessun senso! Ma più cerchi il senso di
qualcosa e meno ne trovi!»
«Perfettamente giusto.» intervenne Peter,
parlando nel sonno.
«Giustissimo, giustissimo.»
cantilenò Karim. «Ma quello che mi chiedo io
invece è: perché proprio Marzo? Non mi piace:
piove, c’è il sole, piove,
c’è il sole, e ancora piove. Troppa pioggia,
troppa umidità! No, Marzo non va bene. Meglio Giugno, che ne
dici?» domandò, rivolgendosi ad Amber.
«Muoviamoci tutti d’un posto
innanzi!» gridò a gran voce Jack proprio in quel
momento, cominciando a spingere la ragazza.
«Insomma!» esclamò lei
esasperata. Mai che si riuscisse a finire un discorso.
Ma gli altri due non la stavano più ascoltando, parlottando
tra loro e rigirandosi tra le mani un orologio da tasca per poi
scuoterlo con forza.
«Che state facendo?» domandò
Amber, la testa che le girava per la confusione.
«Non è che hai un po’ di Tempo
con te, vero?» chiese Jack, continuando a
scuotere l’orologio.
«Il Tempo fugge e non torna indietro.»
esclamò Peter, girando di nuovo la testa
dall’altra parte.
«Questo non centra.» intervenne Jack.
«Il Tempo va e viene come gli pare: il Tempo è
capriccioso. A volte è un fuggi fuggi generale; altre volte
si fa attendere per intere settimane. Il mio orologio segna sempre la
stessa ora da parecchi lustri.»
«Il burro non è servito.»
commentò tristemente Karim.
«C’erano delle molliche di pane, te lo
detto mille volte.» lo redarguì Jack con aria
severa. A quel punto, tuffò un paio di volte
l’orologio in una tazza piena di thé, senza
ottenere il benché minimo risultato.
«Dell’altro thé!»
gridò Karim.
«Muoviamoci tutti d’un posto
innanzi!» esclamò Peter.
Amber ne aveva ormai abbastanza.
Allontanandosi dal tavolo, si voltò indietro vedendo Jack e
Karim saltellare nuovamente intorno alle sedie, cantando a squarciagola
“Buon
non-compleanno a te e a me, a me e a te”.
Tutta questa faccenda ha qualcosa di inquietante,
pensò
Amber tra sé, oltrepassando di nuovo il cancelletto di ferro.
Certo che Jack doveva aver smarrito la Ragione, oltre che il Tempo.
«Burro e thé! Ci credo che
l’orologio non funzionava più. Gli servirebbe
piuttosto un orologiaio, altroché!»
Era così intenta a camminare tra fiori più alti
di lei, che non si accorse dell’enorme fungo che le sbarrava
la strada finché non ci andò a sbattere contro.
Alzando la testa con un imprecazione, incontrò due occhi
scuri che la fissavano.
Seduto sul fungo, un uomo dagli arruffati capelli rossicci e vestito
dalla testa ai piedi di azzurro le rivolse un grande e gentile sorriso.
«Buongiorno, giovane fanciulla.»
Amber impiegò un po’ più di qualche
secondo per riconoscerlo.
«Alasteir! Stavo giustappunto pensando a te! Ho
incontrato Jack, qualche fiore più in là, che ha
disperatamente bisogno di un orologiaio, oltre che di un bel
po’ di senno, e tu…»
Alasteir inarcò le sopracciglia, sempre continuando a
sorridere.
«Cosa mi vai raccontando? Non conosco nessun
Orologiaio, qui. Mi spiace, devi esserti sbagliata.»
Già. E probabilmente devo essere pure impazzita, cosa di cui
mi sto convincendo ogni secondo che passa.
«E dunque chi saresti tu?»
domandò quindi, il più gentilmente possibile.
«Ma il Bruco, ovviamente.»
Poteva forse essere altrimenti? Si domandò la
ragazza, ripensando ai precedenti incontri.
Solo in quel momento notò che Alasteir teneva in mano quella
che sembrava una lunga e bizzarra pipa.
«Alasteir? Ma… quella è una
pipa?»
«Un narghilé per la
precisione.» rispose l’altro, che
sembrava essersi dimenticato della sua presenza.
«Tu fumi?!»
«Ma certamente! Non ci vedo nulla di male,
nossignore. Gandalf non rinunciava mai ad una bella pipata, se poteva.
