Sulle orme del tradimento (parte 2)
Hell’s Road.
25 / Sulle orme del tradimento.
Dopo
essere andata alla deriva fra le pieghe del cielo notturno,
l’Arca Bianca aveva cessato ogni movimento, limitandosi a
galleggiare immobile mentre il corpo si disperdeva in milioni di
frammenti grandi quanto le tante stelle in cielo. Nei pochi anfratti
che ne tenevano ancora unito il cuore, Amèlie si muoveva
completamente ricoperta di polvere; una velo di ragnatele ne
annodava la lunga chioma in ciocche arricciate, scendenti ai lati
del viso
selenico, dove gli occhi ancor più neri schioccavano stilettate
di indescrivibile ardore. Un qualsiasi commento ai suoi abiti malmessi
o alle esigue tracce di rossetto incastrate fra i raggrinzimenti delle
labbra le sarebbe scivolato via senza possibilità di attecchire;
le sue mani si articolavano rapide in un oceano di carte e parole dal
filo logico spezzato, a tratti fuorviante e inutile per il suo scopo.
La stanza del Quattordicesimo. Il solo suono disuniva la sua
acidità per lo sporco e il dovere morale di scostarselo con la
stessa imperatività di un mantra. Nell’infilarsi il
taccuino nero in tasca, si era guardata attorno per una manciata di
secondi scarsi prima di sostituire il pesante silenzio con un
incessante fruscio cartaceo. Doveva sapere di più.
Automatico, una priorità da colmare prima che il tempo a sua
disposizione non la obbligasse a fuggire per mettersi in salvo. Se
c’era la più remota possibilità di carpire anche
solo un briciolo di tutta quella faccenda, non l’avrebbe sprecata
a contemplare le pareti nella più inutile delle
incredulità. Sfogliato un altro plico di appunti per un tempo
inferiore ai venti secondi, lo lanciò via svogliatamente - come
aveva fatto per tutti gli altri precedenti -, scattando in piedi;
Timcampi sobbalzò appena, indietreggiando di qualche centimetro,
ma finì per immobilizzarsi non appena lei lo incatenò con
la sola forza dello sguardo. Intuiva il suo coinvolgimento, di
qualunque natura essa fosse, e pretendeva conoscerne il ruolo.
- Tiiim. – Suadente, ne canticchiò il nome, scoprendo il collo nudo non appena inclinò la testa di lato.
Immediatamente, il boccino reagì come un bambino colto con le
mani incastrate nel barattolo dei biscotti: scosse il corpo prima a
destra e poi a sinistra, in un costante movimento impacciato che
cercò di cancellare la visuale di quello sguardo ferino e della
sua intenzione di smontarlo pezzo per pezzo qualora fosse stato
necessario. L’anomala connessione del golem dorato a quella
particolare ala dell’Arca Bianca incalzava imperterrita nella
testa laboriosa della francese senza riuscire a trarre al dì
fuori di lui un’ulteriore radice comune. Timcampi apparteneva al
Generale Cross, esattamente come ciascun oggetto presente in quella
stanza era stato di proprietà del Quattordicesimo. Ciò
nonostante, il dubbio ne increspava la convinzione con fatti di
incontestabile verità e domande di cognizione logica sfioranti
l’assurdo.
- D’accordo: adesso basta con le stronzate. –
Le linee appuntite di Lucifer balenarono minacciose contro i fogli
sollevatisi per aria. Quel gelido solleticare dava l’impressione di
volersi burlare di lei, costretta a puntare la base della falce al
pavimento per placare il forte capogiro che la investì. Alla sua
anima innervosita rodeva che la stanchezza cominciasse a farsi sentire
con le palpitazioni delle ferite a bruciare sotto le fasciature
improvvisate, ma il vantaggio della solitudine era la totale assenza di
occhi e mani che reputassero la sua debolezza come una valida ragione
per aiutarla; sapeva di peccare in efficienza quando la sua testa era
compressa in un cerchio di metallo che ne stringeva le viti contro le
tempie e niente avrebbe potuto farle saltare i nervi più di quei
fugaci contatti che ne pizzicavano la pelle scoperta, ma mai
Amèlie Chevalier si era messa nella posizione di elemosinare aiuto e mai avrebbe
contraccambiato eventuali gentilezze nei sui confronti con parole che
sempre sostistuiva con il suo essere pronta a tornare in gioco come se
nulla fosse accaduto. Indipendente, forte, orgogliosa. L'idea di dipendere dagli altri o di essere debole la repelleva al punto da
ritenere più fattibile uccidersi con le proprie mani che
lasciare una tale gioia ai suoi avversari. Ritrasse la falce soltanto
dopo aver scrutato ogni angolo presente, focalizzando la propria
attenzione su Timcampi, che aveva atteso di essere osservato prima di
scomparire nella parete di sinistra, in un antro di cui la corvina
svelò l’illusione non appena fu sufficientemente vicina da
cogliere il semplice gioco d’incastro che i muri creavano. Un
vistoso letto a baldacchino dominava la stanzetta con tendaggi e
lenzuola dai sottili fili argentati, usati per cucire un intricato
motivo sulla stoffa blu notte. La Maitresse della Rosa Nera si
lasciò sfuggire un grugnito al ripensare quanto le mancasse il
suo giaciglio, unica comodità che potesse addolcirne i muscoli
atrofizzati.
