A/N: ok, sono ufficialmente la
peggior persona del mondo. Avevo finito di tradurre questo capitolo ere
fa... e mi sono completamente dimenticata di postarlo *chiede perdono
in ginocchio*
Anyway... la faccio
brevissima... grazie a tutti voi che state leggendo questa storia, in
particolare alla mia fedelissima Regdoll_cat che lascia sempre un
commentino... grazie mille!!
Chapter
11: Foggy Nelson, avocado at law.
Una volta presa la decisione di ripartire al più presto possibile,
si erano ritrovati in breve tempo sull’auto di Claire, diretti verso
New York.
Nessuno di loro aveva dei bagagli, nemmeno Claire, anche se aveva con
sè una borsa di medicine e un termometro. Il piano prevedeva che lei
tornasse a Boston subito dopo essere tornati da Stick, per questo non
aveva bagagli con sè; tuttavia, era più che altro una scena a favore di
Matt. Non aveva alcuna intenzione di allontanarsi di nuovo dalla Grande
Mela. Probabilmente, il cieco aveva capito che in qualche modo lo aveva
raggirato per farlo stare buono, ma con la febbre era difficile dire
fino a che punto, ma ora se ne stava sdraiato tranquillo e addormentato
sul sedile posteriore con un cuscino di ghiaccio sulla testa, e questo
era l’importante.
Foggy era stato contento di vederlo addormentarsi, alla fine. Sarebbe
stato un lunghisssimo viaggio, e aveva avuto modo di testare con mano
quanto duro potesse diventare Stick, ed era certo che Matt avrebbe
avuto bisogno di tutta la forza che avrebbe potuto mettere insieme per
sopravvivere alla rabbia del suo mentore.
-Dorme?- gli chiese Claire, impegnata nella guida.
-Sì- Foggy stava cercando di mantenere la propria voce più bassa
possibile per non disturbarlo, ma avrebbe davvero voluto gridare fino a
non avere più voce o prendere a pugni… qualunque cosa per sfogare la
sua frustrazione e sentirsi (forse) un po’ meglio. Era nervoso e quando
era nervoso di solito lo esternava diventando talmente rumoroso da
diventare insopportabile. Ora, invece, l’unico sfogo che aveva era
quello di battere ripetutamente il tallone sul fondo dell’auto.
Era così che si sentiva Matt di solito? Non potè fare a meno di
chiedersi. Vedeva, o meglio, sentiva gli innocenti in pericolo e veniva
preso dall’impulso di agire? Sentiva che, se avesse avuto anche solo un
quarto dell’abilità di Matt avrebbe preso a calci quel vecchio cieco
senza pensarci due volte. Al tacco unì anche un quasi-istintivo aprire
e chiudere della mano destra a pugno. Decisamente, ora capiva, o
pensava di capire, perchè il suo amico si metteva quella maschera ogni
notte.
-Stai bene?- Foggy non rispose immediatamente alla domanda, era
sull’orlo di esplodere e si morse le labbra per obbligarsi a restare in
silenzio. Non era un buon momento per chiedergli se stesse bene.
Sussultò quando la mano di Claire sfiorò la sua in un gesto di
comprensione. Si voltò a guardarla con un sorriso triste in volto, la
rabbia scomparsa e sostituita dalla preoccupazione e dalla
rassegnazione: non era Matt, non aveva le sue capacità e non poteva
fare un dannato niente per aiutarlo. -Lo so- gli sussurrò -Sono
spaventata anche io-
-Lo sai che non può sopravvivere, vero?- riuscì a bisbigliare, entrambe
le sue mani ora serrate in pugni strettissimi. Chiuse anche gli occhi,
con forza, lottando per non piangere.
-E’ forte, Foggy- la mano si spostò lungo tutto il suo braccio, fino ad
arrivare alla spalla -So che non è in piena forma, ma è forte-
-Non mi preoccupo per il suo corpo. Stick lo obbligherà a uccidere
qualcuno come punizione, e userà la forza… o noi, per costringerlo a
obbedire.-
-Non puoi saperlo…- A Foggy non servivano i superpoteri di Matt per
spaere che mentiva o che comunque non credeva a quello che stava
dicendo, non davvero almeno. -Forse si limiterà a massacrarlo di botte…-
-... fino a ucciderlo. Non è che sia un’alternativa migliore.- suonò
più duro di quanto volesse, e realizzò che avrebbe preferito che Matt
uccidesse qualcuno piuttosto che perdere il suo migliore amico per
sempre. Con un gesto rabbioso si asciugò le lacrime, sforzandosi di non
singhiozzare apertamente. Non che dopo la notte in cui aveva trovato
Matt avesse altra dignità da perdere di fronte a Claire, ma perchè
sapeva che lui avrebbe
sentito.