Anche se, come giustamente ha fatto notare il drago Cyril a Zifnab, non
lo chiamavano certo il Grigio per il colore dei suoi abiti!»
Detto questo, iniziò ad osservarla con maggiore interesse.
«Non t’ho mai vista prima
d’ora. Sei qui da molto?»
«No, ecco… sono nuova di queste
parti…»
«Nuova? Vuoi dire che sei fresca?»
domandò Alasteir, inarcando le
sopracciglia.
Amber rimase perplessa per qualche secondo.
«No.» rispose, cercando di capire.
«Mi sono spiegata male. Voglio dire che, come puoi
vedere, sono di passaggio.»
«Io non vedo nulla.» commentò
l’altro.
La ragazza rimase a bocca aperta, senza riuscire a ribattere. Quella
era la conversazione più strana in assoluto a cui avesse mai
partecipato.
Riprese coraggiosamente la parola. «Io… starei
cercando l’uscita.» iniziò.
«Se tu fossi così gentile
da…»
«L’hai persa?»
domandò Alasteir, con tono comprensivo.
«Io… eh?» Amber si confuse
nuovamente.
«Ti ho chiesto se l’hai persa.»
ripeté l’uomo, con più pazienza.
«Ho perso che cosa?» chiese la ragazza,
corrugando la fronte.
«L’uscita, ovviamente.»
Di nuovo senza parole.
«Beh, potremmo pure dire che l'ho persa.»
ricominciò, alquanto titubante.
«E diciamolo pure: l’hai persa.»
«Mmh…» mugugnò lei,
cercando di trovare un senso a tutto quel discorso. «Sai per
caso dove si trova la Regina di Cuori?» domandò ad
un certo punto, ricordandosi le parole di Ed.
«No.» disse Alasteir.
«Non lo sai?» ripeté lei,
delusa. Seguì qualche istante di silenzio.
«Non so che cosa?» domandò
quindi il Bruco, smettendo di fare anelli di fumo.
«Dove-si-trova-la-Regina!»
sillabò Amber a denti stretti, esasperata.
«Certo che lo so!» rispose
l’altro, oltraggiato.
Amber si passò una mano sulla tempia. «E allora
perché prima hai risposto di no?»
«Tu mi hai chiesto se lo sapevo “per
caso”. Io non lo so “per
caso”!» affermò Alasteir, con fare
sdegnato. «Lo so perché sono stato invitato ad una
partita di croquet, una volta. Io parlo sempre con cognizione di
causa.»
Amber rinunciò a cercare di capire. «E qual
è la strada?»
Alasteir indicò un sentiero lastricato di pietre.
«Quello ti condurrà dalla
Regina.» pausa di qualche secondo, mentre l’uomo
faceva nuovi anelli di fumo.
«E’ tutto?» azzardò
Amber vedendo che non continuava.
«No.» rispose Alasteir.
Nuova pausa di alcuni secondi, mentre la ragazza aspettava con le
braccia incrociate.
«Bisogna fare attenzione con la Regina.»
disse quindi, guardandola con occhi penetranti. «Come tutti
quelli che si trovano qui, è strana. La stranezza
più strana che si possa incontrare. Occhio alla testa. E non
toccare le torte.»
Detto questo, scomparve.
Che mania che hanno tutti di scomparire, qui,
pensò Amber, a
dir poco esasperata. Mai
che qualcuno se ne vada in maniera civile! E
poi, che c’entrano le torte?
Decisa a porre fine a tutte quelle stramberie, Amber percorse il
sentiero indicatole da Alasteir/Bruco, finendo ben presto in un grande
giardino con aiuole piene di fiori e innumerevoli fontane.
Un posto carino e ben curato, constatò lei,
osservando
mentre passava dei giardinieri intenti a sistemare alcuni cespugli di
rose. Erano i giardinieri più insoliti che Amber avesse mai
visto, con delle casacche che sembravano carte da gioco: ivi si
trovavano il Due, il Cinque e il Sette di Picche.
Una folla di cortigiani abbigliati alla maniera dei giardinieri, ma ben
più riccamente, vagavano per il giardino senza alcuno scopo
apparente, mandati nella giusta direzione da un Edward/Bianconiglio
alquanto esasperato.
Amber continuò quindi a camminare, ignorata da tutti,
finché una guardia di Fiori non la notò.
