Buon
pomeriggio a tutti!
È
da un secolo che non pubblico qualcosa qui su EFP, mi mancava!
Rivelo
il perché: sono una che quando scrive una storia ha bisogno
di
sapere tutti i dettagli prima di metterla effettivamente nera su
bianco, e a causa della mia (in)costanza difficilmente arrivo a quel
punto. Ho tipo un milione di storie organizzate e praticamente
nessuna conclusa. Mi stavo chiedendo il perché di questa
cosa, e mi
sono accorta di come, a un certo punto, finisco per stancarmi e
perdere la verve che mi aveva spinto a organizzarmi tutta felice.
Per
questo ho voluto provare un altro metodo, uno che non usavo da quando
avevo appena iniziato a scrivere - ovvero... otto anni fa? - in
pratica scrivere seguendo la scia dell'ispirazione. Proprio per
questo vi dico subito che la trama è ancora vaga nella mia
testa, ho
solo alcuni punti sicuri, ma di altro andrò dove mi porta il
cuore -
o meglio le mie dita. Anche il titolo d'altro canto deriva da una
ispirazione momentanea, cercherò di essere fedele anche a
quello.
Vi
chiedo scusa in anticipo per dei (sicuri) ritardi negli
aggiornamenti, ma purtroppo mi sto incamminando verso la fine del mio
percorso liceale e la maturità si fa sempre più
vicina, perciò non
so quanto potrò dedicarmi alla storia come altre volte
invece
faccio. In ogni caso farò il possibile per non perdere
l'ispirazione
e concludere questa storia - è una sfida personale, questa!
Ringrazio
in anticipo chiunque voglia leggerla e anche chi, eventualmente, mi
voglia lasciare una recensione: anche il più piccolo parere
(positivo o negativo che sia) mi farebbe un enorme piacere, e mi
affido a voi per correggere eventuali discordanze fra i vari capitoli
- starò attentissima a non commetterne, ma come ho
già detto
solitamente mi organizzo le cose in anticipo!
Buona
lettura!
~Sapphire_
~Dirty
Blood
Capitolo
uno
Non
sapeva come fosse finita in quella situazione. Più ci
pensava, più
le sembrava una situazione insensata.
Era
tutto iniziato come una brutta giornata, con una perpetua nausea che
non voleva abbandonarla, giramenti di testa e il buio che le
compariva di fronte agli occhi, in fastidiosi flash che le facevano
venire fitte alla testa, come se qualcuno la stesse ripetutamente
infilzando con uno stiletto proprio alle tempie.
Si
era detta che fosse una banale sindrome premestruale – anche
se di
solito diventava solo isterica e molto irritabile – ed era
andata
avanti in quella giornata orribile.
Almeno
fino a quando, tornando a casa in quella buia e grigia serata
invernale, dopo che il sole era già calato e New York veniva
illuminata dalle luci artificiali dei locali e dei lampioni, si era
ritrovata quasi rapita da qualcuno –
no, qualcuno non era il termine adatto. Da uno strano essere di
dubbia provenienza.
Dopo
quel momento era stato solo un susseguirsi di terrore e proprio
mentre stava per svenire – almeno non avrebbe dovuto
sopportare
mentre era cosciente un probabile stupro – era stata tirata
via e
costretta a correre per non si sa quanto tempo, traballante su dei
tacchi che avrebbe dovuto lasciare a casa.
E
ora era lì, in un sudicio vicolo che puzzava in maniera
preoccupante, immobilizzata da una mano sul polso e il peso di quella
persona addosso e taciuta da un'altra mano sulla bocca.
Dalla
corsa e dal buio di quel vicolo non era riuscita a vedere chiaramente
la persona che l'aveva costretta a quella fuga così
improvvisa e
confusa.
Ophelia
si divincolò in preda al terrore, gli occhi verdi sbarrati e
puntati
su quella figura che la costringeva a stare ferma con malagrazia,
riuscendo a vedere solo una massa di mossi capelli biondi.
In
tutto quel trambusto, l'unica cosa a cui pensò fu che quella
mattina
avrebbe dovuto mangiare la torta al cioccolato e fregarsene dei
brufoli che le sarebbero usciti l'indomani.