Fra le pieghe impolverate scorse un piccolo bozzolo agitarsi.
- Tim? -
Le ali sporgevano luminose da sotto le lenzuola, dove la guancia paffuta
strusciava in cerca di un calore estinto che l’Esorcista gli
regalò con una carezza sulla tonda testolina; lo conosceva da
troppi anni per affermare che non fosse in grado di comportarsi come un
essere umano, ma il rammarico che espresse la lasciò
semplicemente interdetta.
- Non sforzarti, stupidino –, mormorò all’accorgersi
delle luminose gocce trasparenti che, in un coraggioso sforzo, il
piccoletto cercava di trattenere.
Che la faccenda fosse più grande di lei lo aveva tenuto da conto
sin dal principio, ma l’assurdo crocevia di nodi e legami
impostosi le stava chiedendo di plasmare qualsiasi improbabilità
in ipotesi, di scorgere nell’impensabile una finestra di valide
possibilità. O rogne,
nel comune linguaggio sboccato. Perché era di rogne che si
trattava, in fondo; nessun’altra accozzaglia di snervanti
proporzioni ne avrebbe obbligato i neuroni a non impazzire per il
continuo martellare della testa. Fu in quel momento, lasciando vagare
gli occhi lungo le linee delle lenzuola, che la mano corse ad afferrare
un'inusualità che ne aveva fatto aggrottare la fronte. Sporgeva
appena, quasi mimetizzato fra le sottili arricciature di ruvido
argento, ma nel tastarlo Amèlie riconobbe il metallo di un
pendente.
Il ricordo è l’unico paradiso dal quale non possiamo essere cacciati.*
K. D. Campbell.
Così
recitavano le parole
marchiate a fuoco sul ruvido ciondolo di quella lunga catenina dorata
sfilata da sotto il copriletto sfatto. E neanche a voler complicare
ulteriormente la questione, sull'altra faccia svettava un
blasone identico a quello scorto nel corridoio precedente la stanza
segreta.
- Adesso che hai da agitarti? –
Espirando l’aria malsana del posto, piegò il collo,
richiamata dalle movenze del boccino, riscosso dal suo triste torpore per cimentarsi in qualcosa che la francese non
riuscì a spiegarsi: tirava, spingeva, si muoveva a destra e a
sinistra, il tutto condito da un’inusuale trepidazione che
però pareva sapere esattamente cosa cercare. Quando finalmente
ebbe finito di rovistare, sbucò fuori con la boccuccia impegnata
a reggere un consunto libro grande il quadruplo di lui. Il gancio di
chiusura stipava un contenuto dismesso e profondamente danneggiato;
angoli di fogli bruciacchiati sporgevano senza il benché minimo senso dell’ordine. Nessun titolo,
nessuna firma o segno esterno che non fosse il lieve puzzo di pelle
morbida che ne aveva consumato l'eleganza.
- Era suo? –
Domandò al golem dorato, intento a scuotere il corpicino
tondeggiante per ripulirsi grossolanamente dalla polvere – Era
del Quattordicesimo? –
Timcampi tacque, fissandole il viso con quell’insistente
immobilità rassomigliante una chiara sollecitazione al darsi una
risposta da sola. Instillato il dubbio, non rimaneva che trovare
conferma a quella connessione, munita di più ramificazioni di
quante Amèlie potesse stimare e che per una maniaca estremista del
controllo quale era lei, possedere era l’unica maniera per non rimetterci il senno.
