Note:
Ok, ci siamo. La storia inizia ad entrare
leggermente nel
vivo.
Ci
tengo a dire che non so perché mi sia uscita la coppia che
compare e
comunque non è che un accenno, sono fortemente convinta che
sia
importante per i personaggi conoscere altro oltre a ciò che
hanno
sempre avuto e tra una cosa l'altra è uscita quella roba. E
continuo
ad essere così vaga perché non voglio far spoiler
a inizio
capitolo.
Giusto
due cose sulle parentele, Hina è nipote di Akainu e cugina
di
Bonney, Bonney è quella che diventerà note come
Jewelry Bonney "the
big eater" in futuro.
Ichariba
Chode, nonostante ci siamo incontrati solamente una volta, per puro
caso, saremo amici per sempre.
3.
Ichariba Chode
«Sei
un cretino» borbottò la ragazza armeggiando con
aria intenta di
fronte alla porta della cella di detenzione «È la
terza volta in
una settimana, in una settimana, capisci? Klutz eri e Klutz rimani,
solo che invece di maturare diventi sempre più
mentecatto».
«Vuoi
stare zitta?» borbottò il giovane uomo da dietro
le sbarre sottili
«Apri questa cazzo di porta, piuttosto».
«Oh,
non credo proprio. Sai quanto mi ci vuole? Troppo. E stasera sono a
cena da mia zia, quindi ti attacchi. In compenso ti ho portato da
mangiare, visto che Zephyr ha già dichiarato che saresti
rimasto
senza cena».
«Hina
non fare la stronza, aprimi!»
«Hina
è una stronza e Smoker un imbecille, e ora Hina va a cena
fuori.
Arrangiati e pensaci due volte la prossima volta che ti viene voglia
di insultare un tuo superiore!»
La
giovane recluta si sistemò il copricapo sui capelli, fece un
veloce
gesto di saluto a Smoker, agitando la mano a mezz’aria e
ignorando
volontariamente le sue accorate proteste prima di sparire con grazia
oltre la porta.
Non
aveva alcuna intenzione di farsi pescare dalla guardia di turno e
finire in punizione anche lei, già era una tortura
sufficiente dover
andare a cena da suo zio; Akainu con il passare degli anni era
diventato sempre più insopportabile. Hina era sinceramente
affezionata a sua moglie, Anne, e a sua figlia, la piccola Bonney, ma
non riusciva a provare alcun tipo di affetto per quello che tra tutti
era il suo parente più prossimo; Akainu si era dimostrato
dapprima
seccato, quindi orgoglioso che la figlia di sua sorella avesse deciso
di unirsi alla marina, ma si era presto rivelato una guida assente,
parziale e fin troppo severa. Inoltre lui stesso non riusciva ad
approvare le frequentazioni della nipote: vedeva in Smoker un giovane
piantagrane indisciplinato e incapace di obbedire agli ordini;
trovava fastidioso che entrambi i ragazzi si rivolgessero ad Aokiji
in caso avessero dei problemi; non amava nemmeno vederla girare con
le nuove reclute, era un ambiente promiscuo e informale dal quale non
potevano che svilupparsi ulteriori problemi.
Si
era abituata a ignorarlo, spesso accondiscendeva per mancanza di
voglia di litigare e durante i suoi lunghi discorsi
sull’importanza
di una giustizia totale si ritrovava spesso ad annuire senza
convinzione, troppo seccata per cercare di esprimere la sua opinione.
O almeno, all’inizio lo aveva fatto, aveva cercato di
dimostrare la
sua intelligenza, di far vedere che era perfettamente in grado di
pensare e aveva difeso a spada tratta le sue idee, ne erano risultati
solo immensi litigi e qualche minaccia di radiazione dal corpo dei
marine, così aveva rinunciato, seppur a malincuore,
rimpiangendo che
di fronte a lei ci fosse suo zio e non sua madre.
In
compenso, se non si teneva conto della sua presenza (e comunque lui
non rimaneva a lungo perché aveva altro, aveva di meglio da
fare),
quelle cene settimanali erano per Hina un conforto, le ricordavano i
giorni trascorsi a casa sua, con i suoi genitori,
nell’affetto che
sua zia le dimostrava ogni giorno ritrovava l’abbraccio caldo
di
sua madre, negli occhi pieni di ammirazione di sua cugina un
sostegno.
Non
che sentisse davvero nostalgia di casa, aveva trascorso gli ultimi
tre anni a Karate Island, l’isola da cui era originaria sua
madre e
si era abituata a convivere con l’assenza di chi amava; era
stata
Natsuki stessa a decidere di mandare lei e Smoker lontani.
«Se
proprio siete convinti di voler entrare in marina, allora ci andrete
preparati» aveva detto, prima di spedirli ad allenarsi nel
mare
meridionale.
Non
era certo stato facile all’inizio, ma la consapevolezza di
non
essere del tutto da sola aveva aiutato Hina a resistere in quel posto
che non conosceva per niente. Se Smoker era con lei allora sapeva che
tutto sarebbe andato bene, perché era sempre stato
così. Ricordava
con divertimento i giorni degli allenamenti, i muscoli doloranti alla
fine del giorno, il primo taglio di capelli fatto da sola, la prima
distorsione, persino il primo dito rotto; ne era passato di tempo e
ora, a 19 anni, era riuscita davvero a realizzare il primo dei suoi
obiettivi.
Marineford
si era da subito rivelata più grande e insidiosa di quanto
Hina non
si aspettasse; l’addestramento era cominciato immediatamente
e
Zephyr, che per anni era stato la guida dei giovani cadetti
più
promettenti, non si era dimostrato clemente. Hina ringraziava di
avere una certa resistenza o si sarebbe arresa dopo la prima
settimana di allenamenti estenuanti; anche la presenza di Smoker
aveva aiutato, a volte bastava che si guardassero di sbieco, anche da
lontano per darsi forza a vicenda.
Borbottò
una scusa sommessa, andando a sbattere contro qualcuno
nell’oscurità
delle strade della città; doveva essere saltata la
centralina
elettrica, perché quella sera nessuna via era illuminata e
l’unico
bagliore proveniva dalla fioca luce che emergeva dalle finestre delle
case.
Non
che Hina fosse preoccupata, probabilmente non esisteva posso
più
sicuro al mondo di Marineford, non era un caso che tutte le famiglie
dei marines vivessero su quell’isola, protette
all’ombra del
quartier generale. Proseguì in silenzio, mentre il rumore
dei suoi
passi riecheggiava sul selciato; si fermò di fronte alla
porta
bianca della casa dell’Ammiraglio e fece un respiro profondo,
dopo
tutto erano parte della sua famiglia, pensò bussando con
educazione.
«Hina
onee-san!» esclamò una bambina dai corti capelli
rosa arrivandole
quasi a sbattere addosso.
«Buonasera
Bonney» rispose la maggiore accarezzandole il capo in un
gesto di
affetto «Sono in ritardo?»
«Certo
che no, tesoro» rispose Anne affacciandosi dalla cucina e
gettando
un’occhiata di rimprovero alla figlia «Come sei
conciata! Ancora
con quei vecchi stracci vai a cambiarti di corsa prima che arrivi tuo
padre e lavati le mani!»
«Posso
aiutarvi a fare qualcosa zia?» domandò Hina
osservando la cugina
mentre correva su per le scale, si fermava a metà strada e
faceva
una boccaccia nella loro direzione.
«Oh,
ti ho già detto di darmi del tu quando Akainu non
è in casa,
piuttosto pensavo sareste arrivati assieme».
Dio
me ne scampi, pensò la giovane senza cambiare
minimamente
espressione e allungando le mani per afferrare i piatti che sua zia
andava porgendole.
«Purtroppo
oggi non l’ho visto, credo avesse una riunione tutto il
pomeriggio».
«È
un lavoro impegnativo, sai? Piuttosto come sta andando
l’addestramento?»
