Ottobre
Era ottobre quando ci
siamo visti per la prima volta.
Ricordo ancora il tuo
cappottino rosa confetto macchiato
dalle gocce di pioggia e mia madre che cercava di consolarti.
Quel giorno pioveva a
dirotto e tu eri triste.
Non ti è mai
piaciuta la pioggia.
Odiavi vedere le gocce
minuscole scorrere lentamente sul
vetro della finestra della tua camera.
Odiavi dover restare in
casa e mi invidiavi perché io
potevo uscire.
Mi guardavi giocare a
pallone nel cortile e sospiravi,
chiedendoti perché non potessi giocare con me.
Ti arrabbiavi quando
tornavo a casa tua perché i miei
erano ancora in centrale e scoprivi che avevo la febbre.
Con finta indifferenza
mi sfioravi la fronte e il tuo
cuore cominciava a battere più veloce; poi mi costringevi a
stendermi nel tuo
letto e ti sedevi accanto a me.
Quante volte mi hai
tenuto compagnia con il tuo sorriso
finché mia madre non tornava a prendermi!
Quando sentivi il
campanello suonare diventavi
improvvisamente triste e i tuoi splendidi occhi si offuscavano.
Mi salutavi educatamente
e mi davi appuntamento al giorno
successivo, sperando che non piovesse.
"Ottobre non
farà più il dispettoso" mi
assicuravi sorridendo dolcemente, poi mi davi un bacio sulla guancia e
ti
eclissavi nella tua camera, lasciandomi davanti alla porta imbambolato
e
provocando sguardi d'intesa tra le nostre mamme.
Ma ad un certo punto non
mi hai baciato più.
Ricordo bene
quell'ottobre.
Eri diventata
più alta, più formosa, i tuoi capelli si
erano allungati e tuo padre non faceva altro che parlare di te.
Elogiava continuamente
le tue qualità e cominciava a
fissarmi con sospetto, ma io non ci facevo molto caso.
Continuavo normalmente
la mia vita.
Anche tu ti comportavi
in modo sempre più strano: parlavi
di meno, non riuscivi mai a guardarmi negli occhi.
Ogni volta che ti
sorridevo abbassavi la testa,
imbarazzata e io continuavo a chiedermi cosa stesse accadendo.
Ma un giorno accadde
anche a me.
Mi confessasti di
esserti innamorata di un ragazzo e
improvvisamente sentii una fitta allo stomaco.
Mi dava immensamente
fastidio sapere di non essere più
l'unico ragazzo che ti parlava.
Ero geloso, ma non
potevo dimostrartelo.
Mi ero innamorato di te,
ma non potevo dirtelo.
Mi vergognavo
immensamente della mia situazione e
continuavo a restare zitto.
Dopotutto, era
l’unica cosa che potevo fare.
Quante notti insonni ho
passato!
Pensavo a te, a quel
ragazzo che mi avevi confessato ti piaceva. Cercavo di immaginarlo, di
fissare
per sempre nella mia mente il tuo viso mentre mi parlavi di lui, gli
occhi
adoranti, le guance rosse, di immaginarti sorridere mentre lui ti
baciava,
stringevo i pugni, cercando di allontanare dai miei pensieri il momento
in cui
lui ti avrebbe sfiorata per la prima volta.
Diventavo furioso,
sapendo che non sarei stato io a
farlo, ma subito, arrossendo, cancellavo quel pensiero così
poco casto dalla
mia mente.
Ero poco più
che adolescente e scene del genere si
ripetevano nella mia testa a velocità impressionante, anche
se io cercavo di
scacciarle.
Ma era tutto
impossibile.
Ormai,
dall’inizio di quell’ottobre, nella mia testa
c’eri solo tu.
Continuavo a pensarti e
a maledirmi mentalmente perché
non ero abbastanza coraggioso da starti accanto, non ero abbastanza
coraggioso
per schiacciare il mio orgoglio smisurato e confessarti tutto, come tu
avevi
fatto con me.
Tu sapevi che io avrei
riso, ma mi avevi confessato
comunque quello che provavi per me,
sperando che non mi accorgessi di nulla.
Sì, quel
ragazzo che ti piaceva ero proprio io, ma ovviamente non
l’ho mai capito.
Non fino a qualche tempo
fa, almeno.
Non fino a quando, lo
scorso ottobre, Kudo mi ha spiegato
tutto.
Certo, sentirmi dire una
cosa del genere da un bambino è
stato molto imbarazzante, ma dopo mi
sono sentito meglio, oltre che rosso, rossissimo in volto per un
sentimento che
non ancora riesco a comprendere cosa possa essere, a distanza di
qualche mese,
e Kudo deve essersene accorto, visto che ha cominciato a sghignazzare
come un
pazzo.