Tanto
non ci arrivo a domani,
pensò
con una sarcastica constatazione, abbastanza inadatta a quel
frangente.
Presa
però ancora dallo spavento continuò a
divincolarsi, senza
particolare successo, finché non riuscì a mordere
la mano che
continuava a coprirle la bocca. Sentì il sapore ferroso del
sangue
che le pizzicava la lingua e il ragazzo che emise quasi un ringhio di
dolore.
La
mano non si spostò, ma quell'attimo di debolezza fu
sufficiente per
strattonare un'altra volta e avere lo spazio per allontanarsi; fu
però ancora trattenuta al polso, mentre la bocca era
finalmente
libera.
Stava
per urlare, quando il ragazzo si girò con aria irata e il
fuoco
negli occhi.
«Vuoi
farti ammazzare? Stai ferma, cazzo!» sibilò a
bassa voce.
Ophelia
fu praticamente trapassata da un paio di occhi bianchi come la neve,
che di certo non si aspettava di vedere.
Si
stette finalmente ferma e iniziò a tremare come una foglia.
«Che
succede? Chi sei tu?» pigolò spaventata, mentre
sentiva le lacrime
pungerle gli occhi in maniera fastidiosa.
Il
ragazzo la guardò sprezzante con quegli occhi bianchi.
«Se
sopravviviamo te lo dico» fece ironico.
Ophelia
tacque di nuovo e cercò di ascoltare anche lei quello che
provava a
sentire il tizio. Ma purtroppo non udì nulla, neanche il
rombo di
una macchina – eh già, erano in una zona troppo
sperduta anche per
le auto.
«Merda!»
mormorò il ragazzo, facendola sussultare. Poi si
girò verso di lei.
«Ascoltami
bene, idiota: noi adesso ci spostiamo in silenzio,
per questo motivo tu dovrai stare assolutamente zitta,
d'accordo? E
non ti conviene
tentare di scappare, altrimenti ti mollo a quel bastardo che ti
farà
la festa e me ne laverò le mani. Sono stato
chiaro?» disse a bassa
voce, avvicinando il volto a quello della ragazza per farsi sentire
meglio.
Ophelia
non ebbe neanche la forza di rispondere, annuì a testa bassa.
«Bene»
mugugnò l'altro, lanciandole un'altra occhiata di
sufficienza con
quegli spaventosi occhi bianchi.
Dopo
che l'aria spaventata della ragazza ebbe convinto l'altro che non ci
sarebbe stato nessun tentativo di fuga, con cautela uscirono dal
vicolo – o, perlomeno, Ophelia fu trascinata fuori da esso,
per poi
iniziare di nuovo a correre su quei traballanti tacchi che le
facevano cedere ancora di più le gambe.
Subito
riprese a mancarle il fiato – doveva mettersi a fare un po'
di
esercizio fisico, non poteva rischiare di svenire per una corsa a
diciannove anni – ma continuò a correre,
più spaventata da cosa
avrebbe potuto farle quel ragazzo piuttosto che da quello che li
stava inseguendo.
Non
sapeva dove stavano andando e neanche per quanto avessero corso,
finché non sbucarono in una stradina e un'auto nera
inchiodò di
fronte a loro due, costringendoli a fermarsi bruscamente. Dal
finestrino mezzo abbassato una voce risuonò chiara.
«Salite!»
l'esclamazione imperiosa fece tremare Ophelia più di quanto
non
stesse già facendo, ma il ragazzo dagli occhi bianchi, senza
sorpresa, si lanciò sulla portiera, aprendola rude e
buttando tra i
sedili la povera ragazza sballottata da una parte all'altra.
L'odore
fresco e pungente di menta mischiata a quello più soffocante
del
tabacco le fece arricciare il naso, mentre un fianco iniziò
a
dolerle inseguito alla botta appena ricevuta.
«Parti»
il ragazzo disse quello mentre entrava di volata, ma non fu
necessario perché il guidatore stava già partendo
in quarta, senza
nemmeno aspettare che lo sportello fosse chiuso.
Ophelia
si ritrovò sbalzata in avanti dal movimento improvviso e fu
costretta ad appigliarsi al sedile del guidatore di fronte a
sé per
non farsi troppo male, ma così facendo il polso,
già malandato a
causa della stretta ferrea del tizio, dovette sopportare tutto il suo
peso, facendola gemere di dolore.