Hina
esitò un istante, domandandosi se le domande retoriche di
Anne non
fossero più che altro un modo come un altro per convincersi
che il
suo matrimonio fosse normale e che il rapporto che aveva con suo
marito fosse perfettamente sano ed equilibrato.
«Niente
di particolare, sai, le solite cose. Smoker si è fatto
mettere in
punizione di nuovo, il nuovo arrivato, quello con cui Smoker si
rifiuta di parlare, pare essere incredibilmente forte, anche se
continua a presentarsi con pezzi di cibo in faccia e credo che prima
o poi a Zephyr verrà una sincope. Si chiama Vergo se non
sbaglio, ma
dubito che a lui l’addestramento serva davvero».
«Vergo,
eh? Ho sentito parlare di lui» esordì una voce
dall’ingresso e
Hina si trattenne dal roteare gli occhi verso l’alto, certo,
lui
sapeva sempre tutto.
«Non
sono sicura di aver capito da dove provenga, ma è dotato di
una
forza non indifferente».
«Potresti
prendere esempio, Hina. La forza fisica è necessaria, non da
sola
chiaramente, servono anche uno spirito adamantino e una forza di
volontà ferrea. Anche se sono i frutti del diavolo che
aprono
davvero le porte per la carriera» borbottò Akainu
andando a sedersi
in sala da pranzo.
Non
si scomodò nemmeno a salutare sua moglie, fu lei, invece, ad
avvicinarsi e deporre un bacio leggero sulla sua guancia, passandogli
allo stesso tempo un bicchiere di saké.
«Bonney,
vieni a salutare tuo padre» esclamò sporgendosi
sulle scale.
Hina
fece appena in tempo ad afferrare la cugina per un braccio e
sistemarle i capelli arruffati, mentre la bambina si precipitava
verso il salone; voleva evitare di trascorrere un’altra
serata
ascoltando i discorsi di suo zio sull’importanza
dell’apparenza.
Ogni tanto le sembrava di sentire suo padre e si ricordava che
c’era
stato un periodo in cui anche lui era stato a quel modo.
«Ho
sentito che il tuo amico, il ragazzo di strada, è stato
messo in
punizione di nuovo».
«Smoker»
lo corresse la nipote, senza particolare inflessione nella voce.
«Sì,
esatto. Quello Smoker rischia l’espulsione, spero che tu ne
sia
consapevole. Non è la compagnia adatta alla nipote di un
Ammiraglio».
Hina
strinse i pugni sotto il tavolo, lasciando che le unghie penetrassero
leggermente nella carne, come ad invitarsi a non perdere la pazienza.
«Sarebbe
alquanto disdicevole» cominciò cercando di non far
trapelare
quanto fosse seccata «Se venisse espulso ora, non credete,
Zio? Con
tutto il tempo e i trascorsi che ci sono tra noi questo non
getterebbe del fango anche sulla mia persona e di conseguenza
sull’intera famiglia?»
Akainu
masticò una bestemmia, versandosi dell’altro
sakè nel bicchiere,
quindi annuì; sì, sarebbe stato peggio, avrebbe
dovuto sopportare
quel ridicolo ragazzino finché non fosse diventato un
marine. In
fondo aveva ben chiaro il destino di quelli come lui, preda
dell’orgoglio e testardi fin nel midollo, sarebbe stato
assegnato a
qualche divisione minore e sarebbe stato spedito a farsi ammazzare
dove più desiderava.
«Vedrò
di metterci una buona parola» sbottò.
La
serata trascorse più velocemente del previsto e senza
particolari
discussioni. Era una di quelle sere in cui Hina si convinceva che suo
zio non fosse un uomo cattivo, ma solo una persona triste che si era
lasciata accecare dalla sete di potere e aveva dato maggiore
priorità
alla salita della scala gerarchica piuttosto che alla sua famiglia;
Bonney da parte sua cercava come poteva di attirare le attenzioni del
padre, in parte, proprio come aveva fatto lei da bambina, cercava di
utilizzare un linguaggio che lo infastidisse, termini da scaricatori
di porto e frasi sgrammaticate, ma spesso otteneva solo di riuscire a
innervosirlo.
Accettò
di buon grado i biscotti che sua zia le aveva preparato e
salutò sua
cugina con un bacio, invitandola a venire a seguire gli allenamenti,
quindi si dileguò nella notte, fisicamente provata
dall’ennesimo
incontro con la sua famiglia. C’era quel detto che le veniva
in
mente in queste situazioni, solo che più che parenti
serpenti i suoi
erano parenti da ansia di vivere e con i quali doveva stare attenta a
non usare mai la terza persona o avrebbe rischiato di finire a
sollevar pesi fino al mattino successivo.
Scivolò
silenziosamente nel dormitorio e, cercando di fare meno rumore
possibile, si avvicinò ai letti delle altre reclute.
«Cancer
sei sveglio?» mormorò a mezza voce «Io
vado a tirare fuori
Smoker».
«Non
mi sembra un’idea brillante» borbottò
una voce assonnata dal
letto superiore «Se ti scoprissero?»
«Ho
dei biscotti, Brandnew» fu la brillante risposta «E
una faccia
carina».
«Peccato
che tu non abbia dei limoni» borbottò Cancer
mettendosi a sedere ed
evitando un cazzotto in faccia «Eddai, mica vuoi svegliare
l’intero
dormitorio».
«Mi
accompagni o no?»
«Mi
fai vestire?» sibilò il ragazzo infilandosi la
divisa nel buio.
«Se
vi beccano io non vengo a tirarvi fuori».
«Grazie,
Stainless, tu sì che sei un amico»
continuò Cancer allacciandosi
le scarpe.
«Senti
bello, io e te siamo al secondo anno, loro al primo. Se beccano loro
possono cavarsela con una lavata di capo e qualche pulizia dei cessi
in più, noi invece finiamo assegnati a qualche posto di
merda».
«Stainless,
se non stai zitto giuro su Dio che stanotte ti taglio quei ridicoli
baffi che stai cercando di farti crescere».
«Vaffanculo,
Cancer».
«No,
vaffanculo tu!»
«Fanculo
a tutti e due» sibilò la ragazza «Hina
si sta scocciando, fate
quello che volete».
«Aspettami,
ci vengo io con te. Smoker è anche amico io»
mormorò qualcuno due
letti più in là, alzandosi e rischiando subito
dopo di inciampare
nei suoi piedi.
«Ecco»
borbottò Cancer «Siamo fottuti».
Hina
sollevò le spalle, come a dire che a lei proprio non
importava
niente, purché stesserò zitti e, senza mollare i
suoi biscotti,
uscì dalla stanza seguita dai suoi compagni. Cancer era una
giovane
recluta al secondo anno di addestramento, aveva ventitré
anni, due
più di Smoker e quattro più di lei, e si era
presentato il primo
giorno in cui erano arrivati lì con un sorrisetto sghembo
stampato
in faccia e gli occhiali da sole calati sul viso, aveva fatto una
battuta un po’ troppo sessista per i gusti di Smoker e si era
ritrovato con gli occhiali rotti e un occhio nero; l’altro si
chiamava Verygood, ma i più lo chiamavano semplicemente
Berry, era
un gigante grande e grosso con la mascella squadrata e i pugni delle
stesse dimensioni di quelli di un gorilla, peccato che di uno
scimmione avesse anche l’intelligenza. Insomma non era un
genio e
non si distingueva per astuzia, ma aveva dimostrato di essere una
brava persona che credeva fermamente in quello che faceva e,
soprattutto, un buon amico.
Dopotutto
poteva andare molto peggio, Hina aveva sentito storie sulle vecchie
reclute, storie che principalmente arrivavano da Zephyr stesso e che
raccontavano di scherzi meschini che i cadetti si facevano tra loro.
Era stato un sollievo vedere che nessuno dei suoi compagni aveva
intenzione di farsi picchiare da lei fin dalla prima settimana, come
invece non si era fatto scrupolo a fare Smoker.
