NdT:
Ciao a tutti! Ecco a voi la seconda one-shot di Tender falling rain.
Questa è stata un po' più complicata da tradurre,
perché è piena di frasi subordinate, aggettivi,
avverbi
ecc. e i periodi a volte sono un po' pesanti. Però
è
molto bella, bisogna leggerla con un po' più di attenzione,
ma
vi assicuro che ne vale la pena.
Proprio
per la difficoltà maggiore, non posso proprio esimermi dal
ringraziare la mia fantastica beta pro-tempore, Spirit99,
che ha gentilmente accettato di aiutarmi con questa one-shot e con la
prossima. Davvero, non avete idea di cos'era questa cosa, prima che lei
ci mettesse mano. Io ho fatto un po' di resistenza, perché
sono
una testarda, ma credo che alla fine abbiamo raggiunto un buon
compromesso. Sarete voi a giudicare, comunque!
Insomma,
la
storia non l'ho scritta io e me l'hanno pure corretta. Che merito hai,
mi direte voi? Ehi, io l'ho scelta! Sì, lo so che ho buon
gusto,
potete smettere di applaudire adesso ;)
Essendo
una
storia abbastanza famosa, alcuni di voi la conosceranno già
di
sicuro. Ma magari sarà carino lo stesso leggerla in italiano
dopo tanti anni, almeno spero. Buona lettura!
“Sono in ritardissimo!” si
agitò Akane, correndo
lungo strade che una volta le erano state familiari. I piedi poggiavano
appena sul marciapiede, mentre aggirava abilmente barriere e blocchi
stradali senza mai allentare il passo, rimbalzando a tratti contro un
muro o saltando temporaneamente su una recinzione, per evitare di
rallentare a causa del solito traffico degli incroci. Le strane
occhiate lanciatele dagli occasionali pedoni vaganti non facevano altro
che ricordarle di essere lontana da casa. Non così tanto da
dover superare i confini della città, ma essendo dalla parte
opposta del distretto rispetto a casa sua, era abbastanza lontana
perché le persone che risiedevano nella zona non fossero
abituate alle solite buffonate di Ranma e dei pazzi che gli ronzavano
intorno come le falene con la luce. Era per questo motivo che Akane,
con le sue modeste prodezze atletiche, si ritrovava al centro di
un’attenzione piuttosto insolita.
“Non sto mica correndo sulle recinzioni o sui
tetti,”
borbottò fra sé, oltrepassando un ragazzino che
ridacchiò e le sorrise raggiante, mentre la madre
imbarazzata
provava invano ad impedirgli di fare il maleducato e puntare il dito.
Certo, avrebbe potuto se avesse voluto. Lo sapeva fare. Non aveva la
velocità e l’equilibrio di Ranma e persino lei
doveva
ammettere di avere una certa tendenza all’imbranataggine, che
rendeva questi metodi di spostamento un po’ rischiosi. Ma non
era
questo il vero motivo per cui li evitava. A differenza di Ranma, con i
suoi vistosi ed esotici vestiti cinesi, che richiamavano
l'attenzione a gran voce proprio come la sua altrettanto chiassosa ed
insopportabile personalità, Akane preferiva essere
silenziosa e
discreta, una condotta che le circostanze le permettevano raramente di
mantenere.
Non aveva mai cercato di essere al centro
dell’attenzione. Non
le era mai neanche piaciuto. Non voleva essere l’unico chiodo
che
sporgeva, destinato ad essere preso a martellate¹. Eppure,
c’erano alcuni tratti del suo carattere che non mancavano mai
di
distinguerla dagli altri. Aveva la stoffa del leader, proprio come sua
sorella Nabiki, solo che preferiva usare questo particolare talento per
aiutare gli altri piuttosto che per manipolarli e fregargli i risparmi
di una vita. Trovava anche difficile guardare dall’altra
parte
quando vedeva qualcuno che stava male oppure era nei guai, cosa
leggermente insolita fra i suoi coetanei. Se le circostanze
l’avessero richiesto, non avrebbe esitato a combattere per
difendere anche quelli con cui litigava in continuazione. In
più, la sua prestanza atletica le aveva portato un bel
po’
di popolarità a scuola. Ma tutto questo era stato gestibile
prima di Ranma. Prima di Ranma, lei si era distinta in questi ambiti,
ma allo stesso tempo era riuscita in qualche modo ad integrarsi. Aveva
avuto amiche normali, alla scuola media, e aveva passato molti giorni
spensierati insieme a loro, facendo compere, leggendo riviste di moda,
ridendo e spettegolando a bassa voce sui ragazzi carini e sulle
relazioni amorose dei compagni di classe. In una parola, era stato
meraviglioso.
Più di Ranma, era Kuno il responsabile della
distruzione di
quell’esistenza spensierata e pacifica. Quando aveva
annunciato
che per uscire con lei sarebbe stato necessario sconfiggerla prima in
combattimento, aveva rovinato tutte le sue possibilità di
avere
una vita scolastica normale o una relazione normale. Non poteva certo
mimetizzarsi e fingere di non essere un’artista marziale,
quando
tutti quei ragazzi combattevano con lei quotidianamente. Non che lei
volesse nascondere di essere un’artista marziale. Le arti
marziali erano una parte importantissima della sua identità,
ma
non costituivano tutto il suo essere. Lei voleva essere più
di
questo. Voleva che qualcosa, nella sua vita fuori dal comune, fosse...
normale.
Poi era arrivato Ranma, con tutto il trambusto,
l’avventura e
in generale la sfortuna che lo circondavano. Non poteva dire che le
fosse dispiaciuto poi così tanto. La sua vistosa
personalità, che urlava "guardami, guardami" e trasudava
sicurezza e determinazione, era stranamente attraente ed invitante. Era
una delle cose che lei amav... che le piacevano di lui. E gli era grata
perché in qualche modo, in mezzo al caos che lui aveva
creato,
era riuscita a mimetizzarsi ancora una volta. Nella sua nuvola di
pandemonio, la maschera di normalità di Akane era stata
libera
di scivolare via completamente e lei si era ritrovata sempre
più
in linea con la sua vera identità. Era stato così
stranamente rassicurante.