«Ancora
un po' e quel bastardo vi avrebbe preso entrambi»
La
voce, con tono canzonatorio, la richiamò alla
realtà e sollevò di
scatto lo sguardo, finendo per fissare colui che stava a fianco del
guidatore, girato verso i sedili posteriori e con un sorriso
sardonico sul volto pulito e uguale a quello del ragazzo che l'aveva
praticamente rapita. Al posto di un paio di occhi bianchi
però, ce
n'erano un paio castano-verdi che spostavano alternativamente lo
sguardo da lei all'altro tizio e viceversa. Quest'ultimo si
girò
imbufalito verso colui che aveva parlato – la cui voce,
Ophelia
l'aveva riconosciuta, era quella che gli aveva ordinato di salire
–
e lo guardò in malo modo, mentre la ragazza si stupiva di
non vedere
più gli occhi bianchi, ma un paio sempre castano-verdi,
uguali in
tutto e per tutto a quelli del nuovo arrivato, solo con una luce
incazzosa al posto di quella divertita.
«Taci
idiota»
«Non
trattare male Milly, Nicky» una terza voce, femminile,
intervenne,
rivelando la ragazza che vi era alla guida.
«Non
chiamarmi Nicky!»
«Non
chiamarmi Milly!»
Le
due voci, uguali, risposero in sincrono, irritate.
Ophelia,
ancora in una posizione scomoda, notò solo un vago movimento
con la
mano da parte della giovane.
«La
ragazza sta bene?» continuò imperturbata la
sconosciuta. Ophelia,
sentendosi chiamata in causa, smise di adocchiare la strada in cui si
trovavano – esattamente, dove si
trovavano?
- e fissò con occhi grandi e spaventati i due gemelli
– sì, lo
erano senza dubbio – che la osservavano.
«Sì»
rispose secco quel Nicky.
«Insomma,
sembra che stia per morire di infarto, ma tutto sommato non sembra
messa male» fu più esauriente Milly, osservandola
con curiosità.
Ophelia,
sentendosi osservata, si mise lentamente seduta composta, venendo
squadrata senza tregua dai due ragazzi. Cercando di evitare il loro
sguardo, finì per incrociare gli occhi anch'essi
castano-verdi della
giovane che guidava, la quale cercava di intravederla dallo
specchietto retrovisore.
Ophelia
deglutì, percependo il suo gesto fin troppo rumoroso.
«Potreste
spiegarmi chi diavolo siete?»
Le
parole stridule uscirono prima che potesse frenare la lingua. Subito
dopo si diede della stupida, pensando che se volevano quei tizi
potevano benissimo ucciderla e nascondere il suo cadavere da qualche
parte in cui nessuno l'avrebbe mai trovato.
Pensando
a tutti i modi in cui poteva finire allegramente a far compagnia ai
lombrichi sottoterra le venne un brivido di terrore e di disgusto.
I
tre non sembrarono toccati dal tono che usò, a
metà tra l'isterico
e il minaccioso.
«L'avevo
detto io che sarebbe stata una ragazzina molesta» disse con
tono
accusatorio sempre lo stesso Nicky, ignorandola su tutta la linea.
«Avanti
Domi, non la conosci nemmeno. Non sembra male»
cinguettò allegro
l'altro.
«Guardala:
già dalla faccia si capisce che è fastidiosa. E
poi mi spiegate
perché sono stato io quella a doverla recuperare? L'idiota
mi ha
pure morso!» continuò lamentoso quel Nicky, Domi,
o come cavolo si
chiamava, iniziando a sventolare la mano ferita su cui spiccavano
rossastri dei segni di denti.
«Tu
mi stavi quasi impedendo di respirare» intervenne furente
Ophelia,
stupendosi di partecipare a quella conversazione. Anche se sapeva che
poteva finire in un fosso da un momento all'altro, quei tre erano
talmente strani che si ritrovò a battibeccare anche lei come
se non
fossero dei totali sconosciuti che l'avevano appena rapita.
«Mi
sono pentito di non avertelo impedito del tutto» rispose
velenoso il
ragazzo.