«Vuoi
spegnere quel coso?» sibilò girandosi verso Cancer
e lanciandogli
un’occhiataccia.
«Cosa?
Cosa c’è? Che problema hai? Mica devi fumarlo
tu!»
«Puzza»
continuò la ragazza «A Hina fanno schifo le cose
che puzzano».
«Che
palle» borbottò Cancer, spegnendo il sigaro e
guardandolo con aria
desolata.
«Fa
male alla salute» commentò Verygood in tono
preoccupato.
«E
tu non iniziare allora».
Smoker
non stava dormendo, sdraiato nella cella di detenzione osservava il
cielo attraverso le grate della finestra, perso nei suoi pensieri; il
primo biscotto lo mancò, ma il secondo arrivò
dritto in faccia,
colpendolo sulla tempia e frantumandosi a metà.
«Ma
che cazzo!?»
«Hina
è seccata, andiamo» borbottò una voce
fin troppo nota da dietro la
porta «Non ho mica tutta la notte, sai?»
«Vorrai
mica dormire, principessina sul pisello?»
L’amica
parve pensarci qualche secondo, quindi sibilò: «Ti
lascio qui».
«Scherzavo,
apri questa porta, cretina!»
L’uscio
si aprì cigolando rivelando al giovane i tre amici che lo
aspettavano dietro di esso; borbottò un grazie masticato tra
i denti
a cui Hina rispose con una scrollata di spalle. Oramai era abituata,
l’ultima volta che lo aveva sentito ringraziare come Dio
comandava
Havamama era ancora viva, col tempo aveva fatto il callo ai suoi
borbottii sommessi e aveva imparato a riconoscere la gratitudine nei
suoi sguardi.
«Ti
sei portata dietro il comitato di benvenuto?»
domandò sarcastico.
«Anche
io sono felice di vederti fuori amico, e pensare che ti avevo anche
portato un sigaro e tu mi spezzi il cuore così»
celiò Cancer
agitando un secondo sigaro davanti al naso del ragazzo.
«Due
idioti» rimarcò Hina scivolando lungo il corridoio
e affacciandosi
sul cortile interno.
«Dove
andiamo adesso?» domando Verygood grattandosi il mento e
trattenendo
uno sbadiglio.
«Venite,
sfigatelli» Cancer superò Hina in una falcata e
senza tanti
preamboli le afferrò il polso e cominciò a
trascinarsela dietro,
oltre gli edifici delle palestre, verso una delle colline
«C’è
una meravigliosa catapecchia che dà ad est, si vede persino
l’alba
se è bel tempo, una gran figata. L’abbiamo
scoperta lo scorso anno
io e Stainless, venivamo qui a sbronzarci quando avevamo tempo
libero».
«Edificante»
commentò Hina, trattenendo un sorriso e seguendolo cercando
di non
inciampare «Muovetevi voi due o Hina vi lascia qui».
«Sai
che roba» borbottò Smoker, fissando male Cancer e
accelerando il
passo.
La
catapecchia c’era davvero, era stata, in passato, una
palestra di
karate, ma ora un grosso foro al centro del pavimento la rendeva
impraticabile, il tatami non era mai stato sostituito e il tempo e
gli elementi avevano fatto il resto. Sulla parete nord c’era
un
leggero strato di muffa e dalle pareti penetravano leggeri spifferi
d’aria, ma nel complesso non era poi così mal
messa, sì, certo
era polverosa, ma c’erano posti peggiori in cui nascondersi
durante
una fuga notturna dai superiori.
«Bella
roba» Smoker spostò con un calcio
un’asse mezza marcia e aprì il
pannello scorrevole che dava su una piccola terrazza affacciata
sull’oceano «Troppo bella per un cazzone come te,
Cancer».
«So
che riesci a capirmi, fratello».
«Non
sono tuo fratello, prima di tutto e -»
«Lo
so benissimo, mio fratello ha le tette e canta in un locale di
lap-dance».
Silenzio.
«Credo
di voler accettare quel sigaro ora» borbottò
Smoker cercando di
cancellare l’immagine di Cancer con le tette mentre si
strusciava
contro un palo.
«Hina
è sempre più affascinata dalla tua famiglia, i
tuoi genitori hanno
anche dei figli normali?»
«Chiaramente
no» continuò per lei Verygood «Voglio
dire, hai visto la sua
faccia? Sembra che ci sia passato sopra un tir».
«Parla
quello con una palla al posto della mascella, dì ti sei mai
visto
allo specchio?»
«Almeno
non ho un taglio su un occhio!»
«Già,
Cancer, non ci hai ancora detto come te lo sei fatto» disse
Smoker
accedendosi il sigaro; si sedette per terra, appoggiandosi pigramente
allo stipite della porta che dava sulla terrazza e fece segno agli
altri di sedersi accanto a lui.
«Credimi,
non è divertente» fu la risposta pacata.
Cancer
si lasciò cadere a sedere di fronte a Smoker e afferrata
Hina per un
braccio, se la tirò sulle ginocchia, ignorando le proteste
della
ragazza che, dopo avergli tirato una gomitata nelle costato,
andò a
sedersi a fianco all’amico.
«È
la prima volta che te lo sento dire e sono quasi turbato»
celiò
Verygood sedendosi a sua volta e allungando una mano per ricevere un
biscotto.
«Hina
è curiosa» borbottò la ragazza
iniziando a distribuire i dolci
preparati da sua zia «Questi godeteveli, l’unica
altra persona che
se li può mangiare è Akainu».
«L’Ammiraglio?»
Verygood quasi si strozzò.
«È
suo zio, non lo sapevi?» Cancer sbadigliò
leggermente «Ma tornando
ad un argomento più interessante, si parlava di
me».
«Cancer
sappi che sto per gettarti giù dalla collina».
«Che
piaga, Smoker».
«Ma
quindi ce lo dici o no come te la sei fatta quella cicatrice?»
«Avevo
circa dieci anni e mi ero messo in testa di aiutare mio padre. Mio
padre era un brav’uomo, non si arrendeva mai davanti a
niente,
nemmeno davanti a tre figli senza speranza come eravamo noi
all’epoca».
«Sei
ancora senza speranza, Cancer».
«Grazie
Principessa, sei sempre la più gentile. Comunque mi ero
messo in
testa di aiutarlo, faceva l’operaio e si occupava
principalmente di
costruire case; come potete immaginare non era esattamente
l’ambiente
più sicuro per un bambino, soprattutto per un bambino
iperattivo e
disubbidiente com’ero».
«Ti
prego, dimmi che sei caduto da un’impalcatura»
ridacchiò
Verygood.
«Ti
piacerebbe, mentone. No, sono saltato da una pila di mattoni su una
carriola che ovviamente si è rovesciata e mi ha mandato a
sbattere
contro un pilastro da cui sporgevano alcuni chiodi».
«Eri
un genio anche da piccolo, insomma» fece notare Smoker
espirando una
nuvola di fumo grigio e lasciando che Hina si sdraiasse usando la sua
gamba come cuscino.
«Ehi,
guarda che sarebbe bastato scivolare nel modo sbagliato e invece di
un graffio in faccia avrei perso l’occhio!»
«Magari
saresti diventato più simpatico» fece notare la
ragazza.
«Tsk,
ma se mi adorano tutti».
«Adorano
anche il tuo ego?»
«Quella
è la parte migliore, tesoro».
Smoker
trattenne una smorfia di disgusto, Cancer gli provocava sensazioni
contrastanti: a tratti era anche simpatico, ma c’erano delle
volte
in cui sentiva prepotente la voglia di prenderlo a pugni.
«Piuttosto,
cosa ti farà domani Zephyr quando si accorgerà
che non sei più
nella tua cella?» domando Verygood sbadigliando.
«Niente
direi, anzi probabilmente si stupirebbe se mi trovasse ancora dentro.
È da quando sono arrivato che me la filo ogni volta che mi
sbatte in
punizione».