All’improvviso, Claire fermò l’auto e aprì la portiera, scendendo. Fece
il giro attorno al veicolo e aprì anche quella del passeggero, in un
chiaro, invito a uscire accompagnato da un gesto deciso della mano.
Obbedì, non osando esitare di fronte alla risolutezza della ragazza,
che di nuovo aveva preso in mano la situazione. Esattamente come quella
sera. Sapeva cosa stava per arrivare. L’avrebbe, forse metaforicamente
o forse no, preso a schiaffi fino a quando non fosse tornato in sè.
Prima di occuparsi di lui, però, si preoccupò di chiudere bene le
portiere e i finestrini, in modo che Matt non prendesse freddo.
-Foggy- lo pregò invece prendendolo per le mani (e di sorpresa) -Ti
prego, sii forte. Piangi adesso se devi, ma Matt ha bisogno di noi. Ha
bisogno di te, adesso più che
mai-
-Non… non posso farlo, Claire. Io… è… è lui quello forte, lo è sempre
stato. Io sono solo quello che… che fa ridere-
-Lo so, Foggy. Credimi, lo so. Ma so anche quanto tu sia importante per
lui. Non ce la farà se tu non sarai lì a dargli la forza di cui ha
bisogno. E’ stato con lui solo un mese, e hai visto i risultati e,
credimi, hai saltato la parte peggiore. Quindi, ti prego, ti scongiuro.
Fai qualunque cosa ti aiuti a calmarti, poi sii Daredevil per Matt-
E questo lo uccise, quasi letteramente, perchè lui non era quel tipo di
persona.
Le strinse forte le mani, cercando disperatamente qualcosa da dire per
convincerla che gli stava chiedendo l’impossibile. Non era forte e di
certo non era senza paura. Non era riuscito a tenere Karen al sicuro e
adesso stava portando il suo migliore amico dritto nelle mani di un
uomo che lo avrebbe distrutto fin nel profondo dell’anima, che avrebbe
ucciso l’angelo all’interno di Matt liberando completamente il Diavolo,
e non poteva fare niente per impedirlo. -Foggy- insistette Claire
quando fu chiaro che non le avrebbe risposto -Puoi farcela. Devi
tentare, almeno. Per Matt ne vale la pena-
Aveva ragione. Matt aveva fatto così tanto per lui fin dal giorno in
cui si erano incontrati. Aveva fatto di lui l’uomo che era diventato,
spronandolo a credere in sè stesso quando pensava di essere troppo
stupido per andare avanti. Gli aveva fatto capire che se Matt era
quello dei discorsi che avrebbero convinto la giuria che il sole fosse
verde, Foggy era quello con l’occhio per i dettagli e le sfumature, e
che la cosa non era assolutamente meno importante. Gli aveva insegnato
che una buona difesa si costruisce proprio sulle minuzie e che se anche
era vero che la sua madre biologica gli aveva pagato l’università, la
laurea con lode era solo ed esclusivamente frutto del suo lavoro e che
aveva esattamente lo stesso valore della sua conquistata grazie alla
borsa di studio. Oltre a questo, Matt era (quasi) sempre stato un amico
sincero, l’unico che in tutto quel tempo non l’aveva (quasi) mai
deluso, e quando l’aveva fatto, Foggy ci aveva messo poco a sbollire la
rabbia e a capirne le motivazioni. Quel giorno si era rifiutato di
ascoltare, e aveva commesso un errore. Non ne avrebbe commesso un altro
sbaglio. Mai più. Annuì.
-Mi dispiace, Clare- si scusò, riacquistando il controllo -Grazie-
La ragazza sorride e gli diede un paio di pacche delicate sulla
guancia, e Foggy capì perchè Matt si era innamorato di lei; era forte e
risoluta, ma allo stesso tempo molto dolce, senza contare il fatto che
fosse anche bellissima. Un po’ gli ricordava quella ragazza greca che
aveva rubato il cuore di Matt al college, Elektra, ma, mentre all’epoca
tutto in quella giovane donna gli gridava che era portatrice di guai,
Claire sembrava, per il momento, pura luce, come se fosse l’altra
faccia della medaglia.
-Stai meglio?- gli chiese sottovoce.
-Me la caverò. Andiamo ora.- riuscì a sorriderle -Matt darà di matto se
si sveglia e scopre che ci siamo fermati-
-Ci fermeremo comunque- gli rispose lei -Dovremo tutti mangiare
qualcosa, incluso Matt-
Gli ci vollero ben 5 ore per percorrere i 340 kilometri che separavano
Boston da Hell’s Kitchen, una e mezzo in più di quanto indicato dal
navigatore installato sullo smartphone di Foggy, ma i due avevano
approfittato di ogni stazione di servizio per fermarsi e guadagnare un
po’ di tempo per Matt. Preso il cuscino di ghiaccio sintetico aveva
raggiunto la temperatura ambiente, riscaldato dalla mancanza di una
fonte refrigerante e dal calore della fronte del loro amico, quindi
l’avevano rimpiazzato con una t-shirt che Claire si era comprata
durante una delle loro soste. Ovviamente, questo aveva implicato
ulteriori, brevissime, fermate aggiuntive in modo da mantenerla fresca.