«Avanti
Nicky, non essere così astioso. E non continuare a
spaventarla»
intervenne la ragazza, notando il pallore di Ophelia a sentire le
parole di “Domi”.
«Perché
invece di fare la mamma non mi spieghi perché il principino
ha
mandato noi a recuperarla e non ha mosso il suo regale culo? E non
tentare di trovare una scusa questa volta, Claire»
continuò il
solito, sbuffando come una teiera.
«Ti
sei risposto da solo, fratellino. È un principino, per
questo manda
noi cavalieri a recuperare le donzelle con cavallo, armatura e
spada»
ironizzò “Milly”.
«Se
continua così la spada gliela ficco su per il culo»
«Va
bene» interruppe subito Claire, senza spostare lo sguardo
dalla
strada «Rimanda il tuo adorabile turpiloqui a dopo tesoro, e
dai
qualche spiegazione a quella povera ragazza – a proposito,
com'è
che ti chiami?»
Ophelia
fu ritirata dentro la conversazione con la forza.
«Ophelia»
borbottò.
«Uh,
che nome adorabile» rispose deliziata Claire, lanciandole un
veloce
sguardo dallo specchietto.
«Perché
devo essere io a darle spiegazioni? Sono già stanco di tutta
questa
storia» rispose con voce isterica Domi.
«Dio,
fratellino, sembri una donna in piena fase mestruale» fece
sarcastico Milly in risposta.
«Se
non la pianti finisci in strada»
«Smettetela
entrambi. Cavolo, mi sembra di stare con due dodicenni invece che con
due adulti» si lamentò stanca la giovane ragazza
«E comunque sei
tenuto a darle spiegazioni in quanto sei stato tu a trascinarla fino
a qui» asserì convinta.
Domi
fece una faccia sconvolta.
«Io?
Io sono quello a cui dovrebbero essere date spiegazioni, dato che me
ne stavo tranquillo per i fatti miei finché quel coglione
non mi ha
trascinato via strillando come un invasato che dovevamo andare a
recuperare questa... Questa...» si interruppe, indeciso su
come
definirla.
Ophelia
gli lanciò un'occhiata irata.
«Se
voi volete darle spiegazioni bene, io non farò proprio
nulla»
E
con queste parole da bambino viziato, Ophelia vide il ragazzo
assumere un'espressione corrucciata e incrociare le braccia in un
angolo del sedile.
Sentì
chiaramente Claire sospirare esausta.
«Beh,
direi che a spiegarle tutto sarà direttamente Sargas, ormai
non c'è
più tempo» tubò allegro Milly,
guardando fuori.
Proprio
in quel momento Ophelia sentì l'auto accostare e il motore
spegnersi.
Guardò
fuori dal finestrino, cercando di riconoscere il posto, ma non
riuscì
a capire dove diavolo fosse finita. Fuori una sequela di edifici
tutti grigi e simili tra loro rendevano la strada monotona; c'erano
alcuni lampioni a illuminare la strada ma non erano sufficienti,
perciò il luogo oltre a essere monotono risultava anche
abbastanza
lugubre e desolato.
«Dove
siamo?» sussurrò, ormai certa che la stessero per
trascinare
nell'ennesimo vicolo, questa volta per soffocarla con una busta di
plastica.
«La
smetti con tutte queste domande?» berciò
infastidito il solito
Domi.
«Su
Domi, non farti saltare le coronarie» fece con falso tono
smielato
il gemello, ricevendo come risposta un dito medio molto chiaro.
«Da
qualche parte a New York»
Vanno
pazzi per le risposte esaurienti qui,
pensò sarcastica Ophelia, attenta a frenare la lingua questa
volta.
«Avanti,
scendete» ordinò Claire. Ophelia rimase immobile
mentre il ragazzo
affianco a lei apriva lo sportello e usciva. Dopo un paio di secondi,
rituffò la testa bionda dentro l'auto.
«Ti
sbrighi o vuoi rimanere qui tutto il giorno?» fece con tono
infastidito.
La
ragazza si precipitò fuori, rischiando quasi di rompersi
l'osso del
collo su quei maledetti tacchi e venendo investita da un venticello
notturno leggero ma gelido, che la costrinse a stringersi meglio
addosso il cappotto grigio scuro.