«Secondo
me in parte gli fa piacere, sai com’è ci addestra
alla vita e
puttanate simili, sarà una soddisfazione vedere che anche se
ti
dovessero catturare sapresti levarti dalle palle».
«Come
no» celiò Hina ridacchiando
«Sarà entusiasta, proprio».
Ovviamente
Zephyr non lo fu.
«Come
sarebbe a dire che si è fatto trasferire?»
«Come
“Come sarebbe a dire?”, ce la
fai? Nel senso che ha
chiesto un trasferimento a Sengoku e l’ha ottenuto, mi sembra
semplice».
«Alla
G-5?» domandò ancora il ragazzo ritirando la vela
«Che scelta di
merda!»
«Perché
me lo dici come se l’avessi scelto io per lui? Saranno
problemi
suoi o no?»
«Oh,
beh, tanto mi è sempre stato sul cazzo».
«Si
può sapere che mai ti ha fatto Vergo? Non gli hai mai
rivolto la
parola, nemmeno una volta!» sbottò Hina sistemando
le sartie della
nave.
«Che
vuoi farci, ho problemi con la gente scema» celiò
Smoker espirando
il fumo del sigaro «E non è che lui mi abbia mai
dato dimostrazione
di non esserlo, seriamente chi è che va in giro perennemente
con
pezzi di cibo attaccati alla faccia?»
«Se
ti fossi sprecato anche solo a parlarci forse avresti cambiato
opinione».
Un’onda
fece rollare la nave, inclinandola più del solito e Hina
trattenne
una bestemmia, cercando di non perdere l’equilibrio.
«Non
sono tutti deficienti solo perché non piacciono a
te».
Smoker
rimase leggermente interdetto, fissando l’amica di sottecchi,
e
cogliendo un lampo di irritazione sul suo viso.
«Stiamo
ancora parlando di Vergo?»
La
ragazza non rispose, allontanandosi a passo spedito verso la cambusa;
si erano imbarcati da tre mesi a bordo della nave del vice ammiraglio
Yamakiji, un uomo buono, dalla personalità tranquilla e
l’aspetto
semplice. Non era un assegnamento impegnativo, anzi, Yamakiji era una
figura tranquilla, che cercava di evitare lo scontro là dove
fosse
possibile; amava il buon vino e i sigari costosi e cercava sempre di
non passare troppo tempo senza fare scalo su un’isola.
In
quei giorni procedevano lentamente, sospinti da una brezza lieve, in
direzione di Water Seven e, a quanto pareva, nemmeno la prospettiva
di giungere su un’isola tanto affascinante era servita a
placare
l’amica.
«Se
sei ancora arrabbiata per quanto accaduto l’ultima volta, beh
fattela passare».
«Ugh.
Sei impossibile, te ne rendi conto? Sei tu che devi farti passare
questa mania di prende a cazzotti chiunque abbia una faccia che non
ti piace!»
«Mica
l’ho pestato per quello!»
«No?
E allora come mai?»
«Ti
aveva insultato» borbottò Smoker nicchiando.
«Ma
se non è mai vero! Come se fossi mai venuto in mio soccorso
durante
una rissa, sai benissimo che Hina sa pestare forte quanto te! Non hai
mai pensato che avessi bisogno di aiuto!»
«Ok,
forse non mi piaceva e basta, va bene? Si può sapere
perché te la
prendi tanto? Era un pirata, era feccia
dell’umanità».
«Noi
li arrestiamo i pirati Smoker, non li pestiamo a sangue»
sibilò la
ragazza «E Hina non può continuare a trovare scuse
con il Vice
Ammiraglio per giustificare la tua testa di cazzo».
«Ma
chi te lo ha chiesto!»
«Sai
cosa c’è? Hina è seccata, non le
parlare» sibilò la ragazza
uscendo dalla cambusa e chiudendosi la porta alle spalle con forza.
Le
faceva saltare i nervi quando si comportava così, le
sembrava di
ritrovarsi davanti al bambino che aveva conosciuto quando era
piccola, eppure ora erano cresciuti e anche Smoker avrebbe dovuto
imparare che ci sono cose che vanno lasciate alle spalle:
l’ira era
una di queste. Razionalmente sapeva anche lei che i pirati erano
feccia, che quello che facevano i marine era fermarli e che era
proprio la pirateria la causa maggiore di morti nel mondo, ma pestare
a sangue chiunque gli si fosse parato di fronte non era la soluzione.
Non volevano, non dovevano essere quel tipo di marine, ce
n’erano
già troppi così, troppo impegnati a far vedere
quanto fossero
potenti per pensare davvero a ciò di cui la gente aveva
bisogno,
troppo impegnati a usare la forza per usare la testa; no, loro
dovevano essere migliori, dovevano essere ciò di cui le
persone
avevano bisogno.
Hina
sbuffò, osservando con irritazione il ponte inferiore e
l’uomo e
che chiacchierava di malavoglia con i compagni; ultimamente le cose
tra di loro erano peggiorate, o meglio, si era resa conto che non
parlavano più come prima. In parte era colpa sua, sentiva
come un
blocco ogni tanto, aveva quasi paura a dirgli le cose, a dirgli tutto
quello che le passava per la testa; una volta non si sarebbe fatta
certe paranoie, ma ora? Ora le cose iniziavano davvero ad essere
diverse, più passava il tempo e più Hina iniziava
a rendersi conto
di quanto fosse fondamentale per lei il rapporto con Smoker, di
quanto davvero fosse forte quel legame che si era creato con gli
anni. Ma era normale? Ogni tanto si ritrovava a osservare il soffitto
e a domandarsi se questo rapporto che avevano costruito fosse sano.
Bastava loro una sola occhiata per capirsi, un gesto per comunicare,
una parola per sottointendere un discorso. Continuavano a spostarsi
in coppia sia nell’addestramento che nelle esercitazioni ed
era
quasi come se vivessero in simbiosi, però mancava qualcosa e
durante
le sue notti insonni Hina aveva cominciato a domandarsi cosa fosse
quel vuoto che sentiva all’altezza dello sterno, quel
fastidio che
le attanagliava lo stomaco e le impediva di dormire.
Poi
aveva capito e si era messa il cuore in pace, con la placida
consapevolezza che quella che stava vivendo era solo adolescenza
arrivata in ritardo. Non poteva e non voleva permettere che i suoi
ormoni interferissero con la sua vita e non aveva intenzione di
lasciare che questi sentimenti che iniziava a provare rovinassero il
rapporto che lei e Smoker avevano costruito in quindici anni.
«Che
seccatura» sbottò saltando giù dal
ponte e salutando con un gesto
i ragazzi rimasti di turno sulla nave.
Water
Seven era più grande e bella di quanto si aspettasse,
immensi canali
d’acqua attraversati da piccole imbarcazioni, case che si
alzavano
verso il cielo estendendosi in altezza più che in larghezza,
ponti
in pietra a unire piccole strade lastricate ad arte; Water Seven era
un capolavoro dell’edilizia.
«Sembra
quasi una fontana» borbottò calandosi gli occhiali
da sole sul viso
e avviandosi verso la base, salvo poi rendersi conto che non aveva
idea di dove fosse.
«Non
sembra, lo è, non lo vedi?» esclamò una
voce alle sue spalle con
tono saccente «Se guardi in alto dovresti rendertene
conto».
«Guardassi»
fu la risposta automatica della ragazza, che si girò
distrattamente
a osservare il giovane dai capelli celesti che le aveva parlato
«Non
ce li hai dei pantaloni?»
«Ti
crea problemi il mio modo di vestire?»
«Facciamo
così tu mi dici dove trovo la base della marina e io non ti
arresto
per oltraggio alla decenza».
Il
giovane borbottò qualcosa tra i denti, ma le
indicò esattamente che
strada imboccare, quindi continuò per la sua strada,
dirigendosi
verso il porto e trascinandosi dietro un carico di legna.