«Chi sei tu?» domandò,
bloccandola. «Non vedo alcun seme sulla tua
casacca.»
«Già. Non sono di qui. Passavo per
caso.» rispose lei frettolosamente, adocchiando nervosa la
lancia della guardia.
«Ciò è male.»
affermò Sei di Fiori. «Nessuno può
entrare nel giardino della Regina senza il suo permesso.»
«Nessun problema. Me ne vado subito.» si
affrettò ad assicurare Amber. «Chiedo scusa.
Errore mio.»
«E dunque, qual è il problema
qui?» domandò in quel momento una voce alle loro
spalle.
Ad Amber si gelò il sangue nelle vene. Quella voce la
conosceva: nessun altro poteva avere una voce così piatta e
priva di calore.
Voltandosi, la ragazza si trovò di fronte
all’Adhal in carne e ossa.
Dannazione! Anche qui devo trovarla?!
«Un’intrusa, Vostra
Maestà.» spiegò la guardia.
Ed è pure la Regina?! Andiamo bene!
«Chi sei?» domandò
l’Adhal, senza alcun interesse.
«Non credo che il mio nome possa interessare alla
Regina.» ribatté Amber, infuriata.
La Regina la guardò per un istante senza espressione.
«Ho inteso. Tagliatele la testa.» disse
con voce atona.
«Un momento, un momento!» intervenne in
quel momento il Re, giunto vicino a loro.
Che non poteva essere altri che…
«Loxias?!!»
Per l’appunto. Qualcuno forse aveva dei dubbi?
«Via, via.» intervenne con tono allegro.
«Non è il caso. È solo una ragazza. Non
avevamo forse fatto un patto, mia cara Regina? Niente più
mozzamenti di teste senza valide ragioni.»
L’Adhal lo fissò per un secondo con occhi spenti
e poi veleggiò via.
Loxias parve molto soddisfatto di sé. Con un gran sorriso
batté le mani, per attirare l’attenzione dei
presenti.
«Tutti a giocare a croquet! Su, da bravi. Andiamo,
andiamo!» e si avviò per primo verso il campo da
giuoco.
Amber stava per seguirlo, piuttosto curiosa poiché non aveva
mai assistito prima d’ora ad una partita di croquet, quando
una voce conosciuta la fece sobbalzare.
«Sei ancora qui?» domandò
Edward, guardandola con disapprovazione. «Eppure ti avevo ben
avvisata di non seguirmi.»
«Non ho saputo resistere.»
confessò la ragazza, osservando affascinata le candide
orecchie da coniglio del giovane. Non si poteva negare che gli
donassero. «Hai trovato i tuoi guanti, alla fine?»
«Ovvio che sì. Contrariamente, la Regina
mi avrebbe fatto decapitare all’istante.»
«E sei arrivato in ritardo?»
domandò Amber con una certa malizia.
«Nossignore.» rispose l’altro
scandalizzato. «Non si confà al mio ruolo,
arrivare in ritardo. Ero perfettamente in orario: ho ritrovato il Tempo
oltre che i guanti.»
«Capisco.» rispose lei, guardando i
giocatori avviarsi con aria preoccupata verso il campo da giuoco al
seguito del Re e tenendo nervosamente d’occhio la Regina.
Dopo qualche minuto, Amber si convinse che il croquet non faceva per
lei. O almeno, non se si dovevano utilizzare strumenti così
insoliti. Certo, probabilmente i ricci potevano anche divertirsi
nell’essere lanciati di qua e di là come palline;
e certamente i fenicotteri ormai dovevano essere abituati ad essere
utilizzati come mazzapicchi, ma tutto questo le sembrava un
po’ barbaro.
Si voltò per dirlo ad Edward, ma non trovò
nessuno. Doveva essere scappato di nuovo.
«Santo cielo, quanta fretta!»
borbottò, contrariata.
Sul campo, i vari giocatori avevano già rinunciato a
comportarsi
correttamente, continuando a lanciare ricci da tutte le parti senza
rispettare il proprio turno. Di tanto in tanto si sentiva la Regina
affermare senza enfasi un «Tagliategli la testa!» a
cui seguiva, solitamente, un cauto fuggi fuggi generale.
«Bel gioco, non ti pare?»
domandò di nuovo la voce conosciuta, questa volta con
tutt’altra intonazione.