I
tre non l'aspettarono, andando sicuri verso l'edificio davanti a cui
si erano fermati. Ophelia si affrettò a seguirli, mantenendo
una
certa distanza e iniziando a frugare disperatamente nella borsa e
nelle tasche, alla ricerca di qualcosa che però sembrava
scomparso.
«Cerchi
questo?» chiese beffardo Domi.
L'odio
che cresceva nei confronti di quel ragazzo si mischiò alla
disperazione che provò nel vedere il suo cellulare nelle
mani
dell'altro, che lo faceva dondolare incurante del rischio che potesse
frantumarsi a terra.
Il
telefono, la sua unica e ultima speranza di poter essere salvata da
quei tre pazzi che con tutta probabilità l'avrebbero
smembrata e
sparso i suoi pezzetti in giro per la città – ok,
forse non doveva
esagerare in tal modo – comunque, il suo telefono era andato
nelle
mani di quel bastardo che continuava a ridersela di fronte alla
reazione di Ophelia, che era sbiancata.
«Domi»
lo richiamò il gemello, ridacchiando di fronte alla scena
«Avanti,
smetti di giocherellare con lei e muoviti a entrare. Anche tu,
sbrigati»
Domi
si limitò a scrollare le spalle, ancora ridendo, poi si mise
il
cellulare in tasca e la precedette mentre il gemello attendeva che
Ophelia uscisse dalla trance in cui era entrata e camminasse. Lei, in
risposta, più che camminare si trascinò verso di
loro come una
condannata a morte, intravedendo Claire che stava già
entrando
dentro l'edificio senza attenderli.
Non
provava nemmeno a scappare, consapevole che sarebbero riusciti a
riprenderla senza troppi sforzi, ma un lato della sua mente, non
sapeva se quello più incosciente o quella più
ragionevole, le
diceva di correre via perché, d'altro canto, c'era qualcosa
di più
che strano in loro, in primis in quel diavolo di Domi che poco prima
aveva gli occhi bianchi e l'attimo dopo di un normalissimo
castano-verde.
In
qualche modo anche la curiosità la spronò a
seguirli perché si era
resa conto che quei tizi non l'avevano rapita a caso, ma ero decisi a
prendere proprio lei.
Arrivò
di fronte all'edificio ed entrò prima di Milly, che gli
apriva con
galanteria la porta – certo, galanteria, per non dire
“così
evitiamo gesti scemi da parte tua” che sarebbe stato brutto.
Si
ritrovò in una stanza di medie dimensioni, completamente
spoglia;
nonostante ciò il pavimento a scacchi era lindo e ci si
poteva quasi
specchiare. Non vi erano porte di sorta, escludendo quella da cui
erano appena entrati, solo un ascensore, il cui pulsante veniva
premuto più volte da Claire, rischiando di venir frantumato.
«Guarda
che non arrivi prima se lo rompi» disse Domi, inarcando un
sopracciglio in direzione della ragazza e poi un'occhiata di
diffidenza per Ophelia, appena arrivata con l'altro gemello.
È
diffidente? LUI è diffidente? Sono io qui quella che non
capisce che
cazzo succede,
pensò isterica.
Ma
non disse nulla manco questa volta e dopo pochi secondi le porte
dell'ascensore si aprirono, rivelando uno spazio di tre metri per
tre, ricoperto di moquette blu e con una fastidiosa canzoncina che
proveniva da degli altoparlanti.
Fu
spinta dentro da Milly – a quanto pare la delicatezza era
qualcosa
che avevano in comune i due gemelli – ma non
riuscì a vedere che
pulsante avesse premuto Claire, in quanto era stata relegata
nell'angolo opposto e a malapena vedeva la porta coperta com'era dai
due ragazzi che, notava solo ora, erano fin troppo alti.
In
quei due minuti di ascensore, nel quale sentiva vagamente i due
ragazzi riprendere a battibeccare come al solito, riuscì
finalmente
a osservare bene i tre rapitori.
I
due ragazzi, due gocce d'acqua, con medesimi capelli biondi e
carnagione dorata, si distinguevano fondamentalmente per il taglio di
capelli, un poco diverso, e l'atteggiamento anch'esso per certi lati
differente: Ophelia coglieva in Milly meno cattiveria rispetto a
Domi, i cui cinque canonici minuti di incazzo sembravano non finire.