Eppure, quella sera, si sentiva combattuta. Quando
c’era
Ranma, lei era considerata normale per contrasto, ma nel momento in cui
usciva dalla sua area d’influenza, si ritrovava di nuovo a
spiccare in mezzo alla folla. Ed essendosi ormai abituata alla sua
ritrovata identità, trovava difficile rimettersi la maschera
e
indossare i panni della studentessa media. Eppure, allo stesso tempo
era confortante, come scivolare nell’acqua fresca del mare
(acque
basse, naturalmente, non voleva mica annegare). Le ricordava di giorni
più semplici. Giorni in cui non doveva preoccuparsi di
cadere in
una trappola ad ogni angolo, tesa da rivali o potenziali corteggiatori.
Giorni in cui non doveva combattere per la sua vita. Giorni in cui non
doveva combattere per l’uomo che amav... con cui era
fidanzata.
Giorni in cui non c’era nessun Ranma.
Girò un altro angolo e guardò di
sfuggita il solitario
ed inconsueto gioiello che aveva intorno al polso. Persino
quell’ornamento semplice e gradevole, un orologio da polso
col
cinturino d’argento, che le sue migliori amiche le avevano
comprato come regalo per il suo sedicesimo compleanno, era rimasto
rinchiuso nel buio di un portagioielli. I gioielli davano solo fastidio
quando uno doveva costantemente combattere e fare a pugni ogni santo
giorno e una cosa così preziosa, con le iniziali delle tre
amiche incise sul dorso, aveva un valore sentimentale troppo forte per
poterla perdere. Quella sera poteva indossarlo, però. Si
abbinava bene con la maschera e il costume stanchi e polverosi di Akane
Tendo, la normale studentessa delle superiori, che andava ai pigiama
party e aveva gli stessi ideali di tutte le altre ragazze.
Continuando a correre, si sforzò di leggere il
quadrante
dell’orologio, che oscillava di qua e di là al
ritmo dei
suoi movimenti, e rilasciò un profondo sospiro.
“Sono
veramente in ritardo,” si lamentò ancora una
volta. Si era
sforzata così tanto per essere puntuale, ma limitarsi a
varcare
la soglia della porta era stato praticamente impossibile. Aveva presto
scoperto che Nabiki aveva venduto l’indirizzo di Yuka ad
Happosai
per un considerevole profitto e lui si stava preparando ad imbucarsi al
pigiama party di quella poveretta della sua amica. Non
l’avrebbe
mai scoperto, se il vecchio pervertito non avesse fatto una cosa
piuttosto insolita. Aveva rubato quasi tutti i suoi pigiami.
Be’,
questa parte non era così strana, ma il fatto che si fosse
portato via tutti quelli assolutamente modesti e decenti, lasciando
solo quei pochi pigiamini striminziti che le erano stati regalati da
amiche e familiari impiccioni e che lei non aveva praticamente mai
indossato, era veramente insolito. Era seguito un combattimento, in cui
lei aveva cercato di recuperare il foglio di carta con le indicazioni
per la casa di Yuka e anche un paio di pigiami un po’
più
sobri. Aveva speso diversi minuti ad inseguire il piccolo maniaco per
tutta la casa senza ottenerne nulla, finché per
fortuna non
era intervenuto Ranma, che aveva distratto il vecchio con le solite
tattiche e aveva così dato tempo ad Akane di prenderlo a
cazzotti e recuperare quello che le apparteneva.
Akane sorrise inconsciamente, ripensandoci. Ranma... Il suo
cavaliere dalla... non così scintillante armatura. Aveva
modi un
po’ rudi e la sua metaforica armatura avrebbe avuto bisogno
di
una bella lucidata, ma che lui raffinasse i suoi modi e lucidasse la
sua armatura oppure no, lei sarebbe stata felice di prenderselo
così com’era. Il sorriso vacillò
leggermente,
mentre diventava pienamente consapevole di questo pensiero. Quando
aveva cominciato a preferire una vita insieme a lui alla
normalità a cui attualmente stava correndo incontro?
Rallentò, raggiungendo la sua destinazione, e diede
un’occhiata alla finestra, dove poté distinguere
le sagome
delle sue amiche che ridevano allegramente sedute in salotto,
parlavano, si sistemavano i capelli l’una con
l’altra, si
truccavano e si mettevano lo smalto... Sospirò, sopraffatta
da
una strana sensazione di perdita. Quella era stata la sua vita, una
volta. La vita di un’adolescente spensierata, che non doveva
preoccuparsi di combattimenti, matrimoni e di quella pesante
espressione, "per sempre". Non era necessariamente una vita migliore e
non l’avrebbe scambiata con quella che aveva adesso, ma era
stato
bello. Indugiò per un istante, in piedi nella pallida luce
riflessa dalla finestra, e osservò in silenzio, sapendo che
anche se fosse entrata in casa sarebbe sempre rimasta
un’osservatrice esterna dei loro festeggiamenti. Era troppo
distante da loro. Ormai aveva pochissimo in comune con quelle ragazze
spensierate. Però poteva fingere, mettere su una bella
recita e
l’avrebbe fatto volentieri. Dopo tutto, questa poteva
benissimo
essere la sua ultima possibilità di vivere la vita di una
normale ragazza delle superiori.
L’aveva quasi sposato, avrebbe voluto sposarlo.
Sapeva anche troppo bene quali sarebbero state le conseguenze. Ci
pensò sopra con molta attenzione. Sapeva che avrebbe dovuto
rinunciare per sempre alla vita che adesso stava spiando, per non poter
mai più tornare indietro. Eppure, lo avrebbe fatto
ugualmente
quel passo, senza rimpianti, senza alcuna incertezza. Ma poi eccola
lì di nuovo, pronta a riabbracciare quella vita ancora una
volta, anche se solo per una notte. Una volta sposata, non ci sarebbero
stati più pigiama party. Ci sarebbero state un sacco di cose
a
cui rinunciare se avesse detto "Lo voglio".