Matt aveva dormito quasi tutto il tempo, svegliandosi praticamente solo
per mangiare e bere. Ovviamente, aveva detto loro di non fermarsi solo
per colpa sua, e ovviamente loro si erano limitati a ignorarlo (Beh,
non esattamente, Claire si era più o meno imposta dichiarando che se
non fosse stato alle sue condizioni lo avrebbe portato dritto in
ospedale, e Foggy le aveva dato man forte, sostenendo che sarebbe
riuscito a far dichiarare Matt temporaneamente incapace di intendere e
di volere in conseguenza al trauma emotivo successivo alla scomparsa da
New York).
-Dove vado?- Chiese la ragazza al biondo nel momento esatto in cui
entrò nel quartiere.
-Ca… casa mia- A risponderle fu un Matt ancora mezzo addormentato,
mentre si metteva seduto -Devo… cambiarmi i vestiti e dobbiamo…
lasciare Claire-
-Non esiste, Matt! Vengo…-
-Questa volta ha ragione, Claire. Non possiamo metterti in pericolo,
senza contare che avremo bisogno di te-
E il sospiro dell’infermiera gli disse che avevano vinto almeno questa
battaglia. Guidò fino all’appartamento di Matt, dove gli lasciarono il
tempo di farsi una lunga doccia.
Mentre lo aspettavano, Foggy la strinse a sè ancora una volta.
-Grazie ancora, Claire. Per tutto-
-Tienilo d’occhio, per favore. E se vi dovesse servire aiuto, trova un
modo per chiamarmi, ok?-
-Lo farò. Tu resta fuori dai guai, ok?-
-Era proprio per questo che mi ero trasferita- sospirò la ragazza, ma
il tono con cui lo disse e il sorriso sulle sue labbra gli dissero che,
a conti fatti, un po’ avere Matt tra i piedi un po’ le era mancato.
***
Non voleva separarsi da loro, non così. Si sentiva come se li
stesse mandando allo sbaraglio, come se li avesse accompagnati fino a
qui per poi tirarsi indietro. Non era così, ovviamente, erano stati i
due ragazzi a imporsi e a convincerla che il suo viaggio sarebbe finito
lì, in quell’appartamento. A dire il vero, non erano assolutamente
riusciti a convincerla, aveva solo rinunciato a lottare, perchè se già
sarebbe stato difficile lottare contro due persone, lottare contro due
avvocati era praticamente una lotta persa in partenza. Voleva davvero
andare con loro e restare vicino a Matt, per assicurarsi che prendesse
le medicine e che ci fosse qualcuno (ok, lei) in grado di occuparsi
delle sue ferite.
Smettila di mentire a te stessa.
La sua voce interiore tornò a farle visita. Vuoi restare con lui perchè provi qualcosa
per lui!
Zittì la suddetta voce nell’istante in cui Matt uscì dalla sua camera
da letto. Indossava di nuovo il costume nero, e se non fosse stata
distratta da quanto pallido risultasse il ragazzo a contrasto con la
stoffa scura, non avrebbe mancato di notare come, pur nella sua
completa inutilità in fatto di protezione, sottolineasse perfettamente
le sue forme perfette.
-Ti ho preparato il letto, e ti ho lasciato dei soldi e la mia carta di
credito, così puoi comprare ciò di cui hai bisogno- le disse con quel
suo solito ghigno adorabile e irritante allo stesso tempo stampato
sulla faccia mentre lo abbracciava. Ok, questo era un bel segno, se non
altro per la salute. A quanto sembrava, era abbastanza in forze da aver
capito che mentiva. O magari ti
conosce così bene che sa che non lo abbandoneresti mai in queste
condizioni. Le suggerì la solita vocina. Il dubbio che
decisamente non le serviva al
momento. Ricambio l’abbraccio e sentì che stringeva di più la presa
sulla sua vita, la sua testa appoggiata su quella della ragazza. Per un
attimo si concesse si rilassarsi, appoggiando la propria guancia al suo
petto e rilassandosi tra le sue braccia, ascoltando il suo cuore
battere forte e sicuro. Notò a malapena che Foggy stava uscendo dalla
casa, lasciandoli soli.