«Tutti
io li trovo gli spostati» sbottò Hina
incamminandosi per i fatti
suoi.
Se
avesse continuato così, prima o poi, avrebbe di sicuro
cominciato a
fumare anche lei, se non altro per scaricare lo stress. Prima Smoker,
poi il demente in mutande, e ora cosa? Cos’altro?
«Ciao
principessa, che coincidenza!»
Era
maledetta. Non c’era altra spiegazione logica,
pensò, bestemmiando
interiormente nel vedere Stainless e Cancer avvicinarsi agitando una
mano.
«Tuo
marito non l’hai portato?»
«Vaffanculo,
Cancer. Non siamo sposati, se lo vuoi cercatelo».
«E
io che pensavo sapessi sempre dove trovarlo!»
«Hina
ti sembra la sua segretaria? Che vada al diavolo, anzi, sai che ti
dico? Andateci entrambi» sbottò afferrando
Stainless per una manica
e trascinandoselo dietro «Noi andiamo a bere».
«Non
sono sicuro di avere capito, ma a me va benissimo»
replicò
Stainless ridacchiando e facendo ciao ciao con la mano a Cancer che
era rimasto fermo impalato di fronte alla risposta al vetriolo
dell’amica.
«Si
può sapere che ti prende?» domandò una
volta ripresosi, tenendo
aperta la porta della locanda per farla passare.
«Niente
di che, sono solo seccata».
«Sì,
beh, tu sei sempre seccata» fece notare Stainless sedendosi
al
bancone e ordinando tre birre.
«Già
il tuo “sono seccata”
è come il “va tutto bene”
delle persone normali, solo che in questo momento sembri davvero
irritata».
«E
allora tu evita di fare domande» borbottò la
marine afferrando con
decisione il suo boccale.
Cancer
scoppiò a ridere e le accarezzò con affetto i
capelli; il lato
positivo dell’essere l’unica recluta donna del suo
anno era stato
che tutti l’avevano presa in simpatia, dopo un iniziale
tentativo
di prenderla sotto la propria ala protettrice i ragazzi si erano resi
conto che Hina non aveva alcun bisogno di protezione, in compenso non
aveva mai respinto alcun gesto d’affetto, sebbene avesse da
subito
dimostrato una certa riluttanza nei confronti del contatto fisico.
Tuttavia, dopo più di un anno che la conoscevano, potevano
dire, con
un certo grado di sicurezza (nonché di soddisfazione), che
persino
la principessina della marina era riuscita ad addolcirsi nei loro
confronti.
«Se
è di nuovo colpa di Smoker non ci pensare troppo»
le fece notare
Stainless girandosi verso di lei «Credimi, ne ho viste di
persone
come lui e dopo un po’ tutti riescono a trovare un loro
equilibrio».
«Non
esistono altre persone come lui» borbottò Hina
«Grazie al cielo o
diventerei scema».
«Ci
mancherebbe altro» celiò Cancer ridendo
«Me ne basta uno che mi
prenda a pugni».
«Piuttosto,
come sta andando con Yamakiji? Avete poi capito perché gira
sempre
con gli occhi chiusi?»
«Non
ne ho idea, ma non è male, è un
brav’uomo».
«E
cos’è venuto a fare il brav’uomo a Water
Seven?» continuò
Stainless accarezzandosi i piccoli baffi che iniziavano a crescere
sopra il labbro superiore.
«Credo
che debba fare un controllo sullo status di avanzamento dei lavori
della ferrovia. Dovrebbero finire quest’anno, no?»
«No,
hanno voluto che Tom desse la priorità alla linea diretta
verso
Eneis Lobby, mancano ancora da finire tutte le altre, ma il tratto di
ferrovia è decisamente più breve»
esordì Cancer, con tono più
serio «Le alte sfere hanno intenzione di sfruttare il vecchio
Tom
finché campa e dopo…»
«Dopo
cosa?» domandò Hina sollevando appena un
sopracciglio.
«Credi
davvero che abbiano intenzione di tenersi tra i piedi il carpentiere
che ha costruito la Oro Jackson?»
«Non
ci avevo mai pensato… Però non è
giusto».
«È
la marina, Hina, non un’associazione di benefattori per
poveri
derelitti» fece notare Stainless accendendosi un sigaro e
passandone
uno a Cancer.
«Non
si tratta di fare la carità, ma si rispettare degli accordi.
Non
stiamo parlando di un rifiuto della società, ma della
persona che ha
contribuito a migliorare l’economia e il tenore di vita di
intere
isole!»
«Hina,
quello che dici è indubbiamente vero, ma cosa accadrebbe se
un
domani dovesse presentarsi un futuro aspirante re dei pirati a
chiedere che gli venga costruita una nave?»
«Su
questa stessa base potremmo arrestare chiunque qui dentro
perché da
sbronzo potrebbe scatenare una rissa…»
«Hai
capito cosa voglio dire» continuò Cancer espirando
il fumo del suo
sigaro.
«Il
fatto che capisca non significa che condivida o che approvi».
«Lo
sappiamo, principessa» scoppiò a ridere Stainless,
mettendosi in
piedi «Ah – Ah, prima che lo dica tu, lo so
“Non chiamarmi
così”».
«Si
può sapere perché lo fai se sai che lo
detesto?»
«Mi
diverte la tua faccia» rispose l’uomo
allontanandosi «Io devo
rientrare, ci vediamo più tardi gente».
Hina
sospirò lasciandosi andare contro il bancone e masticando un
insulto
tra i denti.
«Ne
vuoi parlare?» domandò Cancer gettandole
un’occhiata di sbieco.
«Non
lo so» mormorò la ragazza tirandosi su e girandosi
verso di lui
«Hina non sa nemmeno cosa ci sia da dire».
L’uomo
la fissò negli occhi per qualche istante, quindi
allungò un braccio
e se la tirò vicina; Hina appoggiò il capo contro
la sua spalla e
socchiuse leggermente gli occhi, persa in un pensiero troppo rapido
perché potesse afferrarlo.
«Si
può sapere qual è il vostro problema?»
domandò Cancer, giocando
con i capelli legati dell’amica.
«Non
capisco».
«Lascia
stare, allora me ne vuoi parlare o no?»
«Non
so cosa dirti, Cancer, non so quale sia il problema e quindi non so
risolverlo».
«Credo
il problema sia che siete stati insieme troppo tempo e ora non
riuscite a capire quello che è ovvio per tutti gli
altri».
«Continuo
a non capire» borbottò la ragazza tirandosi su e
fissandolo negli
occhi con un lampo di irritazione.
Cancer
sogghignò, lanciando un’occhiata alla sala e
soffermandosi qualche
secondo sulla figura seduta in un angolo; sapeva di base di non
essere una persona cattiva e non lo faceva per dispetto (ok, forse un
pochino anche per quello), solo era profondamente convinto che Hina
avesse bisogno di darsi una svegliata e di sicuro non era la sola.
«Puoi
darmi un pugno se vuoi, dopo» celiò sorridendo.
Hina
lo osservò senza capire, finché Cancer non si
piegò verso di lei e
attirandola verso di sé con un braccio non
appoggiò le sue labbra
su quelle dell’amica, strappandole un leggero gemito di
protesta.
L’uomo esercitò una leggera pressione, facendosi
strada verso
l’interno della bocca della ragazza e si stupì di
trovare una
resistenza solo iniziale; Hina sussultò di fronte al gesto
inatteso
e il suo primo istinto fu quello di opporsi a quel contatto fisico
indesiderato, ma le labbra di Cancer erano più morbide di
quanto si
aspettasse e per un breve istante desiderò che quel bacio
continuasse, nonostante fossero in un luogo pubblico e la decenza
imponesse altrimenti.
Si
staccò quasi con riluttanza, senza riuscire a smettere di
pensare
che era stato molto più piacevole di quanto avrebbe mai
potuto
pensare. Cancer aprì un occhio, quindi vedendo che non
stavano
volando né ceffoni né cazzotti nella sua
direzione, aprì anche
l’altro, sorridendo con fare divertito.
