Guardai fuori dalla finestra,
speranzoso. Speranzoso che
quell’alba antica, che aspettavo da tempi immemori,
arrivasse. Speranzoso che,
oltre alla mia fine, portasse qualcos’altro. Qualcosa di
nuovo, di diverso.
Desideravo solo la pace, desideravo solo non dover tornare ancora, e di
nuovo
scomparire. Li avevo visti morire, mi ero visto morire e poi risorgere,
come
una fenice. Ma non loro. Loro non erano tornati, non erano riapparsi
alle
ultime luci di quel giorno, come me. Erano morti e basta.
La guerra infuriava, fuori dalla
casa, ma non me ne curavo.
Sapevo che mi aspettavano, per infondere coraggio alle truppe e per
fare strage
dei nemici. Mi chiesi se mi importasse, se il fatto che i miei alleati,
là
fuori, soccombevano, mi toccasse minimamente. La solita domanda mi
riaffiorò
alla mente: avevo una ragione per proteggere quelle persone, che
avevano
portato la guerra nelle mie terre, che mi avevano condannato,
togliendomi anche
quel poco che avevo? Mentre la luce mi lambiva ormai le dita,
appoggiate al davanzale,
chiusi gli occhi, iniziando a rifulgere come i profili dei monti
illuminati
appena dalle prime luci dell’alba. Svanii in un soffio di
fiamme, meditando
sulla possibilità di vendetta. Vendetta contro i miei stessi
alleati. I miei
creatori.
Tornai alle ultime luci del giorno,
al crepuscolo, il
momento in cui l’orizzonte non sembrava appartenere a quel
mondo, bensì a una
dimensione diversa, perennemente immersa in quel tripudio di calore, il
calore
di un sole che sembrava avere una volontà, una coscienza, e
che, come me, non
voleva scomparire, non voleva tramontare e poi sorgere, e tramontare di
nuovo.
Voleva restare alto nel cielo, come io volevo che la mia vita non fosse
un
inizio e una fine continua, un cerchio destinato a non chiudersi mai,
ma una normale,
banalissima linea, magari più corta della norma. Avevo perso
tutto e tutti, non
avevo uno scopo, una meta. Solo dolore e sangue, sangue e dolore.
Ordini
impartiti da un semplice mortale, che avrei potuto tranquillamente
annullare, facendolo
sprofondare in un oblio così profondo da non vederne il
fondo. Avevo il potere
di farlo, e lo sapevo. Cosa, allora, mi impediva di mutarmi in fiamma e
ardere
il mondo? Il volere divino? No, il volere divino era contro di me, gli
dei non
mi volevano, me lo avevano già dimostrato.
Indossai l’armatura, una
protezione inutile, dato che
disponevo già di una mia protezione, impenetrabile ad armi
comuni e capace al
tempo stesso di offendere.
Attraversai la landa, a passo
spedito, immerso nella notte,
nera come era bianca la mia corazza. Nessun bisogno di un cavallo, gli
avrei
solo fatto del male, come ne facevo a tutti gli essere viventi che
toccavo. Lo
provava la lunga scia di fuoco dietro di me, dove i miei piedi avevano
calpestato il suolo. Poi
non volli più
perdere tempo e, nel danzare di me, dei miei molteplici arti, spiccai
il volo.
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