Non sapeva per quanto tempo rimasero così, in piedi in mezzo
all’appartamento, stretti l’uno all’altra senza che nessuno dei due
facesse un singolo gesto per staccarsi -Grazie, Claire- sussurrò contro
i suoi capelli.
-Promettimi che non ti farai uccidere, Matt-
-Ci proverò, te lo prometto-
***
E questa volta voleva mantenere la promessa con tutto il suo cuore.
Sapeva che con Claire le cose non sarebbero mai decollate, e che la
colpa era stata principalmente sua, ma non sarebbe morto. Non l’avrebbe
fatta soffrire.
-Sarò qui per te, ok? Dovrai solo chiamarmi-
Le braccia della ragazza erano gentili, forti e calde allo stesso
tempo, e sentì di non essere pronto a lasciarla andare, ma doveva
pensare anche a Karen e più passava il tempo, più aumentavano le
probabilità che Stick perdesse la pazienza, quindi, a malincuore, si
staccò da quell’abbraccio confortante.
-Puoi restare quanto vuoi- le disse. Non si era bevuto nemmeno per un
secondo la sua promessa di tornare a Boston, anche se non ne aveva
potuto ascoltare il battito cardiaco -Ma sarei comunque più tranquillo
se tornassi a Boston-
***
Le sue parole le fecero prendere la più pazza (e molto
probabilmente anche pessima) decisione della sua vita. Aprì la bocca
nel momento in cui la pensò, senza lasciare al cervello il tempo di
processare e fare intervenire il suo buon senso.
-Io non ti lascio, Matt. Appena puoi, ti compri un telefono e mi dici
dove sei, e io ti raggiungerò. Ovunque andrete, io vi seguirò. Sono
stata chiara?-
-E’ troppo peric…-
-Taci, Cornetto. Ti conviene obbedire, o giuro che mi offro a Stick
come ostaggio-
Ok, forse questa era la
peggiore decisione che avesse mai preso in vita sua.
***
Matt non le stava ascoltando il cuore per assicurarsi che fosse
sincera, ma per memorizzarne il ritmo e i battiti, in modo da poterli
suonare nella sua testa e rassicurarsi, tuttavia, le rivelò anche che
non stava mentendo. Era davvero convinta di quello che gli aveva appena
detto.
Sospirò e la sentì sorridere mentre l’abbracciava di nuovo. Sapeva di
aver appena vinto quella battaglia.
-Non ti metterò in pericolo- rispose e il suo battito cambiò
immediatamente, spingendolo a negoziare prima che se ne uscisse con
qualche idea ancora più folle -Ti farò sapere se sto bene, ma non ti
voglio in prima linea. So già che non potrò fermare Foggy, e
probabilmente non voglio nemmeno farlo… ma tu…-
-Matt, ti supplico… Non mi importa cosa dovrai fare, ma non tagliarmi
fuori, ti prego-
***
Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto baciarla in quel momento. Invece
si costrinse a sciogliersi dall’abbraccio.
-Devo… andare-
Sentì l’aria attorno a lei muoversi mentre annuiva e poi di nuovo, più
in basso, mentre gli prendeva la mano e vi appoggiava qualcosa. Chiuse
il pugno e sentì la forma familiare di un blister di medicine.
-Prendile- gli ordinò in un tono che non ammetteva replica, e il suo
tono di voce lo fece ridere. Era buffo: una ragazza gracile e innocente
che dava ordini al Diavolo di Hell’s Kitchen. Lo colpì piano, ridendo a
sua volta, ma lui non le rispose. Le medicine e il mondo in fiamme non
erano esattamente migliori amici e solitamente sceglievano la sua testa
per fare a botte. -Matt- lo richiamò all’ordine, finito il momento di
gioco -dico sul serio-
-Lo so, Claire. Le prenderò quando Stick mi lascerà riposare, ok?-
Dal tono del suo sospiro non era affatto ok, ma alla fine annuì.
-E’ comunque meglio di un no, immagino-
Matt capiva davvero come si sentisse Claire in quel momento. Si era
sempre sentito allo stesso modo le volte che Foggy si era ammalato al
college, e lui non aveva potuto fare niente per aiutarlo per non
tradirsi, ma non poteva permettersi di assumere medicinali prima di
andare in missione, ma riconosceva anche che aveva ragione, doveva
combattere la febbre in qualche modo, perciò avrebbe dovuto rischiare.
Sperava solo che prendendole prima di dormire avrebbe aiutato a non
sviluppare gli effetti collaterali.
Sorrise di nuovo, tirando fuori i migliori occhi da cucciolo che aveva
nel repertorio e che sapeva l’avrebbero fatta sorridere, poi si diresse
verso la porta.
Foggy lo aspettava sul marciapiede, e da quello che gli dicevano i suoi
sensi era sul punto di uscirsene con una delle sue battute…
-Niente sesso da arrivederci?-
Appunto. Matt non era dell’umore in quel momento, stava già abbastanza
male all’idea di non averla baciata prima andarsene.