«Fuori»
borbottò Hina con voce asciutta, afferrandolo per una manica
e
trascinandoselo dietro, senza nemmeno notare l’occhiata
penetrante
che Smoker le stava rivolgendo dal fondo della locanda: era la prima
volta che non si accorgeva nemmeno della sua presenza.
Yamakiji
aveva fatto il giro dell’intera isola prima di andare a
visitare il
famoso carpentiere Tom. L’uomo, o meglio, l’uomo
pesce di fronte
a lui non assomigliava per niente al pericoloso criminale di cui i
giovani marine avevano sentito parlare al quartier generale ed Hina
rimase quasi stupita di trovarsi davanti un individuo perfettamente
normale, forse anche più normale di molti dei suoi colleghi.
«Non
sembra pericoloso» borbottò la donna, sbirciando
oltre il Vice
Ammiraglio e cercando di individuare qualcuno che potesse
effettivamente costituire una minaccia.
Alle
spalle di Tom si trovavano solo due ragazzi che potevano avere
all’incirca l’età di Smoker, forse di
poco più vecchi, in uno
dei quali riconobbe il giovane senza pudore che le aveva indicato
dove trovare la base della marina.
«Signore?»
chiese in quel momento Smoker «Chiedo il permesso di
congedarmi se
non sono di alcuna utilità».
Yamakiji,
fin troppo buono per un individuo nella sua posizione,
sollevò le
spalle e sorrise appena.
«A
pensarci bene siete tutti congedati, non è necessario che
rimaniate
ad ascoltare quello che io e Tom abbiamo da dirci» concesse
l’uomo
ritirandosi nella casa del falegname.
Hina
annuì, compitamente, prima di afferrare Smoker per una
manica e
guardarlo storto.
«Non
potevi aspettare che ci congedasse lui?»
«Che
ti frega?» borbottò l’uomo,
allontanandosi con uno strattone e
dandole le spalle.
«Sai
che mi frega» ribatté Hina, sollevando un
sopracciglio «Hina sarà
anche sempre seccata, ma ci tiene a non vederti perennemente in
punizione, chi pensi che finisca con l’aiutarti ogni volta
che devi
lavare i cessi? E chi pensi che poi passi ore a tirarti fuori dalla
cella di detenzione?»
«Come
se ti avessi mai chiesto niente!»
«Si
può sapere perché ti comporti così?
Sai che fatica ho fatto da
quando ci siamo arruolati per non farti espellere? La
quantità di
favori che ho chiesto a mio zio? Puoi, per piacere, cercare almeno di
comportarti civilmente?»
Smoker
si bloccò di scatto e tornò a guardarla,
sibilando piano, senza
dimenticare di scandire per bene le parole.
«Non
ti ho mai chiesto io di farlo, Hina, anzi, sai che ti dico?
Perché
non ti trovi qualcosa di meglio da fare? Visto che hai già
trovato
come occupare il tuo tempo libero».
«Che?»
«Non
sei mia madre, non sei la mia balia, non sei in alcun modo
responsabile per me, quindi fammi un favore e torna a farti fare la
tracheotomia da Cancer» sbottò Smoker in tono
freddo.
Lo
schiaffo riecheggiò per la baia, ma nessuno parve farci caso.
«Sei
uno stronzo» disse la giovane, senza inflessione nella voce e
senza
espressione sul viso, con lo stesso sguardo che normalmente riservava
agli sconosciuti.
Smoker
non rispose, la osservò per qualche secondo mentre si girava
e se ne
andava camminando a lunghe falcate, quindi senza esitare le
girò le
spalle anche lui e si incamminò verso la nave.
Hina
avanzò di una decina di metri, prima di fermarsi dietro a un
muro
per cercare di regolarizzare il respiro; era più irritata di
quanto
non fosse mai stata e non riusciva a capire se a farla incazzare
fosse il fatto che Smoker aveva visto effettivamente quella scena
(nemmeno fossero una coppia) o per le parole che le aveva rivolto,
come ad evidenziare quanto il loro rapporto non valesse poi tanto
quanto lei aveva creduto.
«Signorina,
sta bene?»
Sollevò
lo sguardo di scatto, da dietro le lenti scure degli occhiali da sole
apparve un ragazzo di qualche anno più grande di lei, uno
dei due
che aveva notato in piedi a fianco a Tom.
«Sì,
tutto a posto».
«Il
suo collega le ha dato fastidio? Ha bisogno di che la accompagni in
città?»
Hina
scoppiò a ridere, divertita.
«Grazie,
ma sono abbastanza sicura di essere in grado di accompagnarmi da
sola. Il mio compagno è solo un testardo impulsivo, spero
sinceramente che scivoli in acqua, sia mai che gli si rinfreschi il
cervello».
Il
giovane di fronte a lei scoppiò a ridere a sua volta.
«Testardo
e impulsivo, eh? Credo di capire come si senta»
esclamò lanciando
un’occhiata al ragazzo semi svestito che cercava di sbirciare
dalla
finestra ciò che Tom e il Vice Ammiraglio stavano facendo
all’interno della casa.
«Oh,
il tizio che non ha idea di cosa siano i pantaloni»
borbottò Hina
seguendo il suo sguardo «Puoi darmi del tu se vuoi».
«Lo
conosci? Non è una cattiva persona, è solo
strano, bisogna saperlo
prendere. Piacere, comunque, sono Iceburg».
«Hina,
sei un falegname anche tu?»
Il
giovane annuì appoggiandosi accanto a lei contro il muro.
«Sono
uno degli apprendisti di Tom».
«Oh,
quindi la ferrovia è anche merito tuo?»
esclamò la ragazza con una
nota leggera di ammirazione nella voce «È un
lavoro portentoso!»
«E
se continuiamo di questo passo anche infinito»
commentò il giovane.
«Oh,
giusto, vi hanno obbligato a cominciare da Eneis Lobby e ora manca il
resto».
«Immagino
che il governo abbia le sue esigenze» borbottò con
una nota amara
nella voce «In ogni caso siamo i migliori che ci siano in
giro, al
massimo altri quattro anni e vedrai, sarà la migliore
ferrovia che
tu abbia mai visto».
«Non
mi dire» scoppiò a ridere la marine.
«Vorrà
dire che dovrai tornare qui prima o poi».
«Se
non mi avranno arrestato prima per avere brutalmente ucciso e fatto a
pezzi qualche collega volentieri» ridacchiò la
ragazza
allontanandosi e salutando il giovane con la mano.
In
fondo che senso aveva prendersela? Smoker voleva comportarsi da
stronzo? Facesse pure, non si sarebbe fatta rovinare il soggiorno su
un’isola così bella dagli sbalzi d’umore
di un demente, anche se
il demente in questione era il suo migliore amico.
La
base della marina era più grande di quanto non immaginasse,
e non le
ci volle molto per perdersi quando tentò di farlo; non aveva
intenzione di stare vicino a nessuno, tantomeno a persone conosciuta.
Non voleva vedere la faccia di Smoker, né quella di Cancer e
a dirla
tutta non voleva vedere nessun volto noto, consapevole che le ci
sarebbe voluto molto poco per picchiare qualcuno.
Era
capitato in passato che lei e Smoker avessero delle discussioni, era
capitato persino che si dicessero cattiverie, era più che
normale
avendo loro convissuto così a lungo in stretta vicinanza, ma
nessuna
delle volte precedenti c’era stata una così
evidente intenzione di
ferirla, di farle pesare qualcosa che non sarebbe dovuto nemmeno
essere affar suo.
«Ehi,
tutto bene? Ti abbiamo cercata ovunque?»
«Cancer?
Che vuoi?» borbottò la ragazza, spostando il
bicchiere di vino che
aveva di fianco per lasciargli lo spazio per sedersi.
«Oh,
niente di che, solo che eri sparita».
