Alba Antica

di Lord Basch
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Guardai fuori dalla finestra, speranzoso. Speranzoso che quell’alba antica, che aspettavo da tempi immemori, arrivasse. Speranzoso che, oltre alla mia fine, portasse qualcos’altro. Qualcosa di nuovo, di diverso. Desideravo solo la pace, desideravo solo non dover tornare ancora, e di nuovo scomparire. Li avevo visti morire, mi ero visto morire e poi risorgere, come una fenice. Ma non loro. Loro non erano tornati, non erano riapparsi alle ultime luci di quel giorno, come me. Erano morti e basta.

La guerra infuriava, fuori dalla casa, ma non me ne curavo. Sapevo che mi aspettavano, per infondere coraggio alle truppe e per fare strage dei nemici. Mi chiesi se mi importasse, se il fatto che i miei alleati, là fuori, soccombevano, mi toccasse minimamente. La solita domanda mi riaffiorò alla mente: avevo una ragione per proteggere quelle persone, che avevano portato la guerra nelle mie terre, che mi avevano condannato, togliendomi anche quel poco che avevo? Mentre la luce mi lambiva ormai le dita, appoggiate al davanzale, chiusi gli occhi, iniziando a rifulgere come i profili dei monti illuminati appena dalle prime luci dell’alba. Svanii in un soffio di fiamme, meditando sulla possibilità di vendetta. Vendetta contro i miei stessi alleati. I miei creatori.

Tornai alle ultime luci del giorno, al crepuscolo, il momento in cui l’orizzonte non sembrava appartenere a quel mondo, bensì a una dimensione diversa, perennemente immersa in quel tripudio di calore, il calore di un sole che sembrava avere una volontà, una coscienza, e che, come me, non voleva scomparire, non voleva tramontare e poi sorgere, e tramontare di nuovo. Voleva restare alto nel cielo, come io volevo che la mia vita non fosse un inizio e una fine continua, un cerchio destinato a non chiudersi mai, ma una normale, banalissima linea, magari più corta della norma. Avevo perso tutto e tutti, non avevo uno scopo, una meta. Solo dolore e sangue, sangue e dolore. Ordini impartiti da un semplice mortale, che avrei potuto tranquillamente annullare, facendolo sprofondare in un oblio così profondo da non vederne il fondo. Avevo il potere di farlo, e lo sapevo. Cosa, allora, mi impediva di mutarmi in fiamma e ardere il mondo? Il volere divino? No, il volere divino era contro di me, gli dei non mi volevano, me lo avevano già dimostrato.

Indossai l’armatura, una protezione inutile, dato che disponevo già di una mia protezione, impenetrabile ad armi comuni e capace al tempo stesso di offendere.

Attraversai la landa, a passo spedito, immerso nella notte, nera come era bianca la mia corazza. Nessun bisogno di un cavallo, gli avrei solo fatto del male, come ne facevo a tutti gli essere viventi che toccavo. Lo provava la lunga scia di fuoco dietro di me, dove i miei piedi avevano calpestato il suolo.  Poi non volli più perdere tempo e, nel danzare di me, dei miei molteplici arti, spiccai il volo.





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