Forse avevo
davvero deciso troppo in fretta. Suppongo che Ranma mi abbia salvato
anche da questo.
Sospirò, ignorando emozioni che erano uno spiacevole misto
di
delusione e sollievo. Decise di non pensarci più. Dopo
tutto,
era proprio questa la ragione per cui aveva atteso con tanta ansia
questa serata. Era una gradita distrazione dalle complicazioni della
sua vita.
Dopo essere rimasta lì impalata a sufficienza, si
decise ad
attraversare silenziosamente il cancello e a correre sugli scalini di
cemento, fino alla porta di casa della sua amica Yuka. Bussò
e
si aggiustò la sacca gialla con il cambio d’abito,
in modo
che le cadesse comodamente sulla spalla.
“Arrivo!” urlò una voce
dall’interno e, man
mano che la proprietaria della voce si avvicinava, si sentì
sempre più forte il suono dei suoi passi. La porta si
aprì di botto ed un rettangolo di luce si riversò
fuori
dallo stipite e le accecò gli occhi già adattati
al buio
della notte, facendola sussultare. “Akane!”
urlò
ancora una volta la voce cantilenante di Yuka, che uscì e
buttò le braccia al collo della ragazza dai capelli scuri.
Continuò a ridere allegramente per tutto il tempo e Akane si
sentì un po’sconcertata da
quell’abbraccio
improvviso.
“Buon compleanno!” ridacchiò
Yuka.
“Ehm, è il tuo compleanno,
Yuka,” rispose cauta Akane.
“Davvero? Ma guarda un po’! Tanti auguri a
me! Dovrei festeggiare con un drink.”
Akane incurvò un sopracciglio e si avviò
verso
l’interno con la sua amica. “Mi sa proprio che
l’hai
già fatto.”
“Davvero? Dici?” Akane rise leggermente e
lei e Yuka
entrarono in salotto, dove le altre ragazze si erano già
accampate. “Ehi, ragazze! Guardate chi
c’è!
Akane!”
Le ragazze mormorarono un coro di saluti e Akane rispose
educatamente, prima di rivolgersi di nuovo all’amica
alticcia.
“Buon diciassettesimo compleanno, Yuka. Mi dispiace di aver
fatto
così tardi, ma... Eh?” Fu allora che
notò che Yuka
era già scappata via e si era seduta accanto ad
un’altra
amica, ammirando meravigliata i colori della collana di perline che
quest’ultima stava creando.
“Non preoccuparti,” ridacchiò
Sayuri, comparendo
all’improvviso accanto ad Akane. “È
così
ubriaca che a malapena sa che giorno è, figuriamoci
l’ora.”
“Non l’ho mai vista così,
prima,” rifletté curiosa Akane.
Sayuri si accigliò e le sussurrò
all’orecchio.
“È colpa di quel buono a nulla del suo ragazzo. O
meglio
ex. Yamata-san le ha dato un biglietto d’auguri, dove diceva
che
anche se lei gli piace, lui pensa che forse dovrebbero frequentare
altre persone per un po’.”
“Ha rotto con lei con un biglietto
d’auguri?”
chiese incredula Akane, un po’ più forte di quanto
avrebbe
voluto. Si accorse troppo tardi del suo errore, sentendo Yuka che
scoppiava a piangere.
“Uaaah! Non mi ama più,”
frignò Yuka e Akane sussultò, precipitandosi
accanto all’amica.
“Ehi, va tutto bene, Yuka! Chi lo vuole,
quello?”
“Già,” intervenne Sayuri.
“Puoi decisamente avere di meglio!”
“Davvero?”
“Ma certo!” insistettero le due ragazze.
“E comunque chi ha bisogno dei ragazzi,”
continuò
Sayuri. “Sono tutti degli idioti! Giusto, Akane?”
“Eh? Oh, be’, ehm... Sì, lo
sono... a volte,” terminò lei debolmente.
Sayuri la guardò con sospetto, ma fu distolta dai
suoi
pensieri quando Yuka cominciò a ridere. “Sono
davvero
degli idioti a volte, non è così? E anche Yamata
lo
è! L’altro giorno eravamo usciti insieme, ho
chiesto del
tè al limone e lui mi ha portato una limonata! Ve lo
immaginate?
Insomma, è come se non mi ascoltasse per niente!”
Sayuri e le altre ridacchiarono. Akane sembrava confusa. E qual è il problema?
si chiese. Era un errore in buona fede. Con il tempo, aveva imparato ad
essere paziente riguardo a piccole cose come questa nella sua
relazione, se la si poteva chiamare così, con Ranma.
Ovviamente,
Yuka e le altre ragazze non avevano mai avuto una relazione abbastanza
lunga per poterlo sapere. Era anche vero, però, che Ranma
non
sarebbe mai stato così insensibile da rompere con lei con un
biglietto d’auguri. Poteva essere piuttosto ottuso a volte,
ma
lei era sicura che non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
“Ma ci sono anche dei lati positivi coi
ragazzi,”
continuò Yuka in tono sognante. “La settimana
scorsa siamo
andati al cinema insieme e lui mi ha pagato il biglietto e anche i
popcorn!”
“Aaah, che carino. Io sono fortunata se il mio
ragazzo si paga
il biglietto del pullman per venire all’appuntamento!
Davvero,
non ha molti soldi in tasca,” borbottò una ragazza
che
Akane riconobbe come una compagna di classe.
Un’altra ragazza, dai lunghi capelli ricci, sorrise
con
sicurezza. “Il mese scorso, Honda-san mi ha comprato delle
rose
per il nostro trimesiversario.”
Diverse altre ragazze squittirono eccitate. Akane si
limitò
ad osservare il loro scambio di battute, incerta su cosa dire o fare.
“Oh, adesso che mi ricordo,” chiese Sayuri
alla ragazza
coi capelli ricci. “Mika-chan, ti volevo chiedere... come vi
siete messi insieme, tu e Honda-san?”
La ragazza, Mika, non era una loro compagna di classe e Akane
non la
riconobbe come una studentessa del Furinkan, quindi fu sorpresa nel
vedere che la sua amica Sayuri sembrava essere così in
confidenza con lei da poterle fare domande così personali.
