Nella Tana del Bianconiglio

di Lily Liddell
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Prologo
 
Gli auricolari nelle orecchie, la musica a palla e un cappuccio calato fin quasi agli occhi le evitavano un qualsiasi contatto con il mondo esterno.
Teneva lo sguardo basso mentre camminava a passo svelto, senza nemmeno guardare dove stesse andando – i suoi piedi ormai conoscevano a memoria quel tragitto.
Il sole era tramontato da poco, e le luci dei lampioni illuminavano la strada. Per un attimo le era sembrato di essere seguita, ma poi si era resa conto che si trattava solo di una delle diverse ombre che proiettava sull’asfalto.
Ogni elemento del parco che la circondava sembrava muoversi a ritmo di musica. Le fronde degli alberi danzavano lentamente, e perfino le altalene oscillavano ritmicamente, spinte piano dal vento.
Era da sola, ma la sua anima era cullata dalle note della canzone che stava ascoltando, e sapeva che più si avvicinava alla sua destinazione, prima avrebbe dovuto interrompere quel contatto intimo che si creava fra lei e il mondo esterno, durante quei momenti in cui in realtà si isolava.
Le avrebbero fatto tenere il telefono in clinica? Probabilmente no…
Non approvava la decisione dei suoi genitori, soprattutto perché era passata da tempo l’età in cui sarebbe servito solo la loro firma per qualcosa del genere – ma si era fatta convincere che quella sarebbe stata la soluzione per lei.
Da lì a due giorni, Alice Carmichael sarebbe stata ricoverata nell’Istituto Psichiatrico di Salute Mentale R. J. Johnson e non aveva idea se ne sarebbe mai più uscita.
Arrivata a casa, fu accolta da un’aria gelida proveniente dalla finestra del salotto che era stata dimenticata aperta.
Spense la musica e all’improvviso il silenzio le crollò addosso, soffocandola. La casa era scura e silenziosa, nemmeno un rumore osava disturbare quella quiete. Entrambi i suoi genitori erano ancora al lavoro, probabilmente. Insieme gestivano un vivaio, nella periferia di Londra.
Avrebbero voluto che la loro figlia studiasse per diventare dottoressa, o avvocato, magari – e invece lei aveva lasciato il liceo e viveva la sua vita immersa nel suo mondo fatto di musica, libri e fantasia.
Quattro sere a settimana lavorava come cameriera in un bar vicino, ma quella sera non avrebbe dovuto farlo, filò quindi dritta in camera sua e accese il pc.
Non potendo sopportare quel silenzio, e approfittando dell’assenza dei genitori,  Alice fece partire la sua playlist preferita, e le note musicali cominciarono di nuovo a riempire lo spazio vuoto lasciato dal silenzio.
Ancheggiando a ritmo di musica e lasciando ciondolare in avanti la testa china, Alice si diresse verso il suo letto, dove poi si lasciò andare con un sospiro stanco. Chiuse gli occhi, perdendosi ancora di più in quelle melodie, di una canzone che parlava di cuori infranti e rose rosse.
Solo dopo essersi rilassata a sufficienza, la ragazza si sdraiò prona sul materasso, allungando una mano per poter raggiungere il cassetto del suo comodino. Tirò fuori un sacchettino con dentro una piccola striscia colorata; dalla striscia ricavò tre piccoli quadratini di carta, che poggiò sulla lingua, inspirando lentamente.
Chiuse gli occhi, e stavolta si distese supina, aspettando che l’LSD facesse effetto. Quelle sostanze l’aiutavano a mettersi in contatto con la parte più interna di se stessa.
Le voci che parlottavano nel suo cervello diventavano più chiare, più distinte, più vere.
Aveva un diario, in cui scriveva quasi quotidianamente, ma le parole che vi scrisse quella sera furono poche. Tre brevi frasi, semplici e concise:
Vorrei che questi istanti potessero durare in eterno. Vorrei poter decidere per me stessa. Vorrei poter essere normale, e smettere di sentire le voci.”




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