Gli
occhi di mio padre mi osservano sbarrati dalla picca che luccica di
sangue purpureo.
La
sua bocca è leggermente socchiusa e vi trova riparo una mosca
che danza piano in questo caldo afoso.
I
capelli, lunghi e folti, sono intrecciati in un groviglio scomposto,
appiccicati dal sangue grumoso che rilascia un odore pungente.
Per
quanto devo guardare mio signore?
Per
quanto?
Guarderò
ogni dettaglio, riempirò la mia mente di ogni singola goccia
di sangue che esce da quel capo tanto amato.
Le
conterò, una ad una, e poi me le riprenderò, senza
tralasciarne neanche una, dal vostro corpo immondo.
Si,
ridete, mio signore, sghignazzate crudele, riderò io quando mio
fratello porterà la vostra testa al mio cospetto.
Allora
la guarderò, anche quella la osserverò per bene, e una
risata mi scuoterà fin alle caviglie.
Farò
rimbalzare la vostra testa, con attaccata l'adorata corona, per
tutta la stanza, la calcerò per tutto il regno, finchè
non rimarrà che il teschio secco e asciutto.
Allora,
mio signore, ancora la mia voglia di vendetta non si sarà
esaurita, no.
Vi
prenderò tra le mie dita, accarezzerò quelle ossa
deboli e candide, le spezzerò contro il muro.
Uno,
due, tre colpi.
Quanti
ne serviranno per ridurvi in polvere?
Non
lo so, non me ne curo.
Perchè
la vendetta è un piatto che va gustato lentamente, a lungo,
finchè la sete non si esaurisce.
E
la mia sete, mio re, è più grande dell'amore che ho per
me stessa e la mia vita.
Per
quanto devo guardare, mio signore?
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