Si
accigliò internamente, rendendosi conto che le sue amiche
dovevano aver fatto tantissime nuove conoscenze, in sua assenza. Lei
non si era vista molto, in giro.
Mika arrossì, raccontando la storia di quando, il
giorno di
San Valentino, aveva preparato un cioccolatino speciale per il suo
ragazzo e si era dichiarata e di come lui aveva accettato di essere il
suo ragazzo. Un coro di "Aaah" riempì la stanza e Akane
ascoltò distrattamente la conversazione intrapresa dalle
ragazze, preferendo invece sedersi sul pavimento, appoggiarsi al divano
e sfogliare da sola un vecchio album di foto di Yuka, con le pagine
piene di tante piccole foto purikura, zeppe di sticker colorati. Si
ricordò le innumerevoli ore e i tanti soldi spesi, negli
anni
passati, a posare per quelle stupide e minuscole foto e a decorarle con
i bordi e le immagini offerti dalla macchina, per poi stamparle e
dividersele fra di loro. Voltò pagina e trovò una
foto a
figura intera di Yuka, Sayuri ed una ragazza dai capelli lunghi, che
riconobbe vagamente come se stessa.
Fissò la foto sbalordita, trovando incredibile che
la ragazza
che stava guardando fosse così diversa da quella che era
adesso.
Non era solo il fatto che indossasse l’uniforme della scuola
media, invece del solito completo azzurro del Furinkan. Né
il
fatto che i suoi capelli fossero lunghi e legati con un nastro giallo.
C’era qualcosa di diverso nei suoi occhi. In quegli occhi
spensierati e vacui non vide niente dell’esperienza e di
quello
che la vita le aveva insegnato nell’ultimo anno. Al posto
della
donna forte, testarda e determinata che riteneva di essere adesso, vide
una ragazzina ingenua ed infantile, che non pensava ad altro che alle
arti marziali e allo shopping. Non c’era nemmeno
l’ombra di
un pensiero sulla vita, la morte o l’amore.
“E tu, Akane?”
“Eh?” farfugliò Akane,
sollevando bruscamente lo sguardo. “Che
c’è?”
Le ragazze ridacchiarono, sorprese di averla colta alla
sprovvista.
“Tu e Ranma. Di certo ne avrai di storie piccanti da
raccontare.”
“Già! Voi due siete fidanzati,
giusto?”
Akane si accigliò. Aveva sperato sinceramente di
poter
evitare di parlare di Ranma e di pensare a lui, almeno per una sera.
“È... complicato,” mormorò,
sperando di
chiudere così la questione.
“Oh, andiamo! Di sicuro voi due siete usciti insieme
parecchie volte, no?”
Akane sussultò, perché la domanda
toccava un punto
dolente per lei. “È... complicato,”
mormorò
ancora, incapace di pensare a molto altro da dire sulla questione.
“Ma vi siete baciati, giusto?”
Lei arrossì febbrilmente e cominciò a
balbettare una
risposta all’ennesima domanda imbarazzante e scomoda.
“Be’... come dicevo, è...
complicato.”
Ad un tratto, l’aria si riempì del suono
di una risata
e Akane guardò la ragazza dai capelli ricci, Mika.
“Vuoi
farci intendere che hai quasi diciassette anni, vivi con un ragazzo con
cui sei fidanzata e ancora non hai mai baciato nessuno? Noi pensavamo
che tu fossi più avanti di noi, Akane. E invece sembra che
tu
sia l’ultima del gruppo.”
Qualche altra risatina riempì la stanza. Akane
strinse gli
occhi e serrò le labbra in una linea sottile. Decise che
questa
nuova ragazza, Mika, non le piaceva affatto. Dopo tutto, erano perfette
estranee e la ragazza la stava già guardando
dall’alto in
basso, dando anche giudizi sulla sua relazione con Ranma. Sentiva
già abbastanza prediche sul suo rapporto con Ranma da altre
persone che conosceva; ci mancava solo che adesso dovesse sorbirsi pure
le opinioni di una perfetta estranea. Stava quasi per dirgliene quattro
ma, sfortunatamente, le altre ragazze erano troppo prese dal nuovo
gossip sulla vita amorosa di Akane per lasciarle dire una parola
sull’argomento.
“Davvero non l’hai ancora baciato,
Akane?” chiese Yuka incredula.
“E stavi quasi per sposarlo? Oh, Akane!”
ridacchiò Sayuri. “Ne hai di strada da
fare.”
Akane fissò le amiche che ridevano forte e
sentì la
rabbia che cominciava a montare. “Aspettate un attimo! Che
importa se non ci siamo baciati? Una relazione è fatta di
molte
altre cose!” si difese animatamente.
“Uh uh, certo, Akane,” rise Yuka, con le
lacrime agli occhi dal divertimento. “Tutto quello che
vuoi!”
“È vero!” continuò
Akane. “Che mi
dite degli interessi comuni, del rispetto,
dell’amicizia?”
Le ragazze si guardarono l’un l’altra con
dei sorrisetti
d’intesa. “Sì certo... tutto molto
bello,
ma...”
“Voglio dire, certo, i vostri ragazzi vi comprano i
dolci, vi
tengono la mano e fanno tutti gli sdolcinati con voi, ma avete
parecchio da imparare se pensate che questa sia una relazione! Per caso
uno dei vostri ragazzi farebbe mai l’impossibile per
recuperare
una cosa che avete perso o mangerebbe mai qualcosa che avete cucinato,
sapendo che farà veramente schifo? Resterebbe insieme a voi
dopo
avervi visto dare il peggio di voi stesse? Vi perdonerebbe se faceste
una stupidaggine? E se fosse lui a fare una stupidaggine, per caso si
scuserebbe e farebbe qualsiasi cosa per farsi perdonare? Le vostre
relazioni resisterebbero ad una vera litigata, anche una sola? I vostri
ragazzi lotterebbero per proteggervi? Ucciderebbero per voi?
Morirebbero per voi?”