«Ciao, Ed.» rispose lei, senza neanche
girarsi. «Come mai qui?»
Lo Stregatto si mise a ridere. «Te l’avevo pur
detto che ci saremmo rivisti dalla Regina. Molto saggio da parte mia!
Sempre ascoltare le parole di un gatto; se poi è matto,
dovresti prestargli doppia attenzione.»
«Se lo dici tu, di certo sarà
vero.» commentò Amber, distratta da un
interessante tentativo di fuga da parte di un fenicottero purtroppo
fallito miseramente. «Perché nessuna guardia ti ha
ancora fermato?»
«Io vado dove voglio.» rispose lui con
un’altra risata. «Non c’è
niente e nessuno che possa impedirmelo. Io non ho
padroni.»
Amber stava per rispondergli, quand'ecco qualcun altro chiamarla.
Non c’era un momento di pace da quelle parti!
«Eccola qua la nostra deliziosa ospite.»
esclamò Loxias, venendo verso di lei. «Con chi
stai parlando, di grazia?»
«Con lo Stregatto?» domandò
prudentemente l’interessata, dato che Ed era ancora vicino a
lei e in bella vista per di più.
Il sorriso del Re si allargò ulteriormente.
«Vedo, vedo.» annuì con aria
affabile.
«Allora, ti piace il croquet? La nostra Regina è
estremamente abile, anche se forse non si direbbe a prima vista. Ti
piace la Regina, non è vero?»
Amber aprì la bocca per rispondere, ci pensò su
qualche secondo, e poi la richiuse.
Non le sembrava il caso di mettersi ad insultarla con tutte quelle
guardie intorno.
Ma a quanto pare Loxias non era particolarmente interessato alla sua
risposta. Anzi stava osservando con grande interesse lo Stregatto. Ed,
dal canto suo, stava stranamente iniziando ad irritarsi.
«Se vuole, può baciarmi la mano.» disse
graziosamente il Re, come se quella fosse la massima aspirazione del
giovane.
«Non nutro questo desiderio.»
osservò Ed, di colpo disgustato. Sembrava quasi che il Re
non gli piacesse.
Chissà perché, tutto questo non mi stupisce.
«Quanta insolenza!» affermò
Loxias, senza peraltro apparire offeso. «Che ne dici,
dovremmo fargli tagliare la testa?» domandò,
rivolgendosi ad Amber. «La Regina sarebbe
d’accordo. Vado a cercare il carnefice.» e
tornò verso il campo da gioco.
«Bravo, vai.» rispose Ed, il suo solito
sorriso di nuovo sul volto. «Credo che ne
approfitterò per andarmene anch’io: qui tira
brutta aria.» e iniziò a scomparire. «Ti
lascio in buona compagnia. È stato divertente parlare con
te.»
Che maleducato, pensò Amber, furiosa per essere
stata
abbandonata in quella maniera. Andarsene
in quel modo!
Furibonda, si avvicinò al terreno di gioco, dove il Re,
già dimentico della sua intenzione di far decapitare Ed,
stava dirigendo con entusiasmo una delle partite in corso.
«Ah, sei qui!» esclamò nel
trovarsela accanto. «Lo Stregatto se n’è
andato? C’era da prevederlo.» non sembrava poi
così dispiaciuto. «Ma non importa. Fra poco
dovrebbe arrivare gente più interessante.»
«Chi dovrebbe arrivare?»
domandò la ragazza, curiosa suo malgrado.
Ma Loxias non la stava ascoltando, volgendo la sua attenzione al
Bianconiglio in arrivo.
«Edward. Che fine ha fatto la
Falsa-testuggine?»
«Indigestione di torte, vostra
Maestà.» rispose l’interessato, non
particolarmente contento di dover intrattenere una conversazione con il
Re.
«Davvero? Che peccato. E il Grifone?»
«Indigestione di torte.»
Loxias si passò una mano sul mento, dispiaciuto.
«Peccato, peccato. E i gamberi?»
«Scappati. Si sono rifiutati di ballare.»
rispose Edward con una smorfia, non si capiva se per i gamberetti o se
per il Re.
«Tagliamogli la testa.» intervenne la
Regina, che si era appena avvicinata.
«Non mi sembra il caso mia cara.» rispose
Loxias, con tono conciliatorio, mentre Amber si affrettava ad
allontanarsi dall’Adhal. «Ormai sono scappati, non
possiamo farci niente.»