Notò immediatamente la
dissomiglianza che contraddistingueva le
pagine ruvide del taccuino a quelle di carta velina tastando il cuoio
pesante della copertina, celante una
contenuto per la maggior parte tramutato in cenere. Il poco rimasto
rischiò di scivolarle in grembo, un esiguo malloppo di
indefinitia utilità.
- Una data che risale a più di trent’anni fa e una seconda calligrafia
-, scoprì la donna nel dare una lettura approssimativa del
contenuto – Mi dirai tu quello che voglio sapere? –
Agosto.
Quanti giorni sono trascorsi? A malapena sono consapevole di essere io, sempre che lo sia…
E’ difficile dirlo quando ti svegli senza esserti reso conto di dove ti sei addormentato,
dopo che il dolore ha terminato di estraniarti dal tuo corpo.
Il mondo scorre, vive…Mentre io sono appena padrone di me stesso.
Lui starà bene? E’ la sola cosa che mi preoccupa.
Dicembre.
Sto scivolando…Sempre di più…
Fa così
male…Così male…Che non riesco a respingere
l’impressione di stare soffocando nel mio sangue.
Posso vederlo
agitarsi all’interno dello specchio mentre mi trasmette con la
sua folle pazienza una resa che riflette tutta la mia inettitudine.
Giugno.
Niente di quanto
mi è sempre stato caro pare essere rimasto lo stesso.
Il sole
brucia...Tutte le sensazioni impresse nei pochi istanti trascorsi
sotto la sua luce sono annichilite nella solitudine dei miei respiri.
La verità
è che come esistenza sono sempre stato piuttosto labile e non
credo di aver mai fatto nulla per dimostrare il contrario: soltanto la
tua vicinanza colmava il mio disorientamento.
Dimmi, Neah, adesso che
non è più così…Riusciresti ancora a volermi
bene?
Amèlie proseguì nella lettura scoprendo con forte
disappunto che enormi macchie di inchiostro essiccato ricoprivano gli
scritti già tartassati da violente cancellature. Tutto materiale
pressoché irrecuperabile, a cui si aggiungevano ulteriori
riquadri di carta sopra cui si era formato una spessa crosta scura,
sebbene per quegli ultimi sussistesse una possibilità di
recupero più alta delle altre. Il meccanismo che teneva ben in
moto la sua mente volò verso un futuro progettato per i piccoli
obiettivi che ordinatamente stilò a seconda delle
priorità: capire chi fosse l’autore di quelle parole
visibilmente intrise di una paura che ne aveva storpiato la calligrafia
rientrava fra quelle, oltre al primo nome significativo. L’unica certezza in suo
possesso era che il crescente timore trascritto in ogni riga non
appartenesse a chi aveva scritto la dedica nella pagina iniziale, ne al
Quattordicesimo. Non si trattava di una semplice questione
calligrafica, ma di due caratteri diametralmente nati per essere
l’uno l’opposto dell’altro.
Ottobre.
Tu e io ci siamo sempre comportati come se il mondo attorno a noi non potesse esistere senza che fossimo insieme.
Ho sempre cercato di raggiungerti, in qualunque momento, in qualunque posto;
il solo calpestare la tua ombra mi rassicurava, come se, di punto in
bianco, fossi ritornato in possesso di una parte di me che credevo
perduta.
Adesso riesco a capire il perché.
Quando scorgo il
mio viso nel vetro posso vedere la ragione nascosta dietro il desiderio
di rimanerti a fianco e il pensiero che tu condivida questa sorte mi
terrorizza più di tutti i miei incubi.
Devi fuggire, Neah. Ovunque tu ti trovi in questo momento e qualunque siano le tue intenzioni, non guardarti mai indietro.
Niente mi conforterebbe più del saperti al sicuro, in un posto dove le mie mani non potranno mai trovarti.
- Che altro c’è? -
Un sinistro luccichio sfilò scintillante sull’ultima
pagina rimasta. La francese sollevò il mento riuscendo ad
adocchiarne la flebile scia violacea assottigliarsi dietro una tenda di
velluto rosso; con il resto dello scritto illeggibile, chiuse il tomo
con tutta la delicatezza necessaria a impedirle di ritrovarsi fra le
mani più brandelli di carta di quanti ne avesse trovati
all’inizio. La rapidità con cui scese dal letto e divise
il piccolo sipario spiegò una rientranza cullata dalla penombra
che le restituì un’immagine straordinariamente luminosa.