Le ragazze si guardarono l’un l’altra
nervosamente, ma
Akane non prestò loro alcuna attenzione e
continuò con la
sua tirata. “Voglio dire, certo, io e Ranma forse non abbiamo
un
rapporto perfetto, ma almeno ne abbiamo passate abbastanza per sapere
cosa significa davvero avere una relazione. Non si tratta solo di
baciarsi e uscire insieme e di tutti i regali che può farvi.
Si
tratta di esserci l’uno per l’altra, e mettere i
sentimenti
dell’altro prima dei propri, e fidarsi l’uno
dell’altra e lavorare insieme come una squadra!”
Il silenzio riempì la stanza e Akane quasi sorrise
nel vedere
gli sguardi pensierosi che tutte le ragazze sembravano avere in comune.
Cominciò a sentirsi piuttosto orgogliosa di se stessa per
essere
riuscita a colpirle. Ma fu in quel momento che l’irritante
Mika
dai capelli ricci decise di parlare ancora.
“Ma Akane, io ho sentito dire che Ranma aveva altre
tre fidanzate. È vero?”
Akane sospirò e abbassò la testa
sconfitta. “È... complicato...”
“Non capiranno mai,” borbottò
Akane fra
sé, uscendo di casa e avviandosi verso la piccola veranda.
“Quella stupida di Mika. Come fa a sapere tutte quelle cose
della
mia vita, comunque?”
Aprì ancora una volta il piccolo album di foto che
stringeva
in mano. Dopo la pagina della foto a figura intera che ritraeva lei e
le sue migliori amiche, c’erano altre pagine di collage di
foto
purikura. All’inizio, Akane continuava ad essere presente
nella
maggior parte di esse, ma lentamente cominciò a vedere
sempre
meno il suo viso. Le foto diventarono principalmente di Yuka e Sayuri,
con qualche amica occasionale che faceva una comparsata qua e
là. Poi ci fu Mika al centro dell’attenzione nella
maggior
parte delle foto, che sembravano essere state scattate tutte negli
ultimi mesi. Akane sospirò. “Non bastava che
conoscesse
tutti i dettagli della mia vita attuale, doveva pure prendere il mio
posto in quella precedente.” Dall’interno della
casa
echeggiavano le risate e l'acuta voce da soprano di Mika si
alzò
fino a coprire gli strilli, per continuare una storia che stava
raccontando.
“Immagino di non essere altro che il pettegolezzo
del giorno,
adesso.” Akane si avviò sdegnosamente verso
l’esterno della veranda, allontanandosi ancora di
più
dalle sue amiche, e si sedette sugli scalini d’ingresso,
guardando fuori nella notte, osservando la strada e i pedoni
occasionali che passavano di lì a tarda ora. Si sentiva
piuttosto disillusa, al momento. Tutto quello che voleva era una serata
libera, in cui non avrebbe dovuto litigare con nessuno né
difendere l’onore di qualcuno e non avrebbe nemmeno dovuto
pensare al suo stupido fidanzato. Ma sfortunatamente, non si poteva
proprio sfuggire all’influenza di Ranma Saotome. Dovunque
andasse, una parte di lui la seguiva, persino ad un pigiama party fra
ragazze dall’altro lato della città, dove perfette
estranee gettavano uno sguardo critico proprio sulla loro relazione.
E la scoperta più sorprendente di tutte fu che non
le
dispiaceva per niente. A dire la verità, gli
sfottò e le
prese in giro che le ragazze le avevano rovesciato addosso senza
pietà erano un po’ seccanti. Ma il pensiero di
Ranma era
lontano dall’essere sgradito. Anche prima che le ragazze
introducessero l’argomento del suo fidanzato, si era trovata
costantemente a vagare con la mente e pensare a lui.
Cos’avrebbe
fatto, quella sera? Stava pensando a lei? Sentiva la sua mancanza? Era
arrabbiato con lei perché era sgattaiolata via senza
salutare? A
dire il vero era uscita in silenzio per evitare Happosai, non Ranma, ma
il pensiero di essersene andata così bruscamente la
infastidiva
lo stesso. Ma a lui importava, poi? Non è che non se ne era
neanche accorto che lei era uscita?
Si morse il labbro, rendendosi conto con imbarazzo di aver
passato
gran parte del tempo pensando a lui, spesso senza neanche accorgersene.
Era semplicemente naturale per lei, perché lui era parte
integrante della sua vita. Era difficile trovare qualcosa, nella sua
vita, che appartenesse a lei e a lei soltanto. E per motivi che non
aveva ancora ammesso completamente, non voleva che le cose cambiassero.
Per niente. La verità era più difficile da
evitare,
adesso. Aveva indossato l’abito di pizzo bianco, si era
truccata,
si era messa i fiori nei capelli... Avrebbe voluto sposarlo. Se
riusciva ad ammettere questo, allora poteva ammettere anche che
c’era un motivo. Un motivo intorno al quale entrambi giravano
quotidianamente, ma che non avevano mai veramente affrontato.
L’amore.
Lei lo amava.
E ora, alla vigilia di quello che sarebbe stato il loro primo
mesiversario, dall’altra parte della città, da
sola, alla
pallida luce della luna, lei si rese conto di un’altra cosa.
Sentiva la sua mancanza. Era l’unico con cui
desiderava essere
in quel preciso momento. Perché era triste e si sentiva
persa e,
in qualche modo, sapeva che solo lui poteva farla sentire meglio. Aveva
bisogno di vederlo, aveva bisogno di sapere che quelle sciocche
ragazze, in casa di quella che una volta era stata la sua migliore
amica, si sbagliavano. Non sapevano niente dell’amore e del
sacrificio, e delle basi su cui costruire una vera relazione. Aveva
bisogno di sentire che la sua relazione con Ranma era unica. Speciale.
Matura. Nonostante il fatto che loro due fossero irrimediabilmente
immaturi ed incapaci di essere franchi ed onesti sui propri sentimenti,
c’era qualcosa di più fra di loro. Una
completezza, una
complicità, la sensazione che fosse tutto al posto giusto,
quando erano insieme.