Sul campo di croquet, intanto, le partite erano finite con la vittoria
dei ricci e dei fenicotteri sui giocatori, vittoria che permetteva ai
bistrattati animaletti di riottenere la libertà tanto
agognata. E in effetti, erano spariti quasi tutti.
Si udì allora in lontananza una voce gridare: «Si
cominci il processo!»
Loxias batté le mani, entusiasta.
«Ah! È già l’ora
del processo. Presto, presto. Bisogna affrettarsi.»
esclamò, correndo verso il trono.
Ho come l’impressione che questa storia andrà per
le lunghe, pensò Amber, sconsolata, seguendo il
gruppo.
Intorno ai due troni si era già formata una folla di
cortigiani, accompagnati dai bisbigli delle loro parole, tutte rivolte
al prigioniero incatenato, una guardia da una parte e una
dall’altra.
Si trattava di un giovane dai capelli corvini e dagli occhi
curiosamente diversi: uno azzurro, uno nero. Dai vestiti che indossava,
Amber concluse che fosse il Fante di Cuori.
Chissà cosa ha fatto, si domandò
accomodandosi in
un posto libero del bancone a ferro di cavallo misteriosamente comparso
davanti ai troni. Edward aspettò che tutti si fossero
più o meno comodamente sistemati prima d’iniziare.
«Dichiaro aperto il processo.»
«Ordunque si legga l’atto
d’accusa.» esclamò Loxias, con voce
grave.
Edward spiegò una pergamena, mentre una delle guardie dava
tre squilli di tromba.
«Il qui presente Fante di Cuori è
accusato di aver trafugato le torte preparate un dì
d’estate dalla Regina!»
Come quella particolare Regina avesse potuto preparare delle torte
– in un dì d’estate, poi –
restava un mistero!
«Il verdetto. Giurati, il vostro
verdetto.» esclamò il Re, chiaramente
scandalizzato.
«Un momento, un momento.» intervenne
Edward. «Bisogna andare con ordine: prima i
testimoni.»
Tutto questo è totalmente assurdo!,
pensò Amber,
stupefatta. A meno che
io non abbia sentito male, Edward ha affermato
neanche cinque minuti fa che il Grifone e la Falsa-testuggine avevano
fatto indigestione di torte. Che senso ha questo processo, allora? Che
fossero altre torte? Santo cielo, sto impazzendo anch’io!
«E sia!» concesse Loxias, calmatosi di
colpo. «Che si chiami il primo testimone!»
E il primo testimone non era altri che Jack, il Cappellaio Matto.
Si accomodò sul banco, una tazza di thé in una
mano e una fetta di pane imburrato nell’altra.
«Chiedo perdono, Maestà, per il mio
ritardo.» esordì Jack, il tono gioviale.
«Si stava festeggiando il mio Non-compleanno, ed è
da parecchio ormai che il Tempo non mi rivolge più la
parola. Chiedo venia.»
«Ebbene che tu sia perdonato.»
esclamò Loxias. «Tuttavia, non sa che ci si deve
togliere il cappello, quando si è ad un processo? Si tolga
il cappello.»
«Ahimé. Lo farei volentieri,
Sire.» rispose Jack, l’aria contrita.
«Ma come ben vedrà Lei stesso, ho le mani
impedite, al momento. Se sua Maestà è
così attento all'etichetta può venire a levarmi
il cappello, mille grazie.»
«Tagliategli la testa.» intervenne
l’Adhal, di certo convinta che quella fosse la soluzione
migliore.
«Mmh, mmh. Effettivamente così il
problema del cappello sarebbe risolto.» ponderò il
Re.
«Però non sarebbe in grado di
testimoniare.»
intervenne Edward, già prevedendo il degenerare della
situazione.
«Vero, vero! D’accordo.
Soprassediamo.»
concesse Loxias, magnanimo. «Ma ora ci dica quello che
sa.»
Jack scosse la testa, il thé che si spargeva da tutte le
parti.
«Ma io non so proprio niente, vostra
Maestà. Non mi intendo di torte, io. Nossignore! Sono un
povero Cappellaio.» e scosse di nuovo la testa, come
dispiaciuto di non poter essere d’aiuto. «Mi
intendo di thé, se vuole; e di orologi pure; anche se da
quando il Tempo ha iniziato a fare
l’offeso…»
«Ancora un po’ di
thé!» esclamò Karim, facendo sobbalzare
Amber, che non si era accorta di averlo accanto.