-Sta zitto- cercò di scherzare -E fai strada-
Ovviamente Foggy capì tutto e gli diede un’amichevole pacca sulla
spalla.
***
Karen si svegliò di soprassalto quando sentì le voci di Matt e Foggy.
Non sapeva con esattezza quanto tempo fosse passato da quando aveva
sentito, per pochi secondi, la voce del biondo al telefono (ed erano
stati decisamente i migliori istanti vissuti da quando era finita in
quella situazione, dannati Nelson & Murdock), ma da allora le
avevano concesso di andare in bagno e avevano addirittura rinunciato a
legarla di nuovo al letto, il che, se non altro, le aveva permesso di
alzarsi ogni tanto e dormire e mangiare decentemente.
Non che avesse potuto fare molto altro che restare stesa a letto,
comunque; la cella era minuscola e in letteralmente tre passi l’aveva
percorsa in tutta la sua lunghezza.
Le voci l’avevano svegliata, ma ora non sentitva altro.
Te lo sei sognato, Karen. Si
disse e tornò ad appoggiare la testa al cuscino per cercare di tornare
a dormire, ma l’adrenalina che le era pompata in corpo le impedì di
andare oltre un leggero e teso stato di dormiveglia, di quelli che più
che riposare, stancano. Poi lo sentì di nuovo, e questa volta era
decisamente sveglia.
-Stick, sono qui. Lascia andare Foggy e Karen-
Matt. No.
Ma non fu la presenza di Matt a spaventarla a morte, era stata
personalmente testimone delle sue capacità di combattente, ed era
sicura che sarebbe riuscito a contrastare i ninja di questo Stick, in
qualche modo. No, fu il suono seguente che le fece letteralmente gelare
il sangue nelle vene: il rumore di qualcosa che veniva fatto impattare
contro una finestra, frantumandola. E poi arrivò il grido di Foggy,
terrorizzato e straziante.
***
Dio benedica i cassonetti e chiunque li abbia inventati.
Matt non era mai stato così felice di ritrovarsi con la bocca e il naso
pieni della puzza della spazzatura che aveva appena attenuato la sua
caduta dal secondo piano di quel dannato edificio. Come se ne avesse
avuto bisogno, ora era assolutamente certo che ai suoi sensi serviva
qualche ora per smaltire gli effetti del paracetamolo. Parecchie ore,
se doveva essere sincero.
Aveva avvertito lo scatto di Stick, ovviamente, ma non aveva
assolutamente avuto modo di capire che cosa stesse facendo fino a
quando non lo aveva colpito in pieno petto. Un secondo dopo, la sua
schiena si era schiantata contro una finestra, infrangendo i vetri e i
decrepiti serramenti in legno.
L’avvocato aveva appena avuto il tempo di sentire il grido di Foggy e
gridare a propria volta di sorpresa prima del brusco atterraggio. Stick
l’aveva letteralmente lanciato fuori dall’edificio.
E se questo era il prologo della sua punizione, probabilmente era
davvero arrivato a vivere il suo ultimo giorno su questa terra.
Avvertì un tonfo accanto a lui, i rifiuti tremarono all’impatto e una
nuova ondata di odori gli salì al naso mentre Stick atterrava accanto a
lui. Non lo sentì muoversi, un secondo urlo di Foggy coprì ogni altra
cosa, e si ritrovò di nuovo in volo, salvo poi colpire l’asfalto. Gridò
di nuovo, questa volta di puro dolore, quando i vetri che gli si erano
conficcati nella schiena quando aveva rotto la finestra si fecero
strada all’interno delle sue carni e nei suoi muscoli.
-Matty!-
La voce del suo migliore amico, proveniente da dove era caduto, coprì
di nuovo i movimenti di Stick, impedendogli di sentire il calcio, che
gli arrivò dritto allo stomaco, così potente da sollevarlo e farlo
rotolare di nuovo. Non cercò nemmeno di sollevarsi e combattere; si
sentiva debole, e i suoi sensi erano ancora troppo ovattati per
permettergli una visione chiara, senza contare che continuava a
concentrarsi su Foggy, troppo preoccupato che gli venisse fatto del
male per pensare a quello che gli stava succedendo. In ogni caso, non
sarebbe riuscito a combattere. Rinunciò a ogni difesa, e lasciò che
Stick gli desse una delle più grandi batoste della propria vita.
-Matt! Matty! Forza, svegliati!-
Foggy. Male.
Queste furono le uniche due informazioni che riusciva a percepire al
momento. Tutto il resto era completamente oscurato dalle fitte che
provenivano dalla sua schiena e, meno dolorose, da tutto il resto del
suo corpo.