O forse sentiva solo la sua mancanza, perché
nonostante i
discorsi maturi e la convinzione di essere pronta per il matrimonio,
c’era una parte di lei che era ancora soltanto una ragazzina
innamorata, con una cotta pazzesca, che le impediva di passare una
giornata lontano dall’oggetto delle sue attenzioni senza
desiderare che fosse lì accanto a lei. “Ma vale
solo per
me,” sussurrò tristemente. “Sono
ridicola.
Probabilmente, non gli importa neanche che non sono a casa. Eppure...
mi chiedo, che sta facendo stasera?”
E fu così che, tutt’a un tratto,
trovò la
risposta alla sua domanda dove meno se l’aspettava. Lui era
comparso così all’improvviso e di punto in bianco
che, per
un attimo, lei considerò la possibilità di averlo
evocato
dal nulla con l’immaginazione. Ma poi, se fosse stato
così, non le sarebbe parso come lo vedeva al momento.
Era sul marciapiede, non sulla recinzione, e sembrava
così
perso e fuori posto che per un attimo lei non lo aveva riconosciuto.
Era decisamente fuori dal suo elemento; un uomo con una missione
imbarazzante, che camminava su una strada sconosciuta, con in mano un
foglio di carta che continuava a girare e a leggere di sfuggita.
“Dovrebbe essere questa la casa,”
borbottò fra
sé, fissando il foglio e poi lanciando un’occhiata
alla
casa di fronte a lui. Lei lo vide esitare e guardare colpevolmente a
destra e a sinistra. Poi, quando fu sicuro che nessuno lo stesse
guardando, si trascinò verso la casa solo per fermarsi a
metà strada e, altrettanto improvvisamente, girarsi ed
uscire di
nuovo dal cancello con passi rapidi e decisi.
“Lasciamo perdere! Io...” Era
già arrivato
qualche casa più in là quando si fermò
di nuovo.
Inspirò, espirò, raddrizzò le spalle e
marciò verso il cancello della casa di prima... poi
deviò
da un lato e la oltrepassò, facendo finta di non aver mai
avuto
l’intenzione di dirigersi verso di essa.
“Che stupidaggine, se mi vede qualcuno,
sembrerò un
perfetto idiota...” borbottò, prima di tornare a
guardare
la casa. “Forse potrei semplicemente lasciarlo sulla porta e
dire
a Kasumi di telefonare o qualcosa del genere...”
Annuì, chiaramente deciso ad adottare questa linea
d’azione, e scivolò silenzioso verso la casa,
arrivando
questa volta fino ai gradini prima di essere fermato dalla risata di
Akane.
“Che stai facendo?” chiese lei in tono
gioviale.
Lui sollevò la testa di scatto e si girò
a guardarla,
appoggiata alla ringhiera della veranda della casa accanto. Diede
un’altra occhiata imbarazzata al foglio, poi al numero sulla
porta. “1326. Non è questa la casa della tua
amica?”
chiese indicando l'ingresso.
“No,” ridacchiò Akane.
“Gli otto di Nabiki
a volte sembrano sei. È 1328. Qui,” gli
indicò con
un gesto della mano.
“Ah,” disse lui annuendo. Si mise il
foglio in tasca e
si girò. Un saltello, un passo e un balzo ed eccolo
lì,
accovacciato sulla ringhiera della veranda di Yuka di fronte ad Akane
con un atterraggio perfetto. “Ehi,” disse
semplicemente.
“Ciao,” sorrise lei. Stava sorridendo
parecchio e non
riusciva esattamente a capire perché. Forse era il fatto che
fosse comparso proprio quando lei l’aveva desiderato, come se
in
qualche modo avesse saputo che sentiva la sua mancanza. O forse
perché aveva assistito a qualcosa che lui non voleva farle
vedere. L’aveva preso alla sprovvista e non era un risultato
da
poco. Prima che lei manifestasse la sua presenza, le era sembrato
indeciso se bussare o no alla porta, per di più quella
sbagliata. Per un istante, era stato lui quello goffo ed imbranato, ma
dopo essere stato scoperto, aveva ricominciato a comportarsi nel solito
modo sicuro e disinvolto. Era quasi come se stesse cercando di farsi
bello ai suoi occhi. Questo la divertiva, in qualche modo.
“Allora...” cominciò lentamente
lei. “Che ci fai qui?”
“Io, ehm... Kasumi mi ha chiesto di portarti lo
spazzolino,” disse lui, tirando fuori un borsello da viaggio
di
plastica che lei riconobbe come quello in cui aveva sistemato lo
spazzolino e il dentifricio, insieme ad altre cose che pensava le
sarebbero potute servire ad un pigiama party.
“Dev’esserti
caduto dalla borsa, prima, con tutto quel trambusto...”
Ranma smise di parlare, sentendosi stupido a dare spiegazioni.
Tuttavia, era piuttosto soddisfatto di non essersene uscito con le
solite scuse su quanto lei fosse smemorata ed imbranata o suggerito che
lei avesse dimenticato apposta il borsello, costringendolo a correrle
dietro. Per la verità, segretamente si augurava che fosse
andata
proprio così, ma sapeva perfettamente che non era vero.
Akane
non era mai stato tipo da fare certi giochetti.
Akane abbassò lo sguardo sul borsello e glielo
prese di mano
gentilmente, mentre gli occhi cercavano sbalorditi quelli di lui.
“Tu... Tu sei venuto fin qui per portarmi... lo
spazzolino?” chiese in tono meravigliato. Per lei, era una
cosa
così incredibilmente dolce e toccante, e così non
da
Ranma.
Volevo vederti,
rispose
lui, ma solo nella sua mente. Fin da Jusendo, aveva scoperto che
diventava apprensivo ogni volta che lei restava via molto a lungo. Si
diceva che fosse solo perché era preoccupato per la sua
sicurezza. Vederla quasi morire lo aveva spaventato terribilmente e con
estremo orrore aveva scoperto che a volte, quando la guardava, la
realtà si deformava e diventava cupa. Ai suoi occhi, lei
sembrava pallida e con gli occhi chiusi e non respirava, e lui doveva
scuotersi per scacciare via l’orribile immagine del suo corpo
senza vita. Si convinceva che, quando era lontana, l'ansia gli venisse
solo per questo motivo. Era perché aveva paura per la sua
sicurezza, e questo lo tormentava finché non riusciva a
vederla
e poteva provare al suo cervello nel panico che lei stava bene. Ma la
verità era che... gli mancava. Non gli piaceva stare lontano
da
lei, anche solo per una notte. Non gli piaceva che fosse scappata via e
l’avesse lasciato da solo per stare con le sue amiche.