«Non
me ne frega niente, demente. Intendevo cosa vuoi in generale».
«Oh,
quello. Niente di che, diciamo che mi andava di farlo?»
Hina
non rispose, soppesando quella risposta, come a decidere se la cosa
le stesse bene o meno e, in realtà, le sarebbe anche stato
bene così
se Cancer non avesse continuato a parlare.
«E
volevo infastidire Smoker».
«Ti
eri accorto che c’era?» domando la giovane
irrigidendosi
impercettibilmente.
«Certo
che sì».
Hina
si tirò in piedi e gli piazzò in mano il
bicchiere da cui stava
bevendo.
«Si
può sapere che razza di problema al cervello avete tutti
quanti?»
sbottò allontanandosi più irritata che mai.
«Eddai!
Hina!»
«No,
Hina il cazzo. Hina è furibonda, lasciatela stare»
fu l’ultima
cosa che disse prima di sparire dalla sua vista.
Cancer
sospirò, osservando con aria dispiaciuta il bicchiere che si
ritrovava in mano.
«Questa
volta siamo morti» commentò bevendolo tutto
d’un sorso.
Hina
uscì dalla base ignorando i richiami dei suoi compagni,
incamminandosi per le strade della città, senza nemmeno
sapere bene
dove stesse andando; la luce soffusa illuminava le pietre grigie, a
tratti piccole pozzanghere sporche rifrangevano la luce riflettendola
verso il cielo, lo scorrere regolare dell’acqua nei canali
accompagnava il suo passo leggero e la giovane si ritrovò
ben presto
a desiderare di non essere lì. Water Seven era troppo bella,
troppo
affascinante e troppo piena di mistero per lei quella sera; sembrava
una città magica che la richiamava verso il suo centro nel
tentativo
di inglobarla tra le sue calli e i suoi ponti sospesi su canali
troppo stretti.
«Ma
che sto facendo?» sbottò osservando il suo
riflesso nell’acqua.
Non
che avesse una risposta, continuò a camminare, cercando di
pensare
il meno possibile, fermandosi solo una volta per affacciarsi a una
piccola locanda in una zona fin troppo malfamata della città.
Si
fermò soltanto quando arrivò ai cantieri navali,
rendendosi conto
di essersi allontanata troppo; in lontananza riusciva a vedere la
stazione del treno che connetteva Water Seven a Eneis Lobby.
Si
strinse le ginocchia al petto, sentendosi improvvisamente molto
piccola; il vento le scompigliò i capelli, portando fino a
lei
l’odore salmastro del mare e Hina sentì improvvisa
nostalgia della
vita su una nave. Prima sarebbero ripartiti meglio sarebbe stato per
tutti, così magari si sarebbero lasciati quella storia alle
spalle.
Strizzò
gli occhi, cercando di evitare di scoppiare a piangere e
tirò fuori
dalla tasca uno striminzito pacchetto di sigarette, comprate poco
prima; la prima boccata fu tanto fastidiosa quanto amara, il fumo
acre della sigaretta scese lungo i polmoni bruciando come il diavolo,
scacciando la voglia di scoppiare a piangere.
Rimase
qualche istante immobile, a osservare le leggere volute di fumo
grigio che si sollevavano dalla sigaretta, finché una voce
non la
richiamò alla realtà.
«Ti
sei persa?»
Era
rimasta così assorta nei suoi pensieri che non lo aveva
nemmeno
sentito arrivare, il ragazzo era in piedi a pochi passi da lei e
sorrideva.
«Posso
sedermi?»
«Iceburg,
giusto?»
«Esatto,
che ci fai qui? Non è una zona molto frequentata questa, a
meno che
tu non sia qui per farti costruire una nave, anche se credo di
doverti avvisare: il treno marino ha la precedenza».
Hina
sorrise, senza guardarlo, ma lasciando che le si sedesse a fianco.
«Camminavo
e sono finita qui, niente di che» rispose a bassa voce
«Come vanno
i lavori del vostro treno?»
«Se
non consideri la scarsità di materiali e gli intoppi
costanti, bene.
Ma come dicevo oggi dacci tempo quattro anni».
«Quattro
anni, già» Hina si accese una seconda sigaretta.
«Brutta
giornata?» domandò Iceburg, appoggiandosi con i
gomiti ai gradini
retrostanti e rimanendo a fissarla.
«Un
incubo, di quelle in cui ti domandi come mai tu ti sia alzata la
mattina» borbottò la ragazza, stringendosi di
più le gambe contro
il petto e affondando il viso nelle ginocchia.
«Vuoi
parlare? Tom dice sempre che parlare fa bene e credo abbia ragione,
anche se, quando ero piccolo, odiavo tremendamente sentirmelo
dire».
Hina
scosse il capo, percependo che qualcosa andava incrinandosi dentro di
lei; non fece nemmeno in tempo a chiedergli di andarsene, a dirgli
che avrebbe voluto rimanere sola, che già la prima lacrima
aveva
iniziato a scendere e una seconda e una terza. E la cosa più
irritante, per una come lei, non era tanto l’essere vista, ma
il
non aver nemmeno la forza di spiegare quanto quelle fossero lacrime
di rabbia e frustrazione e non lo sfogo improvviso di una ragazza
troppo debole per fare il marine.
Iceburg
non disse niente, continuò a guardarla, ascoltando i
singhiozzi
trattenuti appena, non cercò di consolarla con frasi di
circostanza,
né di trovare parole adatte che sentiva di non conoscere. Si
limitò
a prenderle la mano e la tenne stretta, finché non si fu
calmata,
quando, dopo pochi minuti, il respiro della ragazza tornò a
farsi
più regolare e la vide asciugarsi le lacrime con la manica
della
divisa, finalmente Iceburg parlò.
«Vieni,
ti porto a vedere una cosa».
Hina
non fece storie, sollevò appena un sopracciglio, incerta se
seguire
un perfetto sconosciuto tra i rottami sconnessi della falegnameria,
ma allo stesso tempo intrigata. Aveva sempre pensato di essere
piuttosto brava nel riconoscere il carattere delle persone e, fin dal
loro primo incontro, l’impressione che aveva avuto di Iceburg
era
stata più che positiva, le era parso una persona matura,
intelligente, perfino brillante e, soprattutto, le era parso una
persona gentile.
«Credo
che sia mio dovere avvisarti che se hai cattive intenzioni non
esiterò a prenderti a pugni, anche se mi hai tenuto la mano
fino a
sei secondi fa».
«Mi
sembra legittimo, dai vieni».
Le
assi di legno e di metallo costituivano un vero e proprio labirinto,
superarle e passarci attraverso era come superare un percorso a
ostacoli e ad Hina ricordò vagamente
l’addestramento.
«Ok,
se sai mantenere un segreto ti faccio vedere una cosa,
pronta?»
«Come
no» fu la sarcastica risposta, mentre cercava di non andare a
sbattere contro un palo troppo sporgente.
«Ecco
il primo prototipo di treno marino! Quello che viaggia ora sui binari
è più stabile e definitivo, ma questo
è stato il primo. La prima
locomotiva a spostarsi sull’acqua».
Hina
rimase senza parole, ammirando per qualche istante l’enorme
macchina a vapore.
«Hina
è affascinata» mormorò piano.
Iceburg
si girò a osservarla, divertito, senza trovare il coraggio
di
ribattere con qualcosa di arguto, così la ragazza
continuò,
sedendosi a terra e rimanendo ferma a osservare la locomotiva.
«Ti
va ancora di ascoltarmi?» domandò.