Nella sua testa c’era una guerra in corso. Avrebbe voluto aprire
gli occhi, rassicurare i suoi amici che stava bene, che, certo, provava
dolore, ma che stava bene. Ne aveva passate di peggio. La sua schiena,
però, lo stava implorando di ricadere nell’oblivio e nell’incoscienza.
Faceva troppo male.
-Matty…-
La voce di Foggy sfiorava le note del panico, e fu questo a convincerlo
ad aprire gli occhi, un gesto che a lui non cambiava niente, il mondo
in fiamme sarebbe rimasto comunque un caos di dolore, febbre e paura,
ma che sapeva avrebbe aiutato l’altro a non perdere il controllo. Ora
che era più lucido, riusciva a percepire come ci fosse qualcosa
conficcato saldamente nella propria schiena, un costante dolore che si
acuiva ad ogni respiro, oscurando tutto il resto. Cosa cavolo era
successo?
-Matt?- c’era una mano che gli accarezzava i capelli, la prima cosa su
cui riuscì a concentrarsi oltre il dolore. Conosceva quella mano e,
anche se non era quella di una giovane infermiera in grado di calmarlo
con la sua sola presenza, fu comunque felice di riconoscerla come
quella di Karen. Partì da quel contatto rassicurante per riguadagnare
il controllo sul proprio corpo e sulla propria mente.
I suoi muscoli erano tutti in tensione, come pronti a combattere; si
costrinse a rilassarli, uno per uno, dolorosamente, e quando ci riuscì,
il dolore iniziò un po’ ad attenuarsi. Rimase a terra, ansimante,
sudato e distrutto come se fosse appena stato investito da un camion.
Non riusciva ancora ad avere una chiara visione di quello che aveva
intorno, ma sembrava esserci più calma di prima. Si concentrò ed
espanse un poco i sensi: la stanza era sicuramente piccola, e oltre a
quelli dei suoi amici non riusciva a sentire altri battiti cardiaci,
segno che probabilmente erano soli lì dentro. C’erano altre persone,
ovviamente, ma i loro cuori erano lontani, e attuttiti dalle mura.
Tutto il resto era un mare di confusione, ma non tentò nemmeno di
processare e filtare tutte le informazioni che gli arrivavano dai
propri sensi. Si sentiva esausto e probabilmente non ne avrebbe
ricavato niente di veramente utile, perciò si limitò a concentrarsi
sulle cose basilari.
La sensazione di freddo arrivava dalla sua pancia, quindi probabilmente
era disteso sullo stomaco sul pavimento. Sentiva di avere delle ferite
aperte sulla schiena, ma non percepiva l’aria colpire direttamente i
tagli: qualcuno l’aveva coperto, probabilmente con una giacca o una
coperta. C’era un battito del cuore forte, accelerato, che sapeva di
casa alla sua sinistra, Foggy, mentre quello familiare di Karen era
dalla parte opposta.
-Sei con noi, amico?-
-Sì- rispose debolmente, piantando i palmi a terra e cercando in
qualche modo di rialzarsi, ma la mano di Foggy trovò subito la sua
spalla e lo spinse dolcemente di nuovo a terra, obbligandolo a restare
giù. Gemette di dolore per il contatto e la pressione scomparve
all’istante.
-Scusami- sussurrò Foggy -Ma ti conviene restare disteso… e immobile-
-Fa… male- cercò di spiegare, ma era ancora peggio che respirare; era
come se qualcuno stesse giocando a freccette usando la sua schiena come
un bersaglio. Ogni parola era quasi impossibile da pronunciare. Cercò
di concentrarsi sui punti in cui il dolore era più forte, cercando di
capire cosa lo stesse causando. Dio. Sembravano proprio delle frecce, o
un qualche tipo di lama. Sollevò una mano e se la portò alla schiena,
cercando di toccare una di quelle cose che aveva nella spalla, mentre
il dolore si espandeva in tutto il corpo.
-No, no, no. Matt. Fermo. Stai fermo. Matty. Per favore- La mano di
Foggy afferrò la sua e la riportò al proprio posto al suo fianco,
lontana dal suo obiettivo.
Matt doveva sapere. Si preparò ai lanci.
-Cosa…- Prima freccetta. -ho nella… - seconda -...schiena?- e anche la
terza freccettà colpì la sua schiena-bersaglio. -Cos’è…- un secondo
giocatore seguì il primo -... successo?- due -Dove…- tre.
-Matt, per favore, basta. Non parlare- la voce di Karen era un
tremolio, e tutto ciò che riuscì a percepire da lei fu panico e
preoccupazione.