«Tagliategli la testa.» aggiunse la
Regina, con lo stesso tono monotono di sempre, ma non per questo meno
terrificante.
«Non ora cara. Non ora.» rispose Loxias,
battendole affettuosamente su una mano. Poi si rivolse a Jack.
«Nega dunque di sapere qualcosa?»
«Lo nego!» affermò Jack con
forza.
«Lo nega!» ripeté Karim
allegramente.
«Come vedete lo nega.» aggiunse Peter,
ancora addormentato e non si sa come arrivato fino a lì.
«Silenzio!» ingiunse Loxias, quietando il
brusio della corte. «Può andare.» disse
rivolto a Jack.
«E tagliategli la testa.» aggiunse la
Regina, rivolta alle guardie.
Ma nessuno fece nulla, poiché il Re stava già
chiamando un nuovo testimone.
«Mi dispiace Sire.» intervenne Edward,
con aria di profonda pazienza. «Ma non abbiamo altri
testimoni.»
«Per quale motivo?» domandò
Loxias, perplesso.
«Indigestione di torte.» fu la risposta.
Se non fosse tutto così assurdo, potrei trovare questa
situazione divertente, rifletté Amber, ormai al
di
là di qualsiasi stupore.
«Che diamine!» esclamò il Re,
oltraggiato. «Che infamia! Mancare ad un processo
è punibile con la morte. Che si tagli loro la
testa!» gridò, mentre la Regina lo fissava quasi
– e ripeto, quasi
– sconcertata, probabilmente
perché le era appena stata rubata la sua battuta di maggiore
effetto, oltre che le torte.
«Sire, non credo sia il caso.» si
affrettò a dire Edward, mentre le guardie si guardavano
preoccupate. «I testimoni non sono qui. Bisognerebbe andare
avanti con il processo, piuttosto…»
«Il verdetto, dunque. Giurati, il
verdetto!» esclamò allora Loxias a gran voce, per
nulla demoralizzato. «Indubbiamente l’accusato
è colpevole. Ci vuole dunque un verdetto.»
A quel punto, contrariamente ad ogni buonsenso, Amber decise di
intervenire.
«Non potete sapere se è colpevole,
Maestà!» proruppe, indignata da quel ridicolo
processo. «Non ci sono prove a carico
dell’accusato.»
«Tagliatele la testa.» disse la Regina,
mostrando in quel modo gran ricchezza di vocabolario.
«C’è del vero in
ciò che ha detto.» disse una voce sonnolenta
vicino alla ragazza. Peter parlava ancora nel sonno.
Loxias inarcò le sopracciglia. «Dunque non abbiamo
prove, Edward?»
Il giovane chiamato in causa prese per un attimo un’aria
infelice. «In realtà una prova ci
sarebbe…»
«E per quale motivo non l’abbiamo
visionata subito?»
«Si tratta di una lettera anonima,
Maestà.» rispose Edward, come se questo spiegasse
tutto. «Una lettera in cui viene dichiarato il furto delle
torte.»
«Ancora meglio. Quella lettera è la
prova che ci serviva. Perché tutte queste reticenze,
Edward?» domandò Loxias.
«E’ anonima, Sire.»
affermò il giovane, sicuro che il Re non avesse del tutto
compreso.
«Proprio perché si tratta di una lettera
anonima il Fante è colpevole.» spiegò
il Re con tono paziente. «Se non avesse avuto intenzione di
compiere un reato, avrebbe firmato la lettera.»
Seguì a quelle parole un lungo e fragoroso applauso.
«Tutto questo è assurdo!»
insorse Amber, sempre più sdegnata per
quell’ingiustizia . «Se è anonima come
fate a sapere che è stata scritta dal Fante?!»
«E in effetti l’accusato nega di aver mai
scritto quella lettera…» intervenne Edward rivolto
al Re.
«Se avesse davvero avuto intenzione di rubare le
torte, non l’avrebbe di certo annunciato in una lettera, non
vi pare?!» rincarò Amber, alzandosi in piedi.
«La mente dei criminali è spesso
contorta.» fece notare Loxias. «Questa è
la prova della sua colpa!»
«Che razza di sciocchezza è
questa?!» esclamò la ragazza, sempre
più arrabbiata.