Soprattutto, non gli piaceva che lei sembrava averlo fatto per
prendersi una pausa da lui e dalla follia che ruotava intorno alla loro
vita insieme. In effetti, non poteva biasimarla se desiderava un
po’ di pace e tranquillità ed un breve momento di
normalità. Solo, avrebbe voluto che lei non dovesse
allontanarsi
da lui per ottenerlo. Avrebbe voluto, in qualche modo, essere parte di
quel momento. Che stare con lui e con lui soltanto le avesse portato un
po’ di felicità, invece che preoccupazioni.
Ma era sicuro che non fosse così ed era per questo
che lo
aveva lasciato da solo. Anche se la cosa lo preoccupava, non aveva
alcun diritto di obiettare. Lui non poteva tenerla sempre accanto. Lei
non era sua.
Per lo meno, non ancora...
Dannazione,
mormorò col pensiero. Avrei
dovuto sposarla...
Lei continuava a guardarlo con una dolce espressione commossa
e
speranzosa negli occhi e lui desiderò poterla prendere fra
le
braccia e sussurrarle quelle verità non dette.
Ondeggiò
per un attimo, piegandosi leggermente verso di lei, e per un istante
giurò di aver visto gli occhi di Akane fissargli le labbra,
prima di chiudersi. Ma la paura e la forza dell’abitudine lo
trattennero e così scrollò le spalle e si
allontanò di nuovo.
“Non avevo niente di meglio da fare. E poi volevo
assicurarmi
che Happosai non avesse trovato il modo di venire qui a dare fastidio
alle tue amiche.”
Pensò che lei sembrasse un po’ delusa,
per qualche
strano motivo, ma nel sentire le sue parole sorrise di nuovo.
“Eri preoccupato per me?”
“Per te? No, certo che no. Ero preoccupato che
terrorizzasse
le tue amiche.” Si morse la lingua, desiderando di potersi
rimangiare l’osservazione. Le cose erano andate
così bene,
fino a quel momento.
Fortunatamente, lei rispose solo con una breve risatina e gli
sorrise. “Grazie, Ranma,” disse con voce dolce e
sincera.
“È stato molto premuroso, da parte tua, venire
qui.”
Lui deglutì e avvampò leggermente.
Eccola lì di
nuovo. Quella tensione strana e imbarazzante fra di loro. Avevano
raggiunto una specie di limbo. Non si odiavano più, questo
era
certo, ed entrambi sapevano che c’era qualcosa fra di loro,
ma
finora nessuno aveva fatto il primo passo per ammetterlo. Erano amici e
fidanzati e, a volte, qualcosa nel mezzo fra queste due definizioni e
allo stesso tempo qualcosa di più. La loro relazione era
indefinita e, in una parola, complicata. Forse era questo che la
rendeva così imbarazzante. Non potevano tornare indietro, ma
nessuno dei due sapeva come fare per andare avanti e fare il primo
passo verso l’ignoto. Questo rendeva teso ogni momento che
passavano insieme e lui sentiva che, vicino a lei, i suoi sensi erano
sempre allerta, perché sapeva che ogni momento poteva essere
quello in cui le cose sarebbero cambiate... per sempre.
Non era sicuro di essere pronto per questo. Ma voleva esserlo.
Perché c’era qualcosa fra di loro. Lui lo sapeva,
lei lo
sapeva, quasi tutta Nerima lo sapeva. E lui sapeva anche che, ad un
certo punto, avrebbe dovuto fare qualcosa al riguardo. Fissò
il
viso di lei, bagnato dalla luna, e inghiottì a fatica.
Avrebbe decisamente dovuto fare qualcosa al riguardo...
Ma non quella sera.
Si tirò indietro con una buona dose di riluttanza.
Forse quella sera non era la sera giusta, dopo tutto.
“Sì be’, ok allora,”
disse in tono
infelice. “Devo andare. Divertiti...” Non appena le
parole
uscirono dalla sua bocca, saltò giù dalla
ringhiera e
cominciò a camminare rapidamente, senza neanche aspettare
che
lei rispondesse.
Lei lo guardò per un attimo e il sorriso non voleva
saperne
di scomparire dalle sue labbra, pensando al gesto semplice ma
incredibilmente toccante che lui aveva fatto. “E
già,” sospirò felice.
“C’è
decisamente qualcosa di speciale fra di noi. Scommetto che il ragazzo
di Mika non farebbe mai tutta questa strada per portarle uno
spazzolino!” Rise con allegria, al pensiero di far ingelosire
la
ragazza dai capelli ricci.
Tuttavia, provava un po’ di delusione e frustrazione
nel
vederlo andare via. Anche lei lo sapeva. C’era una tensione
palpabile fra di loro, come se si stessero sempre sfidando
l’un
l’altro a fare la prima mossa. Erano sempre sul chi va
là,
sapendo che da un momento all’altro sarebbe potuto succedere
e le
cose sarebbero cambiate per sempre. Eppure, erano entrambi troppo
testardi per fare la prima mossa e aspettavano sempre che la facesse
l’altro, invece. Sospirò. “Vorrei che le
cose non
fossero così complicate.”
Ma poi, guardandolo andare via e ascoltando le ragazze che
ridevano
in casa, un pensiero le passò per la testa. Una parte di lei
invidiava quelle ragazze e le loro relazioni semplici e non complicate.
“Mi chiedo...” sussurrò a voce alta,
sommersa da
un’improvvisa ondata di curiosità.
“Forse alla fine
le cose non devono essere necessariamente così
‘complicate’, no?”
Dopo tutto, era vero quello che aveva detto alle ragazze,
prima.