Uno specchio incastonato nella parete in fondo ne catturò ogni
movenza mentre gli si avvicinava con l’eco dei tacchi a misurarne
la distanza.
Da perfetta amante della propria
immagine, la grandezza di quella
lastra poteva compiacere l’ego di Amèlie e molto altro che
al momento non le occorresse esternare, ma fermatasi a pugno di metri,
le viscere nel suo stomaco si contorsero in una morsa quasi dolorosa.
La conoscenza era un dono da curare costantemente e il prezzo per il
suo ottenimento consisteva nel rincorrerla per tutta la vita. La
tenebrosità nei suoi occhi rifiutò quel compromesso
nel preciso istante in cui concepì che il suo sbirciare
l’avrebbe costretta a giocare fino alla fine. Era veramente
pronta a gettarsi in un caccia ossessiva di tale portata? C’era
il fondato pericolo di perdersi in qualcosa di molto più
mostruoso dei comuni Akuma e il confine che divideva la
curiosità dall’ossessione propendeva ad assottigliarsi
facilmente. La grande copia di sé, mirata troppe volte nelle
ultime ore, le diede inspiegabilmente fastidio e non per le abrasioni e
i tagli che le dita avevano toccato per saggiarne la profondità.
Le dava l'impressione di cogliere parti destinate a rimanere tacite per
un bene superiore, odiosi difetti basati sulla convinzione che
l’uomo in sé fosse una
creatura a più strati, lei compresa.
Decise di non pensarci. Non le occorreva sapere, non ora, anzi, mai;
se davvero non avesse voluto correre rischi avrebbe mandato a quel
paese tutta la questione ancora prima di mettere piede a Edo. E quanto
alla sua immagine troppo nitida...Non era lei a doverla a temere, ma tutti gli altri.
L’unica necessità da colmare si focalizzava sul gioiello
che sfilò con abile colpo di falce dall'elaborata cornice di
pietra, fra arricciature che ne avviluppavano la superficie vetrosa senza
scalfirla. Il Globo Alchemico
planò nel palmo della sua mano sferzando un viola
d’oscurità luminescente; constare che al suo interno si
agitavano bianchi simboli appartenenti a un alfabeto moderno fece quasi
credere ad Amèlie che, forse, un minimo di misericordia era
stato messo da parte per la sua anima dannata. Lo girò fra le
dita studiandone il colore frastagliato da lampi azzurrini; la
dimensione poco più grande di un golem da ricezione le
suggerì che si trattava soltanto di mezzo incantesimo. L’altro pezzo
doveva essere stato nascosto altrove, ma era proprio la locazione che
insospettì la francese. Il Globo Alchemico funzionava
esattamente come una Chiave Alchemica: lo si usava per aprire una porta
e la sua maggiore utilità stava nel poter essere scomposto in
più parti, per tutelare maggiormente qualsiasi segreto dovesse
proteggere. Ma in quel caso occorreva che i pezzi fossero a portata di
mano o che ci fossero più persone nei posti dove i frammenti
erano stati nascosti, perché l’unica maniera di aprire una
porta segreta con un Globo Alchemico diviso era ricomporne la catena
di simboli: una volta riordinato il primo pezzo, si avevano a malapena
sette secondi per fissare l’altro e così fino alla
ricostruzione completa, concludente con lo sbloccare del meccanismo che
proteggeva.
- Allora è per questo che ti servivo… - Ed espresse il suo personale giudizio con un suono
derisorio misto al disprezzo, che fuoriuscì dalle sue labbra
mentre articolava il polso in un movimento morbido e circolare - דיסק שעתוק*. –
Una morbida sferetta di luce rossa si accumulò nel palmo
orizzontale della francese, diramando un paio di linee che si
intrecciarono e chiusero in due cerchi paralleli soprastanti le dita
ritte. Simboli alchemici identici a quelli racchiusi nel gemella
violetta fecero la loro comparsa uno a uno, posandosi ad altezze
diverse sulle linee create fino a comporre un disco ovale di rotazione
oraria che Amèlie, una volta completo, sovrappose alla sfera
scura, facendola lievitare al suo interno. L’ordine originale non
sembrava essere stato trascritto in base a una combinazione personale,
quindi non restava altro che risistemare la catena seguendo quello
alfabetico.
