Half Heroes

di The Custodian ofthe Doors
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Half Heroes


2. Mitchell- L'inadeguatezza di un Re.


Essere figli di Afrodite portava tanti vantaggi: primo tra tutti, eri irrimediabilmente bello. Non importa cosa tu facessi, come cercassi di nasconderti, era come se un enorme scritta lampeggiante segnalasse a tutto il mondo che, si: eri bello come il sole.
Un altro vantaggio era la facilità con cui convincevi la gente a far tutto ciò che volevi, lingua ammaliatrice o meno, il tuo charm era tale che chiunque si sentisse chiedere un favore da te provava il forte desiderio di appagarti come mai nella sua vita. Certo, gli altri semidei erano più difficili da convincere, ma questo solo perché – secondo lui- erano ormai abituati “all'influsso” della Dea dell'Amore.
I figli di Afrodite erano sempre a conoscenza di tutto, di ogni cosa che si svolgesse al campo, detenevano il record di pettegolezzo verso le altre cabine e anche verso la propria. Perché è inutile dirlo: se c'è tanta bellezza in un solo posto, e tanta consapevolezza di esserlo, non si poteva sperare che i proprietari di tale dote non si parlassero amabilmente alle spalle.
E ce n'era per tutti! Ogni singola persona di quella rosea cabina aveva nel suo armadio e sotto al suo letto di veli, vecchi scheletri secchi e altri con la carne ancora attaccata alle bianche membra.
Come una pianta di estrema bellezza, che sprigiona il profumo più dolce e rapisce con i colori più spettacolari scaglia il suo mortifero veleno anche contro i propri simili, nella lotta per la sopravvivenza, così la cabina 10, dall'apparente perfezione, sussurrava parole di scherno e svelava segreti proibiti.
Lui? Mitchell era il Re.
Lo era sempre stato, gli veniva naturale. Sia al campo che a scuola, circondato da quell'aura di impalpabile bellezza, adorato dalle ragazze e silenziosamente ammirato da quei ragazzi che non riuscivano a capire, non accettavano, che un maschio potesse occupare i loro pensieri e, fin troppo spesso, le loro fantasie.
Ah, che vita magnifica era quella: quanto la mattina sul bus tutti lo salutavano e si facevano un po' più in la, nella speranza che si sedesse al loro fianco, quando i professori gli sorridevano accondiscendenti e il suo armadietto era sempre pieno di lettere, quando una festa non era tale se anche lui non aveva ricevuto l'invito; quando il suo unico obbiettivo era quello di diventare Re della scuola, non di sopravvivere.
Si guardava fisso allo specchio, sistemandosi i capelli castani con movimenti automatici, senza neanche pensarci, la cabina vuota gli faceva da silenzioso sfondo, mentre gli occhi ambrati si soffermavano su un letto preciso, quello della prima delle sue sorelle.
Non che non gli piacesse parlar male degli altri, era un figlio di Afrodite, ma Drew...lei aveva un che di inquietante e Michell non si riferiva solo al fatto che, con quella sua dannata lingua ammaliatrice, costringesse sempre tutti, - persino i suoi fratelli!- a far tutto ciò che voleva; non si riferiva certo allo sguardo affascinante e glacialmente spietato con cui ti esaminava, senza cercar neanche di nascondere il suo disappunto, no. Era altro, altro che non sarebbe mai uscito, che non poteva uscire, dalla cabina numero dieci. Altro che invece di fargli provare odio, rancore ed invidia verso quella sua sorella così forte, gli stringeva il cuore, gli faceva provar pena, rimorso e rabbia, perché lui, il Re, non poteva far nulla per cambiare le cose.
Forse perché, se chiudeva gli occhi, Mitchell riusciva ancora a sentire il suo pianto soffocato contro il cuscino. Riusciva a vedere i suoi occhi scuri diventare lucidi di lacrime trattenute, i singhiozzi compressi nel petto, unico baluardo fermo ed apparentemente impassibile davanti al corpo esanime e sfregiato della dolce, coraggiosa e bellissima capo-cabina, riverso sulle strade di New York. Riusciva quasi a toccare il dolore e lo sconforto per quelle perdita, la disperazione che aveva portato aggiungersi a quella per la perdita di tanti altri. Sentiva le mani di sua sorella stringersi al suo braccio in una presa di doloroso strazio, sentiva il suo corpo muoversi in automatico ed abbracciarla e la maglia sporca bagnarsi di lacrime, ma non riusciva a ricordare chi fosse.
Se chiudeva gli occhi però, riusciva ancora a sentire la voce di Silena che canticchiava bassa nelle serate d'estate, quando solo le cicale, il vento e l'acqua l'accompagnavano nel suo mormorio dolce.
Forse perché ricordava i vecchi giorni, ormai parte di una vita lontana, di un passato mai esistito, quando tutto era tranquillo, quando nessuna profezia si doveva avverare, il tempo era tutto per loro, per essere dei ragazzi e null'altro, un luogo dove i suoi amici lo guardavano con occhi sognanti, pieni d'invidia e di ammirazione, seguendo ogni suo passo.
Ma era tutto passato, solo un ricordo, una traccia invisibile nelle pieghe del tempo, che il signore di questo aveva cancellato con la sua ricomparsa.
I ricordi si rincorrevano dietro alle iridi ambrate, riportando a galla il dolore e l'inadeguatezza che sentiva calati sopra di lui come una cappa indistruttibile. Neanche la rabbia riusciva a deformare i suoi lineamenti da angelo come l'acido aveva fatto con il volto di Silena.
Era perfetto: la superficie lucida rimandava quell'immagine che Mitchell ora odiava e in uno scatto d'ira lanciò il primo oggetto che gli si parò davanti contro il sé racchiuso nella cornice attaccata al muro.
Centinaia di frammenti caddero come stelle sul tappeto rosa, mentre il ragazzo perfetto, bellissimo e senza problemi di una vita fa, scompariva dalla sua vista offuscata dalle lacrime.
Distrutto! Era tutto distrutto. Lui, il suo passato, la sua felicità e lo specchio. Era un uomo che si era troppo a lungo trastullato nella sua immagine per allenarsi davvero, per rendersi conto che la sua bellezza non lo avrebbe protetto per sempre da quel destino di cristallo che aspetta ogni figlio degli Dei, per accorgersi che un giorno avrebbe dovuto combattere per sé e per chi amava. Ma era troppo tardi, la guerra era finita e fuoco e vento avevano portato via le ceneri di quegli ultimi eroi, di coloro che erano stati così coraggiosi da accettare la morte, da porsi in prima fila a protezione dei propri compagni.
Era troppo tardi per essere un eroe.
Le lacrime trattenute troppo a lungo non erano altro che rimpianti, la conferma dell'inadeguatezza di un Re.







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