Avere una relazione implicava molto di più che flirtare,
uscire
insieme e... baciarsi...
Akane si raddrizzò di botto, colpita da
un’improvvisa
consapevolezza. “Aspetta un attimo! Baciarsi...”
Un’espressione pensierosa le attraversò
improvvisamente il
volto, mentre lanciava un’occhiata alla sagoma sempre
più
piccola di Ranma. “Lui stava quasi per...” si
fermò,
sopraffatta da una strana confusione. Non aveva mai pensato molto a
questo genere di cose, in realtà. Aveva sempre guardato
dall’alto in basso le sue amiche perché ne erano
ossessionate. Ma per un attimo, aveva pensato che lui fosse sul punto
di baciarla e si rese conto di aver desiderato che lo facesse. Le
risate dentro alla casa catturarono di nuovo la sua attenzione e Akane
decise all’improvviso che era ora di scoprire cosa fosse
questa
cosa per cui facevano sempre tanto chiasso. Era stata sommersa da
un’improvvisa ondata di curiosità e si
mordicchiò
le labbra, indecisa, solo per un istante. Mi chiedo... Forse le cose non
devono essere così complicate, no?
Ranma diede un calcio ad un sassolino, arrancando agitato
lungo la
strada. “Pff! Questa sì che è stata una
perdita di
tempo. Tutta questa strada per vedere quel maschiaccio per niente
carino e tutto quello che ho ottenuto è uno stupido
graz...”
Come a farlo apposta, proprio in quel momento sentì
il rumore
di passi rapidi che battevano sul marciapiede dietro di lui.
“Ranma!” urlò Akane, facendolo
sussultare.
Oh oh. Deve
avermi sentito,
pensò, girandosi di scatto e preparandosi ad affrontarla e a
difendersi. “Senti, Akane, io volevo dire solo
che...”
Sbatté gli occhi sorpreso, scioccato di trovarsi
improvvisamente una ragazza fra le braccia. Dopo che se ne era andato,
lei gli era corsa dietro solo per gettargli le braccia al collo una
volta arrivata a destinazione. Lui incespicò leggermente
all’indietro per la forza dell’impatto e le braccia
si
sollevarono automaticamente a stringerla con delicatezza, anche solo
per sostenerne il peso contro di lui. Ma un momento dopo, seppe che era
più di questo e sentì le braccia avvolgerle la
schiena e
la vita, dimenticando momentaneamente tutte le sue difese.
C’era
qualcosa di speciale a trovarsi dall’altro lato della
città. Niente padri invadenti, niente corteggiatori e rivali
pazzi, soltanto lui e la ragazza che amav...
Be’, qualunque cosa fosse, non sentiva il bisogno di
mantenere
quel muro intorno a lui, che teneva lontano qualsiasi tipo di avance da
parte di quel pazzo maschiaccio. Non che lei gli facesse delle avance,
ma c’erano state delle volte in cui si erano avvicinati e
stava
quasi per succedere qualcosa, finché uno dei due aveva
rovinato
tutto per puro imbarazzo o paura. Oppure era stato qualcun altro ad
interromperli. Questo accadeva spesso e volentieri. Ma in quel
particolare momento, il potenziale impiccione più vicino era
a
più di un chilometro di distanza. C’erano soltanto
loro
due... E lui non aveva nessuna intenzione di rovinare la rara
opportunità che si era presentata.
Pensando a questo, strinse leggermente la presa e lei
inclinò
la testa all’indietro; i loro occhi si incontrarono per un
attimo, prima che entrambi li chiudessero e le labbra di Akane
accarezzassero le sue in un breve, casto, cataclismico bacio, che gli
lasciò la mente annebbiata e incapace di qualsiasi pensiero
non
legato alla ragazza che aveva fra le braccia.
Sorprese entrambi quanto fosse sembrato semplice e naturale, e
nessuno dei due riuscì a ricordarsi perché
avessero
aspettato così a lungo. Ora che la prima mossa era stata
fatta e
ci si poteva mettere una pietra sopra, i motivi per non averlo fatto
prima sembravano davvero stupidi.
Alla fine, Akane allentò la stretta e fece
scivolare via le
braccia dal collo per poggiarle delicatamente sulle sue spalle. Si
allontanò da lui e sollevò lentamente lo sguardo
esitante
per incontrare il suo. Un castano incerto e imbarazzato
incrociò
un blu stordito ed elettrizzato e per un attimo si guardarono negli
occhi, finché le labbra di lui, leggermente spalancate per
la
sorpresa, scivolarono in un sorriso ebete e stralunato. In risposta, le
guance di lei presero un’attraente tinta rosata e, con
l’imbarazzo diventato improvvisamente troppo da sopportare,
si
girò e tornò di corsa verso la casa, salutandolo
con un
breve cenno della mano. “Buona notte, Ranma!”
Lui sollevò meccanicamente la mano per rispondere
al saluto e
sorrise. “'Notte, Akane,” sussurrò. Lei
entrò
in casa e si appoggiò alla porta dopo averla chiusa,
sorridendo
come una stupida e accarezzandosi le labbra con il dito. Le sue amiche
ridevano per qualcosa, nella stanza accanto, e lei sorrise di cuore.
All’improvviso sentiva di avere qualcosa in comune con loro,
dopo
tutto, e doveva ammetterlo, avevano ragione. Era decisamente
meraviglioso baciare il ragazzo che... amava.
E mentre la guardava
sparire all'interno della casa, Ranma non
poté fare a meno di pensare di essersi sbagliato. Venire qui
non
era stata una perdita di tempo, dopo tutto.
1.
"Il chiodo
che sporge va preso a martellate" è un proverbio giapponese,
che
riflette la tendenza di questa cultura a privilegiare l'omologazione,
piuttosto che l'individualità. Praticamente, uno come Ranma
in
Giappone non è un figo, ma un emarginato. Questa
è una
delle cose che differenziano gli orientali dagli occidentali. Anche se,
a pensarci bene, non è che siamo così diversi.
Anche noi
preferiamo omologarci, solo che ci piace fare
finta di essere
originali. Ma sto divagando. Alla prossima!