Erano comunque entrambi molto alti e con un fisico che sembrava
allenato, anche se non poteva vedere più di tanto dalle
felpe che
ambedue indossavano.
La
ragazza, Claire, era alta anch'essa, con un fisico longilineo e
lunghi capelli neri nei quali spiccavano ciocche verde elettrico che
facevano contrasto con la carnagione dorata uguale a quella dei due.
Ophelia
guardò il fisico dell'altra con una smorfia, osservando i
vestiti
aderenti che mettevano in evidenza la belle curve.
Ma
che cazzo, pure i rapitori-modelli mi dovevano capitare,
pensò sconsolata, pensando che forse aveva fatto bene a non
mangiare
la famosa torta al cioccolato.
La
porta si aprì con un lieve suono, interrompendo le
elucubrazioni di
Ophelia ma non le battutine dei due.
«...avrei
potuto ammazzarlo quando volevo!» berciava Domi con la
perenne aria
irata. L'altro rideva sarcastico.
«E
perché ti sei fiondato sull'auto allora?» lo
pungolava.
«Sai
che ansia dovermi togliere poi il sangue dalla maglia. E poi quella
tizia mi sarebbe svenuta davanti e l'avrei dovuta portare in braccio.
Ma anche no»
Ophelia
iniziò a sudare freddo.
Ok,
l'avrebbero uccisa, lo sapeva.
«Mi
state facendo venire il mal di testa, sembrate due oche
starnazzanti»
sibilò Claire.
«Senti
chi parla» la pungolò Domi «Sei peggio
di noi, sorellina»
Claire
gli lanciò un'occhiataccia mentre Ophelia sobbalzava.
“Sorellina”,
beh, alla fine non era stupita più di tanto.
Evviva,
era incappata in tre fratelli serial killer.
La
paura che si era attenuata riprese a farla tremare mentre veniva
condotta dai tre per corridoi, porte e scale senza un apparente
ordine preciso.
Passarono
di fronte a porte dalle quali si sentivano alcune voci e se Ophelia
non urlò fu solo perché il solito Domi le
lanciò un'occhiata
lampeggiante e perché sarebbe potuta cadere dalla padella
alla
brace.
Quando
Ophelia si iniziò ad accorgere che non c'era neanche una
finestra in
quel posto – erano sottoterra per caso? - si dovettero
fermare di
fronte all'ennesima porta. Claire non bussò nemmeno,
aprì la porta
senza troppi convenevoli ed entrò; i due ragazzi invece si
premurarono di spingere anche questa volta Ophelia dentro.
Dopo
l'ennesima spinta però Ophelia cadde come rischiava di fare
da ore:
un tacco le si impigliò da qualche parte e rotolò
a terra con
pochissima grazia, sbattendo dolorosamente un ginocchio e causando le
risate incontrollate dei soliti gemelli.
Viola
dalla vergogna, Ophelia si risollevò e alzando lo sguardo
finì per
incrociare quello di un ragazzo che, appoggiato mollemente su una
scrivania, la guardava con le braccia incrociate e un sopracciglio
inarcato.
«Davvero,
Sargas, non capisco perché volessi assolutamente che ti
portassimo
questa tizia» Milly ruppe il silenzio creatosi osservando il
bel
ragazzo che continuava a fissare Ophelia.
Quest'ultima
si sollevò traballante, non osando ricambiare lo sguardo e
lanciando
solo veloci occhiate di sottecchi a quel Sargas, ritrovandosi a
considerare che lì sembravano tutti fatti con lo stampino.
Com'era
possibile che fossero tutti così belli? Si sentiva fuori
luogo!
Le
occhiate lanciate furono sufficienti per notare i corti capelli
corvini che gli incorniciavano il volto pallido dall'espressione
improvvisamente corrucciata e gli occhi blu cupo che la squadravano
in maniera sfacciata dalla testa ai piedi.
Ma
la sorpresa che provò in quel momento Ophelia non fu data
tanto
dalla bellezza del tipo, bensì dal vedere un ragazzo legato
e
imbavagliato su una sedia all'angolo della stanza, un ragazzo che
riconobbe subito dai riccioli castani.
Sbiancò.
«Matthew?»
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