Non so
perché, ma finalmente mi sono sentito sereno,
sicuro. Sicuro che tu non volessi nessun’altro.
Sicuro che tu volessi me.
Oggi, ironia della
sorte, è di nuovo ottobre.
E’ passato un
anno da quando Kudo mi ha aperto gli occhi,
diciassette anni da quando ci siamo visti per la prima volta, sette
anni da
quando ho capito di amarti, ma la situazione non è cambiata.
Tu sei seduta accanto a
me, le mani giunte per cercare di
dar loro calore, le guance arrossate, ma questa volta non a causa mia.
La pioggia ti
infastidisce ancora.
Sono passati
così tanti anni, eppure tu non sei cambiata
affatto. Sei sempre la bambina che metteva il broncio quando mi vedeva
correre
sotto la pioggia, che mi baciava quando scopriva che dovevamo
salutarci.
Sei sempre tu.
Calda e rossa nel freddo di ottobre.
“Sto
congelando” ti lamenti sbuffando e guardandomi
storto. Siamo in uno squallido bar e attendiamo l’ennesimo
cliente a cui devo
offrire il mio aiuto. Io sghignazzo in risposta e tu arrossisci,
risentita.
Non sono proprio capace
di calpestare il mio orgoglio, cazzo.
Ma voglio provarci ancora.
“Scusami,
Kazuha. Perciò non volevo che venissi.” Dico ad
un tratto, spostando lo sguardo sul vetro appannato di una finestra
vicino a
noi e fissandola con attenzione.
Lei, posso vederla
tramite il vetro, arrossisce di nuovo.
Poi sbuffa.
“Non fa
niente, ormai ci sono abituata.”
La mia bocca si piega in
un altro mezzo sorriso.
Lo so benissimo.
Mi alzo in piedi, con
aria annoiata, e mi tolgo la
giacca, poi gliela poso piano sulle spalle.
Kazuha arrossisce,
confusa.
“Così
non sentirai più freddo” spiego velocemente,
voltandomi per non guardarla negli occhi.
Sono arrossito anche io,
anche se dalla espressione di
sfida che adesso c’è sul mio viso non si direbbe.
Mi aspetto che lei
risponda. Voglio che risponda.
Di’ qualcosa,
Kazuha, cazzo.
“Beh…
grazie.”
Si morde un labbro,
imbarazzata, e mi sorride.
“Per fortuna
non sei così ingrata come credevo.”
Cazzo, l’ho
fatto di nuovo.
Scusami, Kazuha,
scusami. Ti giuro che non voglio, ma è
più forte di me.
Adoro vederti arrossire.
Il tuo volto si fa rosso
di colpo e i tuoi occhi
scintillano d’ira.
Stai per scoppiare.
I tuoi occhi dardeggiano
su di me per un attimo che io
credo sarà l’ultima volta nella mia vita.
“Hattori
Heji!” strilla ancora rossa in volto, mentre
l’intera clientela del locale si volta a guardarci, anche se
sembra che non le
interessi, dato che non si sforza neanche un po’ di abbassare
la voce. “L’ingrato sarai tu!”
Vedo la sua mano
agitarsi un attimo nell’aria e poi
schiantarsi sulla mia guancia con uno schiocco assordante.
Mi ha dato uno schiaffo.
“Kazuha…”
mormoro, fissandola incredulo.
Lei mi interrompe ed
esclama: “Ti sta bene”, poi comincia
a guardare fuori dalla finestra, rossa in volto, apparentemente molto
interessata alle
automobili che sfrecciano fuori sulla strada, incuranti di quello che
è appena
successo.
“Finisce
sempre così” mi ritrovo a pensare con un sospiro,
mentre guardo i suoi capelli ondeggiare a causa dei lievi movimenti che
fa per
mettersi comoda sulla sedia.
Non riesco mai a farti
comprendere quanto sei importante
per me.
Arriverà,
però, il momento e finalmente saprai quanto
tengo a te.
Sono certo che un giorno
riuscirò a dirtelo.
Potrebbe essere oggi,
domani, dopodomani, tra una
settimana, tra un mese.
O forse nel prossimo
ottobre. Un
lieve sorriso compare
sulle mie labbra e, riflesso nel vetro, il tuo, imbarazzato, lo
accompagna.
*^*^*
Perchè mi
deve mancare sempre il coraggio quando devo pubblicare in una sezione
nuova -per me relativamente-? ç_ç
Ecco la mia prima
Heiji/Kazuha.
Mi farebbe piacere
sapere cosa ne pensate. ^^
(Tradotto: voglio
sapere se ho rovinato questi splendidi personaggi *autostima livello
sotto lo zero*)
Spero possa esservi
piaciuta almeno un pò, nonostante tutto. :)
Un bacio,
Ayumi -ancora scoraggiata-
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