«Tagliatele la testa!» intervenne
l’Adhal con una briciola d’enfasi in più
del normale. Così piccola che difficilmente la si poteva
notare.
«Fai silenzio, tu!» gridò
Amber, infiammandosi. «Che razza di processo! E che razza di
Regina! Non sai dire altro che «tagliategli la
testa”?! E che Regina saresti, poi? La Regina di un misero
mazzo di carte! Assurdo! Fa silenzio!»
A quelle parole, l’intero mazzo di carte si
sollevò
in aria, trasformandosi in altrattente minacciose torte. Una dopo
l’altra iniziarono a rovesciarsi addosso ad Amber. La ragazza
indietreggiò nel tentativo di evitarle, e prima che potesse
anche solo dire “dannate torte” già
stava
precipitando nel Nulla assoluto.
*°*°*°*°*°*°*°*°
Amber si svegliò di colpo,
ritrovandosi distesa per terra
sul pavimento e tutta dolorante.
Era caduta dal divano mentre dormiva.
Accidenti che razza di incubo, pensò
massaggiandosi un
gomito indolenzito. Era tutto così assurdo!
Tutta colpa di sua sorella!
«Maggie!» gridò, seccata.
«Adesso basta! D’ora in avanti, la cucina
sarà off
limits, per te! Quando mai ti ho dato il permesso
di cucinare quella torta! Non si è mai vista una torta di
quel colore! Questa è l’ultima volta!»
«Quanto la fai lunga.» rispose la
sorella, affacciandosi nella stanza.
«Tu non hai idea di cosa ha provocato!»
sibilò Amber a denti stretti.
«Comunque era buona.» commentò
Maggie.
Poi scoppiò a ridere, evitando per un pelo il cuscino
lanciatole addosso da Amber.
«Avessero rubato anche questa, di torta!!»
CAST
Amber Laidlaw
Alice
Edward Lionel Walker
Il Bianconiglio
Ed
Lo Stregatto
Jack Bannister
Il Cappellaio Matto
Karim
La Lepre di Marzo
Alasteir
Il Bruco
Adhal
La Regina di Cuori
Loxias D’Arnaud
Il Re di Cuori
FINE
Se per caso vi state chiedendo da dove sia uscito tutto
questo…
Ebbene, me lo sto chiedendo anch’io!
È nato tutto in un momento di follia.
Comincio a pensare che ci doveva essere qualcosa di strano nella mia
colazione, stamattina…
Comunque, alcune considerazioni:
Nel caso qualcuno si stesse chiedendo per quale motivo ci sono due Ed,
la spiegazione è molto semplice. Mentre elaboravo questa
follia ho immediatamente associato Ed al Bianconiglio. Il problema era
che lo vedevo bene anche come Stregatto! Da qui derivano quindi le due
personalità di Ed. C’è un po’
del Bianconiglio in Ed, così ligio al dovere; eppure in
certi casi vorresti prenderlo a schiaffi: è
così adorabilmente bastardo!
Ora, io so che in Alice nel Paese delle Meraviglie, prima
c’è l’incontro con il Bruco e poi quello
con il Cappellaio Matto, ma per ragioni di trama ho dovuto invertire la
sequenza. Anzi, devo dire che ho scombussolato un po’ tutta
la storia, ma tant’è che ne avevo bisogno. Diciamo
pure che si tratta della mia versione ridotta e adattata di
“Alice nel Paese delle Meraviglie”, ecco.
Ci tenevo a precisarlo. Spero mi scuserete
Jack indossa una sciarpa, sebbene il Cappellaio Matto probabilmente non
sappia neanche cosa sia una sciarpa. Ma io associo sempre Jack ad una
sciarpa azzurra, quindi…
Infine chiedo umilmente perdono a Lewis Carroll per questo
scempio, al mio carissimo Tolkien, a Margareth Weis
e Tracy Hickman. Mi spiace non sono riuscita a resistere alla
tentazione ^///^
Rileggendolo adesso, temo che i dialoghi siano ancora fin troppo
sensati… mi spiace, più di così non
riesco a fare TT_TT
So che sono rimasta indietro con “Deus Ex Machina”.
Chiedo perdono per il mostruoso ritardo, ma dovrei postare il capitolo
nuovo a breve (sempre se la fortuna mi è amica, cosa per cui
non metterei la mano sul fuoco).
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