-Stick ti ha letteralmente defenestrato- Foggy sembrava essere
abbastanza calmo, cercò perfino di mettere una risata nella sua
risposta, ma, se si concentrava appena, riusciva a sentire il suo cuore
galoppargli in petto -Poi è saltato dietro di te e… Dio. Pensavo fossi
morto. Continuava a colpirti e tu non reagivi…- la voce gli si spezzò
all’improvviso, e Matt lo sentì reprimere i singhiozzi prima di
continuare, rispodendo a un’altra domanda. -Hai dei pezzi di vetro
nella schiena, quindi, ti prego, resta fermo-
Foggy aveva probabilmente ragione, rimanere immobile era la cosa
migliore da fare, ma non poteva tenersi quei così dentro troppo a
lungo. Oltre a fare un male cane, rischiava anche un’infezione.
-Tirali… fuori… per fav…- alla terza freccetta tutto divenne nero, e il
nulla lo avvolse di nuovo.
***
Tirarli fuori? Quel Murdock doveva aver preso un brutto calcio in testa
per dire una cosa del genere. Come diavolo avrebbero dovuto fare a
curare delle ferite del genere con… praticamente niente?
Foggy era contento che avesse perso i sensi. Ascoltare i suoi tentativi
di mettere insieme una frase completa era stata una vera agonia,
specialmente perchè non riusciva a non pensare all’ultrasensibilità dei
suoi quattro sensi e a non chiedersi quanto più dolorose potessero
essere quelle schegge nella sua schiena. Rabbrividì al solo pensiero.
Distolse lo sguardo dal proprio amico, senza lasciargli la mano, e
guardò Karen.
-Gli serve aiuto- disse la ragazza sommessamente, quasi timida,
perfettamente conscia di stare sottolineando l’ovvio ma, davvero,
cos’altro avrebbe potuto fare o dire, eccetto ucciderlo (o uccidere
entrambi) per non averle detto fin da subito la verità?
-Lo so. Lo so, Karen- La voce gli uscì bassa ed esausta, ma
dovevano comunque fare qualcosa.
Sii Daredevil per Matt.
Le parole di Claire gli echeggiarono nella mente, e un’idea prese
immediatamente forma del suo cervello. Si affrettò ad attuarla senza
darsi la possibilità di pensarci due volte, nonostante il solo pensiero
lo facesse quasi letteralmente pisciare sotto dalla paura.
-Karen- disse -resta con lui e, qualunque cosa succeda, proteggilo.
Promettimelo-
-Che?- ma Foggy non la stava già più ascoltando, non aveva nemmeno
aspettato una sua risposta. Si alzò in piedi e iniziò a picchiare sulla
porta della loro stanza con entrambe le mani chiuse a pugno, più forte
che poteva, urlando allo stesso tempo il nome di Stick.
Andò avanti fino a quando, alla fine, l’uomo non aprì la porta.
Foggy sapeva che il vecchio era cieco dalla nascita, e non come Matt,
che aveva perso la vista in seguito a un incidente, eppure poteva
giurare che quell’essere altamente inquietante lo stesse fissando
dritto negli occhi, con un’espressione… beh, quella in effetti non era
diversa da quella che aveva di solito. Era arrabbiato, e molto anche, e
tutto nella sua postura era volto a provocare un senso di disagio e
paura nelle persone (e, per la cronaca, ci riusciva benissimo). Stick
si piantò davanti a lui, in piedi, silenzioso e immobile come una
statua.
E’ solo un’arringa. Puoi farcela.
E Foggy Nelson, avocado per la difesa, iniziò il suo discorso, e fu
esattamente come la prima volta che era tornato alla Landman & Zack
per il caso della signora Cardenas. Fu perfetto e assolutamente
magnifico. Le parole fluirono leggiadre dalla sua mente alla sua bocca,
senza fare soste o sbagliare strada lungo il percorso.
-Adesso ascoltami bene. Non riesco nemmeno a immaginare come ti sia
venuto in mente di fare una cosa del genere. Peestarlo a sangue è già
terribile di per sè, ma se mi sforzo posso quasi riuscire a capire
perchè tu lo faccia. Ma l’hai lanciato da una cazzo di finestra, e
questo è completamente da fuori di testa. Ora, puoi prenderti un’accusa
per tentato omicidio, oppure puoi starmi a sentire e accettare
l’accordo che ti sto per proporre-
O puoi semplicemente congedarmi nello
stesso modo e lasciarmi morire in quel cassonetto, completò
nella sua testa. Ora riusciva a guardare quell’uomo negli occhi senza
vacillare, la paura completamente sparita. Attese, per quelle che
sembrarono ore. Evidentemente, Stick pensava che mantenendo a lungo
quella posa Foggy avrebbe ceduto e fatto marcia indietro. Beh, non
sarebbe successo.