E
così Hina iniziò a parlare, cercando di trovare
la forza per
aprirsi a un completo estraneo, per riuscire, nel raccontare i suoi
problemi a uno sconosciuto, a dipanare quella matassa di ansie e
incognite che era andata creandosi di fronte ai suoi occhi e che ora,
mano a mano che parlava, sembrava essere così semplice da
sciogliere. Ben presto le frasi sconnesse si trasformarono in
discorsi compiuti, le sue parole dapprima incerte divennero
più
ferme e sicure, e, ad indicare che a parlare fosse la stessa persona
dallo sguardo freddo e la lingua tagliente a cui i suoi compagni
erano abituati, rimasero solo le frasi in terza persona. Iceburg
ascoltò in silenzio, intervenendo solo dove necessario,
cercando di
farle capire cosa volesse e cosa fossero quelle nuove esigenze che
andavano crescendo in lei. Seppure non la conoscesse percepì
in quel
momento una sensazione di particolare affinità nei confronti
di
quell’estranea; sentì che quello Smoker di cui
parlava non era
così diverso da Franky e sentì di capirla, almeno
in parte.
«Non
stupirti» le disse «Hai passato la gran parte della
tua adolescenza
tra allenamenti e autocontrollo. Sei maturata in fretta, ma nel farlo
hai messo da parte i tuoi ormoni. Nessuno ti vieta di essere forte e
di essere anche una donna. Amare e vivere i propri sentimenti e le
proprie esigenze fisiche non è sbagliato».
Parlarono
così tanto che quasi non si accorsero del trascorrere delle
ore e
quando Iceburg si chinò per baciarla Hina non si sottrasse,
quando
le sfilò con delicatezza la casacca, non glielo
impedì, né lo
fermò quando l'uomo le chiese se fosse sicura di quello che
stava
facendo perché pentirsene all'indomani sarebbe stato peggio
che
fermarsi in quel momento.
Hina
non si fermò, lo fissò per qualche istante e
decise che non si
sarebbe pentita e, in effetti, non lo fece.
«Hai
iniziato a fumare?»
Hina
era seduta sul parapetto della nave, in attesa di allontanarsi
dall’isola; osservava la città con aria distratta,
senza pensare a
niente di preciso. Quando Cancer le si avvicinò si accorse a
malapena della sua presenza e se l’uomo non le avesse rivolto
la
parola forse nemmeno l’avrebbe notato.
«Hina
ha pensato che fosse meglio iniziare a fumare che farsi venire
un’ulcera» disse con voce pacata.
Cancer
si appoggiò al parapetto, fissandola per qualche istante con
un
sorriso sornione; i suoi occhiali scuri riflettevano la luce del sole
e Hina si domandò se fosse quello l’effetto che
facevano anche su
di lei.
«Non
mi dire, hai così tanti problemi che hai perso il
conto?»
«Smoker,
degli amici deficienti, un viso troppo carino per questo mondo e
un’avversione per le persone» rispose la ragazza
sollevando le
dita una ad una «Sono quattro. Tu rientri tra gli amici
deficienti».
«Lusingato.
Allora, va meglio?»
«Sai,
vero che non dovresti proprio essere tu a chiedermelo?»
«Forse
no» concesse l’uomo «Ma almeno mi stai
parlando. Sono io o sei
più rilassata del solito?»
«Forse»
borbottò la ragazza «E comunque sì, mi
è passata, però ti sarei
grata se non lo rifacessi. Sicuramente non per dar fastidio a
Smoker».
«È
un modo carino per dirmi che se avessi semplicemente voglia di
baciarti potrei farlo?»
«No,
demente, è un modo per dirti che a questo giro Hina non ti
affoga,
ma se lo rifai non si farà alcun problema a prenderti a
pugni».
Cancer
piegò le labbra in una finta smorfia e le
appoggiò il mento su una
spalla.
«Così
mi uccidi! Pensa a che figli bellissimi potremmo avere, pensa a che
futuro brillante».
«La
finisci, beota?» scoppiò a ridere la ragazza
scollandoselo di dosso
e rimettendosi in piedi.
«Nemmeno
uno scappellotto? Hina deve essere proprio di buon umore oggi?
Cos’è
hai fatto qualcosa che non so?»
«Cancer
hai tre secondi per sparire prima che Hina si secchi».
«Hina
è molto carina quando è seccata, ma me ne vado lo
stesso» celiò
allontanandosi e agitando la mano «Ma non pensare che mi
dimentichi
di questo tuo buon umore del tutto fuori luogo».
«Sai
cos’altro è fuori luogo?»
sbottò la giovane sporgendosi dal
parapetto per farsi sentire da Cancer, oramai sulla banchina del
porto «La tua vita!»
L’uomo
sventolò con grazia un dito medio, prima di sparire per le
strade
della città, non aveva fatto che pochi metri che si
ritrovò ad
andare a sbattere contro l’ultima persona che avrebbe voluto
vedere
in quel momento.
«Vuoi
un occhio nero?» sbottò Smoker fissandolo con
astio.
«Oh,
ma che palle che siete tutti quanti! Riunitevi e fate il gruppo
prendiamo a cazzotti Cancer!»
«Tutti
chi? Levati da davanti che la tua faccia mi irrita».
«Tu
e Hina, genio. Non mi dire che te la sei presa per quanto accaduto
ieri!»
«Cosa?
Non è un problema mio con chi Hina passa il suo
tempo» borbottò il
ragazzo con una nota di astio nella voce.
«Oh,
non mi dire che sei davvero geloso» celiò
l’amico scoppiando a
ridere ed evitando un calcio negli stinchi per pura fortuna.
«Non
sono geloso» sibilò Smoker.
«E
invece sì, cosa ti turba? Dai, seriamente, sii onesto con te
stesso
per una volta, potrò anche darti i nervi, e non nego di
divertirmi
moltissimo a farlo, ma siamo amici, Smoker, e non sono un idiota, ti
conosco abbastanza bene da capire che ti dia fastidio il mio
comportamento con Hina».
«Non
è quello, ti piace e vuoi provarci? Sentiti libero di farlo,
non
sono geloso» sbottò nuovamente il ragazzo
aspirando il fumo del
sigaro e lanciando all’amico un’occhiata in tralice.
«E
allora si può sapere quale sia il problema?»
«Cosa
vuoi che ti dica, Cancer? Io e Hina siamo cresciuti assieme, abbiamo
trascorso gli ultimi dieci anni della nostra vita assieme, è
così
strano che ora mi dia fastidio vederla allontanarsi? Non sono geloso
di lei in quel senso -»
«Ma
hai paura di passare in secondo piano? O di diventare l’amico
di
scorta?» Cancer scoppiò a ridere, divertito
dall’espressione
scocciata sul viso di Smoker «Dovresti avere più
fiducia in lei».
«E
tu dovresti farti i cazzi tuoi» sibilò prima di
allontanarsi a
grandi falcate, rimpiangendo di essersi fermato a parlare.
Sperò
di riuscire a lasciarsi Water Seven alle spalle il più prima
possibile e quando la nave salpò dal porto tirò
un sospiro di
sollievo; non che le cose fossero in procinto di migliorare, Hina
sembrava evitarlo e non ci volle molto perché Smoker si
rendesse
conto di avere tirato un po’ troppo la corda durante la loro
ultima
discussione.
Per
tutta la durata del viaggio non si rivolsero la parola, anche se, se
ne rendeva conto lui per primo, sarebbe bastato scusarsi e le cose
sarebbero tornare come prima, Hina lo avrebbe insultato, gli avrebbe
dato dell’idiota e poi lo avrebbe obbligato ad ascoltarla
mentre
gli raccontava cosa fosse effettivamente accaduto.
Quando
giunsero a Marineford, tuttavia, non ebbe nemmeno la
possibilità di
avvicinarsi, pareva che la ragazza facesse di tutto per non trovarsi
nella stessa stanza con lui; era spesso in visita da sua zia, ad
allenarsi da qualche parte, a fare da segretaria ad Aokiji, a portare
messaggi inutili a Sakazuki.
E
quando, dopo circa un mese, Smoker si rese conto di non riuscire
più
a reggere la situazione, oramai era troppo tardi. Non seppe mai bene
come, ma Hina venne imbarcata su una delle navi satellite della
flotta comandata da Tsuru e, per qualche tempo, sparì.
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