- רְצוּעָה*.
– Sfiorati i simboli impressi sul disco, questi si
infiltrarono nel palmo di Amèlie che, pigiato l’ultimo,
chiuse la mano in un pugno solido.
Il filamento bianco che scivolò nel Globo Alchemico una volta
che la mano si fu riaperta ne agitò il contenuto acquoso,
mescolandone freneticamente il contenuto; la catena iniziò a
ricomporsi lentamente, dalla coda alla punta, attorcigliandosi in una
spirale che si immobilizzò nel centro una volta completata anche
la testa. All’udirsi di un eco sordo, uno schiocco metallico
penzolante da qualche soffitto distante, il vetro liscio della sfera si
riempì macchie opache, scricchiolando fino a diventare una
comune pietra.
- Così dovrebbe andare. –
E avrebbe sospirato soddisfatta di ciò, se una violenta scossa
non ne avesse innalzato il pavimento sotto i suoi piedi. Il fianco
ferito incontrò l’abbraccio del muro e un gemito strozzato
espresse tutto il furore della Maitresse della Rosa Nera per
l’odiosa improvvisata.
- Dannazione! Tim! Tim!!! – Si
lanciò fuori dalla stanza con il rombo di migliaia di petardi a
fischiarle nelle orecchie, esplodendo con l’apertura di un
cratere minaccioso che iniziò a rincorrerla.
Per miracolo riuscì a schivare uno scaffale pronto a travolgerla
non appena fu ritornata nella grande sala, infestata
dall’assordante rumoreggiare del Download. L’uscita,
lontana quanto bastava per rendere la traversata ancor più
incalzante, balenò nella sua visuale fra cascate di detriti e
violente fiaccolate dagli accecanti bagliori, con la scia dorata della
coda di Timcampi che già aveva varcato la soglia senza
aspettarla. Voltarsi o soltanto creare la giusta strada nella propria
mente avrebbero richiesto secondi di cui l’istinto poteva fare a
meno; la distruzione della stanza imperversava in una concatenazione
dagli sbocchi che inghiottì l’entrata gorgogliando
affamata. Le gambe di Amèlie si mossero prima di qualsiasi altro
imminente disastro verso il fondo sprigionante quella salvezza che
aveva tutta l’intenzione di afferrare, ma ad un passo dal
raggiungere la corta rampa di scale il pavimento le risucchiò
una gamba in una profonda crepatura.
- Vogliamo scherzare?!? – Ruggì.
Non ebbe nemmeno il tempo di evocare Lucifer per liberarsi
dell’impiccio con uno dei suoi devastanti colpi: il Download la
raggiunse, con ormai la biblioteca quasi del tutto terminata e cinque
scaffali duri come l’acciaio che la seppellirono viva.
Note di fine capitolo:
1*: Aneddoto di Jean Paul.
2*: Disco di trascrizione (Ebraico).
3* Legamento (Ebraico).
Dunque,
rieccoci. Cosa
dire…Ho praticamente riscritto questo
capitolo due o tre volte prima che fosse quantomeno decente. La
verità è che venendo a conoscenza degli ultimi sviluppi
di D Gray Man (che ho adorato con tutta me stessa), non ho potuto fare
a meno di ritoccare parti che avevo lasciato in sospeso, arrivando
anche a riscriverle completamente; a chiunque non seguisse la storia
del manga (i suoi recenti sviluppi, intendo), avverto che in futuro,
forse, potrebbero esserci degli spoiler, se già non ce ne sono;
uno dei motivi del mio incommensurabile ritardo è proprio il
desiderio di dire “ma non dire”, svelando un pezzettino per
volta la trama, ma senza svelare tutto il mistero subito. Con
cià non intendo dire che si verrà a sapere tutto, preciso
sin da ora. La mia storia è centrata su Amèlie, che, dopo
trascinata per mezzo mondo e fatto combattere fino allo sfinimento dei
suoi nervi, ho amorevolmente seppellito sotto cinque
tonnetale di scaffali mentre
Timcampi se ne andava via senza preoccuparsi di lei ^^. Il suo destino
sarà svelato la prossima volta. A presto!
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