-Sei davvero una piaga nel culo- cedette il cieco alla fine -Che cosa
vuoi?-
-Due settimane per Matt, per riprendersi e per farsi curare. E Karen
resterà con lui- Foggy non esitò mai -Io resterò qui a garanzia del suo
ritorno-
-Una settimana-
-Ha del fottuto vetro nella schiena!-
-Una settimana- ribadì Stick, poi aggiunse -O lui resta e lo guarderai
morire davanti ai tuoi occhi. E quando tornerà, lo punirò di nuovo.
Prendere o lasciare-
Foggy scoprì di essere preparato anche per quell’eventualità
-Quanto tornta -contrattò -Picchierai me e non lui-
Questo parve prendere perfino l’imperturbabile Stick alla sprovvista.
Rimase in silenzio per un po’, probabilmente soppesando la richiesta.
Alla fine, evidentemente, arrivò alla conclusione a cui Foggy sperava
sarebbe arrivato: per Matt sarebbe stato molto più doloroso vedere lui
picchiato al posto suo che essere malmenato.
-D’accordo-
Stick lasciò la stanza, non preoccupandosi a questo punto di chiudere
la porta dietro di sè, e chiamò i suoi uomini, ordinando che venisse
organizzato il trasferimento di Matt.
Come furono di nuovo da soli, tornò a rivolgere la propria attenzione a
verso Karen, che ora lo guardava come se fosse pazzo, continuando ad
accarezzare distrattamente i capelli di Matt, con movimenti che nelle
sue intenzioni dovevano essere calmanti.
Ignorò il suo sguardo per concentrarsi di nuovo, brevemente, sul
proprio amico prima di tornare a guardarla. La vide aprire la bocca per
dire qualcosa, ma lui la interruppe prima che potesse emettere un solo
suono. Sapeva che non avrebbero avuto molto tempo, e voleva assicurarsi
di darle tutte le informazioni possibili prima che li separassero.
-Karen- sussurrò, anche se immaginava che probabilmente l’udito di
Stick fosse pari almeno a quello di Matt -Ascoltami bene. Portalo a
casa sua, ok? E promettimi di restare con lui-
-Ha bisogno di un osp…-
-Karen!- la interruppe di nuovo, più bruscamente del dovuto, forse
-Fidati di me, ok? Lo so che probabilmente ora non puoi, e che non ho
il diritto di chiederti di darmi fiducia, ma ho bisogno di sapere che
farai come ti dico. Per Matt-
Karen lo stava ancora guardando, poi il suo sguardo si posò sulla
schiena di Matt. Era una scena raccapricciante, quasi da film horror,
con l’unica differenza che era tutto reale. Matt era pieno di tagli, e
la sua maglietta a maniche lunghe era lacerata, dai più grandi
uscivano, ben visibili, pezzi di vetro acuminati, alcuni dei quali
vibravano leggermente ogni volta che il petto si alzava e abbassava
nella respirazione, accompagnati da frequenti gemiti. Aveva anche
l’impressione che la pelle attorno alle ferite stesse iniziando ad
arrossarsi. Foggy rabbrividì di nuovo, pregando che rimanesse
incosciente il più a lungo possibile.
Alla fine, la ragazza annuì semplicemente, proprio un istante prima che
sei ninja entrassero nella stanza. Uno obbligò Foggy ad alzarsi in
piedi, sotto la minaccia di un coltello, e ad indietreggiare fino a
quando la sua schiena non andò a cozzare contro la parete. Prigioniero
e carceriere rimasero lì, e l’avvocato rimase completamente immobile,
attento a non muovere un muscolo per evitare il rischio che Stick si
rimangiasse la parola. Un altro dei soldati afferrò Karen per un
braccio e la trascinò fuori dalla stanza a spintoni, mentre i quattro
rimanenti organizzarono una barella e, dopo avervi deposto il
vigilante, lo portarono fuori.
Solo quando rimasero soli il ninja abbassò il coltello e lasciò la
stanza. Ora era solo.
Non riuscì a evitare un sospiro di sollievo, mentre con la mano si
asciugava il sudore dalla fronte.
L’ho fatto, Claire* pensò *Adesso
tocca a te.
Solo dopo una decina di minuti realizzò a pieno quello che aveva fatto,
quando Stick si ricordò che la porta della cella era ancora aperta e
andò personalmente a chiuderla, esibendo un sorriso sarcastico e
mormorando qualcosa sulla stupidità dell’amicizia.
Lo aspettava un’intera, interminabile, settimana nelle mani di quel
pazzo, nell’attesa che Matt si rimettesse in piedi; nell’attesa di
venire massacrato di botte.
Oh beh, ormai quel che era fatto, era fatto.
Sperava solo che gli dessero da mangiare.
Grazie per aver letto fino a
qui, fatemi sapere che ne pensate. Alla prossima!
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